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AZIONI DI BRIGANTAGGIO AI CONFINI CON TERRA DI LAVORO E NELLA VALLE TELESINA

di Luisa Sangiuolo

 

 

BRIGANTAGGIO A GUARDIA SANFRAMONDI

di Abele De Blasio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AZIONI DI BRIGANTAGGIO AI CONFINI CON TERRA DI LAVORO E NELLA VALLE TELESINA

di Luisa Sangiuolo

da: "Il Brigantaggio nella Provincia di Benevento 1860-1880" De Martino, Benevento, 1975

La popolazione di Sant'Agata dei Goti, ai confini con Terra di Lavoro, sin dai primi di giugno 1861, si mostra fieramente ostile al regime sabaudo. Segue con compiacimento la spedizione organizzata da 40 ex soldati borbonici contro le carceri della vicina Caserta, per liberare i 110 detenuti disposti ad ingrossare le fila del brigantaggio (1). Dal luglio al settembre '61, San'Agata dei Goti diventa teatro di battaglia tra le bande assommanti a circa 300 uomini e rilevanti forze piemontesi, più disposte alle passeggiate militari che agli scontri diretti. I rapporti del sindaco Luigi Abanese, davvero allarmanti (2), inducono le autorità superiori a spedire in loco 10 carabinieri in soprannumero perchè facciano da guida alla truppa. I carabinieri trovano i sentieri che portano ai briganti di San'Agata dei Goti, contro cui sono impegnate in combattimenti due compagnie di bersaglieri, due di granatieri, 100 cavalleggeri del generale Pinelli, il 12° reggimento fanteria al comando del tenente colonnello Negri, 200 soldati spediti in due riprese (3) dal governatore di Caserta, 60 uomini del 62° di linea stanziati in Airola. A Durazzano, le Guardie Nazionali sono tutte imbelli e pronte alla ritirata, sotto la guida del capitano Pescitelli, la cui bonomia si era spinta ad affermare pubblicamente che Cipriano La Gala non turbava la pace di nessuno, consentendogli di godersi la festa al prospetto del paese nella ricorrenza dell'ottava del Corpus Domini, mandandogli per l'occasione un complimento di torroni, quasi si trattasse di un ospite gradito. Talchè, quando Cipriano decise di assalire in giugno il posto di guardia, andò subito da lui per essere aiutato a disarmare gli uomini, con lui percorse le vie del paese, entrando in ogni casa dove ci fosse un fucile pretendendone la consegna, cosa che i proprietari facevano di buon grado, tenuto conto dell'invito conciliante del capitano (4). Molti sono i capibanda che si aggirano intorno a Limatola. Gli uomini di Nicola il Fornaro fraternizzano con gli abitanti a tal punto da permettersi di passeggiare per il paese di giorno e di notte; il figlio Serafino alloggia addirittura in casa dell'arciprete (5). Ricattano i proprietari agiati di Morrone e spesso fanno delle incursioni su Caiazzo, dando battaglia alla truppa dislocata nei dintorni; non abbandonano i feriti che trasportano in luogo sicuro nella masseria dei Caprioli, sita nelle vicinanze del molino detto Cimmiento (6). Sulla Defensa, in contrada Selvolella e Giorgina, operano i capibriganti Giovanni e Tommaso Gallo che si comportano con la stessa noncuranza del Fornaro; come tranquilli cittadini vanno sul far del giorno a prendere caffè e liquori in un bar di Dugenta, prima di procedere alle scorrerie prestabilite. Il sindaco Canelli, insospettito del loro acquartieramento lungo il fiume in contrada Giardoni e sulla strada del molino, venuto a sapere che stanno aspettando una grossa somma di denaro per ingrossare la banda (7), informa la truppa. Il 20 maggio 1862, all'improvviso sono accerchiati e fatti prigionieri. Perquisiti, si trovano loro addosso documenti compromettenti del comitato borbonico di Napoli con parole d'ordine, accompagnate dalla disposizione di potersi fidare di un tale Francesco cantiniere, contrassegnato come Achille 30 e di don Antonio di Maddaloni, indicato come 31. Alle sei pomeridiane dello stesso giorno, sono passati per le armi (8). La loro morte suscita viva emozione tra gli affiliati alla banda che, via via, chiedono di presentarsi per avere salva la vita. La ventisettenne Rosa Ascione, sorella del brigante Francesco detto Sciazz di 18 anni, scongiura Pasquale Ragucci sottofattore dei beni demaniali di fare da intermediario tra lui e il giudice di Sant'Agata. Sciazz si trova al Vallone con Giuseppe Grieco di 36 anni; entrambi sono stanchi di fare vita da briganti ;chiedono di non essere rimessi al potere militare. Il Ragucci va al Vallone senza pensare ai pericoli; i due gli consegnano i fucili rigati di cui sono armati, 55 cartucce ed una tenda da campo. dicono di aver abbandonato la comitiva dal 14 maggio sulla montagna del Taburno. Rosa trova il coraggio di parlare direttamente al giudice; il fratello, obbligato con la forza ad associarsi alla banda Romano, aveva partecipato alla cattura dell'arciprete di Melizzano e di un tale Pietro, l'unico guadagno che ha ricavato dal brigantaggio è stato in ragione di 2 ducati. Ella ha un triste presentimento, Francesco morirà da brigante, per quanto non si sia reso colpevole di omicidio (9). Nè si inganna. Sciazz morirà nel penitenziario di Milano il 20 dicembre 1867. Il direttore, con laconico comunicato, invierà ai parenti i suoi oggetti: il gilet di cotone lacero, un berretto di panno, un fazzoletto di cotone in buono stato, il tutto per un valore di L.5,73. Ecco quello che sopravanza di un uomo! La presentazione dei briganti della banda Romano continua nell'estate del 1862; il solito ricatto di mettere in galera la moglie incinta per costringere il marito a costituirsi, funziona ancora una volta. Marianna Mosera il cui marito Domenico Campagnuolo è tuttora alla macchia, ha aperto la dolorosa serie dei casi (10). L'ultimo della banda Romano a consegnarsi alla giustizia (11) è Arcangelo Marotta di 28 anni, contadino e soldato sbandato del disciolto esercito delle due Sicilie, appartenente al 2° reggimento granatieri. La banda è sterminata; si aggirano isolati sulle montagne i capibanda Tommaso Romano e Tommaso Aragosa. Le autorità fanno arrestare Maria Michela Fortino madre di Francesco Romano; questi si consegna alle autorità suscitando la sorpresa generale; è in possesso di un salvacondotto della durata di quindici giorni rilasciato dal prefetto Mayr di Caserta in data 17 luglio, ottenuto per sollecitazione di Bonaventura Campagnano di Villa degli Schiavi con la promessa di fare scoprire un comitato borbonico a Napoli diretto dal principe di Sivignano e un deposito di 200 fucili in S. Leucio (12). A questo punto i documenti si interrompono e non dicono più nulla di Tommaso Romano, attestano solo il rilascio della madre. Ai primi di agosto vengono invece arrestati i genitori di Tommaso Aragosa, ancora latitante. Se la situazione è sotto controllo a Limatola, non accenna a migliorare nei distretti di Cervinara, S. Felice a Cancello, Arienzo, Airola e Sant'Agata dei Goti, Dugenta e Durazzano. Il 21 settembre 1862, in queste località, i poteri politici e militari sono devoluti al maggiore comandante Carlo Melegari. Entro tre giorni i briganti devono consegnare le armi; sono proibite tutte le dimostrazioni. Inizia la caccia all'uomo, nella prospettiva di un lauto compenso. I soldati inseguono i briganti sul Taburno; il 23 settembre il guardaboschi Antonio Cesare che fa loro da guida, ferisce in località Trelleca il giovane caposquadriglia Giuseppe di Maio; un soldato lo finisce a colpi di baionetta. Due giorni dopo il capibanda Giovanni Martino di 30 anni, nativo di Dugenta, viene sorpreso nella cascina di Agostino Iannotta in frazione S. Silvestro di Sant'Agata; poichè nascosti sotto i materassi si trovano armi e munizioni, si procede all'arresto di Iannotta, della madre Maria Truocchio e della moglie Maria Renzo. Sottoposto ad interrogatorio, Martino dichiara di avere partecipato il 28 luglio precedente con i briganti Domenico Campagnuolo, Vincenzo Gaudio detto Auto e Giuseppe di Maio alla rapina ai danni dell'orefice Sabatino Cuccaro di Maddaloni, di avere consegnato 800 ducati frutto di ricatti a Giovanni e Matteo Della Ratta con obbligo di restituzione. Durante la visita domiciliare, si rinvengono 432 ducati; i fratelli non ne sanno giustificare la provenienza e sono arrestati (13). Ai militi pare strano che Martino non abbia sotterrato lui qualche tesoro in qualche parte; il brigante finisce per ammettere di si; trattasi solo di 100 ducati, tuttavia bisogna farsi indicare il posto dalla madre, carcerata a Solopaca. Viene la madre, cava di terra dal cortile di casa un vaso contenente la somma; il capitano della 14a compagnia del 39° reggimento fanteria si affretta a spartirla tra i suoi uomini, visto che il delatore rifiuta qualsiasi compenso per non essere individuato (14). Martino Giovanni è fucilato alle otto antimeridiane del 26 settembre 1862. Le informazioni fornite dal sequestrato avvocato Raffaele Ferrari (15), dicono che i briganti intorno a Sant'Agata sono ridotti ad una cinquantina. Si dividono in quattro piccole bande, hanno tutti i mezzi di vita, ma mancano di pane; trovano buona accoglienza nelle masserie di Angelo Fusco, Gerolamo Jannotta e Luigi D'Amico. Il capobrigante Vincenzo Auto si azzarda spesso a passare la notte nella casa di campagna del sindaco Luigi Albanese (16). Durante una improvvisa irruzione nella cascina il 21 febbraio 1863, Auto viene sorpreso, si difende; per aprirsi un varco nella fuga è costretto ad uccidere la guardia nazionale Luigi Perfetti. Sono arrestati per avergli dato ospitalità il fattore Carmine Buro, la moglie Matrona Cuozzo, i figli Francesco, Agata e Rosa rispettivamente di 20, 16 e 14 anni. Il delegato di P. S. che vuole acciuffare Auto ad ogni costo, persuade le autorità a pagare quattro carlini al giorno a Giuseppe Mosera perchè fornisca notizie utili sui suoi spostamenti (17). Auto, messo sull'avviso, per rivalsa spara sul Mosera che ferisce il 26 aprile successivo. Tra mille difficoltà, continua l'attività brigantesca associandosi a Giuseppe Pappaianni di Policastro (Catanzaro), detto il Calabrese. La banda sempre al corto di armi e munizioni, si trova il 12 aprile 1864 senza neppure un fucile e tenta di estorcerne almeno uno al padrone dell'opificio di Sant'Agata il sig. Federico Alviggi che si rifiuta e sporge denuncia ai carabinieri. Auto e il Calabrese, licenziati gli uomini, si presentano il 22 maggio 1864 al maggiore della Guardia Nazionale di Sant'Agata dei Goti. Nonostante l'ora tarda, l'una dopo mezzanotte, la notizia si diffonde in paese. Tutti sono in piedi, la gente affolla le strade; il caffettiere apre il locale (18). Al posto di guardia, i due diventano imperturbabili testimoni del litigio che scoppia tra il luogotenente Isidoro Rainone e il giudice di mandamento; essi protestano a gran voce il diritto di priorità nella conduzione dell'interrogatorio. La spunta Rainone e il giudice ritiene la circostanza lesiva alla sua dignità. I due, il mattino successivo, vengono istradati al tribunale militare di guerra in Caserta. Nella valle telesina i comuni più interessati al brigantaggio sono Solopaca e Frasso. E' molto difficile stanare i guerriglieri dalle montagne che sono una continuazione del Taburno. I briganti non si vedono, si sentono. Hanno preso l'abitudine ad ogni ora di fare scariche di fucileria per intimorire gli abitanti di Frasso e ricordare loro che se non portano da mangiare, invaderanno il paese (19). Sono circa 220 ed approvvigionarli costituisce un vero problema. Intanto perviene ai sindaci della valle la dicasteriale "Soldati sbandati" del 18 settembre 1861. Al ministero si sono accorti, scorrendo