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San Martino Valle Caudina

  dal 1820 al 1860

da: http://digilander.libero.it/sanmartinovallecaudi/storia.htm

 

I CARBONARI (1820 – 1827)

Il Principato Ultra, ove il liberalismo s’era diffuso così largamente, era diviso in tre tribù carbonare: la Partenza, dipendente dall’ordine centrale di Avellino; la Gianicola, dipendente dall’ordine centrale di Ariano; la Gracca sull’Ofanto Illuminato, facente capo all’ordine centrale di S. Angelo dei Lombardi. Alla Partenza metteva capo la vendita del paese, la quale in magnifica forte denominazione, dicevasi: "I figli di Bruto". Da un rapporto segreto della guardia civica del nostro Comune, all’intendente di Polizia, in Napoli, del 31 marzo 1822, possiamo trarre le rime notizie sull’origine della Carboneria a San Martino. Trascriviamo:"Eccellenza, In questo Comune non vi era idea cosa fosse la setta dei Carbonari… i Cittadini vivevano tranquilli, attaccati all’ordine pubblico, al nostro Augusto Sovrano. Per disgrazia di questa Popolazione, venne qui in qualità di Guardiano di questo Monastero … il Padre Ludovico di Pietra de Fusi; il medesimo, abbenchè con la carica di esser capo del Monastero d’una rispettabile Religione, fu egli, che incominciò a manifestare i suoi pravi disegni, con farsi conoscere antico gran Maestro, e con aprire una generale iscrizione. Non fu più tranquillo il comune, finché incominciarono Riunioni segrete, assemblee nelle così dette Baracche, che trascinarono alla corrottela quasi l’intera popolazione, non solo nella classe degli uomini, ma ancora in quelle delle donne, con appropriarle il titolo di giardiniere, servendosi della sua autorità sia nel confessionale, che nel Pulpito". Sicché i Carbonari, nel paese dovettero essere di sicuro numerosi più di quel che non appaia. I B.B.C.C. e le C.C.G.G. (buoni cugini, cugine giardiniere) furono i migliori della nostra gente, che iniziarono il moto del liberismo sammartinese, che si conchiude nel 1860. Ecco un elenco di carbonari nostri con note informative: D. Serafino Abate di Ermenegildo, di anni 31, da sa Martino, cancelliere del Comune. – Serafino Tedesco fu Pietro, di anni 31, da San Martino, proprietario. – Antonio Tedesco fu Pietro di anni 32, da San Martino, proprietario. – Nicola Perrotta fu Angelo, di anni 51, da San Martino, calzolaio. – Domenico tedesco fu Pasquale, di anni 36, da San Martino, massaro di campagna. – Pietro Tedesco. I Tedesco abitavano in campagna. E aggiungiamo altri che presero parte alla rivoluzione del luglio 1820: D. Giovanni La Pietra – D. Antonio Abate – D. Nicola Cocuzza Campanile – D. Giuseppe Savoia di Girolamo – Saverio Todisco – l’arciprete D. Luigi – D. Francesco – D. Antonio – D. Saverio – D. Carlo Rocco – P.Pietro Soldi – D. Gabriele la Pietra – D. Angelo di Vincenzo – D. Elia Lanzilli – D. Bartolomeo Abate – D. Filippo Caserta – D. Antonio Lanzilli fu Tommaso, ambedue sacerdoti. Dalla lettera dell’Intendente d’Avellino, del 3 aprile 1822, al Commissario Generale di Polizia, stralciamo intorno alle "eccezioni settarie, e morali a carico dei fratelli Pietro e Antonio Tedesco" che "in ordine alle asserte unioni e macchinazione settarie dedotte dal Capo – civico di San Martino V.C." questo stesso "funzionario… ha manifestato che Pietro Tedesco abbia una condotta e morale corrispondente all’ordine pubblico, ma che sia un carbonaro antico, e Cooperatore alla già rivoluzione del regno, mentre con suoi seguaci parti per Bracigliano, Monteforte e Napoli, oltre quello praticò in paese; che Antonio Tedesco si porta anche per carbonaro, ma che nelle passate emergenze non partì di patria. IL 10 SETTEMBRE 1823 era inviato, dall'Intendente di Principato Ultrà, alla Polizia Generale in Napoli, lo "Stato nominativo di coloro che per indubbia abitazione ne’ sentimenti di Liberalismo e di setta debbono riputarsi irreconciliabili col presente sistema politico del Regno". Troviamo ivi un lungo elenco d’Irreconciliabili nostri, con preziose note informative, riportate nella sezione

Cocozza D. Nicola

anni 45, proprietario, influente nel Comune, di condotta pessima "G.M. (Gran Maestro nella vendita). Come sindaco nel dì 6 luglio 1820, inalberò la bandiera della rivolta, imponendo ai Concittadini la Coccarda tricolore carbonica. Pericolosissimo".

