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IL BRIGANTAGGIO NELLE

DISCUSSIONI PARLAMENTARI

(dal 20.11.1861 al 6.8.1863)

di Tommaso Pedio

da: "Brigantaggio meridionale 1806 - 1863 ", Capone Editore, Cavallino di Lecce, 1997

[…] Interessante contributo per intendere la posizione assunta dopo l'Unita dalla classe dirigente e dai governi della Destra in particolare, le Relazioni della Commissione di Inchiesta sul brigantaggio (1) non trovano riscontro nella prima pubblicistica e nella più recente storiografia sul brigantaggio postunitario cui un notevolissimo contributo hanno apportato le ricerche di Franco Molfese (2) …………. Non certo il brigantaggio è un episodio della storia dell'unificazione italiana da espellere come alcuni hanno poi sostenuto da - quella storia e da relegare nelle cronache criminali (3), nè può essere considerato strumento di cui si servirono i legittimisti borbonici per opporsi al nuovo regime (4). Esso va guardato e studiato -è stato sostenuto da Pasquale Villari - anche come conseguenza d'una questione agraria e sociale che travaglia tutte le province meridionali (5). il brigantaggio -a rilevarlo è Giustino Fortunato dopo aver letto le "Lettere meridionali"- si manifesta in una società in cui sospetti ed odii che dividono la borghesia dal popolo si acuiscono subito dopo la caduta dei Borboni: Il 1860 - fa osservare il Fortunato al Villari - fu rivoluzione politica della borghesia; il brigantaggio fu, invece, reazione sociale della plebe (6). Non fu tentativo di restaurazione borbonica e di autonomismo, bensì - tiene a precisarlo dopo aver letto il "Mazzini e Bakounine" del Rosselli - un movimento spontaneo, storicamente rinnovantesi ad ogni agitazione, ad ogni cambiamento politico... frutto di secolare abbrutimento di miseria e di ignoranza delle nostre plebi meridionali (7). Questa tesi, che è poi quella di Pasquale Turiello (8) e, con lievi varianti, anche quella di Francesco Saverio Nitti (9), pur se non accettata unanimemente nonostante l'ampia documentazione di cui si è avvalso il Molfese per ricostruire la storia del brigantaggio meridionale dopo l'Unità, trova riscontro in molte testimonianze di contemporanei (10) .……… La rivolta contadina contro i metodi ed i sistemi adottati dal nuovo regime degenera nel brigantaggio …………. A Torino non si ammette che altre possano essere le cause della rivolta contadina, né tanto meno che a provocare la degenerazione delle prime manifestazioni legittimiste in delinquenza comune sia stata la politica della Destra. Nessuno vuole che si parli di "occupazione piemontese" in Italia meridionale e la Camera dei Deputati non consente ad un suo membro di presentare il 20 novembre del 1861 e di illustrare una mozione che è un violento atto di accusa contro la politica del Governo cui si attribuisce la responsabilità di aver provocato nelle province napoletane una situazione che non riesce più a controllare. Gli uomini di Stato del Piemonte e i partigiani loro - afferma nella sua mozione il duca di Maddaloni Francesco Proto Carafa deputato di Casoria - hanno corrotto nel Regno di Napoli quanto vi rimaneva di morale. Hanno spoglio il popolo delle sue leggi, del suo pane, del suo onore... e lasciato cadere in discredito la giustizia... Hanno dato l'unità al paese, è vero, ma lo hanno reso servo, misero, cortigiano, vile. Contro questo stato di cose il paese ha reagito. Ma terribile ed inumana è stata la reazione di chi voleva far credere di avervi portato la libertà... Pensavano di poter vincere con il terrorismo l'insurrezione, ma con il terrorismo si crebbe l'insurrezione e la guerra civile spinge ad incrudelire e ad abbandonarsi a saccheggi e ad opere di vendetta. Si promise il perdono ai ribelli, agli sbandati, ai renitenti. Chi si presentò fu fucilato senza processo. I più feroci briganti - conclude il deputato di Casoria - non furono certo da meno di Pinelli e di Cialdini. Le accuse mosse dal duca di Maddaloni irritano il governo: a Torino non si può ammettere che un deputato meridionale faccia proprie le accuse che i leggittimisti borbonici muovono agli uomini del nuovo regime. Il deputato di Casoria è invitato a ritirare la sua mozione e, al suo diniego, la Presidenza della Camera non ne autorizza la pubblicazione negli Atti Parlamentari e ne vieta la discussione in aula perché espressione della pia bieca reazione (11). La mozione che avrebbe voluto presentare e discutere il deputato di Casoria denunzia una situazione che non può essere sottovalutata. E' veramente l'insurrezione in atto nel Mezzogiorno manifestazione spontanea di chi non accetta il nuovo regime, o non è forse naturale reazione ad un metodo di governo che, con i suoi sistemi, ha irritato intere popolazioni? Non con le armi si restaura l'ordine e si restituisce la tranquillità ad un paese, ma colpendo chi con il sopruso, la corruzione e il malgoverno opprime e viola i sacrosanti diritti di un popolo. Dateci un buon governo e nessuno vorrà tornare al passato. Siate umani e giusti nel punire i traviati! Non spingeteli con la vostra ferocia, che non conosce limiti, alla reazione e alla vendetta. Non spingeteli al brigantaggio. Non aggravate con spietati metodi di repressione una situazione di pericolo che, conseguenza soltanto del vostro malgoverno, non siete in grado di affrontare. Molti deputati meridionali che siedono all'opposizione sentono che qualcosa di vero è nella tesi prospettata dal loro collega di Casoria e che effettivamente il brigantaggio è anche reazione ai metodi usati da un esercito regolare bene organizzato e meglio armato venuto dal nord per conquistare un paese che stava conducendo la sua rivoluzione per la libertà e l'indipendenza. Ritengono molti deputati meridionali, ed a ragione, che il brigantaggio costituisce una serio pericolo che non va sottovalutato. Ma il Governo tende a minimizzare la situazione che sconvolge le campagne del Mezzogiorno d'Italia. Il 20 novembre del 1861, dopo il rifiuto della Presidenza della Camera di rendere pubblico il testo della mozione che il duca di Maddaloni avrebbe voluto illustrare nella sua veste di deputato, Giuseppe Ricciardi (12) preannunzia una sua interpellanza sulle condizioni delle province meridionali. Ma il Governo non intende discutere su questo argomento. La stesso Presidente del Consiglio interviene ed invita la Camera a non fare discussioni inutili: il promuovere la questione delle piaghe delle provincie meridionali - ritiene il Ricasoli- sarà un perder tempo prezioso, sarà il ripetere una storia dolorosa di cose che purtroppo, sappiamo (13). Ci sono altri problemi più importanti, la Questione Romana, ad esempio, e l'armamento nazionale. Reagisce il Ricciardi e, con lui, Luigi Zuppetta (14). E a Pier Carlo Boggio (15), che condivide la posizione del Governo, rispondono Aurelio Saffi (16) e Giuseppe Ferrari (17). Sostiene quest'ultimo la necessità che la Camera affidi ad una propria Commissione una inchiesta da condurre nelle province infestate dal brigantaggio per accertarne le cause e proporre rimedi per sanare la tragica situazione provocata dalla guerra civile alimentata dalla erronea politica che nel Mezzogiorno svolgono moderati e Governo. Il Ferrari, che non nasconde il pericolo del brigantaggio e le conseguenze che esso può avere nella vita del giovane Regno d'Italia, viene interrotto da Giuseppe Massari (18): nelle campagne meridionali non si combatte una guerra civile - afferma il segretario della Camera dei Deputati- I briganti sono masnadieri, non un partito politico. L'insistenza con cui i deputati meridionali si oppongono al diniego del Governo di iscrivere all'ordine del giorno le loro interpellanze, irrita anche i deputati della Sinistra i quali, invece, vorrebbero preordinare l'ordine dei lavori per il dibattito sulla Questione Romana (19). Ma a sanare questa incresciosa situazione interviene Aurelio Saffi. Non si può impedire ai deputati - sostiene il parlamentare romagnolo intervenuto nel dibattito- di rilevare le piaghe delle provincie che rappresentano... E' giusto e necessario che gli sconci e i mali di questa parte d'Italia siano esaminati onde procacciare gli opportuni rimedi. E poiché si riferiscono agli interessi generali d'Italia e il buon essere di quelle provincie e condizione vitale al progresso della causa comune, Aurelio Saffi propone che le cose di Napoli siano discusse quando si tratterà della Questione Romana la cui soluzione dipende in gran parte da una coraggiosa politica estera, ma anche dallo sviluppo delle forze e dell'ordinamento del Paese. Dopo l'intervento del Saffi, che è riuscito a smussare i contrasti provocati dalla richiesta del Ricciardi, questa viene accolta e il 2dicembre del 1861, con le interpellanze sulla Questione Romana, si discutono anche quelle sulle condizioni delle province napoletane. E' un problema quest'ultimo che interessa relativamente il Governo e la stessa opposizione, preoccupati entrambi di affrontare e risolvere la Questione Romana. La Destra governativa teme che discutendo sulle condizioni delle province meridionali emergano le sue responsabilità politiche e morali per il malgoverno con cui queste province sono state amministrate dopo la loro annessione al Piemonte e, soprattutto, per i metodi con cui viene condotta la lotta al brigantaggio. Anche la Sinistra, preoccupata ancor più della Destra governativa di affrontare e risolvere la Questione Romana, non ha eccessivo interesse a discutere sulle condizioni delle province meridionali. Lo stesso Mazzini non ha mai dato ad esse peso eccessivo, anche se ritiene che nel Mezzogiorno siano ora le forze sulle quali può fare affidamento per realizzare il suo programma unitario. Per la Sinistra, che sui moderati fa ricadere le responsabilità delle condizioni in cui versano le province napoletane, il brigantaggio è un problema che non va affrontato autonomamente come vorrebbero alcuni deputati meridionali in seno alla stessa Sinistra: strettamente connesso alla Questione Romana, esso si estinguerà quando Roma sarà finalmente unita all'Italia. La prima, precipua, maggiore delle cause che hanno influito e influiranno tuttora sul mantenimento del brigantaggio è da ricercarsi nella presenza di Francesco II a Roma. Protetto dalla Curia Romana e dalle forze francesi nello Stato della Chiesa, l'ultimo sovrano delle Due Sicilie continua da Roma ad alimentare il brigantaggio. Una volta che la bandiera tricolore sventolasse in Campidoglio - opinione condivisa anche da ufficiali che operano nelle province meridionali- il brigantaggio non potrebbe più esistere - (20). Discutere sulle condizioni delle province meridionali quando non è stata ancora risolta la questione romana significa, anche per la Sinistra, intralciare l'attività del Parlamento innanzi al quale bisogna ora discutere la politica del Governo in merito alla Questione Romana. Per non provocare una rottura con i deputati meridionali interessati a denunziare le condizioni delle loro province, la Sinistra ha accettato di discutere la mozione e le interpellanze di questi deputati con quelle sulla Questione Romana, ma non intende che prevalgano nella discussione. Anche i deputati meridionali sono d'accordo con i loro colleghi nella riunione che la Sinistra tiene qualche giorno prima della discussione da tenersi in Parlamento: sarà consentito di intervenire sulle condizioni delle province meridionali e discutere sul brigantaggio purché si tenga presente che l'argomento principale rimane sempre la Questione Romana (21). Insiste il 2 dicembre il Ferrari perché sia affidato ad una Commissione di Inchiesta il compito di indagare sulle cause del brigantaggio e di proporre rimedi per impedire che esso dilaghi nelle province del vecchio Regno di Napoli e chiede in qual modo il Governo intenda provvedere ai bisogni urgentissimi di quelle province dove il brigantaggio imperversa nonostante la presenza di reparti armati ai quali tutto è consentito nella repressione di queste manifestazioni delinquenziali che da Roma - lo ha detto e lo ripeterà in altre occasioni- con il pieno appoggio non solo nel governo e nelle forze armate pontificie, ma quasi anche nel comando delle truppe francesi poste sotto gli ordine del generale Goyon, Francesco II organizza e alimenta trasformandole in un movimento politico di vasta portata (22). Al deputato lombardo risponde anche questa volta il Massari: il brigantaggio è un male endemico nelle province meridionali, è un malanno essenzialmente e prettamente sociale e non ha assolutamente alcuna relazione con la politica. E non bisogna esagerare sul malcontento. D'altra parte - si chiede il deputato pugliese- come si può formare una grande Nazione senza ledere molti interessi? La discussione sulle condizioni delle province meridionali assume toni violenti con l'intervento di Benedetto Musolino (23). Il brigantaggio - afferma il deputato calabrese - non va minimizzato: esso è guerra che si fa da Roma all'ombra della bandiera francese. Contrariamente alle apparenze, responsabili del brigantaggio non sono la Curia Romana, né Francesco II e gli uomini che lo hanno seguito a Roma. A volere e ad alimentare il brigantaggio è soprattutto la Francia: Napoleone III non ha rinunziato al programma di Plombières e si avvale del brigantaggio per impedire che il nostro Stato si consolidi. Responsabile di questa situazione è la debole e servile politica del Governo italiano che avrebbe il dovere di imporsi, anche con la forza, di fronte all'atteggiamento assunto dall'Imperatore francese nei nostri confronti. Violenta anche l'accusa che il giorno successivo, 3 dicembre, dopo la conclusione dell'intervento di Musolino, muove Angelo Brofferio (24) alla politica della Destra: la responsabilità di quanto si verifica in Italia meridionale ricade sui moderati e sul Governo che non intervengono nei confronti del clero ai quale non si impedisce di sostenere il brigantaggio che si diffonde nelle province anche per il malcontento provocato dalla esosa pressione fiscale in un paese in cui nessuno ha più fiducia nella Stato e nella giustizia. Non bisogna sottovalutare le condizioni in cui versano le province napoletane sostiene ancora Giuseppe Pisanelli (25): bisogna avere il coraggio di riconoscere che il Governo italiano non ha fatto nulla per vincere il profondo malcontento delle popolazioni meridionali e per debellare il brigantaggio. Gli sbandati, gli evasi dalle carceri, i fuggitivi dalle prime reazioni, i soldati disertori, i renitenti alla leva, fomentati e incoraggiati da Roma, si illudono di difendere la causa dei Borboni e lo Stato non interviene come dovrebbe per far cadere questa illusione. Grosso errore - ripete Pisanelli - è stato lo scioglimento dell'esercito meridionale. Occorre ora