le liste della guardia nazionale, che in "alcune province" (l'espressione è prudenziale, significa in tutte le province meridionali) è stato concesso ai soldati sbandati delle ultime quattro leve di servire nelle G. N. mobili, con risultato prevedibile; le G. N. parteggiano per i briganti, tra cui del resto hanno almeno un parente a testa. Il sindaco di Solopaca, solo ora ricorda che Gabriele Forgione capobrigante tra i suoi amministrati, è cognato di Giovanni Forgione G. N. della 2a compagnia stabile. Lo fa pedinare e facilmente arriva sulle tracce di Gabriele che viene catturato il 21 settembre. Gli affiliati alla banda in numero di 50, immediatamente eleggono il capo in persona del compaesano Giuseppe Cutillo detto Pagliaccio provvedendo il giorno successivo ad incendiare in contrada Aspro la masseria del capitano della G. N. di Ponte che il loro servizio informativo indica quale principale responsabile nell'aver forzato la mano al sindaco di Solopaca per la cattura del Forgione. Alla spedizione punitiva si associano i briganti di Casalduni, Castelpoto e Ponte, comandati dal terribile Domenico Simeone. I militari esultano allorchè ai primi di dicembre si diffonde nel circondano la notizia che a Caivano (Napoli) è stato catturato il capobrigante Tommaselli, il generalissimo della reazione a Pontelandolfo; essi presumono che molti briganti, demoralizzati, consegneranno le armi. Fatta eccezione per Francesco Norelli alias Barabba di Frasso (20), essi continuano invece ad aggirarsi durante tutto l'anno segnente sul Cepino, Sant'Angelo e sulla Palombella tra Frasso e Solopaca, sotto la guida di Antonio Guerriero, Francesco Garofalo (21), Clemente Brillo detto generale Sproppa, di Martino Lamberti (22) che si fa seguire nelle sue scorribande dalla moglie Giuseppina Gentile, vestita da uomo e a mano armata (23). Dopo la rotta subita sul Matese il 18 marzo 1863, insieme con le bande Giordano e De Lellis, Luciano Martino si trasferisce con i suoi 30 uomini nella zona compresa tra oriente del Taburno e la valle telesina (24). E' un perfetto conoscitore dei luoghi e dei passaggi tra i monti; invariabilmente si dilegua all'inseguimento della truppa o attraverso il bosco di S. Stefano e il fosso stagione nei folti vigneti attraverso cui non è possibile scorgere un uomo alla distanza di 20 passi. Sa condurre con avvedutezza la guerra di logoramento a cui è stato istruito tra la fine del '60 e gli inizi del '61 dagli ufficiali decorati al valore del '48-'49 inviati nella provincia di Benevento da Francesco Borbone con l'incarico di costituire i ruoli dirigenti della guerriglia partigiana (25). Del resto, la sua adesione alla causa legittimista, è leale e sincera. Il suo re borbonico, egli l'ha cominciato ad amare da bambino attraverso i racconti del conte Ottavio Procaccini feudatario di Cautano suo paese natale. Quando il conte viene arrestato 1' 8 dicembre 1861 per avere svolto opera di proselitismo, Luciano con i fratelli Luigi e Mattia, giura di combattere fino alla morte per Francesco II (26). Non verranno mai meno a questa promessa di fedeltà. Luciano dà inizio alla serie dei sequestri politici i1 28 marzo. Suoi collaboratori sono oltre i fratelli, un sergente di Gaeta chiamato Luigi Menditto, alcuni sbandati della provincia di Napoli e Salerno, i capibanda Guerriero e Sproppa di Frasso (27). In località Sette Serre al di sopra di Tocco Caudio, lo raggiunge tre giorni dopo con una comitiva di 26 uomini Cosimo Giordano. Insieme concertano i piani, fissano i turni di guardia, decidendo di dare esecuzione ai sequestri verso sera, di nascondersi nei boschi attigui alle Sette Serre durante le perlustrazioni, di fare dormire gli uomini nei valloni, dove è più difficile essere scoperti. Luciano e Cosimo che hanno la stessa influenza tra i guerriglieri, assumono responsabilità diverse a giudizio delle autorità. Al momento, Luciano sopravanza il cerretese per bravura logistica e capacità di avvalersi della fitta rete di manutengoli, costituita dai carbonai di Vitulano e pastori di Cautano (28). Il comandante militare di zona, si rassegna ad impiegare i drappelli contro di lui a scopo puramente dimostrativo, rimandando l'attacco a fondo contro Luciano a tempi migliori, quando sarà annientata la banda Schiavone e sarà possibile un movimento concentrico di truppa di Vitulano - Montesarchio - Benevento - Frasso sotto la guida di Giovanni Sciascia detto Pecchia di Frasso che si presterà a far da spia per una notevole somma di denaro (29). Il Pecchia desideroso di affrettare la cattura di Luciano per intascare il premio, fa sapere il 19 aprile successivo che Luciano con la sua banda ha trovato ricovero nella masseria di Geremia Viglione a Cacciano. Accorre la truppa da Cautano e da Foglianise. Il colonnello che la comanda, dopo 4 ore di fuoco serrato, ordina di incendiare la cascina. Tra i briganti che si lanciano dalle finestre, 22 trovano scampo nella fuga, 8 sono uccisi: Luigi Martino, fratello di Luciano, Giovanni Nocerino di Solopaca, Giuseppe Cofrancesco di Cerreto, Donato De Nisi di Castelpoto, Vincenzo Venditto e un tale Salvatore di Caserta, Nunzio di Benevento, Mariaccio di Pomigliano d'Arco. Giovanni Ferrazza di Piedimonte d'Alife domanda la vita. Viene fatto prigioniero e fucilato il giorno dopo (30). Luciano incarica Sproppa di far fuori Giovanni Sciascia detto Pecchia; l'esecuzione avrà luogo nel sito crocevia in contrada piana di Prata, tenimento dì Frasso il 20 ottobre 1863 (31). A questa data risulta che Cosimo Giordano è sconfinato in territorio pontificio (32) e Luciano ha unito la sua comitiva a quella di Andrea De Masi, alias Miseria di Bucciano. Evaso clamorosamente il 14 luglio 1863 dalle carceri di Benevento (33) in cui era stato rinchiuso per avere partecipato alle requisizioni di Laiano ed all'attacco di Pontelandolfo, ha già provveduto per sostenere la banda di 16 individui ai sequestri politici contro Pasquale Combatti di Bonea (34), Girolamo Buonanno di Moiano ed Angelantonio Di Stasi di Bucciano (35), Domenico Compare di Montesarchio (36), Giacomo Perna di Laiano (37); trasferendoli dalla montagna di Bonea a quella di Avella e Cervinara, di intesa con il capobanda Felice Taddei (38). Luciano Martino, da Pozzillo e piana di Cepino sul Taburno, passa in località Petrosola in tenimento di Frasso, dove si unisce alla banda Miseria. Prima di procedere ai sequestri, riceve notizie sicure sul movimento delle truppe e ragguagli sulle persone da catturare da parte del sottotenente della G. N. di Apollosa Nicola Meoli (39) e del sindaco di Frasso Cosimo Gisondi. Questi consente che una tale Colella panifichi di nascosto per i briganti e rilascia come ha fatto largamente per il passato, permesso di accesso alla montagna di Montevergine (sempre in tenimento di Frasso), ai manutengoli Michele Masciotta, Giovanni e Pasquale Napolitano, s'intende sotto falso nome. Il suo aiuto non è disinteressato. Smanioso di aumentare i suoi fabbricati, contratta apertamente polvere da sparo presso un noto contrabbandiere, si reca di persona in casa dei familiari dei catturati premurandoli a spedire danaro ai briganti, da cui pretende una consistente tangente per ogni sequestro effettuato (40). A lungo andare, la sua imprudenza attirerà in qualche imboscata i briganti, ecco perchè il capobanda Guerriero si presenta il 15 settembre '63, imitato da Sproppa il 21 novembre successivo. Entrambi eviteranno la fucilazione, ma non l'ergastolo. Frattanto Andrea Miseria dopo un violento alterco per questioni di comando, si divide da Felice Taddei di Cervinara e si associa a Giovanni Mauro di Montesarchio altro capobanda del Taburno (41). Quando Mauro lo minaccia di vita a nome del Taddei, decide di porsi in salvo a Roma, dove Cosimo Giordano è pronto a dargli asilo, invitando Luciano Martino a fare altrettanto. Luciano rifiuta; vuole continuare a combattere tra la sua gente e non lasciare Maria Masciotta, da cui da poco ha avuto un figlio. Il delegato di P. S. non sapendo di preciso se abbia avuto o aspetti un figlio, incorre in equivoco facendo arrestare ai primi di gennaio '64 Cattolica Masciotta, che guarda caso!, è in attesa di un bimbo. Il marito di Cattolica, disperato supplica sia rimessa in libertà, perchè prossima a partorire, implora giustizia sostenendo che per uno scambio di identità è indebitamente carcerata. Al momento non gli si crede, dopo tutto a sostenere tali frottole è Giovanni Napolitano, indiziato manutengolo. Solo nel settembre del 1865 si appurerà il vero; Cattolica verrà dimessa di prigione, mentre l'amica di Luciano sarà deferita al tribunale militare di guerra in Caserta (42). Luciano Martino continua la sua difficile attività (43), sparpagliando gli uomini attraverso la piana di Prata, il vallone dei Ruttuni nel luogo del passaggio che dalle Sette Serre verte alla montagna del Taburno, il bosco dell'Abbadia di Solopaca. Raccomanda al fratello Mattia di fare molta attenzione quando sconfina in territorio di Pontelandolfo, per raggiungere in contrada Guglieta la cognata Maddalena Ciarlo con cui ha corrispondenza amorosa. I suoi movimenti sono stati notati, non è improbabile che qualche spia riesca a localizzarlo (44). Nè si inganna. L'agente segreto Francesco Antonio Calabrese detto Crocco, per una ricompensa in ragione di L. 200, segnala il nascondiglio di Mattia. Il 16 agosto 1864 la masseria in Guglieta di Pontelandolfo è circondata. Mattia dà di piglio al fucile, uccidendo Giuseppe Guerrera sergente della G. N. ed ingaggia da solo un impari combattimento contro 3 ufficiali e 30 militi comandati dal maggiore della G. N. Filippo Iadonisio. Contro Mattia massacrato dai colpi e già cadavere, si accanisce Francesco Gugliotti a colpi di pietra (45). Sono arrestate le donne di casa: Maddalena Ciarlo con la madre Antonia Calabrese, Maria Rinaldi Piscitelli con le figlie Filomena e Vittoria. Luciano Martino, continuamente braccato dalla truppa, continua a combattere con i fedeli gregari Francesco Marcarelli, Giuseppe Masone, Francesco Caporaso e Francesco Izzo (46), finchè arrestato, è ucciso ai primi di agosto del 1865. I giudici del tribunale militare di guerra in Caserta, allorchè si accingono a fare il processo ai manutengoli della banda, si accorgono che è impossibile formalizzare le accuse: mancano le prove. Condannano perchè colti sul fatto, quali somministratori di viveri, notizie e ricovero a Luciano Martino: i fratelli Angiolella Domenico e Giuseppe di Foglianise, Buono Francesco guardaboschi di Vitulano (47), Orlacchio Salvatore di Cautano a 20 anni, Angiolella Luigi a 15, Papa Giuseppe di Tocco Caudio e Marcarelli Maria Michela di Cautano a 10 di reclusione (48). A Mortaruolo Orsola di Torrecuso perchè minore di 21 anni concedono le attenuanti; le assegnano 5 anni di reclusione. Un po' di più: 7 anni, al padre Mortaruolo Erasmo colpevole di condiscendenza verso la figlia, avendo permesso che si fidanzasse con il brigante Francesco Caporaso, a cui per altro egli stesso portò aiuto. A Riccio Caterina è già sufficiente avere scontato dall'ottobre 1863, un anno di domicilio coatto nell'isola del Giglio per essersi innamorata del brigante Izzo Francesco. Diminuiscono la pena di un grado ai briganti: Esposito Giuseppe di Centola (Salerno) dandogli l'ergastolo (49), Donadio Giuseppe di Caivano (Napoli) ed Amonello Antonio di Airola, assegnando 20 anni di lavori forzati. Di tutti gli altri guerriglieri non si possono occupare: risultano o fucilati o morti in conflitto (50).