Basso Luigi

anni 46, proprietario, influente nel Comune, di condotta pessima. Dignitario Carbonaro. "Tenente di Legionari. Pericolosissimo".

Rocco D. Carlo

anni 46, proprietario, influente nel Comune, di condotta pessima. "Dignitario, ed in Napoli Gran Maestro., uno dei studenti, che si portarono sotto Palazzo Reale ad insultare S.M. Pericolosissimo".

Abbate D. Serafino

anni 40, proprietario, influente nel Comune, di condotta pessima. Dignitario. Prese le armi, si portò nei luoghi di rivolta, ed indi in Napoli, portando egli stesso la bandiera rivoluzionaria, gridando a favore della Costituzione. Pericolosissimo.

Savoia D. Giuseppe

anni 28, proprietario, influente nel Comune, di condotta pessima. Sergente dei Legionari. Dignitario. Prese le armi, si portò nei luoghi di rivolta, ed indi in Napoli, portando egli stesso la bandiera rivoluzionaria, gridando a favore della Costituzione. Pericolosissimo.

Caserta D. Filippo

anni 32, proprietario, influente nel Comune, di condotta pessima. Dignitario carbonaro. Prese le armi, si portò nei luoghi di rivolta, ed indi in Napoli, portando egli stesso la bandiera rivoluzionaria, gridando a favore della Costituzione. Pericolosissimo.

Savoia D. Saverio

anni 42, proprietario, influente nel Comune, canonico, di condotta "di raggiro e d’ingegno". Settario ardente. Predicò contro il trono. Portò la bandiera Costituzionale. Pericoloso.

Lanzilli D. Daniele

anni 38, proprietario, influente nel Comune, di condotta cattiva. Dignitario carbonaro. Terribile, pertinace e pericolosissimo.

Lanzilli Antonio

anni 42, proprietario, influente nel circondario, sacerdote, di condotta cattiva. Dignitario carbonaro. Terribile, pertinace e pericolosissimo.

Lanzilli Antonio di Tommaso

anni 40, proprietario, influente nel circondario, sacerdote, di condotta cattiva. "Settario Fiero. Assoldava i Settari, pertinace e pericoloso".

Tedesco D. Serafino

anni 42, proprietario, influente nel circondario, di condotta cattiva. "Settario fiero. Andava predicando la Costituzione con bestemmie con la Monarchia. Pertinace e pericolosissimo".

Soldi D. Pietro

anni 40, proprietario, influente nel circondario, di condotta cattiva. "G.M. Capitano dei legionari. Si portò in tutti i luoghi di rivolta. Terribile, e pericolosissimo".

Sicché il quadro degli irreconciliabili sammartinesi, che a colori si foschì la polizia del tempo dipingeva, era quanto di più eletto la nostra popolazione vantasse. E sì che dovevano essere di condotta pessima e cattiva i liberali d’allora: erano stati battaglieri settari, avevano inneggiato alla libertà, avevano ordito ed ardito per una grande causa. Come ora, non ancora spenta l’eco del 1820, potevano riconciliarsi con quel governo che li ebbe, e li aveva nemici?. E le congiure continuavano un po’ dovunque, per tener sempre accesa la lampada: molti settari di S. Martino, nel maggio 1824, presero parte ad una riunione che si tenne nella masseria del carbonaro D. Domenico Ricotti, nelle campagne di Roccabascerana. Ma la reazione trionfante non perdonava, ed il 14 marzo 1827 da Francesco I furono destituiti, fra i tanti anche gli amministratori del nostro Comune, perché settari. Essi rispondono a nomi già noti: D. Giuseppe Savoia di Girolamo, 2° eletto – D. Giuseppe Savoia di Nunzio – D. Luigi Basso – D. Pietro Soldi – D. Ilario Viscione – Basilio Simeone. L’intendente proponeva così la loro destituzione: " I contrascritti 5 Decurioni furono effervescenti settari, ed ora hanno spiegato uno spirito di superiorità nel Decurionato". Dal 1826 al 1847 non v’è nulla d’interessante per la storia del paese.