inviare nuove forze in Italia meridionale e, soprattutto, intervenire perché Francesco II si allontani da Roma in modo da togliere ogni illusione a chi ritiene ancora possibile la restaurazione dei Borboni a Napoli e privare i briganti degli aiuti che da Roma vengono loro forniti da Francesco II e dagli uomini che lo hanno seguito nell'esilio. Occorre ancora riorganizzare in Italia meridionale la pubblica amministrazione e le forze preposte al mantenimento dell'ordine pubblico perché a favorire il dilagare del brigantaggio sono anche le condizioni generali in cui versa il paese. L'annessione - afferma Giuseppe Ricciardi nell'illustrare il 4 dicembre la sua interpellanza - non ha portato alla fusione quale era nei propositi di chi ha credute e si è battuto per l'unità e l'indipendenza del paese, bensì la piemontizzazione dell'antico Regno delle Due Sicilie ridotto ora al rango di provincia di uno Stato in cui prevalgono interessi ed egoismi che non tengono conto delle aspirazioni e degli ideali di chi ha voluto l'unità della penisola. Ma qualcuno minimizza ancora il pericolo del brigantaggio: Urbano Rattazzi, prendendo la parola sulla politica del Ricasoli e criticandone i risultati, esclude che Napoleone III abbia interesse a mantenere in Italia meridionale lo stato di agitazione degenerato nel brigantaggio, alimentato, invece, dal clero autonomista e antiunitario che dei briganti si avvale per opporsi al nuovo regime. Insiste il Rattazzi perché il Governo intensifichi la lotta armata contro il brigantaggio e Carlo Boncompagni, il deputato piemontese legato alla Destra governativa ed eletto nel Collegio di Villanova d'Asti, si oppone alla inchiesta parlamentare sollecitata dai deputati dell'opposizione. La discussione si protrae nei giorni successivi: la Questione Romana ed i rapporti con la Santa Sede non possono essere affrontati se non si tiene conto anche delle condizioni del Mezzogiorno: sono problemi questi strettamente collegati tra loro perché a Roma sono coloro che hanno voluto e alimentato il brigantaggio che trova la sua giustificazione nel malgoverno piemontese e nei metodi adottati nella lotta contro il brigantaggio. Luigi Zuppetta, che denuncia la piemontesizzazione del Mezzogiorno e Francesco Mandoj Albanese (26) ravvisano la causa della situazione creatasi nelle province meridionali nell'avere i Governi della Destra mantenuto nella pubblica amministrazione i vecchi funzionari borbonici i quali, pur avendo accettato il nuovo regime, nutrono in cuor loro la speranza di una prossima restaurazione e il disfacimento dello Stato unitario. Gli interventi del Presidente del Consiglio, del Ministro della Guerra e del Ministro dei Lavori Pubblici non rassicurano i deputati dell'opposizione. Il Ricasoli, che ha difeso l'alleanza con la Francia escludendo che la stessa sia ancora fautrice del programma convenuto con il Cavour a Plombières ed ha ribadito la fedeltà alle direttive cavouriane per la soluzione della Questione Romana, torna a minimizzare il brigantaggio, un male - che egli ritiene - non é tanto che debba spaventare. Alessandro della Rovere assicura che il Governo rafforzerà le forze impiegate in Italia meridionale ma, come il Ricasoli, non si chiede quale sia l'origine del brigantaggio e quali le cause che lo mantengono ancora efficiente. Più realistico Ubaldino Peruzzi: il giorno in cui i proprietari sapranno migliorare le loro terre e, quindi, ritrarranno maggior profitto, saranno in grado di aumentare la mercede, ai coloni, io credo - afferma il 6 dicembre nel suo discorso alla Camera il Ministro del Lavori Pubblici- che cesserà lo spirito di ostilità che questi mostrano contro i padroni, e quindi, contro il Governo di cui li credono amici (27). Interviene il giorno successivo Agostino Bertani (28): l'avere, per tema di un sopravvento delle forze democratiche, accolto nelle file liberali elementi retrivi della vecchia classe dirigente borbonica ed esaltato i retrivi ha irritato le popolazioni meridionali delle cui aspirazioni non si è tenuto conto. L'avere imposto metodi e sistemi che violano i più elementari principi di libertà in un paese che ha accolto Garibaldi e lo ha seguito nella lotta contro il Borbone, ha provocato un profondo malcontento che può essere facilmente superato soltanto se si muta il sistema. Non condivide il deputato democratico quanto ha affermato il 4 dicembre Rattazzi e ribadito poi il Ricasoli. Il brigantaggio è legato alla Questione Romana ed ai rapporti con la Francia di Napoleone III molto più di quanto suppongono i deputati dell'opposizione: il pontefice - afferma il Bertani - protegge Francesco II, la Francia il Pontefice. I briganti trovano amici, uomini e denaro per volere del re decaduto, per assenso del papa e per il non intervento dell'imperatore di Francia. Nello Stato della Chiesa, protetti dalla Gendarmeria pontificia e dalle truppe francesi, i briganti hanno i loro centri di raccolta: possono irrompere da Roma nelle province napoletane, non possono essere seguiti dai vincitori a Roma. Necessaria, quindi, ed indispensabile una energica azione del Governo per impedire che da Roma si alimenti l'illusione di una prossima restaurazione borbonica (29). Ad irritare profondamente i deputati della Destra governativa è l'accusa mossa dal Bertani ai moderati napoletani di avere operato asserviti agli interessi piemontesi e di avere accettato nel movimento liberale gli elementi più retrivi della classe dirigente borbonica. Per fatto personale interviene nella discussione Silvio Spaventa (30): l'8 dicembre il patriota e uomo politico meridionale difende l'operato dei moderati napoletani nella loro azione contro la politica ed i sistemi instaurati a Napoli dai democratici e dai mazziniani e rigetta l'accusa di essersi i moderati serviti dei vecchi borbonici per imporre, contro la politica democratica, il proprio programma: il governo - afferma Spaventa- deve pur badare a non alienarsi la maggioranza del paese rimasta estranea al movimento liberale. Aspre le accuse mosse dallo Spaventa alla sinistra democratica al cui atteggiamento attribuisce la responsabilità della situazione venutasi a creare in Italia meridionale. Il brigantaggio - afferma lo Spaventa - era nato dalle bande che,... formate di galeotti scappati o lasciati scappare,... si erano radunate a scopo di reazione. Ogni loro tentativo per impedire la caduta dei Borboni era stato sventato dagli uomini del nuovo regime. Ma la situazione si è aggravata sino a raggiungere lo stato attuale non certo per la politica dei moderati, ma per la presenza, invece, dei democratici. Rivoluzionari senza alcuna preparazione ed esperienza politica, in un momento di particolare gravità per la vita del paese in cui era necessario mantenere unite tutte le forze per la conquista della libertà e della indipendenza, essi hanno, invece, provocato la scissione nel movimento liberale avvalorando in tal modo nei retrivi la erronea convinzione della impotenza del nuovo regime ad opporsi al ritorno del vecchio sovrano; poiché l'elemento rivoluzionario non è rientrato nel suo letto, le popolazioni - ribadisce lo Spaventa, alle accuse mosse ai moderati napoletani e agli uomini del Comitato dell'Ordine - sono state mantenute in uno stato di eccitabilità, d'irritazione, d'incertezza, a tutti gl'istigamenti dei partiti ostili al Governo Italiano. All'insinuazione di un accordo tra le forze più retrive della reazione meridionale e quelle democratiche e rivoluzionarie per ostacolare le realizzazioni del programma della Destra liberale reagiscono violentemente i deputati della Sinistra (31) in nome dei quali risponde Aurelio Saffi definendo calunniose le insinuazioni del vecchio patriota napoletano. Nessuno, però, tra le diverse tesi ravvisa nel diniego di risolvere la questione demaniale la causa che ha spinto i contadini meridionali alla rivolta e nessuno riesce a capire i motivi che hanno creato ed alimentato l'odio che spinge i contadini contro i galantuomini in un paese in cui profonde rimangono ancora le differenziazioni tra le varie classi sociali. La discussione, che dopo l'intervento dello Spaventa, sembrava degenerare, rientra nei suoi limiti: Pasquale Stanislao Mancini (32), dopo aver sollecitato il Governo ad intervenire presso Napoleone III perché Roma sia finalmente restituita all'Italia e ad uniformarsi ai dettati cavouriani nei rapporti tra Stato e Chiesa, si sofferma sulle condizioni del Mezzogiorno d'Italia. Lamenta il parlamentare meridionale i contrasti tra le diverse correnti liberali e nella lotta tra moderati e democratici ravvisa un fattore negativo che ostacola e ritarda la realizzazione del programma unitario. Quanto alla situazione che si è creata in Italia meridionale la responsabilità è un po' di tutti: riconosce il Mancini che con l'unificazione sono stati lesi molti interessi, anche oltre i limiti del necessario e prima che si creassero novelli interessi in luogo di quelli che erano condannati a distruggere e perire. Ma, fiducioso nell'opera del Governo in grado di domare il brigantaggio, si oppone, come tutti i deputati della Destra e della Consorteria, alla richiesta parlamentare sollecitata dalla Sinistra. All'ottimistico intervento di Carlo de Cesare (33) che ha difeso la politica della Destra, risponde Luigi Miceli (34). La principale cagione dei nostri mali -sostiene questo deputato - è nella politica del Governo che, con i suoi metodi ed i suoi sistemi non solo ha provocato un profondo malcontento alimentato da nuovi errori e da nuove offese al popolo meridionale, ma ha contribuito a rafforzare il brigantaggio che, per la incomprensione che caratterizza la sua azione politica, non riesce ancora a reprimere. All'intervento del Miceli, che ha denunciato episodi di inaudita ferocia di cui si sono resi responsabili i comandi militari operanti in Italia meridionale contro il brigantaggio, e alla richiesta di Filippo Mellana (35) se vero che il La Marmora abbia comunicato allarmanti notizie sulla ripresa del brigantaggio, risponde ancora il Presidente del Consiglio per rassicurare la Camera sulla infondatezza delle notizie allarmanti raccolte da alcuni deputati. Si insiste dalla Sinistra perché sia accolta la richiesta di una inchiesta parlamentare per conoscere lo stato effettivo delle provincie meridionali. Ma l'attenzione della Camera è rivolta principalmente alla Questione Romana e ai rapporti tra Stato e Chiesa. L'inchiesta sollecitata sulle condizioni del Mezzogiorno d'Italia interessa relativamente questo dibattito che, iniziato il 2 dicembre, si è protratto sino al 10: nell'ordine del giorno con cui si conclude questo dibattito - che noi abbiamo rapidamente seguito soltanto per quanto attiene alla inchiesta parlamentare sulle condizioni delle province meridionali- è soltanto un vago e generico impegno del governo di adottare provvedimenti efficaci e procurare il benessere delle provincie meridionali, ma nessun accenno a promuovere l'inchiesta sollecitata dal Ricciardi e dal Ferrari. Il Governo teme questa inchiesta e i deputati della Destra governativa la vogliono evitare quasi che ignorando il problema, non emergano le responsabilità di chi detiene il potere. Si teme l'inchiesta anche perché questa, se non guidata e controllata dalla Destra governativa, potrebbe porre in discussione la questione demaniale e, soprattutto, le usurpazioni che, verificatesi nelle campagne meridionali nella prima metà del secolo, il Governo ha mostrato di non voler affrontare per non irritare ed inimicarsi gli usurpatori che, nelle province meridionali, costituiscono la classe dirigente che oggi sostiene il nuovo regime Che molti temano questa inchiesta è emerso chiaramente nel dibattito parlamentare in cui si sono delineate le posizioni delle diverse correnti politiche di fronte al problema del brigantaggio. La diversa interpretazione sulle cause che lo hanno prodotto mostra che chi ne discute, sia un conservatore o un progressista, guarda unilateralmente al problema e non si preoccupa di chiedersi quale sia in proposito l'opinione dei ceti subalterni. Dopo l'avvento del Rattazzi è ancora il Ferrari a risollevare, il 26 marzo del 1862, il problema di una inchiesta sulle condizioni del Mezzogiorno d'Italia ed ancora il 29 marzo il Ricciardi e Francesco Lovito (36) tentano, ma invano, di impegnare il Governo in un dibattito sulla situazione meridionale. Respinta questa loro richiesta, i due deputati meridionali promuovono la costituzione di una commissione parlamentare allo scopo di impegnare il Governo ad adottare una politica meridionalista atta ad infrangere quel disastroso immobilismo che, per dirla con il Molfese, sotto alcuni aspetti sconfina nel nullismo e che, riducendosi alla sanguinosa repressione militare, rende sempre più grave la crisi del Mezzogiorno. Costituita dal Lazzaro (37), dal Lovito, da Giuseppe Montanelli (38), da Filippo de Boni (39), e dal Miceli, questa Commissione redige in nome della Sinistra un Memorandum per sollecitare il Governo ad interessarsi ai problemi del Mezzogiorno. Anche questa volta non si riesce ad individuare le origini e le cause della rivolta contadina che è degenerata nel brigantaggio. Questo movimento, che va represso con la massima energia affidandone il compito - come da tempo sostiene il Partito d'Azione - a Giuseppe Garibaldi, l'unico in grado di risvegliare antichi entusiasmi nelle popolazioni meridionali, è conseguenza della politica e dei sistemi attuati a Napoli dal nuovo regime. La discriminazione antidemocratica e la politica di conciliazione con gli uomini del vecchio regime hanno provocato in Italia meridionale un profondo malcontento che ha reso possibile la ripresa delle forze clerico-borboniche e il dilagare del brigantaggio, entrambi ispirati e sorretti da Roma con la complicità di Napoleone III. Per superare la crisi che ha colpito il vecchio Regno di Napoli, i compilatori del Memorandum (40), sottoscritto da numerosi deputati dell'opposizione e presentato a Rattazzi nel giugno, sollecitano una nuova politica che cancelli ogni traccia di piemontesismo nell'azione svolta dal Governo nel Mezzogiorno d'Italia. Per restituire fiducia nelle popolazioni meridionali va riformata la magistratura, riorganizzata la pubblica amministrazione, rivisto l'organico della Guardia Nazionale, esaminata la posizione di coloro che hanno fatto parte dell'Esercito Meridionale per impiegarli eventualmente nella lotta contro il brigantaggio. Va intrapresa, inoltre, una saggia politica di lavori pubblici. Per sottrarre i giovani all'influenza oscurantista del clero, si chiede la istituzione di nuove scuole e per risollevare le sorti dell'agricoltura si sollecita l'incameramento dei beni degli enti e delle corporazioni religiose da