 

NOTE

(1) Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento, rapporto del sindaco di Sant'Agata dei Goti Luigi Albanese al sottoprefetto di Cerreto in data 17 giugno 1861.

(2) Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento - Sant'Agata dei Goti - brigantaggio '61, relazioni del sindaco Albanese al sottoprefetto di Cerreto in data 19, 20, 28, 29 giugno; 3, 12 luglio; 4,. li settembre 1861.

(3) 18 e 29 giugno 1861.

(4) Cesare Nuzzi, capitano circondariale delle Guardie Nazionali, residente a Sant'Agata dei Goti, in una riservata personale al sottoprefetto ai Cerreto datata 7 gennaio 1862, non sa come qualificare questo atto, se come colpevolezza ovvero ignoranza o timore o incapacità del Pescitelli a tenere il comando della Guardia Nazionale di Durazzano.

(5) Il governatore di Caserta deplora questa circostanza in una lettera inviata al sottoprefetto di Cerreto il 3 luglio 1861.

(6) Queste informazioni sono fornite dal Governatore di Caserta al sottoprefetto di Cerreto con lettera datata 12 luglio 1861. Va osservato che il sindaco di Limatola ne aveva fatto partecipe il generale Pinelli il 1° luglio 1861.

(7) Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento - Brigantaggio '62 Limatola, lettera del sindaco Canelli al sottoprefetto di Cerreto in data 16 marzo 1862.

(8) Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento - Brigantaggio '62 Cerreto, lettera del sottoprefetto al governatore di Benevento in data 20 maggio 1862,

(9) Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento - Brigantaggio '62 Cerreto, lettera del sottoprefetto al governatore di Benevento in data 28 maggio 1862. La presentazione dei briganti Ascione Francesco detto Sciazz e di Grieco Giuseppe appartenenti alla banda dei fratelli Romano di Limatola, è avvenuta il 24 maggio 1862.

(10) La proposta del delegato di P. S. Vincenzo Coppola è avanzata il 20 febbraio '62. Il processo . verbale di arresto stilato dai RR.CC. il 5 marzo successivo, si conserva in Brigantaggio '62 Sant'Agata presso il Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento.

(11) Arcangelo Marotta della banda Romano si presenta al giudice di Sant'Agata il 12 giugno 1862.

(12) Il sindaco Canelli di Limatola stende rapporto al sottoprefetto in data 1luglio 1862.

(13) Assolti per insufficienza di prove, vengono tuttavia inviati al domicilio coatto; faranno ritorno a Sant'Agata il 10 agosto 1865 insieme con Antonio De Rosa e Vincenzo Corrado, noti manutengoli.

(14) Il sindaco Albanese di Sant'Agata inoltra una relazione dettagliata dell'accaduto al sottoprefetto di Cerreto in data 25 settembre '62.

(15) L'avv. Ferrari era stato sequestrato il 12 agosto 1862, mentre in carrozza si recava a Maddaloni.

(16) Luigi Albanese sarà arrestato il 6 giugno 1866 come camorrista, manutengolo dei briganti ladri e grassatori, nonchè disturbatore dell'ordine pubblico, ai sensi della legge eccezionale del 18 maggio 1866, secondo la quale basta il solo onesto convincimento delle autorità che un sospettato possa essere pericoloso per la tranquillità dello Stato, per procedere al suo arresto. Il sottoprefetto di Cerreto lo farà arrestare a seguito del rapporto informativo dei RR.CC. a lui sfavorevole in data 3 giugno 1866. Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento. Carte della Provincia 1866, fascicolo Luigi Albanese.

(17) Giuseppe Mosera di anni 32 di Sant'Agata, di condizione bracciante è personaggio ambiguo. Contro di lui, prima manutengolo, poi brigante, viene nel 1862 spiccato mandato. di cattura. Si presenta ed è assolto. Si presta a fare da spia alla truppa; i briganti lo sanno e talvolta gli impartiscono una lezione a mo' di ammonimento. Finiscono quasi sempre per fare la pace con lui, perchè presumibilmente riesce loro utile in qualche circostanza.

(18) come da verbale inviato dal luogotenente Rainone il 22 maggio 1864 al sottoprefetto di Cerreto. In esso Rainone spiega le ragioni dell'alterco, a gran voce con il giudice di Sant'Agata.

(19) Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento. Brigantaggio Cerreto '61, rapporto del sottoprefetto al governatore di Benevento in data 23 dicembre '61.

(20) Il brigante Barabba di Frasso, si costituisce il 5 dicembre '61.

(21) Il brigante Francesco Garofalo di Frasso, è arrestato il 3 dicembre '62 da parte di alcuni soldati del 27° reggimento fanteria.

(22) Il capobrigante Martino Lamberti di Solopaca si è presentato il 9 novembre 1862.

(23) Giuseppina Gentile, moglie del capobanda Martino Lamberti si è costituita il 7 ottobre 1862.

(24) il sottoprefetto di Cerreto invia il 3 aprile 1863 al prefetto di Benevento un'ampia relazione sulla banda Martino-Giordano.

(25) Archivio di Stato Benevento. Comune Montesarchio, lettera riservatissima e pressante del governatore di Avellino del 18 gennaio 1861 al sindaco di Montesarchio. Gli ufficiali borbonici decorati al valore nel 1848-'49 usano farsi riconoscere dai briganti del Taburno, esibendo loro due nastri rossi con fascia bleu nel mezzo oppure un nastro rosso orlato verde con una figura rappresentante un serpe con le iniziali S.G. E' il segno di ricognizione dato loro da Francesco II.

