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FRAGNETO MONFORTE

AL TEMPO DELL'UNITÀ D'ITALIA (1860)

DELITTO di "Cicco o 'uardiano (1863)"

FRAGNETO MONFORTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AL TEMPO DELL'UNITÀ D'ITALIA (1860)

di Nicola Santillo

da: "Vivevamo così" - Edigrafica Morconese, 1996

[…] Le lotte, le resistenze degli occupati e degli occupanti, prima che fosse raggiunta l'unità d'Italia, sono note dalla Storia. Erano tempi di grandi e nuovi fermenti per l'intera penisola italiana. Il proposito di unificare in unica nazione il territorio dalle Alpi alla Sicilia stava realizzandosi. Intese, trattative diplomatiche, guerre tenevano in fermento le relazioni tra le Nazioni. Nel Regno delle due Sicilie i fatti ebbero questi avvenimenti. Nel 1859, era morto Ferdinando II e al trono era salito il figlio Francesco II di appena 22 anni. Vittorio Emanuele II, Cavour , Garibaldi non rimasero a guardare, ma, spinti dagli eventi, si mossero. Garibaldi, con il famoso gruppo dei mille, salpò da Quarto diretto in Sicilia (6 maggio 1860), e poi passò in Campania. In queste zone, la guerriglia di reazione da parte dei locali sudditi del Re Borbone, fu spontanea e fu più viva nella terra campana. Per Fragneto Monforte, in particolare, che aveva diverse persone legate al Re Borbone, due giornate meritano di essere tristemente ricordate: il 10 e il 24 agosto 1861. Nel primo giorno, due uomini furono fucilati da rivoltosi in località Piano Iannalico [piccolo pianoro di Fragneto Monforte vicino alla Torre del Mulino a vento]: - Petrone Nicola fu Pasquale di anni 30, ucciso a colpi di fucile, dagli insorti e rivoltosi, ma però fragnetani, e - De Angelis Rosario fu Cherubino, da Casalduni, di anni 60 circa, ucciso a colpi di fucile, da rivoltosi, venuti qui, (perché) stimato loro nemico. Nel secondo giorno, in localita Cupa di Mezzo, andando verso Mulino (di Campolattaro) e la via di S. Leonardo, (zona oggi chiamata Passarielli), furono freddate sette persone. I fatti dovettero svolgersi così. Nel vicino comune di Pontelandolfo, alcuni contadini, armati di attrezzi agricoli, rinchiusero nella locale Torre i militari della Guardia Nazionale e diedero fuoco, provocando la morte di diversi soldati. Quelli, ubriachi di gioia, vennero a Fragneto Monforte per solennizzare l'avvenimento. Alcuni curiosi fragnetani si unirono ai manifestanti, girando per il paese. Si seppe dell'accaduto e conosciuti i nominativi dei creduti sediziosi, nottetempo, una truppa di soldati piemontesi, venuta in Fragneto con il massimo silenzio e precauzione, li prelevò e li portò al luogo soprannominato per fucilarli. Erano: Michelangelo Mastrogiacomo, fu Nicola, di anni 36; Angiolo Gabriello Cirelli, fu Antonio di anni 34; Nicola Maria Molinaro di Ferdinando, di anni 40; Pasquale Mastrocinque fu Pietrantonio, di anni 39; Tommaso Evangelista fu Andrea, di anni 41; Nicola Saverio Cantoro fu Antonio Maria, di anni 46; Lorenzo Giovanniello fu Rocco, di anni 28. Quest'ultimo, marito di Maria Caterina Cusano, ferito gravemente, fu creduto morto. Portato a casa del cognato Crescenzo Cirelli, ebbe il tempo di ricevere i Sacramenti da Don Andrea De Longis. Inutile fu la protesta del Sindaco, Bartolomeo Pellegrino, che ricorse al Rappresentante della Monarchia in Benevento, perché, come ogni ben pensante, considerava illegittima la fucilazione di persone senza un regolare processo…….. Nel 1879, il rev.do D. Giovambattista Mastrogiacomo indirizzava ad un suo amico, una lunga lettera che parla della presenza di briganti a Fragneto Monforte ed è riportata nelle Memorie e Documenti per la ricostruzione della Chiesa Madre - tomo II.

