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 San Giorgio La Molara

Episodi di resistenza in Terra di Lavoro (fucilazione di Raffaele Carretti)

…. tra la fine di agosto e il principio di settembre 1860, le terre già feudali di Vincenzo Ruffo, principe di Sant'Antimo, diventano oggetto di rivendicazioni accanite. Vengono occupate, lottizzate, divise secondo una linea di comportamento chiara e precisa, ma anche ordinata, benchè la partecipazione sia intensa e tumultuosa (circa 2.000 abitanti). Solo una masnada di facinorosi saccheggia il palazzo principesco. Si ripetono anche qui gli scenari di Montefalcone. L'intendente di Avellino (il paese appartiene al Principato Ultra), già in carica nel periodo costituzionale del Regno di Napoli e lasciato in sella da Garibaldi, per la sua estrazione costituzionale (Filippo Capone), manda rinforzi di truppa sul luogo della reazione, che, però non intervengono contro i contadini, suscitando le ire del principe, ammiratore di Garibaldi per lo sterminio di Bronte".

..... tra la fine di agosto e gli inizi di settembre 1860 gli abitanti di S. Giorgio la Molara si divisero in quote le terre ex feudali di Vincenzo Ruffo principe di S. Antimo. Nonostante la massiccia partecipazione popolare (circa duemila persone) l'operazione avvenne abbastanza ordinatamente: fu solo appiccato il fuoco ad un pagliaio. ..... L'elenco degli imputati per l'incendio comprendeva ventuno persone: Giuseppe Bozzuti, Domenico Antonio Caraccio, Giuseppe Caraccio, Antonio de Vizio, Giuseppe de Vizio, Pasquale de Vizio, Vincenzo Facchino, Giovannantonio Fallena, Nicola Girolamo, Feliciano Grande, Michele La Falce, Bartolomeo Mazzacane, Francesco Mazzacane, Vincenzo Mazzacane, Mariano Moffa, Paolo Moffa, Giorgio Palma, Antonio Pescheta, Domenico Pescheta, Andrea Romano e Tommaso Russo. La Sezione d'accusa della Corte di Appello di Napoli, però, dichiarò non esserci luogo a procedimento contro di essi non solo perché non poteva elevarsi alle proporzioni di incendio volontario il fatto di essersi in quel rimescolamento di circa duemila individui appiccato il fuoco ad un pagliaio, poiché nella pretenzione del diritto di proprietà su quelle terre, quel fatto si traduceva naturalmente in un atto di presa di possesso, ma anche perché l'azione penale risultava prescritta avendo il principe di S. Antimo sporto querela solo il 2 novembre del 1863, cioè tre anni e due mesi dopo la consumazione del reato (Sezione d'accusa della Corte di Appello di Napoli vol. 107, sentenza n. 157 del 23 maggio 1865). ..... Non fu possibile evitare, però, che un gruppo di facinorosi saccheggiasse il palazzo dell'ex feudatario. ........ Per questo reato furono rinviate a giudizio trentanove persone: Donato Alterisio, Francesco Belletti, Luigi Belletti, Domenicantonio Caraccio, Enico Rosa Caraccio, Giorgio Caraccio, Leonardo Caraccio, Raffaele Caretti, Remigio Caretti, Antonio Clemente, Tommaso Corso, Domenico d'Angelo, Donato d'Angelo, Antonio de Cicco, Luigi de Cicco, Angelo Maria de Vizio, Antonio de Vizio, Giuseppe de Vizio, Michele de Vizio, Nicola de Vizio, Pasquale de Vizio, Leonardo Facchino, Pasquale Facchino, Vincenzo Facchino, Giorgio Gallarello, Girolamo Giannini, Nicola Girolamo, Vincenzo Girolamo, Serafino Grande, Vincenzo La Falce, Bartolomeo Mazzacane, Francesco Mazzacane, Vincenzo Mazzacane, Paolo Moffa, Giorgio Palma, Vincenzo Paolo Raimondo, Andrea Romano e Tommaso Russo (Sezione d'accusa della Corte di Appello di Napoli vol. 98, sentenza n. 79 del 13 agosto 1864). ..... Tra il settembre e l'ottobre dello stesso anno, però, ci furono, nel mandamento di S. Giorgio la Molara, anche alcune manifestazioni di natura politica. In tale periodo, infatti, fu istruito un processo a carico di dieci persone (nove di S. Marco dei Cavoti ed una di Reino) per fatti e voci allarmanti tendenti a spargere il malcontento contro il governo Analogo procedimento fu aperto, in data non specificata, contro dodici Sangiorgesi. In entrambi i casi, comunque, non essendo il reato connesso col brigantaggio né con altri crimini contro le persone e contro le proprietà, tutti gli imputati furono ammessi al godimento del regio indulto del 17 novembre; ecco i nomi: Carmine d'Angelo, Giacomo de Cicco, Annantonia Grande, Giuseppe Lombardi, Giovanni Marinaro, Tommaso Mirra, Giovanni Onorato, Angelo Raffaele Paradiso, Pietro Paradiso, Berardino Rivellino, Gioacchino Siciliano e Lucia Zillante (Sezione d'accusa della Corte di Appello di Napoli vol. 91, sentenza n. 117 del 23 gennaio 1863). [da: "La reazione borbonica in provincia di Benevento" di Mario D'Agostino, Fratelli Conte Editori, Napoli, 1987]