vendere o assegnare in enfiteusi per consentire la formazione di una classe di piccoli e medi proprietari. Si sollecita anche la sistemazione dei beni demaniali in possesso dei Comuni, ma si ignorano le usurpazioni demaniali, la spaventosa miseria che tormenta contadini e ceti subalterni e gli arbitri e le prepotenze che caratterizzano i rapporti economici tra le varie classi sociali e che alimentano l'odio dei paria contro i galantuomini. Anche il Memorandum democratico viene sostanzialmente ignorato dal Governo, la cui attenzione è ora rivolta all'attività dei Comitati di Provvedimento e ai movimenti garibaldini che si concludono ad Aspromonte. I deputati meridionali che siedono a sinistra non rinunziano, però, al tentativo di indurre il Governo Rattazzi ad un dibattito sul Mezzogiorno: il 17 luglio Giuseppe Lazzaro insiste ancora una volta per discutere una sua interpellanza sulle condizioni in cui versano le province del vecchio Regno di Napoli e il Ricciardi torna a sollecitare la costituzione di una Commissione parlamentare per proporre provvedimenti da adottare per la repressione del brigantaggio. Il Rattazzi, che qualche giorno prima ha minimizzato in Senato la situazione in cui versano le province meridionali, si oppone alla richiesta del Ricciardi ritenendo controproducente richiamare l'attenzione del paese sul brigantaggio che, perduto ogni carattere politico, è ormai soltanto delinquenza comune. Contro la tesi del Presidente del Consiglio interviene Ruggero Bonghi: rileva il deputato di Manfredonia la superficialità con cui il Governo affronta questo problema. Il brigantaggio non è certo diminuito. Esso, al contrario, è in ripresa specie in Capitanata. Ventidue deputati sottoscrivono la richiesta che il Ricciardi ripresenta il 21 luglio alla Camera. Anche questa volta il Governo si oppone alla costituzione di questa Commissione: il Presidente del Consiglio ritiene che, se nominata, essa non potrebbe svolgere il suo mandato e riferire prima della fine della sessione. Ancora una volta la richiesta del Ricciardi viene respinta. Ma i deputati meridionali non si danno per vinti. Dopo Aspromonte, nel dibattito iniziato il 20 novembre ed interrotto l'1 dicembre dalle dimissioni del Rattazzi, non sono soltanto i deputati della Sinistra a riproporre il problema: il Governo deve finalmente discutere sulle condizioni delle province meridionali dove, nonostante la feroce repressione operata dalle truppe regolari, il brigantaggio continua ad imperversare. La situazione politica non è più quella che ha portato il Rattazzi al governo: anche i deputati della Sinistra che lo hanno sostenuto sono ora contro di lui con la Destra che gli ha sempre negato la fiducia. Circostanziato è l'intervento di Giuseppe Massari nella seduta del 21 novembre: uomo di Destra che non ha mai condiviso le critiche che dai banchi della Sinistra i deputati meridionali hanno mosso al Ricasoli e che si è opposto alla Commissione di Inchiesta sulle condizioni delle province del Mezzogiorno ripetutamente richiesta dai banchi della Sinistra, si unisce a questa nelle aspre accuse per non aver saputo controllare la situazione che la sua stessa politica ha provocato in Italia. Denunzia il Massari il malgoverno in Italia meridionale, la incapacità dell'attuale Governo e la sua impotenza nella repressione del brigantaggio e fa propria la vecchia proposta del Ricciardi: la situazione del Mezzogiorno d'Italia è ormai di tale gravità che non può essere più occultata per cui non è da respingere la proposta di una Commissione parlamentare che ne studi le cause e la natura e proponga provvedimenti adeguati per una lotta efficace contro il brigantaggio che gli errori e l'ambigua politica del Governo Rattazzi hanno rafforzato e reso più audace. A denunziare ancora la ripresa del brigantaggio meridionale e la responsabilità del Ministero è, dopo il Massari, Carlo de Cesare, un altro deputato della Destra che non risparmia critiche alla politica e ai metodi del Rattazzi. Il Presidente del Consiglio è alle strette. Egli deve difendersi soprattutto dalle accuse che gli vengono mosse dai banchi della Sinistra: egli è responsabile della incerta politica che ha portato ad Aspromonte e di una situazione provocata dallo stato di assedio disposto arbitrariamente da un Governo che ha dimostrato di non essere all'altezza della situazione. I fatti successivi lasciano presumere che il Rattazzi sia ricorso ad ogni espediente per cercare di riconquistare la maggioranza in una assemblea che gli è decisamente ostile. L'insistenza con cui i deputati meridionali si inseriscono nel dibattito contro la politica del Rattazzi e contro le misure repressive adottate con lo stato d'assedio offre, infatti, all'abile statista la possibilità di ampliare il dibattito e spostare l'attenzione del Parlamento sulle condizioni delle province meridionali. Se abilmente condotto, un ampio dibattito sul brigantaggio gli avrebbe consentito di ritorcere l'accusa che gli muovono i deputati che lo hanno sostenuto nel marzo, in modo da costringere molti di essi, che ora minacciano di togliergli la fiducia, a confermargliela. Occorre, però, insistere sul brigantaggio e condurre il dibattito in modo che la Sinistra, o almeno parte di essa, non solo, ma anche la Destra, di fronte al timore che possano emergere le loro responsabilità nella situazione che si è venuta a creare nel Mezzogiorno d'Italia dopo l'Unità, tronchino il dibattito e diano la fiducia al Governo che oggi attaccano violentemente. Occorre, inoltre, per avere alleati tutti i deputati meridionali, minacciare la revisione della questione demaniale alla quale sono interessati i rappresentanti dei collegi delle province napoletane, usurpatori, quasi tutti, di terre rivendicate dai contadini. Per indurre a miglior consiglio i deputati meridionali, il Rattazzi conta sull'intervento di Alfonso la Marmora, commissario straordinario con pieni poteri nelle province napoletane (41). Il generale si dichiara disposto a presentarsi innanzi ad una Commissione parlamentare per consentire alla stessa di esaminare e giudicare, in seduta segreta, l'operato delle sue truppe e le eventuali responsabilità del Ministero nella situazione venutasi a creare in Italia meridionale dopo la proclamazione dello stato d'assedio disposto dal Rattazzi. L'Ufficiale dello Stato Maggiore del 6° Gran Comando Militare delle Truppe Mobilizzate venuto a Torino da Napoli per comunicare al Governo la risposta del suo comandante, viene invitato a redigere una relazione che compila uniformandosi - è da presumere- alle direttive del Ministero e nella quale, fatto cenno alle cause che finora hanno impedito di poter interamente estirpare il brigantaggio, viene proposta la costituzione di una Commissione parlamentare che, in seduta segreta, possa, a conclusione di una inchiesta da svolgersi nelle province meridionali infestate dal brigantaggio, discutere queste gravi condizioni del paese e proporre i rimedi pia opportuni a migliorarle. Il Rapporto del Comando Militare che opera agli ordini del La Marmora (42) consegnato al Governo è un'arma di cui si avvale il Rattazzi perché gli darà non solo la possibilità di portare l'opposizione ad esaminare una situazione di cui non è responsabile il suo Governo, ma anche quella di accogliere una vecchia richiesta negata sempre ai deputati meridionali e, soprattutto, di affidare ad un uomo di sua fiducia il compito di porre in risalto un aspetto del brigantaggio finora sempre minimizzato da chi aveva ed ha interesse ad evitare l'intervento del potere centrale contro gli usurpatori di terre demaniali, molti dei quali rappresentano il loro paese nel Parlamento italiano sedendo sia sui banchi della Destra che su quelli della Sinistra. Nella seduta segreta in cui si discute sul "Rapporto La Marmora" i deputati meridionali non intuiscono, molto probabilmente dove il Governo voglia giungere e continuano a far causa comune con l'opposizione. Il 28 novembre, per sfuggire al dibattito parlamentare, il Rattazzi fa nominare dal Presidente della Camera la Commissione sollecitata dal La Marmora e si preoccupa che a presiederla sia lo stesso Presidente della Camera e che il relatore sia un uomo di sua fiducia che non abbia interessi in Italia meridionale e quindi estraneo all'ambiente in cui la questione demaniale è fomite di profondi contrasti. La nomina della Commissione che i deputati meridionali non sono mai riusciti ad ottenere non modifica l'atteggiamento della Camera. Di fronte alla impossibilità di riconquistare la maggioranza, nello stesso giorno il Rattazzi chiede al sovrano lo scioglimento della Camera. Non accolta questa sua richiesta e perduta ormai la maggioranza parlamentare, il 1 dicembre annunzia al Parlamento le sue dimissioni. Il nuovo Ministero, presieduto dal Farini, eredita la Commissione nominata per esaminare, attraverso il "Rapporto La Marmora", le cause che hanno portato al brigantaggio. Ben poco sappiamo dei risultati conseguiti da questa Commissione: i verbali e la relazione sono andati distrutti perché segreti e bisogna rifarsi al Molfese per seguirla nei suoi lavori e nelle sue conclusioni. Costituita prevalentemente da meridionali, di essa fanno parte quattro deputati della Destra, Donato Morelli, deputato di Rogliano Calabro, Giuseppe Giacchi, un magistrato eletto a Morcone in provincia di Benevento; due deputati molto vicini alla Sinistra, Achille Argentino e il deputato lombardo Antonio Mosca. Unico deputato della Sinistra è Paolo Emilio Imbriani. A presiederla è lo stesso presidente della Camera, Sebasfiano Tecchio. Sul punto di concludere i suoi lavori, perviene alla Commissione un Rapporto del generale Franzini che il La Marmora ha trasmesso da Napoli il 5 dicembre al Ministro della Guerra (43). Nessun cenno in questo rapporto alle cause che hanno provocato ed alimentato il brigantaggio, ma soltanto una denunzia sulla disorganizzazione che ostacola l'opera delle forze regolari impiegate in Italia meridionale. Le conclusioni cui perviene questa Commissione mostrano come siano inesatte le opinioni che sul brigantaggio hanno moderati e democratici. Non è soltanto volgare delinquenza questo flagello che sconvolge le campagne del Mezzogiorno, né legittimismo e reazione come sostengono i galantuomini che hanno aderito al nuovo regime. Responsabili della situazione venutasi a creare in Italia meridionale non sono i clerico-borbonici. Interessati a creare nel paese i presupposti per una eventuale restaurazione dell'antico regime, essi alimentano, per i loro fini, questo stato di disordine provocato dal brigantaggio di cui sono responsabili, invece, i galantuomini meridionali: moderati e democratici, negando ai contadini le terre demaniali, hanno provocato la loro reazione che ha assunto proporzioni sempre più preoccupanti per la cecità del potere centrale che continua ad ignorare i bisogni, le necessità e le aspirazioni dei contadini meridionali e non interviene per sottrarli alla miseria che li opprime. Il brigantaggio, così come si manifesta nell'Italia meridionale, è vera e propria rivolta dei ceti subalterni contro la borghesia terriera che, tenacemente conservatrice anche quando si autodefinisce liberale e democratica, ha accettato l'annessione al Piemonte sol perché convinta che il nuovo regime avrebbe lasciato immutate le strutture economico-sociali del paese ed assicurato agli arbitrari possessori il possesso delle terre demaniali usurpate. In una società caratterizzata dalla corruzione e dalla prepotenza dei galantuomini, la miseria - ritiene la Commissione - ha spinto i contadini alla rivolta e l'odio contro il ricco, il rancore per torti subiti e i sistemi di repressione portano il ribelle alla violenza e alla vendetta. Le feroci rappresaglie ordinate dal Cialdini hanno provocato una situazione insostenibile nella quale il brigante appare vittima e le forze regie gli oppressori. Si opera in un ambiente ostile in cui manifesto è il profondo contrasto sociale che divide nettamente i poveri ed i ricchi ed arma gli uni contro gli altri. La crisi politica che ha sconvolto le province del Mezzogiorno nell'estate del 1860 e che non si riesce a risolvere è soltanto la causa occasionale di una situazione aggravatasi per la cecità del potere centrale: la rivolta dei contadini è diretta anche contro il nuovo regime non perché essi si propongono la restaurazione borbonica, ma sol perché al nuovo regime hanno aderito gli usurpatori delle terre demaniali destinate ai contadini meno abbienti. Per superare questi contrasti che alimentano il brigantaggio, bisogna avere il coraggio di togliere la terra agli usurpatori e distribuirla agli aventi diritto e non più consentire che soltanto i galantuomini, padroni dei Municipi, usufruiscano dei demani comunali che vanno, invece, quotizzati e divisi. Bisogna epurare prefetture e municipi dal borbonici e dai camorristi, incamerare i beni ecclesiastici per disporre di terra da dare ai contadini, fare una saggia politica di lavori pubblici per combattere la disoccupazione e migliorare le condizioni del paese e, per sottrarre i contadini alla miseria e al brigantaggio, dar loro la terra e la possibilità di vivere in una società che condanni la corruzione e le prepotenze. Indispensabile è inoltre mutare metodi e sistemi nella repressione del brigantaggio e affidare ad una Commissione parlamentare il compito di proporre una legge speciale per prevenire, reprimere e punire (44). Queste conclusioni, che non sono certo gradite alla classe dirigente restia a riconoscere i propri torti, vengono esposte in una relazione redatta dal Mosca e consegnata il 15 dicembre alla Presidenza della Camera. Convocata in seduta segreta il giorno successivo per esaminare e discutere questa relazione, la Camera e il Governo non nascondono il proprio imbarazzo: nessuno ne condivide le conclusioni che, se accettate, avrebbero dovuto indurre Governo e Parlamento ad intervenire per togliere la terra agli usurpatori. Una soluzione del genere avrebbe indubbiamente posto i galantuomini meridionali contro il nuovo regime con gravi ripercussioni sul futuro del paese. La Camera non può, d'altra parte, proporre una soluzione del genere: i deputati meridionali, moderati o democratici, fautori o oppositori del Governo, sono essi stessi usurpatori di terre demaniali; né il Governo, con un provvedimento non gradito alla ricca borghesia meridionale, può provocare la rottura che avrebbe portato indubbiamente alla formazione di un vasto e forte movimento autonomista nel Mezzogiorno d'Italia. Senza eccessivi contrasti, allo scopo di smentire le conclusioni della relazione Mosca e trovare altrove le cause del brigantaggio, la Camera decide di nominare una Commissione parlamentare perché