Gaetano Grasso

Ariano dall'Unità d'Italia alla Liberazione

da: http://www.edizionilaginestra.it

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Monsignor Caputo: "esiliato" a vita.

La festa nazionale per l’unità e l’indipendenza italiana, fissata per il 2 giugno 1861, fu "solennizzata" anche ad Ariano. Ne parla diffusamente il pro-vicario vescovile Orazio De Florio in una lettera a Monsignor Caputo che, evidentemente, aveva inviato direttive per il clero della "sua" Diocesi.

"In esecuzione degli ordini contenuti nel pregevole di Lei ufficio dei 25 scorso Maggio n.o 474 fu qui celebrata la festa Nazionale nel dì 2 del corrente col più sontuoso apparato. Al far del giorno lo sparo dei mortaretti e il suono della banda musicale annunziavano, che spuntava l’alba di una gran festa, quella di tutta la Nazione per l’Unità della patria. Nel mattino a stabilita ora gl’impiegati tutti di ogni ramo corteggiati dall’intiera e benemerita Guardia Nazionale e dai Notabili del paese, uniti a questo reverendissimo Clero intervennero nel Duomo Cattedrale per assistere alla messa solenne. Il Sig. Arciprete Del Conte pronunziò un discorso pieno di patriottici ardori, ed esposto quindi il SS.mo alla pubblica adorazione si cantò l’inno Ambrosiano in ringraziamento al Signore dei meravigliosi successi a favore dell’indipendenza, ed unità Italiana sotto lo scettro Costituzionale del Glorioso Re Vittorio Emmanuele II, ed i suoi discendenti. Il popolo accorse in gran numero in diversi luoghi pubblici a solennizzare l’Unità Nazionale. Furono distribuiti dei soccorsi ai poverelli da questo Egregio Intendente, e nella sera un fuoco artificiale rendeva sempreppiù brillante, e completa l’avventurosa giornata. Una circolare fu da questa R.ma Curia spedita a tutti i Parrochi della Diocesi, ordinando loro quei adempimenti, che la lieta circostanza imponeva, e le partecipo la piena esecuzione dei suoi voleri. 6 giugno 1861" (58) .