(26) Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento. Brigantaggio Cerreto 8 dicembre '61. Il sottoprefetto di Cerreto invia il delegato di P. S. Ippolito insieme con il regio giudice istruttore ed il cancelliere a Cacciano, perchè verbalizzino l'arresto del conte Ottavio Procaccini. Il viaggio da Cerreto a Vitulano avviene attraverso una bufera di neve. Le G. N. di scorta devono darsi la voce per non perdersi. il delegato Ippolito, circondata la casa di Procaccini, intima al conte di aprire, ma egli si rifiuta tanto agli inviti rivoltigli in nome della legge, quanto dell'amicizia. E' passata la mezza-notte, per legge non si può procedere alle perquisizioni domiciliari. Non rimane che piazzare le sentinelle in un giardino superiore; attraverso le finestre si vede il conte che continua a bruciare documenti certo compromettenti. All'alba, apre la porta di casa alla giustizia. E arrestato con il fido colono Fucci.

(27) Entrambi saranno condannati ai lavori forzati a vita.

(28) Relazione 3 aprile 1863 del sottoprefetto di Cerreto, cir.

(29) Archivio Centrale dello Stato Roma. Tribunale militare di guerra in Caserta, cart. N. 37, sentenza contro Brillo Clemente, alias Sproppa.

(30) L'elenco dei briganti uccisi in conflitto è compilato il 20 aprile 1863 dal sottoprefetto di Cerreto ed inviato per corriere al Prefetto di Benevento.

(31) come da nota 29.

(32) Il Pungolo del 22 ottobre 1863, ci dice che Cosimo Giordano è a Roma; il duca di Laurenzana ha provveduto a fargli rilasciare un foglio di permanenza.

(33) con il brigante De Filippo Angelo di anni 34, contadino di S. Salvatore Telesino, poi ferito a Frasso alle 4 antimeridiane del 30 luglio 1863 in uno scontro con una pattuglia del 39° reggimento fanteria, guidata dal guardaboschi Clemente Bettini.

(34) il 25 settembre 1863 insieme con due briganti ignoti in contrada S. Ilario sopra il romitaggio di 5. Biagio.

(35) al molino del Fizzo nella notte tra il 29 e 30 settembre 1863.

(36) il 14 ottobre 1863 ad un miglio e mezzo da Montesarchio sulla strada per Airola. Fu rilasciato dopo 3 giorni, dopo che i familiari avevano pagato un riscatto di 100 ducati.

(37) in località Perreto di Moiano il 22 ottobre 1863. Al sequestro partecipano i briganti Mauro Giovanni e Mauro Donato entrambi di Moiano, rispettivamente di 18 e 23 anni.

(38) Luciano Pietrantonio alias Ventarola di 26 anni di Bonea, soldato disertore del 17° reggimento fanteria di stanza a Catanzaro dal 21 giugno 1862, si unisce nel settembre 1863 ad Andrea De Masi detto Miseria. Con i briganti Izzo Onofrio e Mauro Giovanni procede ai ricatti contro Volino Nicola e Carmine Pepe. Durante lo spostamento dei ricattati dalla montagna di Avella a quella di Cervinara, insieme con il capobanda Taddei ingaggia combattimento con i soldati in perlustrazione. Ferito sul Taburno il 13 febbraio 1864, è fucilato.

(39) Archivio Centrale dello Stato Roma - Tribunale militare di guerra. Cartella N. 27, processo N. 43.

(40) Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento. Brigantaggio '65 Frasso, rapporto dei RR. CC. Della legione luogotenenza di Cerreto del 22 luglio '65, in riscontro alla richiesta avanzata dall'avvocato fiscale di Caserta di informazioni sul conto di Cosimo Gisondi, sindaco di Frasso.

(41) Archivio di Stato Benevento. Brigantaggio '63.

(42) Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento. Frasso Brigantaggio '65.

(43) i manutengoli Giuseppe e Raffaele brillo, Saverio Spina, Giuseppe Norelli, Maddalena Iannotta e Marianna Mauriello, tutti di Frasso, lo tengono informato sui movimenti della truppa.

(44) Donato Gugliotti capitano della G. N. di Pontelandolfo ha segnalato il 2 giugno 1864 al sottoprefetto di Cerreto il nascondiglio di Mattia in contrada Prainella.

(45) Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento. Pontelandolfo, brigantaggio 1864. Rapporto del capitano della G. N. in data 16 agosto '64 al sottoprefetto di Cerreto.

(46) Francesco Izzo di Montesarchio, nato il 12 aprile 1839, sbandato del 4° battaglione di gendarmeria, muore sul Taburno il 31 maggio 1865. Ne dà notizia il tribunale militare territoriale di Napoli con prot. n. 2106 del 26 maggio 1866, al sottoprefetto di Cerreto.

(47) Con R. D. 22 aprile 1868, la pena è ridotta a 15 anni.

(48) Con R. D. lo maggio 1866, le viene condonato il resto della pena.

(49) Con R. D. 10 marzo 1872, la pena è ridotta a 20 anni di reclusione.

(50) tra questi il fedele gregario Stefano Reale di Cautano, Malgieri Antonio e Pasquale, Angelo Cusano, Pasquale Lena, Giovanni Leone, Antonio Macrino, Francesco Trebisondi, Giuseppe Forgione, Pasquale Fiore, tutti di Solopaca. Va notato che il generale Pallavicini aveva erroneamente segnalato Francesco Trebisondi come Francesco Trevisonna. Cfr. il notamento banda Martino in Brigantaggio Solopaca 3 ottobre 1870 presso il Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

BRIGANTAGGIO A GUARDIA SANFRAMONDI

di Aabele De Blasio

da: "Guardia Sanframondi, notizie storiche" libro postumo - Tipografia Gentile - Napoli, 1961

 

Guardia Sanframondi nel 1860-1861

La morte di Ferdinando II e l'inettitudine di Francesco II accelerarono l'avvento dell'unità d'Italia. Le province tutte votarono il plebiscito per l'unità italiana, sotto lo scettro di Vittorio Emanuele II. In seguito alla trionfale entrata di Giuseppe Garibaldi a Napoli, avvenuta il 7 settembre 1860 (1) una deputazione beneventana, formata da Salvatore Rampone e Nicola Vessichelli, si recava dal "Vincitore di un Regno" e questi prometteva solennemente che Benevento, per le sue nobili tradizioni storiche e politiche, sarebbe stata elevata a capoluogo di provincia. E la promessa fu mantenuta. Il progetto della circoscrizione fu elaborato da Carlo Torre (2), ed approvato e reso esecutivo con decreto luogotenenziale del 17 febbraio 1861, del Principe Eugenio Savoia di Carignano, cugino di Vittorio Emanuele II, Luogotenente Generale di S. M. nelle Province Napoletane. Così "dalle ceneri del governo papale e tra le fiamme della camicia rossa" nasceva la nuova provincia di Benevento. Guardia Sanframondi che dapprima faceva parte della provincia di Terra di Lavoro, circondano di Piedimonte d'Alife, entrava a far parte della nuova provincia, circondario di Cerreto Sannita. Il decreto di circoscrizione della nuova provincia venne comunicato al municipio di Guardia, con lettera n. 1342 di prot., in data 26 febbraio 1861, firmata dal Governatore di Benevento Carlo Torre. L'entrare a far parte della Provincia di Benevento, a dire il vero, non fu accolto con molto entusiasmo dai Guardiesi, di ciò ne fa fede la seguente deliberazione della Consiglio comunale di Guardia.