IL RISORGIMENTO (1848 – 1860)

A questo punto la storia nostra s’adorna di nomi cari, di episodi di santissimo amore e di passione per la libertà. È la nuova generazione che, matura, esplode avverso la tirannide, dopo l’intimo travaglio d’attesa. Ed assistiamo alle frequenti riunioni che si tengono, nel 1848, nella Villa De Concilii, in Avellino, ove conveniva anche il nostro Serafino Soldi, ed assistiamo all’arresto di Francesco Del Balzo, il 15 maggio 1848, a Napoli, all’invio di esso sulla corvetta "Misero", al salvamento della fucilazione di esso stesso del Balzo per opera d’un ufficiale di Marina, il maggiore Locascio, e di Monsignor de Simone, confessore del Re. E da noi che avviene nel maggio 1848? Fucci Vincenzo di Domenico (bisnonno dell’autore del libro), di anni 30, macellaio, e Gabriele La Pietra di anni 46, proprietario, ambo da S. Martino V.C., la sera del 15 o 16 maggio, entrati nel corpo di guardia del nostro Comune, staccarono dalle pareti i quadri dei sovrani, e li gettarono nel fango della strada, accompagnando l’atto con parole ingiuriose contro il re e la Regina. Denunziati il 13 agosto 1849, furono rinviati al giudizio della Gran Corte Criminale del Principato Ultra, imputati di "deformazione con disprezzo dell’immagini del Re, e della Regina situate in luogo pubblico" e condannati a due anni di prigione ciascuno, e solidalmente alle spese del giudizio, mentre il Pubblico Ministero aveva chiesto la relegazione, mallevaria e spese. L’episodio l’abbiamo ricostruito secondo le dichiarazioni dei vari testimoni, fra i quali molti fecero notare che gl’imputati erano accesi liberali, e che precedentemente al fatto, in varie riprese, avevano rivolte ingiurie e minacce di rivoluzione ai Sovrani effigiati nel corpo di guardia. La Gran Corte Criminale, con sentenza del 30 gennaio 1850, non ritenne letteralmente la rubrica d’accusa, e condannò gl’imputati per aver commesso reato di fatti pubblici tendenti unicamente a spargere il malcontento contro il governo. Siamo nel 1858. Alla polizia erano pervenute notizie d’una cospirazione organizzata dai liberali di Valle Caudina, fratelli Imbriani, D. Carlo Cocozza da Pannarano, D. Francesco Del Balzo, Arciprete Giovanni Soldi, per il giorno del sorteggio della leva. Per la notte del 17 febbraio, per questo fatto, furono disposte perquisizioni domiciliari dei suddetti. Sulla cospirazione il denunziante s’esprimeva in questi termini: nel giorno del sorteggio della leva si era preparata una festa nera con croce di sangue… se diverrete sig. Capitano a pronti arresti in linea di Polizia, può stare, che si sbroglia la setta pugnalatoria, in caso opposto vedrete belle cose. Denunziata inoltre l’eventualità d’un assalto al Castello di Montesarchio, dove rei politici languivano, l’anonimo indicava D. Paolo Emilio Imbriani come ideatore dei piani rivoluzionari, gli altri come esecutori, e seguiva: la Valle Caudina dunque è il centro della cospirazione da molto tempo. Molti congiurati, e di molti paesi si sono associati sotto una segreta bandiera da essi chiamata Setta dei pugnalatori. Questa setta tende a pugnalare ovvero ad avvelenare il Re… Le associazioni nella Valle Caudina si tengono in casa di D. Alessandro Cocozza collo intervento di molti congiurati e tra gli altri i signori: D. Vincenzo Rocco – D. Titta Rocco – D. Carlo Cocozza – D. Francesco del Balzo – D. Nicola Simeone – D. Raffaele Savoia – D. Clemente Vitagliano – D. Algemiro Soldi – D. Giovanni Soldi. "Queste illecite associazioni si tengono quasi ogni giovedì, e domenica sotto pretesto di giocare a vino, e fare delle colazioni". "Giorni sono fu a S. Martino una donna italiana in casa Cocozza portatrice di lettere di D. Paolo Emilio Imbriani, chiamata la … " (l’anonimo non fa il nome della donna). L’anonimo infine consiglia l’arresto dei cospiratori sammartinesi "come Capi" dei moti liberali di valle Caudina, e termina col giuramento degli affiliati alla setta: " Io giuro di essere fedele alla segreta setta dei pugnalatori, e col sangue giuro di estirpare il tiranno, perché l’ora e l’anno sono arrivati".