"Caro amico, voi spesso mi avete premurato avere da me una piucché precisa relazione,... con le circostanze tutte sacrilegamente verificate nell'orribile sacrilegio commesso contro il Divinissimo Sacramento in questo Comune nella notte dal 15 al 16 del mese di ottobre 1863, nella Chiesa ed Oratorio della SS.ma Croce, ove dal di 23 novembre 1851 ufficiavasi da Chiesa Parrocchiale. Ma priacché scriva l'esecrando eccesso è bisognevole notare lo stato anormale in cui trovavasi il nostro paese in tale epoca tristissima figlia di una diabolica rivoluzione. Ma però vi prego ritenere che sempre, e meno del vero esporro: ciò e per l'atrocita del sacrilegio, e per l'orribile impressione cagionatami! O Dio, che straziante orrore per un cuore cattolico! Sappiate per tanto che dal primo momento che la maledetta rivoluzione prese il di sopra, noi tutti di questo Comune non abbiamo ritrovato pace, quando qui stesso per opera di pochi individui marcati sempre per empii, e scellerati, la figlia primogenita di Lucifero ritrovò sede, difesa, e domicilio. Se dovessi dir tutto!! Gli anni, i giorni adunque dal 1860 al 1863 sono stati per noi amarissimi, e tribolati, degni della maledizione eruttata da Giobbe, ripensando al momento del suo concepimento, ad apparizione sul mondo. Nel detto anno 1863, quasi giornalmente siamo stati atterriti dalla funesta notizia or di occisioni, fucilazioni, ricatti, arresti, bruciamenti, e dalla vista or di 30, ora di 40, ora di 50 briganti a cavallo, i quali per lo più avevano questo itinerario.. Botticella, Monteleone, Parata, Torre di Francavilla, Mottola, etc. il loro capo era il terribile Michele Caruso, nato in Torre Maggiore nella Puglia. Uomo sanguinario, crudele, orribile. Si diceva avere nelle sue scorrerie ucciso al di la di 1200 persone, e che allora lieto giudicavasi quando nella sera ripensava aver nel giorno versato sangue umano, bruciate masserie e casamenti, arrecato danni, e desolazioni. La sete di sangue di questa piucché jena umana era inestinguibile. Fu fucilato in Benevento (dopo che fu) preso come un cane in Molinara! La sventura aumentavasi quando allo scomparire dei sopradetti da qualche località, e dopo avere percorse le decine di migliaia appariva la truppa irritata, corriva, superba, intollerabile, disfogando la sua irragionevole ira contro i poveri massari, coloni, garzoni, ora con arresti, ora con percosse, ed altri danni e ciò per nascondere la propria debolezza, e paura. Alle volte, o sempre, più danno arrecava il soldato, che il brigante! Qui non è necessario riportare alcuni fatti, ed aneddoti curiosi e barbari. I caporioni della rivoluzione se gia insellati temevano un contraccolpo, che certamente sarebbe riuscito, se i tradimenti di capi delle truppe del legittimo Sovrano non si fossero verificati; e per questa ragione gli ordini erano severissimi. Ma i fatti atroci sanguinosi in questi nostri luoghi insegnarono che per vincere occorre ordine, e forza,. e perché la forza era debole, i fatti avvenuti furono atrocissimi, la truppa compariva sempre giorni dopo, e per non perdere il prestigio ingiuriava ed opprimeva gli sventurati. Ricorderete felicemente quello del 24 febbraio verificato nella torre Francavilla verso l'ore 14. Apparvero nel detto luogo il fiero Caruso, e compagni, che tutti, altri dissero, un 70, altri un 60, altri meno, altri più, ma tutti a cavallo. Saputosi dai Soldati di guarnigione in Torrepalazzo, costretti dagli ordini severi, e mossi dall'imprudenza, si presentarono schierati, e come risoluti.. Infelici figli... furono tutti barbaramente uccisi calpestati dai cavalli e fucilati, sbranati... Erano 18, altri dissero 26. I loro gridi, e urli giunsero sino a noi, e tutti restammo atterriti ascoltando il vero fatto con le circostanze tutte. E ciò che fece più impressione fu il sapere che dei briganti nessuno affatto restò leso, o ferito. I briganti dopo tanta crudeltà, e strage, e quel Caruso che pochi giorni prima in Circello per provare la sua carabina aveva tirato ad una infelice donna che poco lontano per