I rari rapporti epistolari con l’arciprete Del Conte, con il provicario Orazio De Florio, con il canonico Iaccarino e qualche altro prelato erano gli unici contatti che il Vescovo manteneva con Ariano. Dopo l’adesione alla causa unitaria Caputo era stato nominato Cappellano Maggiore ed in questa veste ebbe la possibilità, come già si é detto, di essere a contatto con i più importanti uomini di governo italiani. Nello stesso tempo questa nomina acuì i contrasti con le gerarchie vaticane. La sua vicenda umana, politica e pastorale fu complessa e molto intensa. Essa costituì un ulteriore elemento tra quelli che contribuirono non poco ad approfondire la crisi tra lo Stato e la Chiesa coinvolgendo fino in fondo P.S. Mancini che prese le difese di Caputo e di altri due prelati in una serrata polemica con il Cardinale Sisto Riario Sforza. I giornali cattolici colsero questa occasione per deridere non solo l’uomo politico irpino ma anche la formula cavouriana della libera Chiesa in libero Stato. "Ecco dunque il Sig. Mancini costituitosi da se stesso giudice della predicazione del Vangelo. Il Cardinale e Arcivescovo pronunzia che tre predicatori hanno gravemente mancato annunziando in modo indegno la parola di Dio. Il Sig. Mancini all’incontro pronunzia che l’Arcivescovo ha torto e che i predicatori si trovano in regola e che se l’Arcivescovo li condanna egli Mancini li assolve! ecco la libertà che questa gente lascia ai Vescovi! Ecco la libertà che lascerebbero al Papa se fossero a Roma!" così il giornale cattolico "l’Armonia" (59). In questa sede, tuttavia, é opportuno limitarsi ad accennare al rapporto del Vescovo con Ariano. Caputo non perse mai la speranza di tornare nella sua Diocesi non solo per prendersi una ragionevole "rivincita" ma anche perché il suo ritorno avrebbe spuntato uno degli argomenti più solidi nelle mani del Vaticano contro di lui: quello dell’abbandono della sede di Ariano, l’unica che canonicamente gli apparteneva. I suoi accusatori usavano un argomento molto logico ma capzioso:- se é vero, come afferma il Vescovo in sua difesa, che fu scacciato dalle forze reazionarie, ora che governano i suoi amici liberali avrebbe tutta la possibilità di tornare ed essere protetto. Capzioso argomento perché le gerarchie ecclesiastiche non potevano ignorare che le forze filoborboniche, pur essendosi defilate dalla politica attiva, sul problema del ritorno del Vescovo ad Ariano ridiventavano attive ed inflessibili, continuavano a discreditarlo e tenevano desta la opposizione popolare; di più: sapevano benissimo che l’opposizione maggiore al ritorno di Caputo esisteva all’interno del Capitolo della Diocesi e soprattutto tra molti liberali arianesi. E’ sempre Orazio De Florio ad informare Caputo che "l’esempio dato dall’Eccellenza vostra di perdonare tutti, dimenticare le offese fatte a Lei, alla sua dignità, non disarma ancora taluni. Giorni sono quella famiglia che ingiustamente si querela contro di Lei incaricò l’Abate di S.Pietro ed un altro Parroco a far sottoscrivere un attestato come Ella é stata sempre attaccata ai Borboni, e fu autore della reazione qui avvenuta, ma si arrestarono alle opposizioni riportate" (60). Identiche informazioni gli comunicava il canonico Michele Del Conte sulle contrarietà nei suoi confronti delle autorità civili a cominciare da Raimondo Albanese che in quel periodo svolgeva le funzioni di sottointendente: "D.Raimondo Albanese si sforza di rimanere qui per Sottogovernatore, e sarebbe una disgrazia per questa infelice città. Con l’autorità di cui è rivestito ha fatto sottoscrivere una petizione sull’oggetto nella quale vi sono moltissime firme finte". La lettera é del 31 dicembre 1860. Nei mesi precedenti Raimondo Albanese aveva cercato in vari modi di contrastare il prelato ancorché lontano. Aveva scritto anche al vecchio sindaco Carluccio per chiedergli copia della lettera anonima ricevuta da Oppido "quando fu traslogato da quella città ad Ariano" o, se non l’avesse conservata, di fargli conoscere i "sensi della stessa". Ottavio Carluccio gli rispose che "non conservandosi da me la lettera anonima riesce così impossibile prestarmi alle di lei (ri)chieste" (61). Il vescovo si lamentò presso il Dicasatero degli affari ecclesiastici perché veniva di continuo "da malintenzionati inquietato con affissioni di cartelli ed altri modi impropri e che qualche autorità se non favorisce siffatte irregolarità, non si oppone". Un’altra opposizione veniva dai Frati francescani che incitavano i fedeli a non confessarsi con "i parroci e altri ecclesiastici che hanno dato il voto per Vittorio Emmanuele, giacchè