indaghi sulla origine e sulla natura del brigantaggio e riferisca, in seduta segreta, proponendo i provvedimenti più opportuni per liberare le province meridionali da questo flagello che va assumendo proporzioni sempre più vaste e preoccupanti. Il Governo, che ha dovuto accettare la decisione adottata dalla Camera il 16 dicembre, interviene per limitare i poteri attribuiti alla Commissione parlamentare chiamata ad indagare le cause del brigantaggio, studiare le condizioni attuali e proporre i mezzi pia acconci per battere quel flagello. L'aver voluto il Governo, attraverso il suo Ministro degli Interni, definire e circoscrivere i poteri della Commissione alla quale viene raccomandato di astenersi dal sindacare i provvedimenti e gli atti promulgai dal Governo, fa rilevare ad alcuni la inutilità di questa Commissione. Si discute sull'arbitrio del Ministero che, con le sue raccomandazioni, ha violato il senso della deliberazione del Comitato Segreto (45). Il 22 dicembre, finalmente, la Commissione è costituita. Ne fanno parte uomini di opposte correnti: Aurelio Saffi e Stefano Romeo militano nella Sinistra democratica: Camillo Argentino, il patriota irpino eletto nel collegio di Melfi e che ha fatto parte anche della prima Commissione, siede a sinistra. Vecchi democratici avvicinatisi ora alla Destra e governativi sono Giuseppe Sirtori e Nino Bixio, i due generali garibaldini passati nell'esercito regolare, e Stefano Castagnola, il rattazziano deputato di Chiavari. Moderati e governativi sono Antonio Ciccone, deputato di Nola, Donato Morelli, il ricco proprietario calabrese al quale Garibaldi aveva affidato nel 1860 il governo della provincia di Cosenza e che aveva fatto parte della prima Commissione, Giuseppe Massari, il patriota ed uomo politico meridionale fedele al Cavour e sul quale la Destra può sempre contare come uno dei più capaci ed autorevoli uomini della Consorteria. La composizione politica della Commissione è tale - rileva il Molfese - da assicurare al governo la desiderata docilità (46). Uniformandosi alle direttive che il Governo ha impartito il 17 dicembre attraverso l'intervento del ministro Peruzzi, la Commissione non esorbiterà nei suoi compiti. Non ripeterà, infatti, le conclusioni del Mosca il quale ha presentato il brigantaggio sotto un aspetto non gradito né ai moderati, né ai democratici meridionali ritenuti, per il loro cieco egoismo, responsabili della rivolta contadina. Pur non potendo ignorare che tra le cause del brigantaggio è anche lo stato di miseria dei contadini meridionali, essa le individuerà nelle stesse nelle quali le ravvisano moderati e democratici i quali, sostenuti in ciò dal Governo, non ammettono che la fame di terra abbia spinto i contadini alla rivolta e nel brigantaggio ravvisano manifestazioni di delinquenza comune orchestrate da forze contrarie al nuovo regime e all'unità della penisola. D'altra pare, prima ancora che la Commissione d'Inchiesta scenda in Italia meridionale, da Torino il segretario generale agli Interni interviene presso le prefetture del Mezzogiorno perché si insista nel ravvisare nel brigantaggio un movimento prevalentemente politico e reazionario (47). I lavori della Commissione procedono rapidamente: Aurelio Saffi, nelle sue lettere alla moglie ci consente di seguire quotidianamente questa Commissione nei suoi spostamenti durante lo svolgimento dell'inchiesta nelle province meridionali più tormentate dal brigantaggio. Nei primi di marzo la Commissione ha concluso il suo viaggio. Occorre ora coordinare il vasto materiale raccolto e redigere la relazione da presentare alla Camera. La visita nei luoghi dove imperversa il brigantaggio, i colloqui con le autorità civili e militari, con i notabili, con i maggiori esponenti liberali, con la gente comune hanno mostrato un Mezzogiorno diverso da quello che si immaginava fosse la terra del brigantaggio. I vecchi patrioti, quelli che hanno cospirato nelle Vendite carbonare e che sono stati condannati dalle Corti Marziali dopo il Nonimestre, sono ora schedati, con i borbonici e i clericali, tra le persone sospette in politica e tra le persone sospette sono schedati anche molti dei compromessi nei fatti del 1848. E sospetti in politica sono anche tutti coloro che, su posizioni democratiche o moderate, non approvano la posizione di supina acquiescenza dei liberali meridionali di fronte alla sempre più evidente piemontesizzazione del Mezzogiorno. Ma non sono soltanto i borbonici e i clericali a lamentare la perdita della indipendenza del proprio paese. Di dominazione piemontese parlano anche elementi che non hanno alcuna nostalgia per l'antico regime e che non approvano l'eccessiva benevolenza che viene mostrata nei confronti dei retrivi e dei clericali e la fiducia che Torino ripone nei vecchi impiegati borbonici mantenuti in posti di responsabilità. E molti non riescono a spiegarsi l'atteggiamento assunto dal nuovo regime nei confronti dei liberali e dei patrioti che mostrano sentimenti democratici. Nelle prefetture continuano ad imperversare i vecchi impiegati borbonici che riscuotono la più ampia fiducia dei prefetti che, inviati da Torino, non conoscono le abitudini e la mentalità delle popolazioni della provincia che devono amministrare. Dei magistrati borbonici soltanto pochi si sono dimessi nel 1860 per restare fedeli al loro sovrano o sono stati destituiti dal nuovo regime. I più sono rimasti ai loro posti ed hanno fatto carriera. Nei comuni predominano le fazioni e rilevante, specie nei piccoli centri, è l'influenza di un clero reazionario e retrogrado che non concepisce autorità superiore a quella del pontefice e che si attiene scrupolosamente alle pastorali del proprio vescovo e alle sue direttive. Molti ufficiali della Guardia Nazionale sono stati capourbani prima del 1860 e molti sindaci borbonici continuano ancora ad amministrare il proprio paese. Tutti diffidano e temono che i deputati venuti da Torino possano scoprire le condizioni reali delle province meridionali dove molti sono convinti del ritorno, più o meno prossimo, di Francesco II. Questa convinzione, che è ad un tempo speranza e timore, condiziona la vita in tutto il vecchio Regno di Napoli: tutti si preoccupano di non compromettersi troppo con il nuovo regime e di mantenere, direttamente o indirettamente, contatti con chi opera nei Comitati borbonici. I galantuomini non sono sinceri: avvicinati dai membri della Commissione venuta nelle province meridionali, manifestano tutti, anche i più compromessi con il passato regime, profondi sentimenti liberali, dicono di approvare la politica della Destra e nessuno parla con simpatia degli uomini che le autorità locali guardano con sospetto perché ritenuti democratici o, pur senza essere tali, su posizioni critiche nei confronti della Destra. Tutti, anche gli amici e i manutengoli dei briganti, sollecitano maggior rigore ed una efficace azione nella lotta contro il brigantaggio. Nessuno, però, si mostra disposto a restituire le terre usurpate e nessuno sollecita le quotizzazioni e le assegnazioni delle terre demaniali in possesso dei Comuni ai contadini poveri. Nessuno ha interesse a prospettare ai membri della Commissione d'Inchiesta quali siano effettivamente le condizioni di miseria in cui vivono i ceti subalterni e quali le aspirazioni della povera gente. Né di questo si preoccupano eccessivamente i deputati scesi in Italia meridionale per indagare sulle condizioni di queste province. Anche essi, democratici o moderati, sono galantuomini e vedono la situazione con la loro visuale che non può essere certo quella dei ceti subalterni che subiscono angherie e soprusi e che non trovano nessuno che comprenda la loro miseria, le loro aspirazioni e la loro rivolta. In nessun conto si tengono quelle dichiarazioni che potrebbero avvalorare le conclusioni del Mosca. Mentre ascoltano attentamente chi sostiene che nei contadini meridionali è diffusione naturale a far da banditi (48), non ascoltano, invece, i membri della Commissione d'Inchiesta chi ravvisa la causa del brigantaggio nel fatto che la proprietà è mal divisa (49). Non interessa a chi indaga sulle cause del brigantaggio la sproporzione tra salari e prezzi dei generi di prima necessità (50). E non tengono conto i membri della Commissione d'Inchiesta dei rilievi di un ricco proprietario pugliese che tra le cause del brigantaggio ravvisa la mancata assegnazione delle terre che i rivoluzionari avevano promesso nel 1860 ai contadini (51). Mostrano, invece, di condividere le preoccupazioni di chi teme che la reintegra e la divisione dei demani da assegnarsi ai contadini poveri avrebbero suscitato un vespaio tra quelli che dovevano a quelli che pretendevano avere (52). Si preoccupavano i membri della Commissione di avvicinare tutti per meglio indagare, scoprire, conoscere, ma non sollecitano incontri con le vedove e le madri dei briganti e non si recano nelle carceri per ascoltare i briganti sfuggiti alla fucilazione. Ascoltano soltanto una voce, quella dei galantuomini, ma non di tutti i galantuomini. Nino Bixio, l'eroe di Bronte, inveisce contro un vecchio patriota condannato a morte dai Borboni sol perché costui ritiene che il brigantaggio perdura per calcolo del governo il quale tenta in cosi fatto modo distrarre il popolo da ogni altra idea politica e nazionale (53) e Sirtori, qualche giorno dopo a Salerno, si rifiuta di ascoltare una delegazione di operai che avrebbero voluto prospettargli la vera situazione del paese (54). Aurelio Saffi ha capito perché in alcune province il brigantaggio è più tenace ed infesto e incontra meno efficace resistenza nelle popolazioni, ed ha intuito - non vuole riconoscerlo - che esso è una fase della lotta di protesta e di liti contro gli usurpatori delle terre demaniali sulle quali i contadini avevano diritti antichissimi. Ma non vuole convincersi di questo e distingue l'azione dei contadini per la reintegra delle terre usurpate da quella di chi, attraverso il brigantaggio, mira unicamente ad una generale rapina degli averi di tutti senza distinzione tra grandi e piccoli, fra liberali e retrivi. Anche se delle prime sollevazioni furono macchinatori una parte del clero e i partigiani della caduta dinastia... e si vedevano fra gli insorti.. frati fanatici e feroci, monsignori, ufficiali dell'esercito borbonico, avventurieri d'oltralpe ed altri di simil fatta e nelle prime manifestazioni antiliberali gl'interessi di coloro che traevano profitto dagli abusi del cessato Governo si mescolavano colle passioni selvagge di turbe superstiziose ed avide di saccheggio, sospinte dai preti e dalla propria cupidigia e il tutto si mascherava come lotta in difesa della fede e del deposto sovrano, esclude il Saffi che vi siano forze politiche che vogliano convertire il brigantaggio in una guerra sociale (55). L'8 dicembre del 1862, nel difendere l'operato dei moderati napoletani accusati di essersi posti incondizionatamente al servizio degli interessi piemontesi trascurando quelli italiani, Silvio Spaventa ha affermato che in Italia meridionale i democratici più intransigenti, i mazziniani, e i rivoluzionari si sarebbero alleati con i reazionari borbonici e con i clericali contro chi lottava per realizzare e mantenere l'unità della penisola. Ora che è ritornato a Napoli ed ha la possibilità di indagare e scoprire la verità, Aurelio Saffi vuol raccogliere elementi per confutare tale insinuazione. Non incontra, però, repubblicani nella terra del brigantaggio. Gincinto Albini, il patriota che passerà alla storia come il Mazzini lucano, gli fornisce la prova più eloquente della infondatezza della insinuazione dello Spaventa: Non c'è partito repubblicano in Basilicata. Siamo tutti unitari. L'idea dell'Unità è predominante e fortissima ed è congiunta a quella della Monarchia (56). Nessuna responsabilità, quindi, dei democratici e dei mazziniani per la situazione venutasi a creare in Italia meridionale. Essa ricade, invece, su chi ha considerato nemici ed oppositori del nuovo regime gli elementi più attivi del patriottismo italiano esautorandoli di ogni autorità e di ogni potere che ha, al contrario, riconosciuto gli elementi della vecchia classe dirigente borbonica per attirarli e servirsene per la propria politica. Nulla ha fatto il nuovo regime nel Mezzogiorno d'Italia: ha lasciato immutate le vecchie strutture amministrative togliendo, però ogni iniziativa agli organi locali ed accentrando tutti i poteri a Torino. Il nuovo Governo - risponde uno dei tanti intervistati - a' tradito le speranze del popolo, si è tanto gravato su di esso da far desiderare il ritorno di quello abbattuto, come meno pesante, meno dispotico per coloro che guardano l'oggi non il domani, per coloro che vivono d'interessi materiali, per coloro che secondano la rivoluzione in oggetto di migliorare benessere economico, ossia pe' 99 centesimi del popolo (57). Evidente la responsabilità di chi ha governato l'Italia dopo l'Unità. Ma carità di patria e ragioni politiche consigliano i membri della Commissione ad andare molto cauti nei loro giudizi. Bisogna evitare che la relazione conclusiva, quella che dovrà essere presentata alla Camera, sia soltanto una accusa alla politica della Destra. Occorre non irritare Napoleone III ed evitare di porre in evidenza episodi che avvalorano la tesi di chi sostiene che l'imperatore francese non abbia mai rinunziato al progetto concordato nel 1858 con il Cavour. La relazione conclusiva deve minimizzare la responsabilità dei moderati ed avvalorare la tesi sulle cause che hanno provocato ed alimentato il brigantaggio. Bisogna soprattutto non irritare i galantuomini meridionali ed ignorare le loro responsabilità rilevate, invece, dal Mosca. Accettare si lo stato di miseria in cui vivono i contadini, ma non ravvisare nelle usurpazioni e nelle ritardate quotizzazioni dei demani comunali le cause che hanno provocato la rivolta nelle campagne. Bisogna, invece, sostenere, come ha sempre sostenuto la Destra, che il brigantaggio, male endemico del Mezzogiorno, è manovrato da una minoranza legittimista che, sorretta da Roma, ma non da Napoleone III, si avvale di uomini adusi ad ogni delitto per mantenere in Italia meridionale un confuso stato di agitazione che consenta di preparare il ritorno dei Borboni sul trono di Napoli. Per carità di patria è opportuno inoltre ignorare episodi che potrebbero far ravvisare una naturale e legittima reazione in uomini che sono oggetto di una feroce, inumana reazione che non conosce alcun limite. La relazione conclusiva -e in questo sembra siano stati tutti d'accordo- deve essere quindi affidata ad un uomo accorto, prudente, molto vicino al Governo e che sappia non irritare chi detiene il potere. Tra i membri della Commissione l'uomo più idoneo