suoi fatti ne passava, e che era anco incinta, posero fuoco al pagliarone pieno di carri, aratri, ed altri attrezzi di agricoltura, ed alla stragrande reglia di paglia, e fieno, che l'una e l'altro per più giorni arsero atterrendo tutti! Tutto frutto della rivoluzione. Ed intralasciando altre funeste apparizioni, quella del mese di Maggio incusse maggiore timore all'abitato. Calando da Botticella sul Molino di Campolattaro, salendo sulla strada della Battaglia, dirigendosi verso la taverna del Frassino nell'Ex-Feudo di Rapinella etc. e stando a vista di noi tutti, causarono sgomenti e paure. Alcuni stravaganti avrebbero voluto suonare le campane a martello! Forse non si crede! Ma la Divinita sta per mettere termine alla loro ferocia, dando il comando all'uopo al Generale Pallavicini, e la prima scossa fu data nel di 6 ottobre, ma però non completa, come poteva essere, nè bene eseguita. Perseguitati nel tenimento di Campolattaro, si gettarono nell'Ex Feudo di Monterone dirigendosi verso Francavilla. Camminavano sicuri, e cantando; giacché il comandante la truppa stanziata in Campolattaro, pensando alla sua pelle, e calzando le scarpe di bronzo, davali tutto il tempo di allontanarsi. Eglino giunsero sulla strada nuova in costruzione, dispensarono danaro agli operai manifestarono alcune bravure, e si dettero a salire il monte. Quando furono a giusto tiro, dalla torre Francavilla uscì un gran numero di soldati, e s'incominciò il fiero attacco. I briganti, un 70 individui disperati restarono sorpresi, ma molto ancora i soldati vedendosi in mezzo alle jene e sanguinarie tigri. Era orribile il vedere l'incontrarsi, il fuggire, il confondersi soldati, e briganti: ritirarsi a vicenda. Osservai distintamente l'orribile attacco col mio occhialone... Osservai un vero orrore quando i briganti fingendo ritirata, ad un istante disperati decisi si gettarono sparpagliando la truppa, dividendola. Il combattimento durò più che due ore, e soli due briganti restarono uccisi, e prese due infelicissime giumente. Per me, e per gli altri è stata sempre un mistero riflettere al numero di morti, mentre soldati, e briganti erano tra loro confusi. Qui un poco di risa, se mi è lecito. Quel capitano stanziato in Campolattaro sopra nominato, e che solamente aveva sentito i colpi nella loro sede, qui ritornando gridava in piazza, dimandando carri, e traini pel trasporto di briganti. Buffonata! I Briganti destramente svincolandosi, come i cani disperati passarono nel nostro tenimento, e fermati nel luogo detto la Crcella S. Maria, gridavano ingiuriando la truppa. Quello però che mi faceva piangere, ed orrore, era vedere uscire i colpi dei fucili. Scomparve per grazia di Dio questa sanguinaria orda, che poi fu distrutta, e giammai riunita. Allora si aprirono gli occhi ed intimato lo Stato di assedio ai circostanti Comuni, ed ordini i più severi furono emanati. Proibizione di portare pane, vino ed altro commestibile per le campagne. Non biada nè grano, nè orzo se non mescolato con cerzore (?), calce, o torchinella. E quest'ordini per quanto gravosi, erano pur troppo necessari. La desolazione veramente s'impossessò di noi quando nel giorno 10 ottobre nel Comune ne venne un'intera compagnia di Soldati, e fu dato l'ordine a tutti, e campagnoli, e Massari una coi propri animali ritirarsi nell'abitato, ed il paese fu circondato dalla truppa, non permettendo a nessuno uscire. I Superiori, e soldati erano in continuato movimento, ed osservazione: nessuna cosa avveniva che avesse potuto compromettere il decoro e pace del paese. In questo frattempo si incominciò a più palesemente maledire la rivoluzione, e gli autori, imparandola dai soldati, e superiori. Per verità, godevamo pace, e pane e libertà. Ma dal momento che questa figlia del diavolo è stata evocata dai settari, dai traditori, ed empii sulla terra, abbiamo perduto tutto. L'assedio durò sino al di 15 ottobre, nel quale giorno partirono i superiori ed il paese diede un sospiro profondo, e mestissimo. Ben avvertiva il desiderio di campagnuoli, e massari