L'anno 1861 nel giorno 1. Ottobre in Guardia Sanframondi, nella Casa Comunale

Riunito il Consiglio Comunale, in seduta straordinaria disposta dal Governatore della Provincia con officio del 21 settembre n. 8090 per dare il voto intorno alla circoscrizione della Provincia di Benevento, sotto la presidenza del Sindaco, il Consiglio unanimamente ha deliberato che questo Comune sia riannesso alla sua antica Provincia di Terra di Lavoro, e non sia aggregato a quella di Benevento, deducendo tale deliberazione dalle seguenti ragioni: L'Onorevole Vice Governatore sig. Acquaro nel suo dotto discorso pronunziato all'apertura della prima sezione ordinaria del Consiglio Provinciale di Benevento, parlando di ciò che si deve tener presente nella circoscrizione di una Provincia, così si espresse: "Non è veramente le contiguità delle valli, non la continuazione delle pianure, che Costituiscono gli Stati e le Province, non son le montagne o i fiumi e molto meno le distanze che ne segnino i confini. E il commercio, è l'agevolezza dei traffichi, e dei trasporti, è l'accorrer facile e spontaneo delle popolazioni a certi determinati centri di smercio, di consumo e d'industria; son queste cose unite insieme, che accennano al Geografo, come allo Statista, ed all'Amministratore quale sia o debba essere la cerchia di una Provincia". Ora noi movendo dalle giustissime idee del Sig. Aquaro dimostreremo che il Comune di Guardia malamente si è a Benevento aggregato. Ed in vero non è a memoria d'uomo che i naturali di Guardia abbiano mai avuto commercio con questo novello Capoluogo di Provincia. I prodotti di queste terre non si sono mai importati nel mercato di Benevento, ma sempre nei mercati di Maddaloni, Caserta ccc. ove è il facile e spontaneo accorrere di queste popolazioni, ove è il loro centro di smercio, di consumo e d'industria. Nè è far di proposito in conferma delle cose dette riferire l'opinione dello Statista, e Geografo Giuseppe Galanti. Questi, nel suo Testamento Forense, classificando i paesi del Regno di Napoli, che per disposizioni naturali hanno commercio con Benevento, non fà affatto menzione dei paesi della Campania, e indica solo quelli del Molisano e del Principato Ultra. Seguendo inoltre le stesse idee del Sig. Aquaro chi non vede che ci manca con Benevento altresì l'agevolezza del traffico. Ben è vero che sono in progetto molte strade che dovranno congiungere il Capoluogo di Provincia a ciascun Comune aggregato; ma la strada che dovrà mettere in comunicazione Guardia a Benevento sarà sempre malagevole ed insicura, dovendo avvicinarsi a folti boschi ed a grandi burroni, covo perenne di malviventi. Le cose dette però sono un nonnulla rispetto al divieto che questa nuova Provincia apporta alla finanza dei Comuni. Si tratta di fondare una nuova Provincia, in cui manca tutto e perciò fa mestieri creare un enorme debito. Ora chi volete mai che estingua questo debito? Saranno certo i Comuni che compongono questa Provincia. Or bene non è bastato a noi di aver con danaro contribuito alla fondazione della Provincia di Terra di Lavoro che si trova già costituita? Dobbiamo adesso concorrere alla fondazione anche della Provincia di Benevento? E per quali vantaggi? Per nessuno. Rimarranno così deluse le speranze concepite per la diminuzione di balzelli, testè avvenuta per essersi posto a carico del Tesoro il pagamento dei Soldi ai Regi Sindaci, ai custodi delle prigioni ecc. Tali discarichi avevano colmato di gioia questo popolo; ma ora questa gioia si cangerà in lutto, perchè per concorrere alla fondazione di una Provincia non si ricavano vantaggi, ma danni. Ritornando Guardia in seno alla sua antica Provincia Terra di Lavoro, potrà sentire tutti i vantaggi del novello Regime; aggregandosi per contrario a Benevento dovrà sperimentare tutte le tristi ma necessarie conseguenze di una Provincia in via di formazione. Il Consiglio convinto della giustezza delle esposte ragioni si augura vedere bene accolto il suo voto. La presente seduta è stata tenuta pubblica per decisione del Consiglio. Quindi il Presidente con l'assistenza di due Consiglieri Sig. Errico Foschini Longo e Vincenzo Morone hanno proclamato e riconosciuto l'esito della unanime votazione". Seguono le firme: Giovanni Pingue, Sindaco; Raffaele Pigna, Ciriaco Morone, Annibale del Vecchio, Raffaele De Blasio, Francesco di Biasio, Giuseppe Marotta, Vincenzo Morone, Pasquale Raffaele Foschini, Domenico Assini, Pietro Assini, Gaetano Foschini, Luigi di Biasio, Errico Foschini Longo, Dionigi Di Cesare. Ed ecco come fu accolta la suddetta istanza dal Consiglio Provinciale di Benevento: Il 7 dicembre 1861 si discusse, al Consiglio Provinciale di Benevento, sulla circoscrizione territoriale. La Commissione incaricata di riferire sull'argomento, senza emettere parere, era composta dai Consiglieri Luigi Colesanti, Domenico Piccirilli, Achille Jacobelli. Presidente: Michele Ungaro. Intervenne il Prefetto della Provincia Cav. Giovanni Gallarini. La discussione si svolse, per proposta del Presidente, su questi punti distinti. 1. - Esame delle querele delle Province contermini. 2. - Esame sulle deduzioni dei Comuni che chiedevano far ritorno alle Province cui prima appartenevano. 3. - Esame delle deduzioni dei Comuni ch'erano contenti di essere con la Provincia, ma non con gli attuali Circondari. 4. - Esame delle domande dei Comuni che chiedevano essere aggregati alla Provincia di Benevento. 5. - Esame delle domande dei Comuni che chiedevano formare un nuovo Mandamento. Sul primo di quei punti, il più rilevante, discusse il Presidente Michele Ungaro, osservando che tra "le ingiustissime lamentanze" delle province limitrofe, una sola era tale; quella di Piedimonte d'Alife, dal cui circondano erano stati staccati i mandamenti di Cerreto, Guardia e Cusano. "Senza punto variare ciò che si era fatto per Benevento", poteva quel Circondano avere ingrandimento, riprendendo dal Molise il mandamento di Venafro, ed aggregandosi da Caserta il mandamento di Pietramelara. Nessun Consigliere sostenne i reclami dei Mandamenti di Guardia e Solopaca. E poiché detti Comuni essendo nel bel centro della Provincia di Benevento e raggruppati intorno alla città di Cerreto, capoluogo del loro Circondario, non avevano potuto che per mire private lanciare una pretesa insostenibile, il Consiglio, ad unanimità, votava dover essi far parte della Provincia di Benevento.