tutti sono rimasti scomunicati" (62). Caputo, ciononostante, cercava in tutti i modi di essere dentro le cose della sua Diocesi e di rendersi utile anche così alla causa liberale. Aveva, già nell’ottobre del 1860, riabilitato un sacerdote sospeso dal pro-vicario; intercedette in favore dell’avvocato Rocco Mercuri che aveva sostenuto la parte civile nei processi per il fatti del settembre e che per questo pare fosse stato minacciato di morte. Il Vescovo scrisse al Direttore del Dicastero della Giustizia perché il Mercuri fosse nominato Giudice della Gran Corte Criminale (63). Così come intervenne anche presso il Segretario Generale del Dicastero Ecclesiastico per difendere le ragioni delle Oblate di Ariano quando il Sindaco Carchia aveva impedito loro di eleggere la badessa e, con "arbitrario abuso", le aveva costrette ad aprire la clausura perché la figlia potesse visitare una monaca inferma (64). In occasione della Pasqua del 1861 il prelato ebbe il permesso di ritornare ad Ariano. Mancini chiese all’intendente di assicurare ogni protezione al Caputo e di dargli informazioni sullo spirito pubblico; stesse informazioni chiese il Consigliere di Polizia (65). Appena la notizia del possibile ritorno del Vescovo fu conosciuta ad Ariano, ci fu la mobilitazione per impedirlo. In un opuscolo dal titolo "Documenti per la città di Ariano contro Mons. F. Michele Caputo etc." furono stampati i documenti adottati nel ‘60 contro il prelato e furono aggiunte altre accuse. In particolare furono aggiunte le "Lettere di una Monaca e di Monsignore ad una giovane che n’era uscita; l’ultima è del Sig. Vescovo". E’ utile leggere alcuni ampi passi di queste lettere avvertendo che sono trascritti fedelmente (66). "Cara N.N. - Non posso esprimerti quanto ha sofferto il nostro caro Padre per la tua uscita da qui; piange sempre, e la sua forte malattia é stata solo per la grande collera che si ha preso per te. Oh Dio, che non farebbe per vederti questa mane; l’ho veduto molto sparuto di volto; io l’ho pregato di starsi allegro, ed esso mi ha risposto piangendo che desiderava la morte; per carità consolalo col fargli due versi. Mi ha detto che qualunque grazia tu l’avreste chiesta te l’avrebbe fatta, perché tu l’hai così abbandonato? e così non fa altro che piangere; mi ha detto pure che se tu vuoi il tuo Zio Arciprete per Vescovo esso lo farà succedere, e che qualunque grazia tu gli chiederai, esso tutto ti farà, purché tu non l’abbandoni...ed il detto Padre con me sta anche disturbato; mi ha detto inquietato che lui non mi curava più...Figlia cara figurati le lagrime che sto spargendo...Mi ha detto il suo cameriere, che la notte non fa altro che piangere, e che non vuole né mangiare né uscire... tua aff.ma N.N. Poscr. Mi ha detto che si consolerebbe d’essere scritto da te anche col lapis; tu scrivi ad esso e a me, e mettilo in un foglio diretto a N.N. con darla a X.X. figlia mia , ti prego a non mancare di ingratitudine". Seconda lettera. "Mia cara N.N. - Mi pervenne ieri la tua carissima, una all’acchiusa all’istante feci arrivare al suo destino!...Fai di tutto N.N. , per andare a trovarlo; se lo fareste in giornata sarebbe per lui di massimo sollievo!... Di a X che ti portasse sola; dopo trattenuto avanti a lui per breve spazio dirai: Padre, dovrei pregarvi di alcuni affari riguardo la mia coscienza; egli ti risponderà che é pronto, portandosi nella stanza contigua; così N.N. mia, potrai consolare il suo cuore trafitto soverchiamente... Vuole offrirti un bel quadro dell’Immacolata; sarà mia cura fartelo arrivare; desidera che andando in casa di tuo marito lo mettessi vicino al letto... Egli brama assai vederti, dagli questo sollievo. N.N. mia, brucia subito la presente, sii accorta. Addio; ti abbraccio e ti dico mille cose in conto del Padre tuo! Aff.ma N.N.". Lettera attribuita al Vescovo. "Di proprio pugno. Benedetta figlia mia in G.-C.N.- Non ti dispiaccia se dopo un lunghissimo silenzio inaspettatamente ti perviene questa mia. La fedele e costante cura, che ho avuto, sempre di te, allorquando dimoravi in queste virtuose Claustrali, mi obbliga a vergarti questa mia a motivo di prender conto della tua cara salute, che ti desidero sempre floridissima. La mia, lode a Dio, é nella mediocrità, e sempre disposta a’ tuoi venerati comandamenti. Permettimi poi, figlia mia, che ti dica, che hai mancato ad un atto di dovere e di religione per non essere venuta a trovarmi, e riceverti l’ultima pastorale Benedizione. Ti ricordo quanto di questo eri bramosa, e ogni volta che io andava alla grata ardentemente desideravi riceverla. Fa quel che