recarsi nel dì seguente ad accudire, e curare i propri interessi, e perché la mente di tutti erasi stravolta e distratta, ordinai al sagrestano piuttosto per tempo nel dì seguente avesse suonato il mattutino, acciò ciascuno dopo la S. Messa fosse andato per i propri fatti. La campana fu suonata circa un due ore prima della nascita del sole ed immediatamente egli si portò ad aprire la porta della Chiesa, avanti alla quale vi trovò tre o quattro donne genuflesse, come al solito. Apre il sagrestano la porta, e sorpreso osserva la lampada estinta, non essendo peranco scorso molto tempo da che e venuta accomodata, e rifusa. Accende il fiammifero, e con questo la lampada ed un mozzicone di cera e si avvicina nel mezzo dell'altare per genuflettere, ed adorare, e vede sulla predella due candelieri di Ottone attinenti allo Altare, alzò gli occhi tra la meraviglia e lo stupore, ed osserva la Sacra Custodia aperta, mancante della portellina di argento, si alza sbigottito e tremante, e gridando si avvicina, vede che nella Custodia non eravi la S. Pisside..! Piange, grida, urla, corrono tutti, si accendono più lumi, la folla si aumenta... e nel contempo avvertono che peranco mancava la nobile terza tovaglia. Questa stava piegata, esposta all'angolo dell'Epistola forse per esser peranco trafugata. Il pianto si aumentò ed i gridi pensando essere stata rubata la Pisside una con le Specie Sacrosante... Questo fu un momento angoscioso, terribile, ed intelligibile dal solo cuore cattolico, ed amante di Gesù Sacramentato. I più arditi sollevano la piegatura della seconda tovaglia, e sorpresi da tanto orrore appunto quello che la S. Fede Cattolica somministra, osservano Gesù Cristo, Vero Dio, Vero Uomo, vivo, vero, glorioso, trionfante, come siede alla Destra del Suo Eterno Padre... gettato, avvilito, disprezzato., screditato da figli ingrati, e dal suo sangue redenti... Il sagrestano corre frettoloso a chiamarmi, e piangendo, e gridando mi annunzia, dice "... hanno rubato la Sacra Pisside, ed il Divinissimo sta gettato sull'altare... la Chiesa è piena di gente... tutti a piangere…". Restai avvilito... diedi un grido... avrei voluto volare, essere in Chiesa! Ripensai al Sacerdote di... Mille orrorosi pensieri mi passarono per la mente, e come Sacerdote, e come Parroco con tutto il cuore maledissi l'esecrando sacrilegio. Quando entrai in Chiesa il popolo alzò un grido fortissimo di pianto, e sospiri, ed io gridavo piu di tutti. Mi porto sull'Altare vestito di Cotta, e Stola, tremante, impallidito... alzo la piegatura della tovaglia, osservo e vedo coi propri miei occhi, ma più con della S. Fede... vedo l'Onnipotente, l'Infinito, il Consustanziale al Padre... il Redentore amantissimo... il Figlio naturale, carnale di Maria Vergine!.. e con tutto il cuore gridai: "Miserere mei, Deus" salmo che fu più volte ripetuto. Raccolte con ogni possibile rispetto le Specie SSme, e perché sorse in noi un dubbio gravissimo temendosi che i Sacrileghi non avessero gettato sulla Predella l'Ostia Santa, anche ivi ed altrove fu rovistato, ma grazie a Dio non fu così ed ancora ne sento consolazione. Riposto Il Santissimo nell'altra Pisside, ed esposto all'universale adorazione: volai sul Pulpito. Cosa vi dissi? Detestai l'orrendo sacrilegio; maledissi abborrendo l'esecrando delitto e protestai a Gesù Sacramentato affatto non esser venuta meno la nostra fede, sebbene avvilito, e disprezzato da chi affatto non meritavano il dolce nome di figli, e di redenti. Dopo iterati atti di fede, speranza e carità, invitai tutti gli astanti adorare Gesù Cristo per qualche tempo con la faccia per terra, atto purtroppo necessario, ed opportuno. Proseguendo il mio dire, appalesai, e dimostrai col fatto non essere in avvenire necessario correre con divota mente a contemplare gli oltraggi di Gesù sofferti, e patiti in casa di Anna, Caifasso, Erode, e Pilato: non percorrere la dolorosa, ed ignominiosa strada del Calvario: non per essere ivi presente a sentire, e contemplare gli schiamazzi di carnefici. Crocfissori, plebaglia fiera e