Brigantaggio

Dopo i fatti politici del 1860, Guardia Sanframondi fu afflitta dal brigantaggio (3). Per l'agro di Guardia cominciò infatti a farsi notare il brigante Cosimo Giordano, nato in Cerreto Sannita il 15 ottobre 1839, da Generoso e dalla messinese Concetta Isaia (4). Il 28 giugno 1855 divenne omicida, poiché in un atto impulsivo uccise chi gli aveva ammazzato il padre. La Corte Criminale di Napoli lo assolse. Nel 1857 entrò come garzone in casa del Sig. Liberantonio Ciaburri di Cerreto, il quale spesso lo incaricava di recarsi a Guardia Sanframondi per acquistare i liquori da Salvatore Morone, ed era nel caffè di costui che il Giordano, per una mescolanza, si azzeccava dei grossi ceffoni destando così l'ilarità dei presenti. Giunto all'età di 20 anni, fu per la sua alta taglia incorporato fra i gendarmi a cavallo; ma, perché inabile servizio attivo, fu scelto come trabante (5) dal tenente Cocozza. Il Giordano, nel 1884, confessò al Misasi che durante la battaglia del Volturno fece tali prodezze da meritarsi sul campo, da Francesco II, il grado di capitano di gendarmeria. Come il capitano restò trabante non lo sappiamo, ma ci consta che, trovandosi a Napoli nella Caserma dei Granili, rubò una valigia del capitano cappellano contenente ottocento ducati! Come si vede il Giordano voleva farsi credere un capitano del Borbone detronizzato. Dopo la battaglia del Volturno, Cosimo Giordano visse per un pezzo in Cerreto, vilipeso, angariato e minacciato perchè borbonico. Il sindaco di Cerreto, che in quell'epoca era il barone Vincenzo Magnati, asserì che il Giordano partì come richiamato due volte per Caserta e quel Comando Militare, dopo due o tre giorni, non sappiamo perchè, lo rimandava a Cerreto. La terza volta non si presentò perché a Caserta veniva preso in dileggio dai Piemontesi; e fu, secondo alcuni, in seguito a tale mancanza, che contro di lui fu spiccato mandato di cattura; secondo altri invece "perché Cosimo aveva due sorelle ed una cognata bellissime e qualcuno molto potente le ronzava intorno"; ma Cosimo ed il cognato di lui erano mastini troppo temuti e vigilanti. Onde, affinché le pecorelle rimanessero sole ed in balia dei lupi famelici, a Cosimo e al cognato si spiccò mandato di cattura il che avvenne il 10 maggio 1861. Cosimo fuggi, vagò per poco, solo, per le campagne; poi perché audace, forte, valoroso e col doppio prestigio d'essere stato un prode del primo ottobre e d'aver guadagnato il grado di... capitano sul campo di battaglia, divenne il condottiero di una banda brigantesca. A dire del brigante morconese Demetrio Peritano, che faceva parte della banda del Giordano e che venne arrestato il primo luglio 1861, i primi adepti di detto capobanda furono Francescantonio Basile, Errichiello Giordano, Vincenzo Ludovico alisa Piluechiello, Pasquale Mendillo, Liberantonio Ruzzo, Ferdinando Muccio, Giovanni Nigro, Saverio Finelli e Giuseppantonio Marazzi. Essi avevano fatto centro delle loro gesta il monte Matese, dal quale il Giordano emanava gli ordini per sollevare le masse popolati contro il governo dell'epoca e spingerle ai delitti. Una delle persone più influenti di Cerreto, l'avvocato Michele Ungaro, per togliere al suo paese nativo l'onta che lo faceva ritenere un covo di briganti, scrisse al Giordano e al coadiutore di costui Pilucchiello di Costituirsi alle autorità poiché essi non avevano commesso, sino allora, nessun delitto importante. Pilucchiello, dopo aver, con lettera, ringraziato il commendatore Ungaro dell'interessamento che si prendeva per essi, a nome suo e del Giordano lo fece consapevole che, se avessero ricevuto dal governo sei mila ducati e il passaporto per l'estero, avrebbero fatto presentare tutti gli altri briganti, purché fossero Stati lasciati liberi, e che essi si sarebbero recati all'estero per non tornare più in Italia. La lettera, che riferiva i fatti suddetti, fu fatta leggere dall'Ungaro al sotto prefetto di Cerreto Sannita, il quale cominciò a fare delle riserve per i sei mila ducati, in modo che, quando si fece conoscere ai briganti che essi non potevano avere più di quindicimila lire, si ruppero le trattative. La banda che già contava settanta persone, dopo aver consumato i quattrini, che aveva ricevuto dai Borboni, per tirare innanzi la vita, incominciò a dedicarsi ai delitti di sangue; poichè per quelli che riguardavano la proprietà già aveva dato buona prova. La banda continuò ad aumentare il numero ed allora il Giordano la divise in quattro brigate, delle quali la meno numerosa, ma la più feroce, tenne per sè, un'altra la affidò al Pilucchiello, un'altra all'altro suo compaesano Errichiello e la quarta a Girolamo Civitillo di Cusano Mutri il quale ha lasciato di sè triste memoria. Fra i tanti reati commessi dal Giordano e dai suoi adepti ci limiteremo a ricordare quelli che riguardano particolarmente Guardia. Il primo settembre 1861 mentre i germani Annibale e Filippo Piccirillo si recavano a cavallo da Guardia Sanframondi alla fiera di Cerreto, giunti che furono ad una svolta, che trovasi ove era la proprietà del dottore Girolamo Altieri, furono fermati da due brutti ceffi vestiti alla calabrese, uno dei quali afferrò per la cavezza il cavallo e voltosi al cav. Annibale gli disse: "Voi chi siete?". " Sono D. Annibale Piccirillo ricevitore del registro e bollo di Guardia Sanframondi". Lo sconosciuto ordinò ad alcuni passanti che si erano avvicinati di allontanarsi e spianando contro il suddetto cavaliere il fucile fece fuoco, ma il colpo andò a vuoto. L'altro brigante retrocedette di alcuni passi e tirò a sua volta. Don Annibale emise un grido, rovesciò indietro la testa e cadde da cavallo. I due assassini gli furono addosso e lo finirono a colpi di pistola e di pugnale, ed infine, come se nulla avessero commesso, si allontanarono indisturbati. Le persone che poco dopo sopraggiunsero, non poterono che assistere al dolore di Don Filippo che si teneva abbracciato al cadavere del fratello. Annunziatosi tale assassinio dal pubblico clamore, il giudice di Cerreto si recò subito sul posto, e, dopo la identificazione dell'ucciso, fece trasportare il cadavere a Cerreto. Dall'autopsia si dedusse che la morte fu effetto di otto ferite, quattro d'arma da fuoco e quattro da punta e taglio. La specifica in sul principio presentavasi sotto un aspetto equivoco poiché uno dei fratelli dell'ucciso, Filippo, diceva che l'omicidio doveva addebitarsi ai legittimi rimproveri che il defunto aveva fatto a vari suoi compaesani dopo i delittuosi fatti di Pontelandolfo e Casalduni (6), che egli aspramente criticava, mentre qualcuno ne recitava l'elogio. L'altro fratello, Federico, invece sosteneva che mandatario era stato il brigante Pellegrino Senaca, il quale si era presentato ad istanza dell'ucciso Piccirillo e che vedendosi trattenuto in carcere, mentre era sicuro di essere liberato, aveva dato incarico ai suoi compaesani di uccidere chi fu causa della sua costituzione. Ed ora una domanda: Chi furono i due assassini che uccisero il Piccirillo? Andrea Cappella fece sul riguardo la seguente deposizione: "Lavoravo in un fondo 30 o 40 passi distante dal luogo ove fu ucciso D. Annibale Piccirillo, vidi tutta la scena, quando i due briganti se ne andarono, molti accorsero intorno al morto. Io mi chiusi nella masseria e tanta fu la paura che non confidai l'accaduto nemmeno a mio padre. Poi dovetti recarmi alla Madonna della Libera e giunsi colà verso due ore di giorno. Trovai il brigante Francesco di Crosta di Cerreto con altri suoi compagni, i quali mi dissero che quel giorno si erano divisi da Cosimo e Pilucchiello". Raffaele Cofrancesco riferì al giudice istruttore che dopo 4 giorni l'uccisione del Piccirillo certa Vincenza Cappella, massara, gli disse che era molto in collera con Cosimo Giordano, il quale era andato a commettere quell'assassinio presso la masseria di lei e che il giorno appresso avendo incontrato la Cappella, proprio sul luogo del delitto, dios'celi: "Non sai? Quel bel giovane di Cosimo Giordano mi ha mandato a salutare; io gli feci rispondere che aveva fatto male ad uccidere presso la mia masseria D. Annibale Piccirillo, perchè questo fatto mi avrebbe compromessa con la giustizia se tacevo, e se parlavo avrei sopra di me attirato l'odio suo. Egli mi fece dire che dove l'avevano trovato là l'avevano ucciso". Alessio Sellaroli che fu inteso come testimonio a discarico disse che il Piccirillo aveva molti nemici per la sua indole riottosa e fraudolenta e perché come ricevitore vessava i contribuenti, così un tale Garofalo, che aveva relazione coi briganti indusse costoro ad ucciderlo. A questa deposizione si uniformò pure Paolo Pingue. Dal luglio al novembre 1861 le orde brigantesche giunsero a tenere il dominio del beneventano. I reati di sangue, in quella regione, si succedevano spaventevolmente, i reati contro la proprietà non si contavano più, i pacifici cittadini, per non esporsi al bersaglio dei fuorilegge, non uscivano più di casa. Le amministrazioni comunali vivevano in un torpore micidiale, e, per non crearsi delle animosità, fingevano di non avere nè occhi per vedere, nè orecchie per sentire. In quell'epoca tutto si lasciava in balia della malavita, poiché tutti la temevano. Il 12 agosto 1861, l'Intendente di Cerreto Sannita, Mario Carletti, entro la cui giurisdizione dilagava il brigantaggio, scriveva al nuovo segretario generale del Dicastero dell'Interno, Filippo De Blasio: "Ora che le contrade di questo Circondano, deserte in gran parte di milizie regolari, sono divenute tutte, il teatro dove si avvicendano sempre più importanti e ormai sanguinose scene di brigantaggio; ora che lo spirito pubblico si è pronunziato, nelle infime classi, avverso all'attuale Governo.….Il brigantaggio cresce ad ogni ora, ad ogni istante, ed esaltando i suoi proseliti ora nell'uno ora nell'altro dei piccoli comuni, lascia tracce di desolazione e infonde la audacia di aggredire terre più popolose……" A rompere tanto indifferentismo il 27 novembre 1861 fu mandata dal Sotto Prefetto di Cerreto, Ruffo, ai sindaci di quel circondano la seguente circolare n. 4611: "La distruzione del brigantaggio deve essere in cima ad ogni altro pensiero. Esso, rendendo il traffico malsicuro, inceppa il commercio, anima e vita di ogni civil società. Il governo del Re non manca dal suo canto ai suoi doveri, ma molto debbono fare le popolazioni. Ne sieono di esempio i paesi della Basilicata, che sono Sorti, come un suol uomo, a combattere le orde dei briganti, che, in numero considerevole infestavano quelle contrade. Ciascuno di noi è interessato a veder sterminata questa peste sociale". Con l'entrare dell'inverno Cosimo e Pilucchiello andarono, a spese del Borbone, a svernare a Roma e gli altri componenti la banda si ritirarono in seno alle loro famiglie. Durante la permanenza a Roma il Giordano ebbe occasione di conoscere il brigante Pilone di cui divenne amico. Durante l'inverno di quell'anno 1861, la Guardia Nazionale di Cerreto, Guardia Sanframondi e S. Lupo, per due o tre volte, al comando del tenente colonnello Iacobelli, eseguirono perlustrazioni in montagna essendo stata segnalata la presenza dei capi briganti Filippo Tomaselli, chiamato il Generale, da Pontelandolfo e Agostino Iannella capo di una banda del Vitulanese. Tali perlustrazioni ebbero esito negativo. Al principio di giugno 1862, il Giordano fece comprendere al suo coadiutore, Pilucchiello, che il seguitare a vivere alle spalle di Francesco II era cosa sommamente vergognosa e che il decoro gl'imponeva di procurarsi il pane quotidiano col sudore della.... fronte. Essi perciò rientrarono a Cerrero e, riorganizzata la banda, ripresero ad effettuare le loro ribalderie. Il 15 luglio 1862, in contrada Starze, che trovasi in quel di Guardia Sanframondi, fu sequestrato, mentre andava con la sua cameriera in carrozza, il giudice Emilio De Gennaro. Dal Giordano fu condotto in una grotta del monte Taburno, ma dopo qualche giorno riuscì a fuggire dopo essersi impossessato dei fucili dei due briganti che lo sorvegliavano. Il 13 settembre 1862 Giuseppe Brizio di S. Lorenzo Maggiore, il Sindaco di Guardia Sanframondi avvocato Giovanni Pingue ed il capitano della Guardia Nazionale signor Raffaele Pigna, con quattro suoi dipendenti, si trovarono a convegno nel caffè Morone, in quel di Guardia, a scopo di recarsi a Cerreto Sannita e conferire con quel Sotto Prefetto. Per giungere a destinazione sollecitamente presero a nolo il calesse di Pasquale Assini. Costui per dar prova dell'abilità del suo cavallo lo spinse ad un trotto allungato. Giunti in contrada Cervillo, il cocchiere calò dal veicolo, per stringere i freni, e fu in questo mentre che alcuni briganti comparvero sul limitare di una siepe. Erano otto e fra essi vi erano il Giordano ed il Pilucchiello. Il cocchiere montato di nuovo sul calesse, assestò al cavallo delle generose frustate cercando di allontanarsi. - Fermati, per la Madonna della Libera, - gridò il Giordano al cocchiere - altrimenti ti uccido il cavallo! L'ordine fu eseguito. Il capitano ordinò a tutti di scendere dal calesse, e facendosi di questo scudo, disse ai suoi militi: A voi figlioli, fate fuoco e mirate a Cosimo e a Pilucchiello. E voi, disse il Giordano ai briganti, tirate al capitano! In seguito agli ordini dati si sentirono varie scariche di fucileria seguite da grida. A guerriglia finita rimasero sul terreno Giuseppe Brizio ed il brigante Luigi De Simone. Caduto il De Simone, i briganti si diedero a precipitosa foga; le guardie col sindaco e col loro comandante salirono sul calesse e fecero ritorno a Guardia. Il cadavere del brigante e quello del Brizio furono trasportati in Guardia e deposti nella congrega di S. Maria. La notte, che seguì quelle uccisioni, i briganti si recarono a Guardia dal sacrestano Vincenzo Tacinelli e gli chiesero la chiave della chiesa, perché volevano vedere, per l'ultima volta, il loro compagno. Ma quando seppero che la chiave era custodita dai carabinieri, allora cercarono, ma non riuscirono, di assalire il posto della guardia nazionale. Il brigante De Simone portava al collo un nastrino, al quale stavano sospese dodici borsette contenenti figure di madonne e santi, ai quali l'assassino si raccomandava per riuscire nelle imprese brigantesche. Al principio del 1863 il Governo per distruggere il brigantaggio che andava di giorno in giorno sempre più aumentando, ordinò al Luogotenente Ponza di San Martino ed al Generale Durando di far perlustrare da forti reparti di soldati le contrade invase dai briganti. Ciò malgrado, nel 1863, gli assassini, le grassazioni a mano armata, i ricatti, gli stupri e gl'incendi continuarono ad aumentare. In detto periodo bande di famelici giravano i paesi per domandare l'obolo della carità. Le campagne più non si coltivavano, perché quando la messe era matura veniva da questo o da quell'altro brigante data alle fiamme. Alla Avemaria ognuno si chiudeva in casa. Il commercio era finito e la desolazione regnava per ogni dove. Per sopperire alla miseria dei danneggiati dal brigantaggio, il Ministero dell'Interno ordinò, per costoro, di fare delle collette. Con ufficio del 15 gennaio 1863, n. 207, il Cav. Ruffo, Sotto Prefetto di Cerreto Sannita, spediva ai sindaci del suo circondano la seguente circolare: "Le accludo una circolare in ordine ad una colletta a favore dei danneggiati dal brigantaggio, e di coloro che si sono distinti nel persegui. tarlo. Tutta l'Italia, come ha potuto leggere nei giornali, risponde generosamente all'appello del Ministero. E perché il partito Clericale-borbonico, avverso all'unità nazionale, vuol vedere in quest'opera di pietà un esperimento politico, mi auguro che questi figli del Sannio, che un tempo seppero tenere a bada i Romani, vincitori del mondo, sappiano una volta ancora dimostrare, che non sono secondi agli abitanti delle altre province d'Italia. Usi di tutta la sua influenza, perché l'iscrizione riesca nel modo più splendido che sia possibile". La giunta municipale del comune di Guardia Sanframondi fu una delle prime a riunirsi, e, con deliberazione del 23 gennaio 1863, determinò contribuire con lire 100. Si formò pure per la bisogna una commissione