PADRE LUDOVICO ACERNESE DA PIETRADEFUSI

Un altro settario nostro era il Padre Ludovico da Pietradefusi, pel quale si chiedeva trasloco dal nostro convento, con rapporto del Giudice di Cervinara in data 5 maggio 1822 "in altro monastero in lontananza tale che non possa penetrare nel comune suddetto di San Martino cioè per così allontanare le unioni che si asseriscono fatte con delle persone equivoche. Di questo carbonaro il Capo della civica di San martino chiedeva pure il trasloco , e si sa, da un rapporto della Gendarmeria Reale di Cervinara del 13 marzo 1822, che: "il Guardiano del Monastero di s. Caterina del Comune di S. Martino V.C. diede tavola nei penultimi giorni di Carnevale a tutti i Carbonari di Montesarchio, Bonea e S. Martino con tenere serrate le porte del Monastero fino alla sera. Nello stesso rapporto s’ha notizia della Civica di S. Martino d’una Comitiva di settari apparsa nelle nostre montagne, e di persone a cavallo che, in tempi di notte, pel passato, si sono viste andare verso le ore 6 e all’ora due del mattino ritornare indietro per l’istessa istrada. Si suppose dal Capo della Civica che questi ultimi erano anche settari per portare notizie ai paesi vicini. Sul Padre Ludovico da Pietradefusi , che fu poi traslocato in omaggio alle varie richieste della Polizia, e sulla sua attività carbonara, troviamo un rapporto del 1 luglio 1822 dall’Intendente di P. Ultra al Ministro segretario di Stato alla Polizia generale in Napoli, nel quale è detto fra l’altro: trovarsi il detto padre Ludovico nel Monastero di S. Bartolomeo in Galdo in Capitanata, e non già in quello di S. Marco in Lamis; che il medesimo nonostante il divieto si è recato diverse volte in Benevento, dove ha avuto degli abboccamenti con delle persone di San martino V.C.; e che ha fatto sentire a di lui aderenti, ch’egli col pretesto della festività della Madonna delle Grazie, che va a solennizzarsi domani in Benevento, si sarebbe recato in San Martino V.C. Il rapporto non cela l’ostinazione in cui vive di voler trattare con individui di s. Martino V.C. ed il parere di far procedere all’arresto di detto Padre Ludovicose venisse in S. Martino V.C. nell’indicato giorno. Inoltre in una supplica al Ministero di Polizia d’esso frate, s’ha notizia della persecuzione cui era fatto segno P. Ludovico, anche ora che era a S. Bartolomeo in Galgo, dopo la sua lunga permanenza, dal 1815 al 1821, nel nostro convento, qual Guardiano. Però il 1 ottobre 1822, dall’Intendetne di Foggia, il giudice di S. Bartolomeo in Galdo veniva diffidato a che il religioso in parola non fosse più molestato. Altri carbonari nostri furono D. Marcello Cocuzza e D. Vincenzo Pisani, che presero parte ai banchetti dati in convento, e Francesco Ricci, del fu Luigi, massaro di campagna.

Paolo Emilio Imbriani

Nacque il 31 dicembre 1808 a Napoli, e visse molto a S. Martino V.C.. Fu professore di Diritto naturale e Diritto delle genti, all'Università di Pisa. Cospiratore e patriota purissimo, tenne sempre vivo il sentimento dell'unità tra la nostra gente. Dal Borbone s'ebbe sequestrati i beni, e fu mandato in esilio. Nel 1861 fu segretario generale al Ministero della Pubblica Istruzione ed a quello d'Agricoltura e Commercio: all'Università di Napoli insegnò Filosofia del Diritto e Diritto Costituzionale. Nel 1863 entrò nel Senato. Fu letterato, umanista e poeta. Sfuggì alla morte che il Borbone gli aveva decretato, ricoverandosi sulla nave francese "Vauban". Sposò Carlotta Poerio, ed ebbe molti figli. La nobile città che gli aveva dato i natali, raccolse l'estremo respiro nel 1877, il 3 febbraio