concitata, le bestemmie, i disprezzi. Nò, ma m'è necessario colà volare col pensiero vedendoli qui rinnovati, e più sacrilegamente ancora. Mentre i Giudei, i Carnefici, Scribi, Farisei, popolo e giudici non vi conobbero, o mio Dio; ma chi sacrilegamente intanto vi disprezzò nella passata notte, vero Dio vi avea creduto, vero Dio vi aveva adorato e temuto. Non si legge, nè si può leggere giammai in veruna Storia essersi trovato mai un demonio, né tutti insieme, i quali abbiano fatto il minimo male, o disprezzo a Gesù Sacramento! Ciocché non ardiscono i demoni, l'opera l'uomo ingrato, e scellerato. Infatti, quando mai s'è inteso che un demonio abbia rubato una sacra Pisside? Buttate per terra le sacre consagrate particole? Noi abbiamo sotto gli occhi l'uno, e l'altro, e l'autore è stato un cristiano empio, sacrilego più di tutti i demoni insieme. etc. Informai la R.ma dell'avvenuto, e quantunque mi fosse imposto un triduo di riparazione, giù l'aveva incominciato nel modo più solenne che avessi potuto, e tale triduo in ogni anno ricorrendo l'anniversario del sacrilego successo, è celebrato, e spero così fare sinché Gesù Cristo mi darà vita. Devo però confessare esser vero quel detto di S. Agostino, che Iddio giammai avrebbe permesso il peccato, se dal peccato non avesse ricavato maggior bene. Viva quindi Gesù Sacramentato, mentre da quel nefando momento ho veduto ne' miei figliani maggiore rispetto, amore, e frequenza nel riceverlo. Viva Gesù, il quale ha dato a me la bella occasione di appalesare con annuo apposito triduo di prediche il suo amore, la carità, la benignità, ed un treno infinito d'infiniti attributi. Così siano gradevoli al di lui cospetto i voti miei ed i miei desideri siano da lui benedetti! Avvisai l'Autorità civili: ebbene in Chiesa non si avvicinò nessuno. Nessuno dal circondario, nessuno dalla Provincia! Eppure trattavasi di affari oltremodo positivo, unico, e scelleratissimo! Andai io in Pesco! e non accusai veruno, poiché nulla sapeva! Ma fu necessario avvertire, che al presente pare rinnovellato l'antico-eretico-diabolico odio contro l'Amorosissimo Sacramentato Gesù; contandosi a centinaia, e come posto all'ordine del giorno lo scassinare Chiese, Sacre Custodie, e rubare Pissidi! E mentre faceva inserire nel periodico "Scienza e Fede" l'orribile sacrilegio, nello stesso leggevasi avvenuto altrove. Ora come a conclusione devo riferire il fatto nel lato materiale. Entrarono i ladri pel finestrone che sporge nell'orto, strappando la rete di ferro del telaio, non essendovi invetriata perché era stato rotto. Si gettarono nella Chiesa! Aprirono la S. Custodia, rubarono la portellina di argento, in essa effigiato il divino Pellicano. Trassero la S. Pisside, rovesciarono le Sacre Particole come ho detto, svitarono la coppa ch'era di argento, lasciando il piede di rame, e che io per memoria feci annettere alla nuova Pisside. Ascesero l'altare e vi si vedevano l'impressione delle scarpe sulle tovaglie, rubarono alcuni oggetti di oro sulla Imagine di Maria SS. del Principio, e della Purità; ruppero il globo che era nelle mani del SS. Bambino, che gettarono in terra perché legno. Entrarono in Sagrestia, scassarono lo stipo, e rubarono i vasetti di argento per gli olii del battesimo. Aprirono lo stipone degli arredi, via portando i diadema di S. Antonio, e SSmo Bambino di ottone indorato. Quindi carichi più di sacrilegi, che di roba, aprorono la porta della sagrestia, corsero maledetti da Dio, e dagli uomini al complemento dell'iniquità senza nome, a dividersi la preda. La portellina è stata fatta, ed è più bella della prima: la pisside, e i vasetti peranco.. e lo spesato è stato di Ducati.(?).. Nell'Aprile avvenire 1864 una veemente pioggia scavò da sotto terra la tavoletta della Portellina, e ciò nella contrada Reventa. Avutala me ne servii per la nuova Portellina come di rinfaccio agli empi, ed a gloria di Dio. Se userete la minuta relazione della cosa, detestate con me il Sacrilegio orribile, e meco benedite la bontà di Dio, e mi segno Vostro Obb. ed Oss. servo