sembra essere Giuseppe Massari. Saprà il relatore presentare le cose in maniera tale da non irritare né i moderati, né i democratici, né il Governo, nè l'opposizione? Questa relazione, nella quale il brigantaggio sarebbe stato visto non già con occhio e spirito di parte, ma da storico e da sociologo, in cerca della verità e dei rimedi per combattere e debellare il male (58) e che alcuni hanno ritenuto un atto di vero coraggio e un omaggio alla verità al di sopra dei partiti e delle prevenzioni faziose (59), è, in realtà, il risultato di un compromesso tra la Commissione di Inchiesta e il Governo. Costretto ad accettare un'inchiesta sulle condizioni delle province meridionali, il ministro Farini, ancor prima che la Commissione inizi i suoi lavori, interviene presso le prefetture del Mezzogiorno perché si provveda alla schedatura di tutti. I sospetti in politica e all'epurazione del personale di polizia e si accerti la lealtà di chi è preposto alle amministrazioni locali e ai comandi delle Guardie Nazionali e si sciolgano tutte quelle sospettate di connivenza con il brigantaggio. Inoltre, per sminuire la funzione della Commissione d'Inchiesta e per dimostrare che il Governo è in grado di fare anche senza i consigli ed i lumi di questa Commissione, viene affidato a Silvio Spaventa, segretario generale al ministro dell'Interno, l'incarico di elaborare un dettagliato piano per la repressione del brigantaggio. Lo Spaventa, che conosce gli atti della Commissione che, in seduta segreta, ha esaminato il "Rapporto La Marmora", nell'elaborare il suo "Piano" si dissocia dalle conclusioni della relazione Mosca che ha provocato la Commissione d'Inchiesta inviata in Italia meridionale per riferire sulle condizioni di queste province. Difende il patriota napoletano la condotta dei moderati, la politica della Destra e, soprattutto, l'opera da lui svolta a Napoli durante la Luogotenenza Carignano. Nel riprendere e ribadire la tesi dei moderati e dei Governi della Destra e la loro opinione sul carattere e sulle cause del brigantaggio, in questo suo "Piano" (60) lo Spaventa propone, tra l'altro, la competenza dei Tribunali Militari per i rei di brigantaggio e non più, come normalmente si continua a praticare dai reparti impegnati nella repressione, la fucilazione immediata e senza regolare processo del brigante catturato con le armi in mano. Al rientro da Napoli e prima di stendere la sua relazione, il Massari - è da presumere - ne concorda con lo Spaventa il testo da sottoporre all'approvazione della Commissione d'Inchiesta: Massari condivide il giudizio che lo Spaventa ha espresso alla Camera l'8 dicembre del 1861 ed è convinto che ad aggravare la situazione nelle province meridionali sia anche la stampa democratica (61). Ma alcuni membri della Commissione si oppongono a che questo giudizio, non comprovato dai fatti, sia espresso nella relazione da presentare in Parlamento ed insistono - è anche presumibile - perché siano poste in rilievo, invece, le responsabilità dei moderati, la succube politica dei Governi della Destra nei confronti della Francia la quale, con la sua presenza a Roma, alimenta il brigantaggio e sia condannato l'inumano comportamento dei militari nelle province meridionali. Ma si arriva ad un compromesso: la relazione non si discosterà dalla tesi che hanno sempre sostenuto gli uomini del vecchio Comitato dell'Ordine e della Destra governativa, nessun cenno alle calunniose insinuazioni dello Spaventa purché siano sminuite le responsabilità della Francia di Napoleone III, ridimensionati gli errori commessi nelle province meridionali dai moderati e dai Governi della destra e difeso l'operato delle truppe regolari impiegate nella repressione del brigantaggio. Superati questi primi contrasti, moderati e democratici sono concordi su un altro punto della relazione: cercare nel migliore dei modi, e senza dare adito ad accuse di faziosità, di giungere a conclusioni diverse da quelle cui è pervenuto il Mosca. Non potendosi queste ignorare, bisogna ridimensionarle in modo da escludere che responsabili della situazione venutasi a creare nelle province meridionali dopo l'annessione al Piemonte siano i galantuomini che hanno spinto i contadini alla rivolta. Pur riconoscendo lo stato di profonda miseria in cui vivono i braccianti e i contadini, bisogna fame risalire le cause non - come ha sostenuto il Mosca - all'egoismo e alle prepotenze dei galantuomini, ma al malgoverno borbonico e alla ignoranza, al fanatismo e alla superstizione religiosa che predominano nelle campagne meridionali. Non è possibile non accennare alle controversie per le usurpazioni de' beni demaniali (62), né alla circostanza che la proprietà è raccolta in pochissime mani (63), ma bisogna evitare di riconoscere come ha fatto, invece, il Mosca irritando sia la Destra che la Sinistra meridionale, che il brigantaggio sia principalmente conseguenza dell'atroce antagonismo che pone i vari ceti sociali gli uni contro gli altri; da una parte i proletari che reclamano le terre loro usurpate dalla prepotenza degli usurpatori, dall'altra i galantuomini che a queste terre non intendono rinunciare (64). Si può riconoscere, ma non insistere, sul fatto che il contadino sa che le sue fatiche non gli fruttano benessere prosperità, né suo sarà il prodotto della terra innaffiata dai suoi sudori e che, in una situazione del genere l'istinto della vendetta sorge spontaneo nell'animo suo e che, approfittando del trapasso tra il vecchio e il nuovo regime, si fa brigante, e agli onesti e mal compensati sudori del lavoro preferisce i disagi fruttiferi della vita di brigante. Si ammetta pure che il brigantaggio sia la protesta selvaggia e brutale della miseria contro antiche secolari ingiustizie, ma bisogna insistere nel sostenere che la sola miseria non sortirebbe effetti cotanto perniciosi se non fosse congiunta ad altri mali che la infausta signoria dei Borboni creò ed ha lasciato nelle provincie napoletane (65) dove, e su questo bisogna insistere, il brigantaggio è un male endemico di cui si è sempre avvalso il Borbone per riconquistare il trono (66). Si riconosca pure che l'emancipazione della terra dai vincoli che la gravano è sorgente di benefici alla proprietà e all'agricoltura e produce in pari tempo il salutare effetto di trasformare le condizioni del contadino e di distruggere quel proletariato selvaggio che sotto l'impulso della fame o della miseria non obbedisce ad altra voce se non a quella dell'avidità e fornisce sì ampio contingente al brigantaggio. Si riconosca la necessitò di assestare il più celermente che sia possibile la questione dei terreni demaniali che in tante località pendono da moltissimi anni e mantengono vive le controversie e le gare nei piccoli comuni (67). Si ammetta pure che là dove i rapporti tra lavoratori e datori di lavoro, tra contadini e galantuomini sono meno disumani, il brigantaggio è quasi inesistente e non esiste affatto (68) e si solleciti il Governo ad intervenire per migliorare le condizioni generali delle province in cui imperversa il brigantaggio, con una serie di provvedimenti quali la diffusione della istruzione pubblica, l'affrancazione delle terre, la equa composizione delle questioni demaniali, la costruzione di strade, le bonifiche delle terre paludose, l'attivazione dei lavori pubblici, il miglioramento dei boschi, tutti quei provvedimenti insomma che, dando impulso vigoroso ai miglioramenti sociali, trasformino le condizioni economiche e valgano ad innalzare le plebi a dignità di popolo (69). Ma si insista, allo scopo evidente di escludere le responsabilità dei galantuomini meridionali denunziante dal Mosca, nel presentare il brigantaggio come volgare delinquenza comune fomentata ed orchestrata dai fautori dei Borboni reazionari e retrivi i quali da Francesco II ricevono ordini e disposizioni e dalla Curia Romana uomini e danaro al fine di restaurare a Napoli l'antico regime. La relazione da presentare al Parlamento è finalmente stesa nel suo testo definitivo. Essa risponde alle aspettative del Governo e non irrita né moderati, né democratici. Non sono state rilevate le responsabilità che il Mosca ha ravvisato nel cieco egoismo dei galantuomini meridionali tenacemente legati tra loro, anche se su contrastanti posizioni politiche, in difesa di comuni interessi contro le aspirazioni di chi ha sempre subito e subisce ancora le loro angherie e le loro prepotenze. Sono state sostanzialmente accettate le tesi che sui banchi della Destra e su quelli della Sinistra sono state prospettate sulle condizioni delle province meridionali e sul brigantaggio e rispecchiate anche quelle del Governo. Nonostante siano stati abilmente superati tutti i contrasti emersi nei dibattiti parlamentari, il Governo teme ugualmente che la Relazione possa suscitare polemiche ed avere ripercussioni negative nei rapporti con la Francia di Napoleone III. Ne consente tuttavia la discussione in seduta segreta, ma non ne dispone la pubblicazione. Il 1 giugno del 1863, quando Massari presenta la sua proposta di legge per la repressione del brigantaggio secondo il progetto della Commissione d'inchiesta parlamentare, dall'opposizione si chiede, prima di approvare o meno la proposta Massari, di conoscere gli atti raccolti dalla Commissione durante i suoi lavori in Italia meridionale. Dal dibattito parlamentare emergono gli interrogativi mossi dal banchi della Sinistra. Perché mai -si chiede l'opposizione- nel suo progetto di legge la Commissione insiste perché nessuno sia fucilato senza essere sottoposto a regolare processo? Allora è vero che i militari adottano metodi e sistemi che provocano rappresaglie e vendette e rafforzano il brigantaggio? Ancora è viva l'impressione che hanno suscitato nei deputati italiani le parola di Nino Bixio quando, discutendosi il bilancio di Grazia e Giustizia, il 28 aprile del 1863 è intervenuto per condividere il giudizio del Miceli sui metodi seguiti dall'esercito regolare nella repressione del brigantaggio. Si è inaugurato nel Mezzogiorno d'italia un sistema di sangue. E il Governo - ha detto alla Camera l'ex generale garibaldino membro della Commissione d'inchiesta sul brigantaggio - cominciando da Ricasoli e venendo sino all'attuale Ministero, ha sempre lasciato esercitare questo sistema. Perché nel progetto di legge per la repressione del brigantaggio, affidando i rei alla competenza dei Tribunali Militari, si vuol mantenere in atto lo stato di assedio nelle province meridionali? Perché si vuol reprimere il brigantaggio con la violenza e nel sangue anziché evitare con una saggia politica che permangano le cause che hanno portato ad una situazione di pericolo denunciata sempre dall'opposizione e mai riconosciuta nella sua reale entità dal Governo e dai moderati governativi? Possibile che non si voglia ancora capire che le leggi eccezionali provocano soltanto nuove reazioni ed ottengono sempre risultati negativi? Cosa dimostrano questi atti che si vogliono tenere segreti? si chiede Giovanni Nicotera nell'insistere nella seduta del 10 giugno perché la documentazione raccolta dalla Commissione d'inchiesta sia resa pubblica. Si teme forse che da essi risulti inequivocabilmente la complicità dei passati Governi o forse quella della Francia di Napoleone III? in difesa della tesi governativa interviene l'Argentino, che ha fatto parte della prima e della seconda Commissione, per ricordare che la Camera ha assunto l'impegno di mantenere segreti quegli atti. Risponde ancora il Nicotera e, nella seduta dell'11 giugno, la Camera autorizza la Commissione a rendere pubblica la Relazione che, con quella del Castagnola, è stata letta alla Camera riunita in seduta segreta il 3 e 4 maggio del 1863, nonché quella parte della documentazione raccolta che la Commissione stessa riterrà pubblicabile. Bisognerà attendere il 19 agosto perché il testo della Relazione Massari e la documentazione coordinata e illustrata dal Castagnola siano pubblicate negli Atti Ufficiali della Camera dei Deputati (70). Nel frattempo si discute sul progetto di legge Massari e sulla responsabilità dei Governi della Destra sulla situazione venutasi a creare in Italia meridionale dopo l'annessione al Piemonte. A Roma - afferma Nino Bixio il 19 giugno nel denunziare ancora una volta la debole politica del Governo italiano nei confronti della Francia di Napoleone III - c'è l'organizzazione centrale, c'è il quartier generale del brigantaggio, c'è l'emigrazione... napoletana, ci sono i preti, c'è insomma un'organizzazione che affila i pugnali non soltanto per tormentare oggi le infelici provincie meridionali, ma perché ha speranza di riconquistare il Regno perduto. E tutto questo perché il nostro Governo non osa usare, come dovrebbe, la maniera forte nei confronti di chi queste illusioni alimenta. Il 31 luglio è all'ordine del giorno della Camera la discussione sul progetto di legge per la soppressione del brigantaggio che Massari ha da tempo presentato in nome della Commissione d'inchiesta scesa in Italia meridionale per esaminare le condizioni di quelle province. L'opposizione non risparmia le sue accuse ai metodi adottati nella repressione del brigantaggio. Giuseppe Avezzana chiede, in un suo ordine del giorno, che il Governo del Re intervenga perché cessino le fucilazioni sommarie applicate indiscriminatamente dalle forze regolari stanziate in Italia meridionale per lottare e reprimere il brigantaggio. Troppo rigorose -afferma il vecchio patriota piemontese che i liberali di Montecalvo Irpino hanno voluto loro deputate - e troppo eccezionali sono già le leggi che esistono e che si pongono in uso nelle infelici province meridionali... Gravissimi errori sono stati commessi dagli uomini mandati colà a governare i quali, anziché dar lavoro alle popolazioni per sottrarle alla miseria e alla fame, ricorsero a misure di eccessivo rigore che rese il brigantaggio più ostinato e dette luogo a quella inumana ed atroce disposizione che dura da due anni e nella quale il Governo pare riponga ogni speranza di salvezza.. La causa principale del brigantaggio e del suo perdurare è da ravvisarsi, sostiene ancora Nino Bixio, nella presenza dei francesi a Roma: è necessario quindi, secondo il vecchio generale garibaldino, rompere - come ha già sostenuto in un ordine del giorno presentato il 19 giugno - le relazioni diplomatiche con la Francia. Questa proposta, resa ancora più attuale dall'episodio dell' "Aunis" (71), viene sostenuta anche in un ordine del giorno presentato dal Miceli e in altro dal Musolino: il Governo deve intervenire con energia per far cessare l'occupazione straniera di Roma, principalissima causa non pure del brigantaggio, ma di ogni altro nostro imbarazzo presente e di pericolo futuro. Ma un nuovo aspetto del