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IL BRIGANTAGGIO E LA QUESTIONE MERIDIONALE

BUON GOVERNO E MAL GOVERNO

 di Carlo Alianiello

da: "La conquista del Sud" Edizioni Rusconi, 1972

Passiamo ora a un men vecchio e meglio informato studioso di storia, che ci spiegherà in modo più chiaro e rigoroso quelle stesse cose che si son dette sin qui. Diamo dunque la parola a Tommaso Pedio, che nel suo opuscolo, Reazione alla politica piemontese ed origine del Brigantaggio in Basilicata (1860-1861), sintetizza, come meglio non si potrebbe, il perché e il come di quella resistenza di popolo, la quale, solo perché non fu sorretta da eserciti stranieri, e solo perché erano stremate le forze d'una popolazione fiera ma senz'armi, senza denaro ed esigua d'uomini, per la stessa configurazione fisica del terreno divenne, in virtù dell'impossibilità di vincere, "brigantaggio", o almeno così fu detta. "La rapida trasformazione politica conseguita nel Mezzogiorno d'Italia ad opera d'una minoranza che ne ha affrettata la soluzione per impedire ripercussioni nella vita economica e sociale del paese e l'atteggiamento assunto dal governo piemontese, che si avvale di uomini che non conoscono o hanno dimenticato quali siano le reali condizioni delle provincie meridionali, suscitano ovunque risentimenti e malcontenti non solo negli esponenti della vecchia classe dirigente borbonica, ma anche tra gli stessi liberali, molti dei quali, ritenendo che la libertà e la nazionalità siano sintomi di ricchezze ed impieghi, lamentano di non esser chiamati a ricoprire incarichi remunerativi. D'altra parte, pur lamentando quanto si è venuto a creare nella vita del paese, i nuovi governanti non si preoccupano di porre un freno alle ambizioni e alle aspirazioni di coloro che si sono affrettati ad autodefinirsi liberali, subito dopo lo sbarco di Garibaldi in Sicilia. Interessati soltanto a non irritare l'elemento liberale moderato per assimilarne i maggiori esponenti al fine di servirsene contro le aspirazioni dei radicali" (1). Naturalmente tutti risentono di questa politica (sostanzialmente conservatrice) di cui lo stesso Nigra non nasconde inconvenienti. Ma a sentirne maggiormente sono le classi più povere e, prima d'ogni altra, la Basilicata. "Ma mutati gli uomini, le condizioni di questa regione rimangono, purtroppo, le stesse. La povera gente priva di un tetto, di una capanna, di indumenti, di strumenti di lavoro, si vede ancora costretta a mendicare il pane. "Oppressi da una miseria che non consente loro alcuna via di uscita, tormentati dalla fame e dalla disperazione, i vinti e gli oppressi guardano con senso di odio coloro che si sono avvantaggiati degli avvenimenti politici riuscendo ad ottenere cariche, impieghi e nuovi guadagni. Questo stato di cose li sconvolge, li esaspera, li rende facili vittime di chi mal sopporta di essere stato sostituito dai fautori del nuovo ordine politico. Nella miseria che avvilisce le plebi, nel risentimento di coloro che sono tenuti in disparte dalla vita del proprio paese, nella incomprensione del potere costituito e dei suoi rappresentanti in provincia, si sprigionano le prime scintille di quel brigantaggio che sconvolgerà, per circa un decennio, le piccole comunità della Basilicata (2). "Nelle condizioni in cui si trova il paese è dunque la prima, la vera, la grande causa del brigantaggio, ossia di quel movimento che sarà, ad un tempo, economico, sociale e politico e che si svilupperà favorito dalla mentalità del potere centrale e dalle condizioni fisiche del paese dove sarà possibile al ribelle, divenuto brigante, sfuggire ai tutori dell'ordine trovando riparo nelle selvagge boscaglie. "A favorire questo movimento si aggiungono anche la pusillanimità e l'avidità di guadagno del ricco proprietario di terre il quale, non sentendosi protetto dai rappresentanti del potere centrale, cede al brigante, lo accoglie nelle proprie terre, lo protegge, lo favorisce, lo sfrutta. "Odii di famiglie ed ambizioni personali, prepotenze della nuova classe dirigente che, nuova ai piaceri del comando, sfoga i propri rancori e le proprie ambizioni avvalendosi della protezione che le deriva per i suoi rapporti con i rappresentanti del nuovo regime. La incomprensione che la nuova classe dirigente mostra nei confronti dei miseri e degli oppressi, che nessun beneficio hanno ottenuto con la conseguita trasformazione politica; e le promesse non mantenute consentono ai nostalgici dell'antico regime, ossia alla vecchia classe dirigente ultraconservatrice, agli impiegati destituiti, al clero ed ai vescovi fautori del potere temporale di servirsi della plebe per opporsi energicamente al nuovo ordine politico. "Altra causa del malcontento prodottosi in Basilicata tra le classi contadine immediatamente dopo l'insurrezione contro il Borbone, è l'atteggiamento assunto nei confronti della questione demaniale dagli uomini che l'insurrezione aveva portato al governo della provincia. Costoro... allo scopo di non disgustarsi la classe de' proprietari, assumono un atteggiamento decisamente contrario alla risoluzione del problema delle terre demaniali usurpate. "Ad accrescere il malcontento che serpeggia tra le masse contadine per la mancata risoluzione della questione demaniale è il bando promulgato nel dicembre del 1860 con cui si richiamano in servizio tutti i soldati del disciolto esercito borbonico. "Questo nuovo provvedimento, adottato mentre aumenta il prezzo del pane e dell'olio, e la miseria generale del paese, provoca vivo malcontento che, in alcuni centri abitati, viene espresso attraverso isolate manifestazioni ed in altri degenera in episodi di ribellione e spinge molti dei chiamati ad unirsi alle bande armate che già operavano nella regione". E qui sarà bene soffermarci un istante, per ricordare al lettore, se mai avesse inteso qualcosa, che cosa s'intendeva nell'Italia Meridionale per demanio e usi civici. Riporterò pari pari quanto è scritto in merito nel libro Le leggi sugli usi e demani civici di Lorenzo Ratto. Chi non le trovasse di suo gusto, può comodamente saltare queste ultime righe. Cominciamo dai Romani. Ogni nostro atto, ogni nostra ragione, per noi italici, comincia di lì. "Il dritto romano aveva confuso sotto il comune appellativo di publica civitatum tanto i beni, che il municipio possedeva come privato, e del cui frutto si valeva per la persecuzione dei suoi fini di comune interesse, quanto gli altri che possedeva come pubblica persona, destinati all'uso immediato dei suoi componenti. Il diritto napoletano sapientemente distinse, e chiamò patrimonium la prima sorta di beni, parola tratta dal dritto privato, e demanium la seconda, parola del dritto medioevale indicata a significare i beni posseduti dal principe, in quanto principe, ad tuendum dignitatis suae splendorem. Quindi demaniale, nel linguaggio dei giuristi napoletani, significa terra libera, non infeudata, che il principe può ancora infeudare. Alle città baronali, si contrapponevano appunto le demaniali o libere, perché appartenenti direttamente al principe. (Demani nostri, dicono le prammatiche, in contrapposizione ai demani baronum). Dietro ciò furono detti demani universali quelli la cui proprietà apparteneva al populus, e l'uso individualmente a ogni singolo cittadino, sì da potersi dire con Donello che ciascheduno sibi quoque jure privatim locis publicis uti potest". (È un latinetto da quattro soldi, ma giacché oggi il latino non va più di moda, mi permetterò di tradurlo, e il severo lettore non se ne abbia a male. Dice dunque che "ognuno", anche per sé a suo dritto, può usare privatamente dei luoghi pubblici). "Demani feudali invece furon detti quelli spettanti in proprietà ai baroni come tali; proprietà più nominale che reale, dacché gli abitanti della terra vi esercitavano usi estesissimi. Tanto che Marino Freccia diceva: il signore e i vassalli, in quanto al comodo dei pascoli, si possono dire socii"………..

