Gaetano Grasso

Ariano dall'Unità d'Italia alla Liberazione

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Nasce il Consiglio Comunale

Le elezioni del primo Consiglio Comunale si svolsero il 26 maggio 1861 (69). Dei 14.232 abitanti solo 278 ebbero diritto al voto. Votarono 188 cittadini ed elessero i seguenti consiglieri (70):

D. Nicola De Angelis 30 anni proprietario 123 voti

D. Michele D’Alessandro 47 id 100

D. Giuseppe Ciani 27 id 148

D. Fedele Carchia 70 legale 100

D. Domenico Covotta 29 dott. medico 156

D. Raimondo de Furia 50 notaio 132

D. Domenico de Franza 74 proprietario 142

D. Raffaele Franza 38 id 9

D. Michele de Felice 25 id 144

D. Abele Forlone 32 farmacista 151

D. Carlo P.de Filippis 42 proprietario 83

D. Michele Grassi 29 medico 107

D. Lodovico Gelormini 61 proprietario 130

D. Giovanni B. Gelormini 27 notaio 110

D. Teodoro Grassi sacerd. 51 abate 114

D. Nicola del Giacomo 34 proprietario 81

D. Nicola Errico 44 legale 131

D. Luigi Iaccarini 73 proprietario 85

D. Luigi Imbimbo 37 id 84

D. Francesco Marenga 26 legale 167

D. Raffaele Mainieri 40 legale 147

D. Ernesto Purcaro 46 proprietario 88

D. Raimondo Puorro 40 dott. medico 147

D. Raffaele de Paola 43 proprietario 164

D. Agostino Parzanese 45 farmacista 181

Vincenzo Risi 32 negoziante 95

Giuseppe de Stefano 39 negoziante 105

D. Vincenzo Noccoli 36 proprietario 119

D. Ettore del Conte 31 id 116

D. Gennaro Sicuranza 35 orefice 100

Risultò sostanzialmente confermato il gruppo del vecchio ceto politico e tuttavia ci furono una decina di esclusioni importanti tra cui quelle di Luparella, Gaetano Albanese, De Miranda, Passeri ed una presenza più forte e numerosa dei ceti borghesi. Il 30 agosto fu nominato Sindaco Domenico De Franza che rinunciò subito per l’età avanzata e per ragioni di salute aprendo così una lunga vicenda per la nomina del nuovo sindaco che si chiuse nel dicembre del 1862, più di un anno dopo. Il Consiglio Comunale si riunì il 13 settembre e prese atto della rinuncia di De Franza e delle rinunce degli assessori Mainieri e Carchia ad assumere le funzioni di Sindaco. Funzioni che furono affidate al terzo assessore nella giunta: l’abate Grassi (71). In sostituzione del vecchio De Franza il sotto Prefetto (72) di Ariano, Caracciolo, propose Nicola De Angelis per il quale ci fu il parere positivo del delegato di polizia. Il Prefetto era sul punto di proporre al Ministro degli Interni questo nome quando arrivò un parere negativo del canonico Michele Del Conte. Questi riteneva De Angelis troppo giovane per poter esercitare la carica di Sindaco in una città travagliata dai furti, dalle difficoltà economiche, dall’abbandono delle campagne. Proponeva l’avvocato D. Raffaele Mainieri. Ci dovettero essere anche altre opposizioni che indussero il Prefetto De Luca a chiedere il parere di un vecchio liberale di origine arianese ma residente a Napoli: Lorenzo Bevere. Questi propose allora di nominare l’abate Grassi in una lettera nella quale accennò alla responsabilità dell’ "aristocrazia" per i mali sofferti dalla popolazione. L’abate Teodoro Grassi era un liberale già "tollerato" dal governo borbonico. Era stato molto amico di Pietro Paolo Parzanese che indirizzò a lui dieci lettere "descrittive" del viaggio in Puglia compiuto tra il 5 e il 15 maggio del 1845. Le lettere furono pubblicate nel "Poliorama Pittoresco" una rivista cultural-divulgativa stampata a Napoli. Costituiscono una sorta di resoconto del viaggio, con le impressioni del poeta arianese su alcune città pugliesi e sulle loro campagne. La seconda lettera contiene la poesia "Ad un fiore" "gittata sulla carta" durante il viaggio. L’abate pronunciò l’elogio funebre del Parzanese nel Duomo dopo che la "sbirraglia borbonica" aveva tentato di impedire i funerali e ne era stata scacciata da monsignor Capezzuti che in "tono severo" ricordò a quella gente che in chiesa comandava lui. Il nuovo sotto Prefetto, Fiorentini, pur apprezzando questo passato, non fu d’accordo con la proposta di nominare Sindaco Teodoro Grassi; lo riteneva inesperto e perciò propose la riconferma di Carchia ma il Prefetto annotò: "per Carchia è impossibile. Fu dimesso dal Ministero dietro rapporto del generale Pinelli". Con tenacia, il Prefetto De Luca ripropose la candidatura