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CAMILLO BENSO

CONTE DI CAVOUR

CAMILLO BENSO CONTE DI CAVOUR

PADRE DELLA PATRIA MASSONICA

CAMILLO BENSO CONTE DI CAVOUR

"ABILISSIMO NEL FARE I QUATTRINI"

CAVOUR Prima Parte

CAVOUR Seconda Parte

Un perfetto moralista

L'obiettivo: uno stato forte e potente

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAMILLO BENSO CONTE DI CAVOUR

Camillo Benso conte di Cavour era nato a Torino il 10 agosto 1810 da antica famiglia nobiliare. Il padre era stato funzionario napoleonico e successivamente capo della polizia torinese negli anni della restaurazione. La madre ginevrina, calvinista convertitasi al cattolicesimo, aveva trasmesso al giovane Cavour i valori dell'etica del lavoro e della libertà di coscienza. Avviato alla carriera militare, lasciò l'esercito nel 1831, dopo essere stato punito per l'entusiasmo dimostrato verso la rivoluzione di luglio in Francia. Si dedicò allora a intensi studi di economia, volti in particolare all'analisi dei problemi dell'agricoltura piemontese, e a lunghi viaggi in Europa, nel corso dei quali mostrò un vivo interesse per lo sviluppo capitalistico moderno, soprattutto inglese. Ereditata dal padre l'amministrazione del patrimonio familiare, svolse una intensa attività agricola, commerciale e bancaria e si fece promotore dello sviluppo ferroviario nel Regno di Sardegna e fu tra fondatori della Banca di Torino, della Società per gli asili d'infanzia e dell'Associazione agraria. Verso la fine del 1847, createsi in Piemonte le condizioni per un più attivo impegno politico, fondò con Cesare Balbo "Il Risorgimento" e nel 1848 fu eletto deputato. Colto, ambizioso, lavoratore instancabile, Cavour si affermò rapidamente negli ambienti politici piemontesi fino a ottenere nel novembre del 1852 la carica di primo ministro, attraverso una spregiudicata alleanza con la sinistra di Urbano Rattazzi. Ammiratore del liberismo inglese e assertore degli indispensabili legami fra progresso economico e progresso civile, Cavour avversò i programmi dei democratici e si presentò come l'esponente di un liberalismo moderato, capace di legare aristocratici e borghesi in un rassicurante progetto di progresso senza rivoluzioni.

da:"DIARIO D'ITALIA" due secoli di storia giorno per giorno, Il Giornale, 1994

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAMILLO BENSO DI CAVOUR

Padre della patria massonica

San Giovanni Bosco ebbe a dire che ".. qui in Piemonte, Cavour fu uno dei capi della massoneia" (1) Detto questo vengono a cadere le doti di grande statista attribuite al primo ministro piemontese visto che tutta la politica savoiarda veniva decisa a Londra da Mr. Pike e da Lord Palmerston. Camillo Cavour, figlio di un Vicario di polizia piemontese, crebbe a Ginevra impregnandosi di mentalità calvinista e venne formato in Inghilterra dove aderì entusiasticamente al pensiero liberale che riservava alla Chiesa una funzione marginale, prettamente teorica, assoggettata completamente allo Stato. Li fu iniziato alla massoneria. Secondo l'Acacia Massonica del febbraio - marzo del 1949, a pag. 81 Camillo Cavour, ministro e Capo del governo Piemontese era l'ispiratore della massoneria nazionale e prendeva ordini da quella internazionale. La partecipazione savoiarda in Crimea a fianco di inglesi e francesi non era quindi un lungimirante intuito per sedere al fianco delle potenze europee, nel congresso di Parigi del 1856 per sollevare la questione romana ed italiana, come ci è stato inculcato a scuola. Questa strategia venne studiata nelle stanze segrete della Gran Loggia londinese. Anche Napoleone III, era affiliato a Roma alla Carboneria (2). Nell'Histoire Politique de la Franc Maçonnerie, dell'aprile 1958, a pag. 15 leggiamo: "...Il secondo impero... pratica la politica estera sostenuta dalle logge: sistematicamente antiaustriaco e perfidamente antipapale, esso sfocia nella distruzione degli Stati Pontifici. Non si dimentichi che Napoleone III era carbonaro e che l'attentato di Orsini gli ricordò un pò bruscamente il suo giuramento prima della campagna d'italia".

 

  1. Memorie biografiche di Don Giovanni Bosco a cura di Lemoyne-Amadei-Ceria, 19 Volumi, Torino 1898-1939; pag.313, vol. XI.
  2. M. FERDINAND BAC, "Miroir de l'Histoire" n. 19 agosto 1951, pag. 61.

da: "I Savoia e il Massacro del Sud", Grandmelò, 1996.