problema viene ora prospettato alla Camera. Il brigantaggio è un male endemico nelle province napoletane, molti vi si applicano come ad un mestiere e gli stessi re di Napoli - tiene a sottolineare Carlo Varese (72) - l'hanno pia volte protetto, favorito, nobilitato. E' un male questo che va estirpato con leggi severe ma, per debellarlo, è necessario anche intervenire con una saggia politica di lavori pubblici: occorrono strade e ferrovie per incrementare la vita economica e scuole per illuminare, istruire, educare e sottrarre le popolazioni dalla influenza velenosa e micidiale dei preti. E' vero - sostiene ora il Castagnola richiamandosi agli ordini del giorno di Bixio, di Musolino e di Miceli - che quanto si macchina a Roma contro il nostro paese contribuisce ad alimentare il brigantaggio, ma è pur vero che esso è conseguenza delle condizioni generali in cui versano le province meridionali. E' impossibile negare - afferma questo deputato che ha visitato recentemente il Mezzogiorno d'Italia ed ha coordinato la documentazione che è stata mostrata alla Camera convocata in seduta segreta per ascoltare la relazione della Commissione d'Inchiesta - che vi sia una cagione sociale la quale straordinariamente si complica col brigantaggio. Nelle provincie che abbiamo percorso - tiene a far presente alla Camera il Castagnola - specialmente nella Capitanata e nella Basilicata... i contadini non abitano alla campagna, essi stanno rinchiusi nelle città, non sono mezzaiuoli, ma giornalieri e braccianti. Pagati in modo troppo basso... non ricevono che uno o due carlini in retribuzione della loro fatica... Non interessati nella raccolta dei frutti del suolo,... non hanno né messi, né frutti, né campi cui siano vincolati.... ed abbiano quindi interesse a difendere. Involontariamente, per una combinazione di cose, essi sono complici dei briganti; partono i contadini dalla città al mattino, all'alba, precisamente al momento in cui si muovono le truppe. Si recano tre o quattro miglia lontani a lavorare e incontrano i briganti i quali da questi contadini apprendono la direzione della truppa per cui possono evitarla o tendere loro un imboscata. Complici involontari dei briganti anche perché sono i pastori che riferiscono al padrone che i briganti hanno minacciato di uccidere una mandria o un gregge se non riceveranno una determinata somma di danaro. Nell'affrontare la situazione verificatasi in queste province nessun Governo - sottolinea il Castagnola - ha mai tenuto presente che là non vi sono che due classi di persone, quasi due caste, i proprietari, i galantuomini, ed i proletari, i cafoni. Vi manca generalmente il medio ceto e tra le due classi vi è una specie di guerra, di astio di colui che ha niente e che si considera vittima ed oppresso, contro quello che ha. Naturale, quindi, l'attrazione che hanno i cafoni verso i briganti; il brigante non fa male alcuno al cafone... si rivolge sempre contro il signore. Di conseguenza i cafoni sono sempre con il brigante perché in lui veggono il vindice dei torti che la società loro affligge. I nostri Governi - lamenta il Castagnola - non hanno fatto mai nulla per attirare al nuovo regime queste masse incolte e dei loro lamenti e clamori s'inorgogliscono i Borbonici, prendono animo a costituirsi in Comitati e questi Comitati influenzano poi direttamente i briganti ai quali fanno sperare che i Borboni li compenseranno al loro ritorno. Quali i rimedi? Se il male viene da Roma, il rimedio radicale sarebbe di andare a Roma, trasportarvi la capitale o almeno far si che Francesco II andasse via. Il problema è ben altro e non dipende soltanto dalla presenza o meno di Francesco II a Roma. Il brigantaggio ha assunto proporzioni tali per la cecità della politica sin'ora adottata nel Mezzogiorno d'Italia: i sistemi repressivi di inaudita ferocia, così come sono stati e continuano ad essere applicati nelle campagne meridionali, vanno condannati. Essi non invogliano certo coloro che sono entrati nelle bande armate ad abbandonare i loro compagni, che rimangono uniti non certo per difendere la causa dei Borboni, ma sol per ritardare la cattura e la morte. Con questi metodi ed altri lo hanno ripetutamente rilevato il brigantaggio non è stato vinto, al contrario sono stati alimentati nuovi odi e nuovi desideri di vendetta. Si applichino pene più o meno severe per i reati di brigantaggio, ma si dia al paese la possibilità di credere nella giustizia e di avere fiducia nel nuovo regime. Ma occorre anche eliminare tutti quei fattori, politici, morali ed economici, che, perdurando, non potranno consentirci di eliminare il male. E allora? Converrebbe promuovere il benessere delle popolazioni, far strade, far cessare l'usura, istituire Monti frumentari, far nascere il credito agricolo. Per averla amica è indispensabile dar fiducia a questa gente, mutare metodi e sistemi, far toccare con mano che ognuno col proprio ingegno, col proprio lavoro, il figlio stesso del contadino, può salire la sommità della gerarchia sociale. Per evitare che questi cafoni continuino ad essere i complici del brigantaggio bisogna soprattutto sottrarre alla miseria questa massa di diseredati che nei galantuomini vedono i loro nemici e i loro oppressori. Bisogna soddisfare una loro antica aspirazione: date un pezzo di terreno a questi campagnoli e voi ne farete gli uomini più felici. Questa possibilità esiste nella terra del brigantaggio dove le usurpazioni hanno esasperato e spinto alla rivolta le masse contadine. Ma anche il Castagnola ignora le usurpazioni così come le ignorano i Governi della Destra che, per non inimicarsi la classe dei galantuomini, hanno finito di fatto col riconoscere il diritto di usucapione in favore dell'arbitrario possessore. Per il deputato di Chiavari che ha seguito la Commissione d'Inchiesta nella terra del brigantaggio, la questione demaniale è circoscritta soltanto ai demani comunali, a quelle terre, cioè, che sono state affidate ai Comuni per essere quotizzate ed assegnate ai contadini poveri e che rimangono ancora in possesso dei Comuni ed in attesa delle operazioni demaniali. Queste terre dovrebbero ora dividersi, ossia darsi in affitto o a censo. Chi otterrà in enfiteusi un pezzo di terra, chi disporrà di un gregge saprà difenderlo: si sentirà padrone, sarà con il Governo che gli ha dato la terra, con i galantuomini, contro i briganti. Il grande accusato è il nuovo regime, la Destra che con la sua cieca politica ha spinto alla rivolta i contadini meridionali i quali, nelle loro azioni delittuose, non sono certo da meno dei militari inviati in Italia meridionale per la repressione del brigantaggio. Atto di accusa alla politica delta Destra, l'intervento del Castagnola non concorda certo con le conclusioni della Commissione d'inchiesta. Esso fornisce nuovi elementi e nuove interpretazioni sul brigantaggio che non possono e non vanno sottovalutate. Lo sostiene Giuseppe Lazzaro in un lungo e polemico intervento nel quale, tra l'altro, viene denunziata energicamente la discriminazione antidemocratica che ha caratterizzato la politica dei moderati meridionali e quella della destra piemontese ed ha mantenuto nelle cariche e negli uffici elementi che, adusi sempre a servire chi detiene il potere, hanno aderito al nuovo regime soltanto dopo la fuga del loro sovrano che non hanno esitato a tradire. L'andamento della discussione trova impreparata la Destra governativa: l'intervento di Bixio e, ancora di più, quello del Castagnola sono contrastanti con i risultati ufficiali della Commissione di Inchiesta che il Massari e lo stesso Castagnola hanno riferito alla Camera convocata in seduta segreta. A far ritenere "addomesticata" la relazione Massari è anche l'intervento del Lazzaro. Si insiste troppo sugli errori della Destra, con eccessiva insistenza si rilevano gli aspetti economico-sociali della situazione in cui versano le popolazioni meridionali e si tralasciano, invece, quasi siano irrilevanti quelli in cui i Governi della Destra e la stessa Relazione della Commissione d'Inchiesta ravvisano le cause del brigantaggio. Ancora più circostanziata l'accusa di Luigi Miceli. Non chiedendosi quali siano effettivamente i motivi che spingono le popolazioni meridionali al brigantaggio, per reprimerlo i Governi della Destra hanno dato carta bianca ai loro soldati e sono stati consentiti metodi e sistemi che non conoscono precedenti: non potendo colpire i padri che sono con i briganti nelle campagne, sono stati colpiti i figli e le mogli. I loro tuguri sono stati bruciati e distrutti. Innocenti sono stati privati di tutto e nessuno - afferma il Miceli - ha mai fatto sapere che un brigante, caduto nelle mani della truppa, prima di essere fucilato si era tolte le scarpe perché fossero consegnate al padre e che un altro si era tolto il giubetto perché potesse servire ancora al figlio. Ma al Governo tutto questo non interessa, perché il nostro Governo non si sente Governo di tutte le classi sociali. Preoccupato soltanto di tutelare gli interessi di determinate classi sociali, ha abbandonato ed abbandona alla miseria uomini che non hanno neppure il pane e lasciano in eredità soltanto un paio di scarpe o un giubetto usati, e consente gli abusi dei grandi proprietari che monopolizzano le terre demaniali concesse in fitto subaffittandole ai piccoli coltivatori a fitti usurai e nel progettato affrancamento del Tavoliere di Puglia esclude i terrazzani da quel vasto demanio che viene riservato ai pochi attuali possessori. L'intervento del Miceli è un atto di accusa di tale gravità che non può essere consentito da chi presiede l'Assemblea. Al deputato calabrese vien tolta la parola e, di fronte alle rimostranze dell'opposizione, la seduta viene sospesa e i lavori rinviati al giorno successivo. Il Governo vuol troncare questa discussione che sta assumendo aspetti pericolosi: d'accordo con i deputati meridionali della Destra governativa, vien fatto presentare da Giuseppe Pica (73) e sottoscritto da quarantuno deputati un nuovo progetto di legge. Tra i firmatari, quasi a ritrattare il discorso pronunziato il giorno precedente, è anche Stefano Castagnola. Massari, che ha sottoscritto questo nuovo progetto, ritira il proprio già in discussione e la Camera, nonostante le proteste del Ricciardi, del Lovito e del Curzio (74) prende in esame il progetto Pica che, in soli nove articoli, riproduce quello della Commissione d'Inchiesta presentato dal parlamentare pugliese. Si discute sulla severità della pena: col moltiplicare le vittime voi seminerete odi inestinguibili nel paese, ammonisce il Ricciardi che, contrario alla pena di morte per i rei di brigantaggio, ha presentato un emendamento con cui propone, perché non vi sia disparità tra i delitti di brigantaggio e delitti comuni, che in tutti i casi puniti colla morte nel Codice Penale la pena si intenderà sostituita dalla deportazione a vita, che è quella che gli oppositori alla pena di morte vorrebbero sia applicata anche per i più efferati delitti di brigantaggio. Ma l'emendamento Ricciardi viene respinto e la Camera approva il progetto Pica che, come hanno già previsto lo Spaventa nel suo "Piano" ed il Massari nel progetto della Commissione di Inchiesta, assegna alla competenza dei Tribunali Militari i reati di brigantaggio, sancisce la fucilazione per chi oppone resistenza all'atto della cattura e aiuta, in qualsiasi modo, i briganti fornendo loro notizie e viveri, riconosce la possibilità di applicare le attenuanti previste dal Codice Penale anche ai delitti di brigantaggio, concede attenuanti a chi, entro tre mesi dalla entrata in vigore della legge, si presenti alle autorità costituite e istituisce il domicilio coatto per gli oziosi, i vagabondi, i sospetti, i manutengoli ed i camorristi. La legge, approvata con procedura di urgenza dal Senato nella seduta del 6 agosto, viene pubblicata il 15 agosto del 1863. Quattro giorni dopo, il 19 agosto, vengono pubblicati gli "Atti della Commissione d'Inchiesta sul Brigantaggio" distinta in due parti, la "Relazione" generale del Massari e quella in cui il Castagnola ha coordinato i documenti che la Commissione ha ritenuto pubblicabili. E subito dopo, con la giunta della legge proposta e dall'altra sanzionata, viene ripubblicata a Napoli dalla Stamperia dell'Iride e contemporaneamente a Milano dai Fratelli Ferrarini. Questa Relazione delude un po' tutti. Chi ha seguito i dibattiti parlamentari e letto, prima della pubblicazione della Relazione della Commissione d'Inchiesta, la "Lettera" di Aurelio Saffi all' "Unità Italiana" (75) e le sue note su "ll Dovere" del 18 luglio (76) rileva facilmente che i compilatori della Relazione non si sono intenzionalmente voluti discostare dalle tesi governative, né hanno voluto esprimere giudizi non graditi al Governo. Episodi ben noti che andavano denunziati all'opinione pubblica ed aspramente condannati sono stati ignorati perché, altrimenti, non sarebbe stato possibile tessere l'elogio dei reparti impiegati nella repressione del brigantaggio. Minimizzata, sino ad escludere la connivenza francese nel brigantaggio per non compromettere i rapporti con la Francia, si è insistito esageratamente sulle responsabilità del clero legittimista per non riconoscere i veri motivi che hanno spinto i contadini meridionali alla reazione prima e poi al brigantaggio. Da parte democratica si lamenta l'eccessiva acquiescenza del relatore alle direttive governative che ha portato ad ignorare le responsabilità dei moderati napoletani e dei Governi della Destra. Con la loro politica di discriminazione antidemocratica e di eccessiva debolezza nei confronti dei legittimisti, gli uomini della Destra hanno rafforzato ed alimentato l'opposizione al nuovo regime e favorito, sia pure indirettamente, il brigantaggio che, nella Relazione Massari, è stato visto in una visione che non si discosta da quella della Destra governativa. L'interpretazione della crisi meridionale, così evidentemente influenzata dalle preoccupazioni governative - a rilevarlo è il Molfese dopo aver consultato tutti gli atti della Commissione d'Inchiesta, anche quelli segreti - consente alla pubblicistica clericale di muovere, su posizioni ultra conservatrici, severe critiche al nuovo regime e di ravvisare nel brigantaggio una spontanea e generosa reazione popolare contro l'opposizione degli invasori piemontesi. Anche se eccessivamente partigiane, le osservazioni della "Civiltà Cattolica" alla Relazione Massari (77) hanno qualcosa di vero: in esse traspare, contro la stessa intenzione del suo compilatore, che il brigantaggio è stato anche e soprattutto lotta del povero contro il ricco, dell'oppresso contro l'oppressore e che il nuovo regime è stato conquista e tirannide e negazione della liberà e della giustizia.