composta dal sacerdote Gaetano Tessitore, dal giudice del mandamento Nicola Rossi, dal sindaco Giovanni Pingue e dai signori Domenico Piccirilli e Nicola Foschini. La pubblica sottoscrizione fruttò lire 137,87 per opera dei collettori: Silvestro Nonno, Luigi Foschini, Francesco Maiorano, Giuseppe Foschini di Filippo, Pietro De Blasio, Raffaele De Blasio, Luigi Tessitore, Tommaso Del Vecchio, Domenico Tessitore e Domenico Assini. Torniamo a Cosimo Giordano. Verso le 7 a.m. del 22 febbraio 1863, mentre il sacerdote Antonino Pigna di Guardia Sanframondi, tutto intabartato, a passo celere, semicurvo e col naso arricciato, quasi volesse, con quella posa, sfidare la forte tramontana che da un'ora e più spirava, si recava a S. Lupo, per andarvi a celebrare la messa, s'imbatté in contrada Campopiano col notaro Antonio Rinaldi. In prossimità della fornace di Orlando, che trovasi a mezza via fra Guardia e S. Lupo, furono fermati dal brigante Cosimo Giordano, che, con venticinque suoi più audaci malfattori, aspettava al varco il sacerdote ed il notaro. Il capobanda, senza molte cerimonie, invitò i due malcapitati a seguirlo, e perché il Rinaldi era corpulento e non abituato a camminate sopra terreno incerto, due briganti furono invitati di andare a rubare, in una vicina masseria, un asinello, sul quale fecero montare il notaro. Della cattura del Pigna e del Rinaldi subito si sparse per Guardia la voce, e, in men che non si dica, quella Guardia Nazionale, fu dal tamburino chiamata a raccolta e si pose sulle tracce dei suddetti malfattori. I briganti, dopo faticosa marcia, attraversarono la montagna di Cerreto e finalmente giunsero su quella di Pietraroia, dove un manutengolo del luogo aveva preparato alla comitiva la colazione. Dopo ristorati, fu data al Rinaldi una altra cavalcatura: un grosso mulo abituato a camminare per discese rovinose. Per ordine di Pilucchiello quella bestia fu guidata a mano da un brigante di Cusano. Presso Civitella il mulo scivolò investendo il Cavaliere, che si rialzò tutto malconcio. Da Civitella a Cerreto, Giordano si mostrò più guardingo; poiché si fece precedere di un centinaio di metri da due vigili sentinelle col mandato di esplorare i dirupi e di far fuoco sui soldati e le guardie nazionali. Attraversarono, senza incontrare anima viva, il territorio di Cerreto, di Guardia, di Solopaca. Fecero alt in contrada Sette-serre che fa parte della montagna di Vitulano, dove due componenti la banda di Gennaro Pulzella fecero ai loro colleghi della comitiva Giordano, gli onori della... montagna offrendo a tutti pane, vino, salami e cacio fresco. All'alba, Pilucchiello consegnò ai due prigionieri carta calamaio e penna e ad essi dettò il prezzo del loro riscatto. Verso le ore tre del sei marzo, mentre i briganti sostavano nel più fitto del bosco a gozzovigliare, il Pigna, che col Rinaldi stava custodito in una grotta, riuscì a sciogliersi dai lacci e accostatosi al Rinaldi gli disse: "Non vi movete, perchè sarò di ritorno non appena avrò soddisfatto un bisogno corporale. Quando il prete si avvide che la sentinella, per troppo vino bevuto, russava, carponi riuscì ad allontanarsi, per poi darsela a gambe. Giunse in Vitulano in casa dei suoi parenti Rivellini alle 5 del mattino. Il Rinaldi, dopo 13 giorni di sofferenze fu lasciato libero. Prima di andar via fu obbligato di gridare: Viva Francesco II! Viva Pio IX! Viva il generale Cosimo Giordano! Pilucchiello, nello stringere la mano al Rinaldi, gli disse: "Signor Notaro, nel ritornare a Guardia, direte al prete Antonino Pigna che, se sarà nuovamente ricattato, gli mozzeremo il capo tanto più che è fratello al capitano Pigna, che l'anno passato con una schioppettata uccise Luigi De Simone, uno dei più valorosi nostri compagni". Il Sotto-Prefetto di Cerreto, per dare continua ed accanita caccia al Giordano, in data 3 ottobre 1863, rivolse una circolare ai sindaci (n. 2172) invitandoli a costituire squadriglie di volontari per la repressione del brigantaggio. Il 6 novembre si presentarono a Cerreto, quali volontari, alla formazione della squadriglia del mandamento di Guardia Sanframondi, Pigna Filippo, Foschini Luigi, Foschini Gabriele, Marotta Giuseppe, Caiola Pasquale, Caiola Vincenzo, Parente Angelo, Turco Giuseppe fu Luigi, Romano Ferdinando, Parente Luigi, Brigida Filippo Luigi, Virgilio Alfonso, Civitillo Gaetano, Rinaldi Andrea, Linfante Florindo, Negro Domenicantonio, Linfante Eziario, Meglio Raffaele, Cesare Antonio, Venditti Filippo, Negro Francesco, Rinaldi Giuseppe, Linfante Francesco e Turco Giuseppe fu Giovanni di anni 18. Il Giordano preoccupato dalla organizzazione contro il brigantaggio che sotto la guida del Salvatore Rampone andavasi compiendo nel Beneventano, fu costretto per un certo periodo di tempo ad occultarsi. Sembra che durante tale periodo di tempo, nelle vicinanze di S. Germano, sotto il falso nome di Nicola Caracciolo, esercitò presso un tal Fusco l'industria del venditore di cipolle; poscia ricordandosi del mestiere che esercitava giovanissimo si trasformò in guardiano di maiali e, in Villa Latina, divenne addirittura negoziante di porci. Il 20 luglio 1865, il Giordano ritornò in Cerreto, ove con la cooperazione dei suoi parenti ed amici sequestrò varie persone estorcendone danaro. Nel principio del 1866 lo si vedeva, ben vestito, girare per Roma e si permetteva ricevere in sua casa non pochi personaggi politici affezionati ai Borboni. Nel marzo 1866 Cosimo Giordano fu segnalato nuovamente nella zona di Cerreto a capo della banda ricostituita. Nostro padre, Raffaele De Blasio, si recò allora a Napoli, ove in casa del suo parente On. Avv. Filippo De Blasio, Si incontrò col Generale Pallavicini e con un funzionario del Ministero degli Interni, per concertare un'azione da svolgere per catturare il Giordano. Venne stabilito di attuare un rastrellamento a vasto raggio con forze concomitanti di unità dell'Esercito e della Guardia Nazionale. Mentre, in vista dell'operazione da svolgere, in Guardia, si procedeva alla organizzazione delle squadriglie di Guardia Nazionale, tra cui alcuni contingenti dovevano provenire da Cerreto e da Piedimonte d'Alife, il Giordano venne a conoscenza del fatto e decise di catturare nostro padre che era uno degli animatori ed organizzatori della lotta che si doveva intraprendere per l'annientamento della banda. Il 12 luglio 1866, il Giordano mise in atto il suo proposito; infatti, mentre nostro padre si trovava in un suo fondo sito in contrada Cervillo, in quel di Guardia Sanframondi, veniva avvicinato dai briganti Vincenzo Ludovico, alias Pilucchiello e Vincenzo Petroli, i quali gli ingiunsero di seguirlo in montagna. Al reciso rifiuto, i due gli si slanciarono addosso dando luogo ad una violenta colluttazione. Sebbene inerme, nostro padre riuscì a disarmare il Petroli e, quantunque ferito da colpi di baionetta, avrebbe avuto ragione di essi, se non fosse intervenuto il Giordano che, a distanza, da dietro una siepe fece fuoco su di lui ferendolo gravemente. I fuorilegge compiuto il misfatto si allontanarono e nostro padre, trasportato a Guardia da alcuni suoi coloni che assistettero atterriti alla scena, vi decedeva poco dopo. Compiuto questo delitto, il Giordano riparò nuovamente a Roma e da qui passò nella capitale inglese dove, per passatempo, si esercitava ad ammaestrare pappagalli. Dopo tre mesi lasciò Londra e ritornò a Roma, dove venne accusato di omicidio; arrestato fu ritenuto in carcere per sei mesi ma risultato innocente, fu rimesso in libertà. Dopo ripetuti incontri con emissari della famiglia Borbone, il masnadiero decise di andarsene a Marsiglia. dove pervenne con un passaporto rilasciato al nome di Giuseppe Pollice. Nell'autunno del 1868, il Giordano ritornò in Italia. Sbarcato a Napoli, passò per Caserta e Piedimonte d'Alife e da qui, in comoagnia del Pilucchiello, si recò nel tertitorio del Comune di Morcone, ove si rese colpevole di numerosi altri delitti. Intanto il Generale Pallavicini, per date un buon colpo al brigantaggio, indusse il Governo, ad accordate premi in danaro a quelli che avessero fatto catturare i briganti, che ancora scorrazzavano per il beneventano e per le province limitrofe. E ciò deducesi dalla seguente circolare, n. 788, della Sottoprefettura di Cerreto, del 5 settembre 1868: "Illustrissimo Signore. L'illustrissimo Signor Generale Pallavicini, comandante superiore delle truppe riunite contro il brigantaggio, dopo venia del Ministero degli Interni, ha messo fuori un manifesto, per il quale vengono fissati premi che sarebbero immediatamente pagati in oro a coloro che uccidono o facessero presentate i seguenti capi briganti: Lire 12.000 per Domenico Fusco, Lire 3.000 per Cosimo Giordano, Alessandro Pace, Domenico Fontana, Francesco Cedrone, Giuserpe Campagna. La provincia offre inoltre altre lite 3.000 a chi assicura alla giustizia Cosimo Giordano e Ludovico Vincenzo alis Pilucchiello". Il 24 settembre 1868 Cosimo Giordano ed il suo collega Pilucchiello, vestiti da caprai, rientrarono indisturbati nello Stato Pontificio, lasciando in balia di loro stessi pochi altri manigoldi dei quali alcuni furono imprigionati durante il 1868 ed altri emigrarono in Francia e nelle Americhe. Nelle ore vespertine del 24 giugno 1880, dopo un'assenza di vari anni, ricomparve, nel circondano di Cerreto Sannita, Cosimo Giordano. Era calato dalla Francia col suo collega Albanese, per tastare il polso ai suoi ex manutengoli, i quali, da un pezzo, si mostravano sordi alle sue richieste di danaro. Vi erano infatti diverse persone, soprattutto di Cerreto e di Guardia che si erano fatte grandi col denaro ricevuto da lui. A quanto pare il risultato fu positivo; poiché, nella sola città di Cerreto, io tre giorni, racimolò sedicimila lire. Per mettere il brivido addosso a quei manutengoli, che lo credevano addirittura morto, volle, per un poco, ritornare brigante ricattando Libero della Penna di Cerreto che fu rilasciato dietro pagamento di lite 5.800. Il ricattato ebbe la confidenza dal Giordano che non sarebbe stato egli ricattato, se esso Giordano fosse riuscito a far prima un buon tiro alla famiglia De Blasio di Guardia Sanframondi, ma che non era fuori di speranza di farlo e che dopo si sarebbe imbarcato in un porto delle Puglie. Il Prefetto intanto prese le opportune disposizioni per impedire il meditato ricatto e, per arrestare il Giordano qualora avesse tentato di imbarcarsi, fece inviare dall'autorità militare molti soldati a Guardia e indusse il Signor Pietro De Blasio del fu Geremia a non uscir di casa. Quando il Giordano rientrò dalla Francia, non mancò di vantarsi, con i suoi conoscenti della bella accoglienza che Francesco II gli aveva fatto concludendo che se il Borbone fosse stato restaurato sul trono, egli sarebbe diventato generale dell'esercito, cosa che avrebbe arrecato onore alla famiglia ed a Cerreto. In seguito al ricatto di Libero della Penna, il 1° luglio 1880, il Prefetto di Benevento trasmise ai sindaci la seguente circolare: "Essendo apparsa nel Circondario di Cerreto Sannita una banda di malfattori capitanata dall'ex brigante Cosimo Giordano, il sottoscritto comunica alle SS.LL. come S.E. il Ministro dell'Interno ha promesso un premio di lire quattromila a chi arresterà o farà arrestare il Brigante Cosimo Giordano ed una conveniente gratificazione. Il Prefetto: Giorgetti". Questa circolate, annunziante il premio di lire quattro mila, non dette nessun frutto, benché fosse stata affissa al pubblico ed annunziata al popolo dai banditori a suon di tromba, nè il risultato poteva essere diverso, poichè il Giordano, fornito di passaporto, già trovavasi in Francia. Ciò non pertanto il Governo credendo che il Giordano fosse ancora in Italia da quattro portò a lire ottomila il premio da darsi a chi arrestasse o facesse arrestare il tanto temuto uomo,- e perché i vari municipii avevano versato anche un contributo, così la somma salì a lire undicimila. Questa circolare è del SottoPrefetto di Cerreto, porta la data del 17 luglio 1880 ed è distinta col n° 971. La giunta municipale di Guardia Sanframondi stabilì di versale lire cinquanta per la cattura di Cosimo Giordano. Il SottoPrefetto di Cerreto, in data del 5 luglio 1880, n° 2875, ritornò al sindaco di Guardia, signor Ernesto Foschini, la deliberazione a scopo di ottenere una somma maggiore. Sempre per quella tale credenza che il Giordano fosse ancora nel beneventano, il 25 agosto il SottoPrefetto con suo ufficio N° 971-3, stabilì, per ordine del Ministero dell'Interno, che mezza Compagnia di soldati fosse mandata a Cerreto, trenta uomini a Pietraroia e mezzo squadrone di cavalleria a Telese. Furono, con altri carabinieri, rinforzate le stazioni di pubblica sicurezza di Morcone, Cusano, Guardia e Sopolaca. La calma ritornò nel circondano di Cerreto Sannita quando il Giordano fece pervenire ad una delle autorità beneventane una lettera nella quale l'avvisava di ritirate la forza dai varii comuni, poiché egli (il Giordano) si trovava sano e salvo in altro stato. Realmente il Giordano fin dal 1° luglio si era imbarcato, assieme con l'Albanese per Marsiglia. Quivi giunti, si separarono, giacché l'Albanese continuò il viaggio per l'America del Nord e il Giordano si diresse a Lione dove teneva un negozio di frutta e di liquori. L'amante del Giordano, che era una donna sommamente superstiziosa, disse al brigante che era ormai tempo di sposarla. Cosimo annuì ed allora il parroco del quartiere della Croix-Rousse, ove dimoravano i Coniugi Pollice - sotto questo nome vivevano il Giordano e l'amante - si pose in relazione coll'arciprete di Madame la napolitaine per avere il certificato di stato libero. Durante queste trattative ecclesiastiche il governo d'Italia venne a conoscere la dimora del Giordano. Non ci è riuscito sapere se tra le nostre autorità e quelle di Francia siano state intavolate le trattative per la estradizione del nostro famigerato brigante; però non cade dubbio che, per tema che il Giordano fosse calato nuovamente in Italia, il Ministro dell'Interno mandò sopra luogo un abile delegato di P.S., il quale celando la sua vera professione seppe stringere tale amicizia col Giordano, da indurlo, il 23 agosto 1882, a farsi accompagnare in Italia, dove diceva recarsi per affari commerciali. Di tanta decisione il delegato ne tenne a giorno le superiori autorità italiane, le quali disposero che nel porto di Genova si fosse trovata, per giorno 25, una barcaccia trasformata a trattoria. Quando il piroscafo che portava i due amici, si fermò, il delegato espresse al Giordano il desiderio di voler far colazione su quella barca. Verrò anch'io, disse il Giordano, e, dopo che quest'ultimo ebbe bevuto del vino e mangiato un pezzo di arrosto, fu circondato da alcune guardie in borghese e dichiarato in arresto. Dopo circa due anni, cioè il 6 agosto 1884, Cosimo Giordano fu condotto nelle assisi di Benevento per essere giudicato. Alle undici del mattino del 25 agosto, il Presidente dichiarò chiuso il dibattimento. Alle 12 precise i signori guirati Assini Giuseppe, De Leonardis Nicola, Cecere Paoloantonio, Guadagno Tommaso, Romano Luigi, Iannetta Giacomo, Iandoli Francesco, De Longis Vincenzo, Palladino Alfredo, Gubitosi Antonio, Del Giudice Luigi e Vastalegno Bernardo, entrarono nella Camera delle deliberazioni. Restarono nell'aula i giurati supplenti signor Luigi M. Piccirilli e Biagio Farina. Alle 15 i giurati uscirono. Un profondo silenzio si fece nell'aula. Il capo dei giurati signor Giuseppe Assini, lesse il verdetto. Rientrò per ordine del presidente, l'imputato. Il cancelliere rilesse il verdetto che il Giordano ascoltò con calma. Alle 17 rientrò la Corte ed il Presidente Comm. Nicola Falconi lesse la sentenza con la quale il Giordano veniva condannato alla pena dei lavori forzati a vita, alla perdita dei diritti politici ed alla interdizione patrimoniale, nonchè ai danni a favore delle patti lese ed alle spese di giudizio a pro dell'erario dello Stato. Il giudicato, impassibile, muto, scese dallo stallo ed affidò i suoi polsi ai carabinieri. Così il dramma finì, il sipario calò su quell'infame colpevole, condannato, per sempre, alla sepoltura dei viventi.