 

 

 

 

 

Cavour

Figlio cadetto di un'antica famiglia aristocratica, Cavour (1810-1861) manifestò ben presto notevole vivacità intellettuale ed indole indipendente. Costretto a lasciare l'accademia militare, sospettato di eccessive simpatie per la Monarchia di Luglio, ebbe modo di recarsi a Ginevra, Parigi, Londra, venendo a conoscere direttamente quei contesti, dove più significativa era l'evoluzione politica ed economica. Tornato in patria, si distinse soprattutto nella conduzione della tenuta agricola di famiglia, a Leri nel vercellese, dove introdusse le più moderne tecniche di coltura. Convinto assertore del liberismo e del liberalismo, ne seppe cogliere e tradurre, nel contesto sabaudo, tanto i profondi caratteri innovatori, quanto gli elementi di indiscutibile moderazione. Liberismo dunque in economia, poiché solo nel libero-scambio era pensabile quello sviluppo dinamico e competitivo tipico delle nazioni più progredite; e liberalismo in politica, cioè parlamentarismo, ma non democrazia, poiché riteneva il suffragio universale fondato su uno "dei più pericolosi sofismi dei tempi odierni, che proclama il diritto di partecipare al governo della società diritto di natura". Il problema risorgimentale dell'unità nazionale si innestava, di conseguenza, su quest'impianto moderato di respiro europeo, assumendo quei precisi caratteri che contraddistinsero l'azione di Cavour. 1. Coscienza delle molteplici implicazioni del rapporto tra l'unità nazionale ed il progresso economico-politico, cosi da sviluppare le iniziative in grado di porre il Regno di Sardegna, per il rapido sviluppo delle istituzioni, dell'agricoltura, dei commerci e dell'industria, al primo posto tra gli stati italiani: "Il Risorgimento politico di una nazione non va mai disgiunto dal suo risorgimento economico". 2. Data l'inutilità delle cospirazioni, inserimento della questione italiana nel contesto internazionale, sfruttando diplomaticamente e militarmente le opportune circostanze. 3. Affermazione di una linea politica fondata sul "giusto mezzo" - la teoria è ripresa da Guizot - con il ripudio dell'estremismo rivoluzionario democratico e con la mediazione tra le classi sociali. 4. Necessità, come classe dirigente, di non offrire motivo di protesta alle frange estremiste, interpretando, sempre nella più stretta logica liberale e riformista, le "giuste" aspettative del popolo. 5. Presa d'atto, infine, del mutato rapporto, nella società contemporanea, tra lo Stato e la Chiesa. Non più reciproca legittimazione, ma distinzione, secondo la formula, ripresa dal cattolico iberale Montalembert, "libera Chiesa in libero Stato".

da "Nuove Prospettive Storiche" II Vol. - Editrice La Scuola, 1997

 

 

 

 

 

Cavour:

"abilissimo nel fare quattrini"