N O T E

(1) Atti Ufficiali del Parlamento Italiano - Camera dei Deputati - Legislatura VIII - Sezione Seconda 1863, (relazione MASSARI, relazione CASTAGNOIA). Vedile ora in T. Pedio, Inchiesta Sul brigantaggio.

(2) F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l'Unita'.

(3) G. Doria, Per la Storia del brigantaggio.

(4) Dopo la resa di Gaeta - scrive uno storico legittimista - i fuoriusciti da Roma e da Malta tentarono di stringere la direzione delle cose, per preparare la sollevazione unanime e piena contro il nuovo regime ma mai niente di efficace poterono specie quando assunse vaste proporzioni e finì con il prevalere sulle manifestazioni legittimiste il brigantaggio comune: che molti tristi con Francesco in bocca trescavano in quella grande anarchia e sfruttavano le simpatie delle popolazioni... I più ladri per lo più facevano da capi... ma il forte erano i soldati regi che, per vendetta dei Sardi ingrossavano le bande. I briganti, che imperversano nelle più povere province napoletane, per tenersi le popolazioni amiche pesavano su' soli liberali ed essi i loro beni e bestiami sterminavano. G. De Sivio, Storia delle Due Sicilie.

(5) P. VELARI. Le lettere meridionali.

(6) Fortunato e Pasquale Villari, Napoli 4 novembre 1874 in G. Fortunato O., Carteggio 1865.

(7) Fortunato a Nello Rosselli, Napoli 4 aprile 1927 in G. Fortunato, Carteggio 1926-1936.

(8) P. Turiello, Governo e governati in Italia, vol. I, Bologna, Zanichelli. 1882.

(9) F. S. Nitti, Il brigantaggio meridionale durante il regime borbonico, in AA. VV., La vita italiana nel Risorgimento. Firenze, Bemporad, 1899.

(10) In proposito cfr. T. Pedio, Saggio bibliografico sulla Basilicata.

(11) La Mozione d'Inchiesta del deputato Francesco Proto duca di Maddaloni è in F. Proto, La verità sopra gli uomini e le cose del Regno d'Italia, Nizza, 1860.

(12) Giuseppe Ricciardi (1808-1882) era stato eletto nel Collegio di Foggia.

(13) il Ricasoli non ravvisa il movente sociale nel brigantaggio. In esso - ha giustamente osservato lo Scirocco nella sua Relazione su Ricasoli e l'emergere della Questione Meridionale svolta nel Convegno di Studi Ricasoliani tenuto a Firenze nel settembre del 1980 - lo statista toscano vedeva soltanto gli aspetti delinquenziali e un attentato alla proprietà che andava difesa contro i retrogradi contadini meridionali, In AA.VV., Ricasoli e il suo temeo a cura di G. Spadolini, Firenze, 1981.

(14) Liugi Zuppetta (1810-1889) era stato eletto nel Collegio di San Severo.

(15) Pier Carlo Boggio, eletto nel Collegio di Valenza, apparteneva alla Destra governativa.

(16) Aurelio Saffi (1818-1890) era stato eletto nel Collegio di Acerenza in Basilicata.

(17) Giuseppe Ferrari (1811-1876) era stato eletto nel Collegio di Gavirate in provincia di Varese.

(18) Giuseppe Massari (1821-1884) era stato eletto nel Collegio di Bari.

(19) I soliti napoletani -Zuppetta, Ricciardi e Ferrari- uscirono fuori con i soliti annunci d'interpellanza sui mali di Napoli. Ne nacque subito... un insorgere disegni d'impazienza, di rumori. Le interpellanze esclusive su Napoli, iniziate da tali uomini, avrebbero tolto sul nascere ogni prestigio all'opposizione e sarebbero state respinte o soffocate come in passato. Tale era il sentimento del maggior numero fra gli uomini della sinistra. Ond'io - scrive Aurelio Saffi alla moglie - colsi il momento e mi levai a parlare, rivendicando da una parte il diritto di esporre i bisogni e i mali locali ad ogni deputato delle diverse parti d'italia, e mostrando d'altra parte, come la questione napoletana, essendo parte integrale e importantissima dell'intera questione nazionale, potesse più opportunamente connettersi con quest'ultima il giorno dell'interpellanze, già accettate dal Governo, sulle cose di Roma. La logica e la verità sembrano - o almeno sembrarono in quell'istante - valer più della differenza di parte; e la mia mozione, appoggiata da deputati di varie opinioni, fu approvata all'unanimità. In A. Saffi, Ricordi e scritti, Firenze, Barbera, 1901.

(20) A. Bianco Di Saint-Jorioz, Il brigantaggio alla frontiera pontificia.