Grassi alla valutazione del suo subordinato fino ad ottenerne l’indicazione. Finalmente il 9 dicembre 1862 potette proporre al Ministro il nome che gli aveva "indicato" il sotto prefetto Fiorentini e il 19 fu firmato il decreto di nomina per il triennio 1861-1862-1863. La vicenda di questa nomina trascende, ovviamente, il fatto burocratico. Essa è la testimonianza di un rapporto difficile tra il potere centrale e il ceto politico di Ariano verso il quale c’era maggiore diffidenza e perciò particolare prudenza nella individuazione del primo cittadino. La reciproca diffidenza tra i poteri locali e centrali, infatti, non era certo prerogativa di Ariano ma riguardava il rapporto con gran parte delle municipalità. Il Prefetto De Luca, aprendo la sessione del Consiglio Prov. del 1864, non potendola negare, attribuì questa diffidenza solo agli amministratori locali nei quali "una certa nervosa suscettività, figlia di ricordi della vecchia oppressura, teneva sempre desti i sospetti e rinfocolava quell’abituale opposizione cui ci aveva costretto quella negazione di Dio del Governo Borbonico" (73). Sono di questo periodo: la contrazione del primo mutuo di tremila ducati da parte del Comune per costruire altre strade di campagna "la cui mancanza forma ostacolo al progresso dell’agricoltura, dell’industria e del commercio" e per dare così lavoro ai bisognosi (74). Nell’occasione il Comune ricorda che per sottrarsi dal giogo feudale contrasse vari debiti che in parte erano ancora esistenti (75); il "decentramento" dei laboratori per la produzione di gesso che con i loro forni inquinavano l’aria. I gessaiuoli chiesero di poter lavorare giorno e notte ma gli amministratori privilegiarono gli interessi della cittadinanza che si lamentava dei fumi che emanavano i forni e imposero di spostare tutte le "minifabbriche"; la difesa dei diritti della comunità arianese sulla "tenuta la Ferrara" che il duca di Bovino chiedeva di disboscare e dissodare per una estensione di mille tomoli. Gli amministratori la difesero con argomenti sociali e politici: il dissodamento avrebbe privato i terreni di Ariano delle braccia necessarie al lavoro nelle campagne e i pastori del pascolo per le loro greggi. Sul piano politico poi "sarebbe troppo lagrimevole caso vedere che sotto il glorioso e provvido governo di quel miracolo di Re Vittorio Emmanuele, /il duca di Bovino / venisse a capo del vecchio e reo disegno che non gli fu dato di effettuare anche nei tristi tempi che furono, quando era più potente signore, poiché gli fu forza di stare alla legge che fa divieto di dissodare"; il finanziamento, da parte della Amm. provinciale, degli studi per un nuovo carcere e la richiesta da parte del Ministero dell’Interno del mandato alla sua progettazione. La soluzione di questo problema avrà una vicenda complessa che durerà fino al 1882; la difesa della permanenza del Tribunale ad Ariano messa in pericolo dalla nuova ristrutturazione delle circoscrizioni giudiziarie. Una delegazione di consiglieri composta dall’Abate Grassi, da Vitoli e da De Angelis, su invito di Mancini, si recò a Torino a portare al Re la petizione relativa e a perorare la causa presso il Ministro Vacca (76). Quando la permanenza del Tribunale fu certa si trovò anche la nuova sede nel Palazzo d’Afflitto; la decisione di rendere pubbliche le sedute del Consiglio Comunale (10.5.1862) e il fitto della nuova sede per il Municipio nel palazzo Sgobbo per 135 ducati all’anno. L’8 ottobre del 1863 arrivò il Re Vittorio Emanuele II al quale un anno prima il Municipio aveva mandato un invito a "lasciare per un momento la deliziosa Napoli e venire alla volta di queste contrade per allietare le popolazioni che l’aspettano, come l’Angelo di consolazione e di pace" (77). E fu festa grande! Una commissione di sette cittadini ebbe l’incarico di predisporre quanto era necessario per dare "un attestato di amore verso il suo generoso Sovrano". In particolare bisognava: "far venire" la banda di Roseto; costruire 100 bandiere di tela o di mussolina delle quali 40 di un palmo e mezzo e 60 di tre palmi; innalzare due archi più grandi "in siti opportuni" e quanti altri giudicasse la commissione "guerniti" di mortella; "apprestare de’ complimenti in pane di Spagna, cioccolatto, latte, caffè, the, rum, gelati, ed