…. 7 agosto 1861 qualcuno grida l'arrivo di Francesco II e intima "giù i cappelli". Il palazzo del liberale Giuseppe Iazeolla, anche lui in fuga, è fatto bersaglio di colpi. I galantuomini rimasti fanno buon viso e cattivo gioco: fingono di aderire, lusingando la vanità dei masnadieri, accogliendoli con fiaccole e banda musicale. Il giorno successivo la campana chiama il popolo a raccolta nella chiesa per l'inno di ringraziamento. Il capo brigante entra nel tempio a cavallo e si pone parodisticamente accanto alla statua di S. Giorgio, circondato da una corona di galantuomini, in preda ad un eccesso di terrore e di avvilimento. Al rito segue il furto della cassa municipale contenente 3000 ducati, infranta e divisa sul sagrato……

  PALAZZO IAZEOLLA

 

…. Il Governatore Giovanni Gallarini accoglie le pressioni dei liberali di San Giorgio la Molara che sostengono di aver subito danni e saccheggi quando ciò non risponde a verità ….. sono accontentati ……. nella notte del 4 settembre 1861 giungono garibaldini e soldati di linea ….. i cittadini sorpresi nel sonno, sono strappati dai letti o scovati dai nascondigli, provvisoriamente rinchiusi in una grande stalla. Il giudice Aufiero si presta ad imbastire un processo sommario contro il Sindaco Luigi Germano, l'ex capo urbano Michele Pappone e il sospetto di simpatie borboniche Giovanni Paradiso, di cui fa notare che è fratello di un gesuita e padre del giudice di Carbonara messo in carcere come reazionario. Il mattino seguente i tre sono portati nello spiazzale ove si tiene la fiera settimanale e fucilati alla presenza delle mogli e delle figlie che disperate si strappano i capelli e chiedono pietà, proclamando con tutti i cittadini la assoluta estraneità ai fatti della reazione da parte dei loro congiunti. I militari negano ai tre il confessore, proibiscono di dare sepoltura ai cadaveri che devono rimanere esposti a duro monito nella pubblica piazza. Inorridita, la moglie del sindaco vede che un garibaldino, per impossessarsi dell'anello del marito, gli recide le dita della mano. Maledizioni senza fine si levano contro il governatore Gallarini; i sangiorgesi augurano tutto il male del mondo a lui e ai suoi familiari…… quando la corte d'Assise di Benevento dichiarò assolti per non avere commesso il fatto gli imputati: Luigi Germano Sindaco, Michele Pappone ex capo urbano e Giovanni Paradiso, scoprirono che essi erano stati fucilati……..