Matteo Renato Imbriani

Figlio del letterato Paolo Emilio, nacque a Napoli il 28 novembre 1843. Seguì il padre in esilio, ed ebbe ferrea educazione, dapprima in un collegio privato di Torino, poi in un collegio militare. Nel 1859 combatté coi Piemontesi, nel 1860 fu con Garibaldi a Castelmorrone, tra quei prodi. Nel 1866, capitano, combatté nel Trentino. Si recò in Francia, per rilevare la salma del fratello Giorgio, caduto nel 1870 a Digione, contro i Prussiani. Fu repubblicano ardente. Nel 1871 si ritirò nel nostro paese, dove si interessò di studi militari ed Sodalizio fraterno dell'Isclero", che destò nel popolo nostro coscienza, dignità e solidarietà. Però avversato dai borghesi, volse la mente a Napoli, dove fondò nel 1876 un'Associazione in pro dell'Italia irredenta. Morì, nella sua amatissima "Casa Giulia" il 12 settembre 1901. La nostra gente su "Casa Giulia" pose una lapide, fregiata da rame bronzeo, di quercia e d'alloro, con la magnifica nobilissima iscrizione.

Francesco Del Balzo

Patriota risorgimentale, tenne per più anni la carica di Sindaco di San Martino e di Consigliere Provinciale. Patriota sincero e leale antiborbonico nel 1848. La sua azione amministrativa è ben sintetizzata nella lapide posta in suo onore nella sala del Consiglio Comunale il 10 febbraio 1894.

"... uomo senza macchia e senza paura

ribelle il XV maggio MDCCCXLVIII

Terrore delle Bande Brigantesche

Creatore della finanza di tutte le

opere pubbliche di questo paese..."

Amministratore accorto, energico e capace, fu padre di Carlo e Girolamo.

Don Giovanni Soldi

Siamo nel 1849. L’arciprete del comune di S. Martino, Don Giovanni Soldi, l’otto aprile, con parole sediziose e di oltraggio al re ed al regio governo, interrompeva il predicatore del quaresimale, mentre questi, nel giorno di Pasqua alla presenza del popolo adunato nella chiesa, pregava Dio per la benedizione sul Real Capo, e profferiva parole ancor più nefande, allorché il detto sacerdote, uscì dalla chiesa al finir del sermone. L’arciprete Soldi le cui azioni sono avverse…all’ordine sociale… noto purtroppo pel suo liberalismo, secondo quanto è detto in una riservatissima del Giudice di Cervinara del 24 aprile 1849, all’Intendente di Principato Ultrà, profferì: Basta, Basta, Finitela. Indi finita la Benedizione… il signor Soldi rimproverò il Predicatore … con le altre seguenti espressioni proferite in pubblico. Hai voluto benedire il Re e sta bene; ma che poi hai voluto benedire i suoi Ministri non sta bene; mentre questi dalle Potenze Straniere sono stati riconosciuti come tanti assassini. Per il fatto fu consigliato all’Intendente di Principato Ultra, con riserva dal Segretario di Stato agl’Interni del 4 maggio 1849, che s’ammonisse severamente il Soldi facendogli sentire che non se ne era ordinato l’arresto… giacché egli ha sparlato dei Ministri soltanto, e non già del Re Nostro Signore. Ma se fin’allora l’autorità era stata generosa, non si riduceva per questo l’attività del liberale sacerdote: fu emesso mandato di deposito, per l’arresto, ma l’arciprete s’era già dato alla latitanza. Si credé fosse riparato in Benevento da molto tempo, di là poi si pensò si fosse rifugiato in Napoli, ove era entrato travestito da frate, secondo una lettera dell’Intendente d’Avellino al Ministro dell’Interno, del 6 giugno 1849. Ma i fatti precipitavano: la lettera dell’Intendente di Avellino del 16 giugno, al Ministero Interno, s’apprende che il sacerdote Giovanni Soldi è stato a Benevento. Sicché il famoso arciprete…imputato di diversi reati politici era assicurato alla giustizia borbonica. Chiesta ed ottenuta la estradizione dell’arrestato, il Soldi si trovò alla dipendenza della giustizia. Il padre dell’arciprete, Pietro Soldi, supplicò, con pietosa bugia, l’escarcerazione del figlio calunniato in fatto di politica, ma la decisione della Gran Corte Criminale di Avellino non tardò a porre in libertà provvisoria il Soldi; il quale però, non domo, veniva di nuovo arrestato in Cervinara il 4 febbraio 1850, come si legge in una lettera del comando della Guardia Urbana di quel comune al Direttore Generale di Polizia di Napoli, in data 5 febbraio. Nel marzo 1851 fu chiesta l’abilitazione dell’arciprete Soldi, e venne concessa alle condizioni seguenti: sotto vigilanza e con obbligo di vivere da onesto e fedele suddito, come in una riservata del 29 marzo 1851, dalla Polizia Generale inviata all’Intendente d’Avellino.

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