Giambattista Arciprete Mastrogiacomo.

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Delitto di "Cicco o 'uardiano (1863)"

 

In Fragneto Monforte aveva sede la Guardia Nazionale, comandata da un certo Francescantonio Iannella, da Torrecuso (comunemente detto: Cicco 'u 'uardiano), che, al momento della manifestazione, era fuori sede perché, con militari, era andato a sedare altri tumulti. Era venuto qui nel 1840 in servizio di guardiano dell'ex Feudo di Monterone. D'indole prepotente e scostumato, fu la disperazione di molti faticatort della zona. Fu tolto dall'incarico. Per imputazione di furto finì in galera, ma ne uscì presto per la paura dei testimoni che asserirono il falso temendo probabili vendette dal medesimo quando sarebbe uscito. L'Arciprete Mastrogiacomo scriveva "Iddio serbavalo a nostra mortificazione!". In occasione degli avvenimenti per l'Italia unita, andò fino ad Ariano, portò a sventolare nella città pontificia di Benevento la bandiera piemontese, fu promosso Ufficiale della guardia nazionale, consigliere del Comune ed assessore! Aveva corrispondenze con le bande e truffava denaro e riceveva regali. Consapevole che sarebbe finito ucciso, vendicava la sua futura morte con soprusi anticipati. La goccia che fece traboccare il vaso fu quando uomini cui aveva promesso protezione e n'aveva ricevuto denaro, furono addirittura arrestati! Pare che i parenti interessati si siano dato convegno nella casa di campagna a le Reule, e, dopo aver mangiato un agnello, decisero l'uccisione di Francescantonio Iannella. L'agguato fu preparato nei dettagli. Alla giornata stabilita un uomo, forse un Evangelista (Santoro), si appostò sul campanile, un altro nella casa diruta che era dove oggi è l'attuale bar Tiglio, e un altro più sotto. Quando Francescantonio Iannella stava per prendere via Botteghe, fu sparato e ucciso sul colpo, così come si deduce dalla relazione che ne fa l'Arciprete Mastrogiacomo. Nel Registro dei Morti (1848-1887), in una pagina intera, è annotata così la sua morte. 'A' sette settembre 1863 - Francescantonio Iannella, nato in Torrecuso, ma domiciliato da vari anni in Fragneto Monforte, marito di Maria Andreni (?), figlio del fu Gennaro, ed Agnese Filippelli di anni 46. Nel mezzo della Piazza, propriamente avanti la porta dello Stallone Ducale, vicino alla Casa Comunale di Fragneto Monforte, con 18 palle esplose da tre colpi di carabina, ricevuti nel lato destro (corretto: sinistro), alle ore due e mezzo di notte, e morto ucciso pochi passi lontano dai ricevuti colpi!! Giustizia di Dio! Verissimo l'oracolo di Gesù Cristo "Qui gladio ferit, gladio perit" (= chi di spada ferisce, di spada perisce). Quest'uomo fu nel corso della rivoluzione il terrore, lo spavento del nostro povero comune! Egli vi si gettò con tutta l'energia e divenne l'orrore di queste contrade. Quanti uccisi per sua colpa e dalle sue mani, quante case spiantate ed assassinate!). Manca la indicazione del luogo del seppellimento e la firma dell'Arciprete che ha redatto l'atto di morte. Con sommo sollievo, tra il popolo cominciò a circolare questo detto:

Cu 'na palla e 'nu turnese,

S'e quietato 'nu paese.

Beata 'a chella mano,

c'a premuto chillo cane.

Con un colpo di fucile e con un denaro

s'e calmato un paese.

Sia ringraziata quella mano

che ha premuto il grilletto.

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Fragneto Monforte

di Pietro Zerella

da: "Preti, contadini e briganti nell'Unità d'Italia (1860-'62)" - La Scarana, 2000