vuoi, ma sii certa che il Padre tuo ti avrà sempre viva nei suoi pensieri. Ti saluto, ti benedico e sono. Onorami di tuo riscontro. Il Padre tuo in G.C. Michele M.a. Al dorso di detto viglietto mandato per mezzo di N.N. ci é scritto così: N.N. mia. Fa due righi di riscontro a Monsignore per carità. Brucia subito la presente. Se non ti é permesso averci relazione, diglielo francamente. Ti vorrebbe sola con tuo fratello. Può essere o no? Dimmi la verità. Addio ti abbraccio e sono Aff.ma N.N.". E’ difficile ritenere vere queste lettere non bruciate nonostante le raccomandazioni a farlo. Difficile credere alla scena di un vescovo, descritto altrove come un ganimede che aveva fatto dell’Episcopio poco meno di un lupanare, che piange come un adolescente al primo amore. Difficile credere alle NN e alle X e alle complicità dei fratelli! Tuttavia esse furono poste a corredo di un dossier fatto circolare in centinaia di copie, inviato oltre che in Vaticano anche alle autorità statali, che dette il segno della ferrea determinazione dei dirigenti locali ad opporsi al ritorno di Caputo. Non si dimentichi, al fine di spiegarsi appieno questo livore contro il prelato, che nel dicembre precedente il Vescovo aveva reso la testimonianza, sulla reazione antiliberale, che aveva messo in difficoltà parecchi maggiorenti del paese. Bisogna aggiungere che il delegato di polizia di Ariano, sig. Cherubino Mastracchio, aveva comunicato all’Intendente che non garantiva per l’incolumità del Vescovo non avendo forza sufficiente rispetto alla situazione di ostilità verso il Prelato esistente ad Ariano. Le autorità governative, a questo punto, non avevano alternative. Dovevano prendere atto dello "spirito pubblico" e convincere Caputo a rinunciare al ritorno ad Ariano. Nello stesso tempo avevano l’esigenza di salvaguardare il proprio prestigio. Agirono, allora, con severità verso il delegato di polizia allontanandolo da Ariano. Il che provocò una durissima protesta dei dirigenti arianesi e del Decurionato che attribuirono questo provvedimento al "troppo famigerato Spaventa". Un giudizio avventato e "ab irato" sul cavouriano Silvio Spaventa, all’epoca Ministro di Polizia del Luogotenente Cialdini. Usarono invece molto tatto nei confronti di Caputo che capì e scrisse una accorata lettera al sottoprefetto di Ariano (Fiorentini) nella quale lo ringraziava per i positivi giudizi espressi su di lui, gli raccomandava i suoi "malmenati figli della Diocesi", e lo pregava di "prestare affetto e braccio forte al Sig. Canonico De Florio". L’opposizione e la lotta continuò. Ancora nel marzo del 62 il canonico Del Conte scrisse a tal D. Giambattista, forse un segretario di Caputo, di far sapere a Monsignore che "giorni sono in questa piazza era affisso un proclamo, forse uscito dall’inferno, contro il Papa, il Clero e la Religione e si diceva spedito dal Vescovo" e che egli lo aveva strappato. Per il 14 settembre 1862 era convocata una speciale congregazione voluta da Pio IX per discutere il caso del Vescovo di Ariano. In preparazione di questa riunione era stata preparata una relazione nella quale lo si paragonava a Scipione de Ricci, il Vescovo toscano che un secolo prima aveva sostenuto teorie conciliariste. Si affermava, quindi, che per avere lo stesso atteggiamento di "longanimità" che aveva avuto Pio VI verso De Ricci, si poteva ancora acquisire "le disposizioni dei diocesani di Ariano verso il loro Vescovo" per valutare la possibilità di un suo ritorno nella Diocesi. Il Capitolo espresse al Prefetto della Congregazione del Concilio, tramite l’Arcidiacono Nicola Jannarone, l’inopportunità del ritorno del Vescovo sottolineandone il passato irregolare e dichiarò la ferma decisione di non voler "comunicare in divinis col Vescovo, creduto scomunicato Scismatico" e che "il Clero è disposto a non prestargli ubbidienza ed il popolo é pronto a prorompere in fatti atroci per discacciarlo" (67). Ma il "caso" non potette essere esaminato perché il discusso Vescovo di Ariano morì otto giorni prima, il 6 settembre 1862, a Napoli per un "favo maligno" al collo (oggi si chiama foruncolosi multipla di origine stafilococcica) e anche gli ultimi momenti della sua vita furono tormentati dai tentativi di indurlo al pentimento compiuti da vari ecclesiastici e dal parroco di S.Anna di Palazzo che si rifiutò di somministrargli l’estrema unzione. "Civiltà Cattolica" scrisse: "La giustizia di Dio, che nel Cavour colpì di morte inaspettata il Capo, e nel Garibaldi uno dei bracci più poderosi del pazzissimo e debolissimo regno d’Italia, ne colpì ora nel Caputi la povera coscienza" (68).