altro come si crederà meglio...; insinuarsi agli abitanti che stanno lungo la strada nuova di porre alle finestre ed ai balconi arazzi, e tener pulita la via". Il Re lasciò mille lire che furono distribuite ai poveri delle varie parrocchie di Ariano. Ma non tutto "filò" liscio: il Re non fu ricevuto dal clero e se ne dette colpa al canonico Michele Del Conte che, come é noto, aveva le funzioni di Vicario Capitolare. Naturalmente il fatto non passò sotto silenzio e arrivò anche a Mancini che aveva di che dolersi se nella città capoluogo del suo collegio elettorale il clero non incontrava il Re. Il canonico del Conte avvertì allora l’esigenza di scrivere a Giuseppe Vitoli per chiarire il suo comportamento in occasione della visita del Re e perché, soprattutto, chiarisse la cosa con Mancini. Nella lettera, trovata nell’archivio Vitoli custodito dai fratelli Cozzo ..........., il Del Conte sostiene che "le indiscretezze" del Sindaco lo indussero ad attendere, insieme con buona parte del clero, in Vescovado perché gli era stato assicurato che il Re vi si sarebbe recato. Ma poi così non avvenne. La lettera é anche una ulteriore prova della larga opposizione esistente contro il Sindaco Teodoro Grassi la cui attività amministrativa fu resa difficile da parte di un gran numero di Consiglieri Comunali che lo ostacolavano disertando le riunioni dell’assemblea. Non erano mossi da motivi di carattere politico (i pochi filoborbonici irriducibili erano lontani dalle istituzioni) bensì da risentimenti personali, invidie, insoddisfazioni, ambizioni non appagate. D’altra parte la vicenda complessa della nomina del Sindaco aveva lacerato il gruppo dirigente arianese. E secondo il sottoprefetto predominavano "le divisioni interne di famiglie a causa dei precedenti reazionari e della mancanza di cultura". Il che, almeno in parte, corrispondeva alla realtà. Si aggiunga che quattro consiglieri comunali si inserirono negli appalti dei dazi comunali e l’Abate-Sindaco denunciò al Prefetto che lo avevano fatto "con inverecondia senza pari". L’Abate Grassi, d’altra parte, aveva dei principi molto severi e ristretti; non aveva la "duttilità" necessaria a contenere, o a comprendere, ambizioni ed interessi diversi nè aveva la preparazione specifica per amministrare senza slabbrature ed errori, sia pure lievi, che gli venivano rimproverati e fatti pesare più del dovuto dagli avvocati presenti in Consiglio. Era di una prudenza nella spesa che mal si conciliava con la necessità di attrezzare la città alle esigenze di una vita più civile di cui si facevano portatori i nuovi governanti. L’opposizione al Sindaco si radicalizzò: tredici consiglieri si dimisero. A quel punto le soluzioni possibili erano due: o andare alle elezioni parziali o sciogliere il Consiglio Comunale. Ma per avere un radicale rinnovamento del Consiglio bisognava approvare le nuove liste elettorali per inserirvi i giovani studenti universitari "istruiti e amanti del programma nazionale". Insomma il Governo contava sulle nuove generazioni ritenute giustamente più liberali e più aperte al nuovo. Gli amministratori uscenti erano restii ad affrontare le novità soprattutto quando prevedevano notevoli spese. Lo scioglimento del Consiglio, proposto dal Prefetto di Avellino, che indicò anche il Commissario nella persona di Michele Capozzi (all’epoca Sindaco di Salza Irpina, successivamente deputato e protagonista della politica irpina), fu respinto dal Ministro (78). Il Governo non aveva nessuna intenzione di apparire come facilmente disponibile a mortificare le autonomie municipali. Il che avrebbe certamente sminuito la sua carica di liberalità; ciò a maggior ragione in una realtà che esigeva attenzione e prudenza. La sola ventilata voce di un possibile scioglimento aveva, infatti, messo in allarme i galantuomini e gli amministratori ancora ligi al proprio dovere che minacciarono di ritirarsi dalle cariche. Si decise dunque di andare, dopo aver approvato le nuove liste elettorali in primavera, alle elezioni parziali a luglio del 1865 per rinnovare il Consiglio di 19 membri: 13 dimissionari e 6 per l’annuale rimpiazzo del quinto. Tra quelli da rimpiazzare fu sorteggiato l’Abate Grassi e, non essendo stato ovviamente rieletto, dovette abbandonare la carica di Sindaco.