[…] Piccolo comune, sito su una dolce collina, nelle vicinanze di Fragneto l'Abate, Campolattaro, Pontelandolfo, Casalduni, e a pochi chilometri da Benevento, feudo e dominio dei Duchi Montalto, dal 1612 fin quasi ai giorni nostri. Continuando a seguire il filo delle testimonianze, vediamo come gli abitanti di questa comunità, così vicina ai luoghi dove si svolsero i terribili fatti di storia e di brigantaggio del 1860 - 1863, vissero quei momenti. Attraverso una ricerca del parroco di Fragneto Monforte, don Nicola Santillo: "Vivevamo così" e da "Tutto Fragneto, minuto per minuto, abbiamo potuto aggiungere qualche nuova attestazione di quei giorni. È una testimonianza fresca, impressionante, che confermerebbe quanto da noi già scritto, ma percepita da un personaggio speciale, da un luogo che è stato teatro di rivoluzione ed antirivoluzione, che ha visto incendi, saccheggi e fucilazioni. Per le simpatie dell'autore, si può credere che certe riflessioni siano di parte, ma il religioso vola alto, riesce a distinguere le azioni nefande dei briganti e dei facinorosi e le intemperanze dei soldati piemontesi. Don Giovambattista Mastrogiacomo, Arciprete di Fragneto dal 1851 al 1901, simpatizzante dei Borbone, trascrive fedelmente i fatti e gli avvenimenti di Pontelandolfo, di Casalduni, dei parrocchiani e parla della propria posizione politica. I ricordi di don Giovambattista si soffermano sugli avvenimenti del mese d'agosto di quel 1861: "La giornata di venerdì 9, e di Sabato 10 e di oggi 11 agosto 2^ domenica, saranno tali giorni segnati come i più spavaldi e terribili! Dovrebbero essere trattati come Giobbe trattò il dì della sua nascita! Bastasi sapere che nessuno sacerdote ha celebrato! Nessuna campana è stata suonata nel mattutino, né pel mezzo giorno, né per l'Ave Maria della sera e quasi tutto ha durato sino al dì 16... tutti a nascondersi, a fuggire..." Furono giorni, di pericolo, di paura, di terrore e si pregava nelle chiese. Si faceva partecipare anche i santi alle vicissitudini del momento. Questi erano divisi "in pro o contro" la rivoluzione! A Fragneto furono trasportati in piazza, per le preghiere, le sacre immagini di S. Nicola, S. Antonio e di S. Francesco Saverio. Un soldato, ricorda l'arciprete: "un barbaro piemontese diceva che solo S. Nicola era un gran Santo, che gli altri due erano reazionari"! Lunedì 12. "Solamente Don Matteo ha celebrato. Appena giorno che orribile allarme si sparse pel Comune; laonde tutti a fuggire a nascondersi; ma grazie a Dio non vifu cosa". Il giorno dopo, fu un falso allarme, perché un gruppo d'uomini che andavano al mercato a Benevento, da lontano, furono scambiati per armati. Si ritenevano soldati piemontesi, venuti per la reazione dei giorni 9 e 10. "Tutti si dettero a sfrattare le case, a nascondere in luoghi più reconditi e meno frequentati ogni mobilio, sulla certezza che dopo (essere stati) consegnati alle fiamme li detti Comuni; lo stesso dovevasi verificare per noi! Non si mangiava, non si beveva, solamente si piangeva..." L'arciprete così parla della reazione: "In questa settimana si organizzava in molti convicini paesi una reazione contro l'attuale governo piemontese, ed a favore di Francesco 2°. Ciò praticavasi più attivamente da' soldati sbandati, e dagli imprudenti, che affatto non mancano. I capi della rivoluzione alquanto atterriti o fuggirono o permisero. E certo che Venerdì 9 circa un 500 armati, comparvero sulla Croce S. Vito una decina di persone tra paesani e forastieri, facendo da capo un tale di Pescolamazza chiamato Francesco Iesce. All'apparire di costoro, uomini ma più femmine, ragazzi corsero incontro gridando: Viva Francesco 2°, piangendo, con fazzoletti bianchi in cima di mazze e canne! S'entrò nel paese, ed allora la cosa prese altro aspetto: si disarmò il corpo di guardia, coi denti si lacerò la bandiera tricolore, si distrusse lo stemma Piemontese...". Il parroco soggiungeva: "Cosa io facevo? Io veramente ero afflitto, guardavo le conseguenze, piangeva! Tremava di me e ripensando all'opinione sparsasi relativa al mio sentimento e che era capita dai rivoluzionari. Ed il paese che faceva? Gridava: viva Francesco, il disprezzo, le satire contro la Reale famiglia Borbone, avevano assai irritato il popolo! Le bestemmie, le profanazioni!..." La posizione politica del parroco non passò inosservata ai liberali e ai piemontesi, le voci correvano. Mastrogiacomo era ritenuto filo borbonico e quindi pericoloso. Sabato 10 agosto, è sempre l'arciprete a ricordare: "erano le ore 12 circa, dopo avere in Pescolamazza legato all'olmo in mezzo alla Piazza fucilato D. Luigi Orlando, un 50 Piemontesi Bersaglieri giunsero ferocissimi qui. Entrarono atterrendo a colpi di schioppettate, vocioni, anzi stimandosi da veri paesani che fossero Borbonici prima di giungere nel paese furono salutati con bianchi fazzoletti, ed