NOTE

(58) CCN - Lettera del provicario Orazio De Florio a Caputo Ariano 6 giugno 1861 - in B.Pellegrino op. cit. p.53. Dopo la morte del Caputo nessuna chiesa di Ariano consentì la celebrazione della festa nazionale. Il capitolo rimase per anni antiliberale. Nel 1866 il sacerdote Maurantonio, nominato parroco di S.Francesco, al sottoprefetto che gli comunicava l’esiguità della rendita, rispose che egli accettava non per interesse ma per aprire la chiesa "e per potervi solennizzare la festa nazionale cui si sono sempre chiuse le porte del Duomo e delle altre chiese qui esistenti". ASA- Pref.Aff.Com. Inv.2, vol.73, fas.91.

(59) "L’Armonia" a.XIV n.110 8 maggio 1861 - in B.Pellegrino op.cit. p.67.

(60) Arch. Caputo-Nardò, Lettera del can.De Florio a Caputo, 5.11.1860.

(61) Arch. Caputo Nardò - Lettera del sottogovernatore di Ariano al Sig.D.Ottavio Carluccio - 16 novembre 1860 - risposta annotata a lato.

(62) Arch. Caputo-Nardò, Lettera del can.Del Conte a Caputo, 9.12.1861.

(63) CCN - Memoria pel direttore al Dicastero della Giustizia - in B. Pellegrino - op. cit., p.68.

(64) ASA - Prefettura - inv.2, b.73, fas.908-Lettera di De Florio al Governatore di Avellino.

(65) Arch. Caputo Nardò - Telegramma di Mancini e del delegato di Polizia all’intendente di Ariano.

(66) Arch. Segreto Vaticano - A.S.C.C., Varia 1800, b.3.

(67) Archivio Segreto Vaticano- Atti Cong.Conc. Varia 1800, b.3 - 18.1.1862.

(68) "Civiltà Cattolica" a. III , vol.III, s. V p. 758 - in B. Pellegrino op. cit. p. 77. Cavour morì il 6.6.I861. Per ciò che riguarda Ariano il Comune dispose i funerali per il giorno 25 spendendo 13,96 ducati: tre per il falegname che costruì il catafalco, quattro per il guarnitore e 6,96 per i ceri. Il Consiglio approvò "pienamente e con soddisfazione tutte le spese per quell’anima benedetta dell’immortale Italiano".

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