…… 17 marzo 1864 - processo dinanzi ai giudici militari: imputato Scarino Antonio di Domenico da S. Giorgio la Molara, di anni 28 e di professione braccianti. Lo Scarino, si era unito alla banda Caruso, dall'aprile 1863 fino al novembre dello stesso anno e si era spontaneamente presentato al delegato di Pubblica Sicurezza di S. Giorgio la Molara. I giudici ritengono privo di qualsiasi fondamento quanto asserisce, cioè di essere stato preso con la viva forza da Caruso sulla montagna di S. Giorgio la Molara; gli ricordano i numerosi precedenti criminali a carico che "lo dinotano proclive di sua natura al mal fare e dispostissimo quindi alla vita brigantesca". Faceva parte della banda armata di Michele Caruso che forte dai 40 ai 50 e più individui e più persone andava scorrendo le campagne di Benevento commettendo crimini e delitti. E' condannano ai lavori forzati a vita, stando contro le circostanze di aver appartenuto ad una banda che tutto superò in recar danno alla vita e alle sostanze con ferocia inaudita.

…. 28 maggio 1864 - viene il turno di Peschetta Giovanni fu Biagio, di anni 21, nato e domiciliato a S. Giorgio la Molara, contadino detenuto dal 10 novembre 1863. Si aggregò alla banda Caruso dal 20 agosto 1863 e gli rimase fedele fino al 7 novembre 1863, quando rimase ferito in uno scontro; lo arrestarono tre giorni dopo in una pagliaia nel bosco di Riccia. Condannato a morte.

……21 giugno 1864 - manutengoli di S. Giorgio la Molara: sono Marchetto Pietro di S. Giorgio la Molara, di anni 25, boaro e Callisto Nicola di anni 56, da Molinara, domiciliato a S. Giorgio la Molara, egli anche boaro. Nei mesi di settembre ed ottobre 1863, portaste zucchero e limoni al brigate ammalato Silvestro Pasquale della banda Caruso. Avete detto sotto la minaccia del capobrigante Caruso". "Sì" "Non potevate negarglielo il soccorso?" "Noi? Signor presidente, ma voi lo avete visto, lo avete conosciuto il colonnello Micliele Caruso?". Il Sig. Presidente, preso alla sprovvista, dice di no. Dice di no, perchè è un soldato e i soldati non dicono bugie. Guarda i due boari. Se ne stanno zitti, dopo aver all'unisono mandato un lungo sospiro. L'aiuto non sarebbe stato di libera volontà; manca la gravità d'intenzione per commettere il reato". …. non luogo. I due se ne stanno lì impalati. "Potete andare". In quale luogo dobbiamo andare a scontare la pena?" In nessun luogo, siete rimessi in libertà. Siete stati assolti. Avete capito?" "Sì, Sig. Presidente, ora abbiamo capito!".

……. 2 luglio 1864 i soldati portano in aula Caretto Donata alias Scopellina da S. Giorgio la Molara, di professione lavandaia: ha 88 anni. Detenuta dal 14 novembre 1863, è accusata di avere scientemente e di libera volontà dato ricovero, viveri e medicinali al brigante Tocci Nicola della banda Caruso, ferito nello scontro avuto con la pubblica forza nel bosco di Monticchio. Periodo del ricovero: 8 ottobre - 14 novembre 1863; luogo: una pagliaia distante un miglio da S. Giorgio la Molara. Nella pagliaia sono stati ritrovati un fucile, un cappotto, una valigia del Tocci, da lui abbandonata prima di lasciare il rifugio. "Vi rendete conto di quello che avete fatto? "Sì, Sig. Presidente!" "Perchè non lo avete denunziato?" "Come facevo in così pochi giorni?" "Avevate tutto il tempo per farlo". Siete condannata ad anni sette di reclusione, da oggi 2 luglio 1864". "Ma Sig. Presidente, ho 88 anni; il Re Vittorio Emanuele II non mi può fare la grazia?" "Volete inoltrare ricorso?" È un vostro diritto. Fatelo al Tribunale supremo di guerra a Torino. (Il ricorso fece presto ad arrivare e presto a tornare. Respinto in data 17 novembre 1864).

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