(21) Interessata a non disperdere le proprie forze e ad evitare contrasti nel suo seno, la Sinistra ha concordato come comportarsi nella discussione parlamentare nella seduta del 2 dicembre e conta sulla deputazione meridionale che sembra più disciplinata. Lunedì - scrive Aurelio Saffi il 30 novembre alla moglie - comincerà la discussione sulla Questione Romana e su quella di Napoli. Due questioni che abbracciano i destini del Paese. La Situazione è gravissima, la reazione infierisce nelle province meridionali, la Basilicata ha preso sopra di sè la propria difesa; il Governo - responsabile di tutti i mali del Paese - non oppone ai medesimi che una superba inettezza ed una ostinata avversione ad armare l'elemento volontario e popolare, indispensabile a salvare la Nazione. Innanzi al fallimento delle sue inezie teologico-diplomatiche col Papa, innanzi alla necessita più o meno prossima di una guerra emancipatrice della Venezia, non sa e non piò ordinare efficacemente l'esercito regolare, e ripugna dall'organizzare militarmente le forze vive, gli elementi patriottici, alla difesa interna e alla lotta esterna. E mentre non provvede con l'armi alla sicurezza Nazionale, lascia in preda agli abusi ed alla dissoluzione tutto l'ordinamento amministrativo dello Stato. Non solo nel Mezzogiorno, ma in ogni altra parte d'italia il malcontento cresce ogni giorno, e la sfiducia procede rapida e penetra ogni classe della società. In A. Saffi, Ricordi e scritti.

(22) In proposito cfr. A. Monti, Giuseppe Ferrari e la politica interna della Destra, Milano, Edizioni "Risorgimento", 1925.

(23) Benedetto Musolino (1809-1885) era stato eletto nel Collegio di Monteleone Calabro.

(24) Angelo Brofferio (1806-1866) era stato eletto nel Collegio di Castelnuovo ne' Monti (Reggio Emilia).

(25) Giuseppe Pisanelli (1811-1879), che sarà ministro di Grazia e Giustizia nel gabinetto Farini-Minghetti, era stato eletto nel Collegio di Taranto.

(26) Francesco Mandoj Albanese, insegnate alla Nunziatella di Napoli, era Stato eletto nel Collegio di Campagna (Salerno).

(27) Quel che importa - aveva concluso il Peruzzi il 6 dicembre del 1861 - e' andare alle radici dei mali, curare non gli effetti, ma le cause. Era questa anche la tesi di Giuseppe Garibaldi: Quando nel 1863 ferveva il brigantaggio nelle provincie napoletane e le Camere discutevano leggi eccezionali per estirparlo - ha scritto Francesco Crispi nel ricordare il condottiero dei Mille nella "Nuova Antologia" del 15 giugno del 1882 - Contro chi riteneva che il brigantaggio fosse delinquenza comune Garibaldi rispondeva che colà era una questione sociale, la quale non si poteva risolvere col ferro e col fuoco. Ma, egoisticamente interessati a difendere antichi privilegi, nessuno degli uomini di governo volle individuare le cause che spingevano i ceti subalterni del Mezzogiorno al brigantaggio e si continuò caparbiamente a ravvisare in esso manifestazioni di delinquenza comune di cui si avvalevano clericali e borbonici nel tentativo di restaurare l'antico regine.

(28) il Bertani era stato eletto nel Collegio di Milazzo (Messina).

(29) Nel suo intervento in cui trattò anche della Questione Romana, il Bertani accusò il Ministero - specialmente pel tempo in cui Minghetti ne faceva parte - di aver violato il segreto postale, aprendo le sue lettere. Minghetti negò decisamente il fatto. Peruzzi - che come Ministro dei Lavori Pubblici, ha sotto di se l'amministrazione delle poste - protestò in nome della moralità del Governo, e chiese che la cosa non fosse lasciata cadere senza venirne a fondo. La maggioranza provocò Bertani a dare immediatamente la prova della sua asserzione o ritrattarla. Bertani mantenne ferma l'accusa, dichiarando di non potere né dovere compromettere in pubblico persone che gliene avevano fatta testimonianza. La Sinistra chiese ed ottenne che fosse nominata dal Presidente della Camera una commissione d'inchiesta... Formata dai deputati Mellana e de Pretis della Sinistra, di altri della Destra e di Zanolini, deputato della Destra, a presidente... s'é messa subito all'opera... Questa notte - scrive Aurelio Saffi il 10 dicembre del 1861 alla moglie - hanno posto il sequestro a tutti i registri e le cane dell'ufficio postale; a quelle del Ministero dei Lavori Pubblici relative all'Amministrazione delle Poste... A quest'ora i risultati sono favorevoli all'accusa. Naturalmente, come tutte le inchieste in cui sono compromessi uomini del Governo, anche questa si risolse con un compromesso che lasciò soddisfatte entrambe le parti. Cfr. A. Saffi, Ricordi e scritti.

(30) Oggi - scrive il 7 dicembre 1861 Silvio Spaventa al fratello Bertrando - ancora continua la discussione sulle cose di Napoli e non so se finirà, benché in molti vi sia un vivo desiderio di mettervi un termine. Si spreca un tempo prezioso; e le assurdità e i paradossi che la Camera è costretta ad udire, le fanno perdere l'autorità, di cui ora è più che mai necessario che il Parlamento sia investito. In S. Spaventa, Lettere politiche (1861-1893) a cura di G. Castellano, Bari, Laterza, 1926.

(31) Se tu ti fossi trovata presente all'incidente provocato da Spaventa - scrive il 10 dicembre Aurelio Saffi alla rnoglie - al sollevamento, alla fierezza, al tono delle esclamazioni e delle parole pronunziate in quella brev'ora dal nostro lato dell'Assemblea - se tu avessi veduto l'azione magnetica di quello che non poteva dirsi tumulto, ma fremito, ma moto solenne di oltre 100 deputati levati in piedi a protestare; l'azione magnetica di quel moto degli animi sulle tribune gremite di ascoltatori che facevano causa comune con noi (e nota che Siamo a Torino) - certo avresti Sentito ciò che io sentii. In A. Saffi Ricordi e Scritti. I fatti ebbero uno strascico: lo Spaventa si ritenne ingiuriato e offeso da chi aveva protestato e sfidò a duello il Nicotera. La vertenza fu risolta dai padrini. Io dissi nulla - scrive Silvio Spaventa al fratello Bertrando il 24 dicembre - da giustificare l'ignobile irritazione che mi si levò contro dalla Sinistra della Camera. Ti confesso che io, sapendo bene di dire cose molto dure, non mi Sarei mai immaginato uno Scoppio d'ira cosifatto. Avevo meditato molto ciò che volevo dire, anzi avevo voluto controllare l'opinione di alcuni amici sulla convenienza di prendere la parola sopra quegli argomenti, n'e io n'e altri avevano saputo vedere che la Sinistra dovesse offendersene personalmente... La maggiorità stessa... sul primo momento credè che io avessi trasceso i limiti della convenienza; ma poi, letto il discorso, tutti mi hanno detto di non aver trovato nulla nelle mie parole che giustificasse le villanie degli avversari e contravvenisse al decoro parlamentare. In S Spaventa, Lettere politiche.

(32) il Mancini (1817-1880), che sarà poi Ministro dell'Istruzione Pubblica nel Ministero Rattazzi, era stato eletto nel Collegio di Ariano Irpino.

(33) Carlo De Cesare (1824-1882) era stato eletto nel Collegio di Napoli II.

(34) Luigi Miceli (1824-1906) era stato eletto nel Collegio di Paola (Cosenza).

(35) Filippo Mellana (1810-1874) era Stato eletto nel Collegio di Casale Monferrato.

(36) Francesco Lovito (l830-l906) era stato eletto nel Collegio di Chiaromonte (Potenza).

(37) Giuseppe Lazzaro (1825-1910) era Stato eletto nel Collegio di Conversano (Bari).

(38) Il Montanelli (1813-1862) era stato eletto nel Collegio di Pontassieve.

(39) Il de Boni (l8l6-l870) era stato eletto nel Collegio di Tricarico in Basilicata.

(40) il Memorandum democratico fu pubblicato il 23 aprile 1862 nel "Diritto".

(41) comandante del VI Gran Comando Militare delle Truppe mobilizzate in Italia meridionale, Alfonso la Marmora aveva assunto le funzioni di prefetto di Napoli il 16 ottobre del 1861 e, proclamando lo stato di assedio per i fatti d'Aspromonte, il 20 agosto del 1862 fu nominato Commissario straordinario con pieni poteri nelle province napoletane. Su domanda, l'11 gennaio del 1863 fu esonerato dalla carica e sostituito, quale prefetto di Napoli, da Rodolfo d'Afflitto. Cfr M. Missori, Governi, alte cariche dello Stato e prefetti del Regno d'italia, Bulzoni Editore, 1978.

(42) Questo rapporto, noto come "Rapporto la Marmora" sarebbe stato compilato in realtà dal capitano di Stato Maggiore Stanislao Mocenni che il la Marmora aveva inviato a Torino con l'incarico di riferire al Rattazzi sulla reale situazione in cui versavano le province napoletane. Cfr. F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l'Unità.

(43) Il Rapporto Franzini con la nota del la Marmora è in Archivio di Stato di Torino, Ministero della Guerra (1860-1864) - Gabinetto - Relazioni sul brigantaggio, Busta 1 (a. 1862), fascicolo. non numerato.

(44) Cfr. F. Molfese Storia del brigantaggio dopo l'Unità. Vedi anche sulla Relazione Mosca l'op. cit.

(45) Oltre gli Atti parlamentari - Camera dei Deputati - Discussioni, 17 dicembre 1862 cfr. in proposito F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l'Unita.

(46) F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l'Unita.

(47) Fatti recenti brigantaggio più provincie - si precisa nella Circolare Spaventa diramata telegraficamente ai prefetti delle province napoletane - svelano concerto reazionario dare nuovo impulso dappertutto a codesto flagello. la Circolare è in Archivio di Stato Torino, fondo cit. Busta I (1862).

(48) Cfr. deposizione di Antonio Spinelli di cui è cenno in F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l'Unità.

(49) Cfr. F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l'Unità.

(50) Circostanza questa che è rilevata in genere dagli ufficiali superiori che operano contro il brigantaggio. Cfr. le deposizioni rese alla Commissione di Inchiesta dal la Marmora, dal generale Govane e dal generale Vllarey alle quali fa riferimento il Molfese nella sua Storia del brigantaggio dopo l'Unità.

(51) Cfr. deposizione del senatore Domenico Valso, grosso Proprietario pugliese, di cui è cenno in F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l'Unità.

(52) Cfr. l'indirizzo di Fabio Carcani, un ricco proprietario terriero di Trani, alla Commissione d'Inchiesta cui fa riferimento il Molfese nella sua Storia del brigantaggio dopo l'Unita.

(53) L'episodio che ebbe come protagonista Emilio Maffei è ricordato nella Cronaca potentina dal 1799 al 1882 di Raffaele Riviello.

(54) F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l'Unità.

(55) A. Saffi, Sulle provincie meridionali della penisola in Ricordi e scritti.

(56) Così la deposizione dell'Albini raccolta a Napoli dalla Commissione di Inchiesta il 24 gennaio del 1863. In proposito cfr. F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l'Unità.

(57) P. Rosano, Brevi e libere parole sulle cause del brigantaggio ed espedienti a menomarlo e distruggerlo, Potenza 28 febbraio 1863, in T. Pedio, Inchiesta sul brigantaggio.

(58) R. Cotugno, La vita e i tempi di Giuseppe Massari (con documenti inediti), Trani, Vecchi & C. Editori, 1931.

(59) M. Viterbo, Il Sud nella storia d'italia, Bari, Laterza.

(60) Sul Piano di repressione del brigantaggio elaborato dallo Spaventa cfr. F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l'Unità.

(61) Cfr. F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l'Unità.

(62) Su tale ammissione cfr. Relazione Massari.

(63) Su tale ammissione cfr. Relazione Massari.

(64) In proposito cfr. F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l'Unità.

(65) Relazione Massari.

(66) Relazione Massari.

(67) Relazione Massari.

(68) Relazione Massari.

(69) Relazione Massari.

(70) Atti Ufficiali del Parlamento Italiano - Camera dei Deputati - Legislatura VII, Sessione seconda, 1863.

(71) In proposito cfr. A. Pierantoni, Il brigantaggio borbonico-papale e la questione dell"'Aunis", Roma, Dante Alighieri, 1900.

(72) Carlo Varese (1793-1866) era stato eletto nel Collegio di Novi Ligure.

(73) Il Pica (1813-1887) era stato eletto nel Collegio de L'Aquila.

(74) Francesco Raffaele Curzio da Turi di Bari (1822-1901) era stato eletto nel Collegio di Acquaviva delle Fonti.

(75) Edizione definitiva in A. Saffi, Ricordi e scritti.

(76) Edizione definitiva in A. Saffi, Ricordi e scritti.

(77) La relazione della Commissione d'inchiesta intorno al brigantaggio in "Civiltà Cattolica", 1863, sono ora in T. Pedio, Inchiesta sul brigantaggio.

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