Prima ancora che s'aprisse la seduta, mi misi ad osservare le fisionomie: una mi parve conosciuta, guardai meglio, sembrava proprio Cavour, come lo dipingono nei ritratti, ma più giovane. M'informai: è possibile che Cavour sia così' giovane? Il mio vicino mi sorrise e disse: "Somiglia infatti a Cavour, e qualche volta per scherzo lo chiamano il figlio di Cavour. E' l'avvocato Boggio… Parla molto bene..." Ricordai che Boggio era uno di coloro che avevano maggiormente attaccato Garibaldi al tempo dei dibattiti parlamentari sulla questione di Nizza; e ricordai anche che Boggio aveva scritto un pamphlet intitolato: "Cavour o Garibaldi?" in cui, col pretesto di esaltare l'eroismo di Garibaldi, lo dichiarava inetto alla politica e diceva che non valeva il mignolo del conte Cavour. Questo fu il primo rappresentante del popolo italiano, con la cui personalità feci conoscenza. Personalità, a dire il vero, non simpatica: piccolo, grassoccio, dal viso floscio, con una costante espressione di cinica, impudente presunzione, e con quella disinvoltura nei gesti, negli sguardi, nei sorrisi, che fa venire voglia di pigliare uno a schiaffi... Del resto, molto probabilmente, egli avrà una parte importante, se non nelle sorti d'Italia, almeno nei corridoi ministeriali e diplomatici. La seconda personalità che richiamò la mia attenzione fu, come avrete indovinato, lo stesso Cavour, quello vero. Non occorre descriverlo: i signori Kapustin e Berg, o il signor Feoktistov o il principe D'oj, l'avranno certamente già presentato al pubblico russo nei loro scritti, che io, con grande rincrescimento, non ho letto. Ma non posso non rilevare un fatto noto a tutti: anche a me parve, dapprima, che Cavour avesse l'abitudine di strofinarsi continuamente le mani, in segno di soddisfazione.. Invece non è giusto: per lo più tiene le mani in tasca, oppure maneggia le buste e le carte che gli stanno davanti... Ma il suo aspetto è tale che a chiunque, che solo gli dia un'occhiata, sembra subito che si stropicci le mani in segno di contentezza. Sarà perché è un giovialone, favorito dalla fortuna! …..... La famiglia dei Cavour non godeva di buona reputazione a Torino: il padre del conte Camillo occupava un'importante carica amministrativa nella polizia della città, e adempiva i suoi doveri nell'antipatia generale; e a parte questo, si occupò di diverse speculazioni finanziarie, che se erano molto vantaggiose per lui, erano una completa rovina per la massa dei consumatori. Tutto ciò non rimase nascosto; ma il vecchio Cavour, molto compreso della sua posizione nobiliare, e soddisfatto dei suoi guadagni, guardava all'opinione pubblica col tono più sprezzante. Superbo della fiducia di Carlo Alberto, a quel tempo principe di Carignano, osteggiò tutti i miglioramenti, le riforme, i cambiamenti; non voleva nemmeno sentir parlare di diritti del popolo, e se apprezzava qualcuno, era solo la compagnia dei personaggi altolocati che frequentavano il suo salotto. Con tali ascendenti, guarniti dalla morale dell'abate Frézet, si formò il giovane Camillo, e non è difficile immaginarsi che i compagni di scuola non si amassero, soprattutto se ricordiamo che vi entrò intorno al 1823. Naturalmente, anche se fosse stato un perfetto imbecille, a scuola sarebbe stato comunque "meritevole", per principio: lo esigevano la sua origine e la posizione del padre. Ma per questo Camillo era un ragazzo molto dotato e intelligente. Non si può dire che studiasse moltissimo e benissimo nei sette anni che trascorse nella scuola militare di Torino; ma per lo meno sapeva bene quello che gli insegnavano. Hanno anche rilevato che stando sempre a studiare, non aveva abbastanza savoir faire e "maniere" di corte; ma per gli ottimi studi e il buon comportamento, come anche per la posizione del padre, venne nominato paggio di Carlo Alberto; ma come paggio, Camillo non ci sapeva fare, e non molto dopo venne privato di questo onore. Tutti i biografi adducono al proposito una sua battuta, pronunciata in risposta ad alcune insinuazioni: "Sono molto contento - disse Cavour - di essermi liberato da questo giogo". I biografi vi scorgono i segni dell'indipendenza di carattere, che manifesta in un'età così' giovane una profonda ripugnanza per ogni livrea; ma, per timore di andare errati, non ci metteremo a sentenziare se le famose parole fossero proprio un segno d'indipendenza di carattere, o piuttosto semplicemente una conseguenza della stizza infantile, ben comprensibile nell'allievo della scuola militare di Torino che aveva subito un tale affronto. Tanto i suoi nemici, quanto i suoi amici in Piemonte dicono francamente che egli non si lascia scappare nessuna occasione di trarre ogni possibile vantaggio dalla propria posizione. Per non riferire dei pettegolezzi, riporterò due piccoli esempi, che godono di generale pubblicità. La nuova tariffa doganale, stabilita alcuni anni fa in Piemonte, fissava un dazio elevatissimo sull'importazione del fosforo. Il che sembrava a tutti incomprensibile, finché si seppe che il conte Cavour era interessato in una fabbrica di prodotti chimici, e in particolare di fosforo. Allora un deputato chiese spiegazioni in Parlamento. Cavour rifiutò di darle, facendo l'offeso: cosi' la faccenda finì nel nulla. Il secondo fatto è ancora più significativo: durante la carestia, quando il pane era terribilmente caro in Piemonte, si seppe improvvisamente che Cavour era il principale azionista dei mulini di Collegno, noti perché facevano regolarmente incetta di farina e di grano. I giornali fecero del chiasso, la voce si sparse; una sera la folla si radunò sotto le finestre della lussuosa casa di Cavour, chiedendo pane. Cavour diede ordine di disperderla con le forze armate. L'ordine venne eseguito, e pare che ci sia stato anche qualche arresto. Nei giorni scorsi mi capitò di parlare con un rispettabile torinese, che bonariamente si estasiava del fatto che Cavour fosse un uomo abilissimo. Desiderando sentire il parere di un suo sostenitore sui fatti suddetti, li rammentai al mio interlocutore... "Ma questo non è nulla - mi rispose - queste sono inezie... Cavour fa dei raggiri molto più in grande. Guardi, ora il Piemonte è sulla strada del secondo Impero: abbiamo i nostri piccoli Mirès e Pereire, diventati milionari in pochi anni, e tutti sono amici del conte Cavour e non possono fare un passo senza di lui. Ai venti o venticinque milioni, che si sanno appartenere a Cavour, bisogna aggiungere probabilmente molti altri, nascosti nella nebbia" - " Ma questi sono degli abusi! ". Come dire: a voler essere eccessivamente scrupolosi e delicati, si potrebbe parlare di furfanteria. Ma un esponente delle finanze o del governo non ci vede niente più che destrezza e disinvoltura. Pensateci su per bene, e dite quanto giusto e schietto sia stato il successo di quest'uomo che rifuggiva le aspirazioni focose e le iniziative audaci. E' stato circondato di gloria, di onore, tutta l'Europa parla di lui, ha fatto l'Italia (mettendo da parte contemporaneamente una sostanza di 40.000.000 di franchi), tutti lo ammirano perché lavorava quattordici ore al giorno, stilando nel suo lussuoso gabinetto le sue note diplomatiche..

(Nicolaj Dobroljubov: Conti, preti, briganti, Milano 1966).

Da "Piemontisi, Briganti e Maccaroni", Guida Editore, 1975

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