NOTE

(69) Per la legge 23.10.1859, estesa ai comuni e alle provincie ex borboniche con decreto luogotenenziale del 2 febbraio 1861 erano elettori: i cittadini che avessero almeno 21 anni e che pagassero almeno 15 lire di imposte dirette; i membri delle Accademie e quelli delle Camere di Agricoltura e Commercio; gli impiegati civili e militari; i militari decorati al valore; i decorati per atti di coraggio e umanità; i promossi a gradi accademici; i maestri ed i professori; i professionisti. Ogni elettore poteva scrivere sulla scheda un numero di nominativi pari ai consiglieri da eleggere. Erano ineleggibili gli analfabeti e le donne. Il Consiglio Comunale era costituito da 30 consiglieri e la giunta da 4 assessori e due supplenti. La scelta del Sindaco era fatta dal Re per decreto.

(70) ASA - Prefettura inv.1, vol.2 - fas.65.

(71) Il Consiglio Comunale non prese mai atto della nomina a Sindaco di Domenico De Franza ma solo della sua rinuncia nella riunione del 13 settembre.

(72) I termini di Sottointendente e di Intendente furono modificati in Intendente e Governatore e successivamente in sotto Prefetto e Prefetto. Per comodità si usa quest’ultima terminologia fin da questo momento.

(73) Registro Deliberazioni Cons. Prov., 1864, p. 128.

(74) Archivio Comune Ariano - Delibera del 13.11.1861.

(75) Com’è noto Ariano si affrancò dal giogo feudale nel 1585 pagando 75.150 ducati al Principe di Venosa: Fabrizio Gesualdo.

(76) Delib. Cons. Com. 15.6.1865 in Arch. Comune Ariano.

(77) ASA - Pref. inv3, b.153, fas.1963.

(78) ASA - Prefettura inv.1, vol.2, fas.64.

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