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FRASSO TELESINO

LA RIVOLTA DELL'ARCIPRETE FILOBORBONICO

 

......... una sedizione di proporzioni notevoli scoppiò anche a Frasso il 27 settembre 1860 per un semplice equivoco. Le truppe borboniche di stanza a Caiazzo, infatti, restate a corto di viveri, ordinarono al sindaco di Frasso, sotto la minaccia di sacco e fuoco, di consegnare loro al più presto del pane. Questi pensò che il modo migliore per allontanare dal paese ogni pericolo fosse quello di far emanare un bando con il quale si invitavano tutti i cittadini a far fronte, nel più breve tempo possibile e con generosità, alla richiesta dei soldati. La popolazione, interpretando male il senso di quel bando, pensò che le forze borboniche avessero avuto il sopravvento su quelle liberali e, portando in mano ramoscelli di olivo, si riversò per le strade acclamando Francesco II. I reazionari più accesi, intanto, attaccavano e disarmavano il posto della guardia nazionale abbattendo le statue di Vittorio Emanuele e di Garibaldi, distruggendo lo stemma dei Savoia e rimettendo al suo posto quello borbonico. Fino a questo punto, come si vede, la rivolta fu di natura esclusivamente politica. Nel pomeriggio, però, nello spaccio di tabacchi di Gabriele Gisondi, ci fu un tafferuglio durante il quale, mentre Luigi Marcarelli picchiava violentemente il proprietario ed altri astanti, Giuseppe Calandra, per vendetta personale, uccideva con un colpo di fucile il canonico Luigi Norelli. Il paese restò in mano ai reazionari per ben tre giorni. Il 29 settembre, infatti, Bonaventura Matera e Cosmo Iannucci arrestavano i liberali Gabriele Lombardi ed Andrea Ianniello consegnandoli ad un ufficiale borbonico. I due, però, venivano subito dopo rilasciati dalla truppa di Francesco II ormai in rotta. E il giorno seguente i garibaldini entravano in Frasso da trionfatori.

[NOTA: ecco l'elenco di coloro che presero parte attiva alla reazione. Antonio Altobelli, Clemente Amore, Carmine Calandra, Giuseppe Calandra, Andrea Calvano, Antonio Calvano, Clemente della Selva, Michele della Selva, Antonio de Nigro, Carmine de Vico, Antonio Formichella, Giuseppe Formichella, Leone Formichella, Bonaventura Fusco, Giuseppe Galietta, Alfonso Grasso, Andrea Grasso, Amodio Guerriero, Antonio Guerriero, Cosmo Iannucci, Luisa Manes, Bonaventura Matera, Marianna Mauriello, Luigi Musiello, Domenico Nicolella, Giovanni Nicolella, Gabriele Norelli, Pasquale Norelli, vincenzo Norelli, Michele Paciello, Giuseppe Rainone, Giovambattista Santanastaso, Errico Saquella, Olinto Saquella, Cosmo Torillo; Michele Torilli, Carmine Viscusi, Clemente Viscusi e Filippo Viscusi. Tutti gli imputati furono ammessi al godimento degli indulti del 17 febbraio 1861 e del 17 novembre 1863 per i reati politici. Giuseppe Calandra, quindi, venne rinviato dinanzi alla Corte di Assise di Benevento solo per l'uccisione del canonico Norelli, come il Marcarelli era stato già condannato solo per le ferite inferte durante la rissa nella tabaccheria (Sezione d'accusa della Corte di Appello di Napoli). I garibaldini che entrarono in Frasso per sedare la rivolta erano comandati dal maggiore Giuseppe De Marco come si deduce da un attestato rilasciato il 28 febbraio del 1884 al loro portabandiera Felice Varricchio fu Ferdinando dal sindaco di S. Leucio del Sannio Zamparelli (Archivio Manocchio, Pesco Sannita) da: "La reazione borbonica in provincia di Benevento" di Mario D'Agostino, Fratelli Conte Editori, Napoli, 1987]

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