essi risalutarono egualmente... Otto col Tenente vennero ad arrestarmi! Mentre ero portato, il Tenente mi parlò della fucilazione eseguita in Pesco. Eravamo sulle gradelle, ivi si accrebbe la paura, avendo il tenente comandato ai soldati impugnare il fucile! Eravamo sotto il campanile, ivi incontrai il mio caro Fratello sacerdote D. Orazio Fusco, cui inginocchiato dimandai l'assoluzione!!! Mi presentò al Capitano, che mi sembrò truce: mi comandò un passo indietro con un urtone... D. Orazio parlò... dopo di lui altri... e molti in mia difesa! ... Fui liberato .. .ma svenni... Ritornai in casa sulle braccia de' miei figliani... Ringraziai Maria... Erano stati arrestati altri quattro... ma furono liberati. Erano l'ore 18,30 apparvero chiamati centinaia di persone di Casalduni, Campolattaro, Pontelandolfo, Pescolamazza, etc. I Piemontesi fuggirono... all'apparire di tanta gente di nuovo gridossi: Viva Francesco 2°..." Per la grazia ricevuta, il parroco donò alla sua chiesa l'immagine della Vergine Santa in mattonelle di maiolica, che ancora si può ammirare. Si potrebbe dire che per poco il religioso non saltasse dalla padella alla brace. La stessa sera, don Giovambattista fu invitato dai reazionari a cantare il Te Deum: Cosa risposi? Ch'erano pazzi! E aveva ragione. Per un vero miracolo, qualche ora prima, era stato salvato dalla fucilazione! In verità, come dimostrano i fatti, il parroco era ben voluto dalla sua comunità e tutti, nel momento del pericolo, lo difesero e lo salvarono. Riportiamo la breve riflessione del sacerdote, in seguito alla ritorsione dell'esercito regolare di Cialdini. "Ieri dunque fu la giornata, che per quanto cara infatti di nostra S. Religione, altrettanto maledetta coi loro autori dalla Storia e dall' umanità! Fiera accozzaglia di soldati, e garibaldesi avidi di bottino, e di sangue, si disse circa 500 persone, nell'alba di questo dì si trovano intorno al paese Pontelandolfo!... Chi fugge ignudo, chi mezzo vestito; ma tutti miserabili, e poveri! Fuggono ma sono incontrati dalle fucilate! Ed i poveri infermi, ciechi, zoppi, anime innocenti (?) morirono arsi, come avvenne... E alla purità, e dell'insito onore?... Dio mio... Tutto avvenne!!! Il paese è in preda alle fiamme, e del bottino! Non si rispettano Chiese... Io ho riscattato un Calice dalle scellerate mani di un soldato, che trasmisi a quel curato... mentre che ardeva Pontelandolfo, buon numero di soldati portossi in Casalduni... Quivi furono arsi varie case, ci fu bottino, ma non paragonabile alla sventura dell'altro paese". La stessa sorte si credeva subisse Fragneto: la popolazione aveva abbandonato le case. Verso le ore 23, il paese fu invaso dai soldati, ma solo per vendere il bottino razziato a Pontelandolfo e Casalduni. Restai veramente scandalizzato sentendo che molti de' miei paesani avidamente e per poco denaro avessero acquistato degli oggetti... A Solopaca, lo spazio antistante il palazzo Ducale, fu usato dai bersaglieri di ritorno dai due paesi in fiamme per vendere il bottino di guerra depredato a dei poveri infelici: oro, posate d'argento, bracciali ed anelli di valore, oggetti sacri tra cui un ostensorio d'argento e capi di biancheria. A distanza di tempo, nel 1879, quando ormai lo Stato si era consolidato e le passioni erano meno violente, ad un amico che chiedeva notizie sui briganti, il sacerdote scriveva: "Gli anni, i giorni adunque dal 1860 al 1863 sono stati per noi amarissimi, e tribolati... nel detto anno 1863, quasi giornalmente siamo stati atterriti dalla funesta notizia or di occisioni, fucilazioni, ricatti, arresti, bruciamenti; e dalla vista or di 30, ora di 40, ora di 50 briganti a cavallo... il loro capo era il terribile Michele Caruso... uomo sanguinario, terribile, crudele... La sventura aumentavasi quanto allo scomparire dei sopradetti da qualche località, e dopo aver percorse le decine di migliaia appariva la truppa irritata, corriva, superba, intollerabile, disfogando la sua irragionevole ira contro i poveri massari, coloni, garzoni, ora con arresti, ora con percosse ed altri danni; e ciò per nascondere la propria debolezza e paura: Alle volte, o sempre, più danno arrecava il soldato, che il brigante..." Fra tanta disperazione, il reverendo, riportando l'opinione degli altri soggiunge: "In questo frattempo si incominciò a più palesamente maledire la rivoluzione, e gli autori, imparandola dai soldati, e superiori. Per verità, godevamo pace, e pane e libertà. Ma dal momento che questa figlia del diavolo è stata evocata dai settari, dai traditori, ed empii sulla terra, abbiamo perduto tutto..." […]

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DIPINTO DELL'IMMACOLATA

SU MATTONELLE MAIOLICATE

Voluto dall'Arciprete Mastrogiacomo

da: "Vivevamo così"

di Nicola Santillo - Edigrafica Morconese, 1996

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