 

NOTE

(1) E dei garibaldini, aggiungiamo noi, che si erano visti metter da parte senza poter partecipare al banchetto del potere e dei beni sottratti. Citiamo, ad esempio, una lettera del generale Cialdini a Garibaldi (dalla Cronaca degli avvenimenti in Sicilia, Italia 1863), nella quale, tra l'altro, è detto: "Voi osate mettervi al livello del re parlandone con l'affettata familiarità d'un camerata, voi intendete collocarvi al disopra degli usi presentandovi alle Camere in costume stranissimo; al di sopra del Parlamento, colmando di vituperi i deputati che non pensano al modo vostro; al di sopra del paese volendolo spingere dove meglio vi aggrada. Ebbene! Vi sono uomini disposti a non tollerare tutto ciò, e io sono con loro. Nemico d'ogni tirannide, combatterò anche la vostra. Mi sono noti gli ordini dati da voi per ricevermi a fucilate su le frontiere degli Abruzzi. So quello che voi pronunziaste e posso assicurarvi che l'armata non teme le vostre minacce, e teme solo il vostro governo. Voi eravate in pessime condizioni, quando noi arrivammo……".

(2) Riportiamo qui un documento citato in nota dal Pedio: "Guai a chi la voce pubblica tacciava di Borbonico", scrive il prefetto di Basilicata nella sua relazione del 10 ottobre 1862. "Nulla per lui, tutto contro di lui. Quel che è peggio si è che la macchia politica si dilata e passa ai figli, ai parenti, agli amici. In questo modo certuni che per lo meno sarebbero rimasti indifferenti hanno preso un colore politico, non certo favorevole al governo".

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