NOTE

1. Nell'agosto del 1860, a Guardia, si propalarono delle notizie concernenti la vittoriosa avanzata di Garibaldi nelle province meridionali, di guisa che tutti consideravano imminente la caduta della dominazione borbonica. Generosa e Anastasia De Blasio, sorelle dell'Avv. Filippo De Blasio, a loro spese, distribuirono alle donne di Guardia, dei nastrini tricolori che sostituirono le trine che ornavano i costumi del paese. Nella seconda quindicina di agosto giunse la notizia che le truppe garibaldine erano nei pressi di Guardia. Si formò un corteo che, osannante il Regno d'Italia, si avviò verso la contrada Campopiano. Ivi però kla folla si accorse che invece degli attesi garibaldini si trovava difronte a un reparto del 10° Reggimento di Linea Borbonico. Fu un fuggi fuggi generale! Le donne cercavano di strappare i nastri rossi, bianchi, verdi dalle gonne ed Anastasia Generosa De Blasio a stento riuscirono a mettersi in salvo, nascondendosi in una casa colonica. Le truppe borboniche furono accolte da pochi cittadini e benedette dal clero. In seguito alla predetta manifestazione furono arrestati e condotti al carcere di San francesco alcuni giovani, che furono messi in libertà nel mese di settembre quondo cioè fu proclamata la fine della dominazione borbonica.

2. Il Senatore conte Carlo Torre di Caprara, nato a Benevento nel 1812, fu il primo Governatore di Benevento, nominato a tale carica il 5 ottobre 1860 dal Dittatore Garibaldi. Morì nella città natale nel 1890.

3. La reazione filo borbonica già in atto fin dal luglio 1861, destava serie preoccupazioni perché andava assumendo notevoli proporzioni. L'intendente di Cerreto Sannita Mario Carletti, scriveva al Dicastero di Polizia di Napoli. "I briganti scorazzanti pel Matese, corona di aspre ed intrattabili montagne poste a cavaliere di queste contrade, sono entrati nell'ardito intendimento di scendere al piano e di aggredire l'abitato per consumarvi fatti di immane atrocità appena che la poca forza regolare qui stanziata se ne apparti per poco chiamata altrove". Nello stesso rapporto (24 luglio 1861) il Carletti faceva presente che ben poco si poteva contare sullo spirito della popolazione in gran parte non ancora orientata verso la causa nazionale (A.S.N., Alta Polizia, f. 180).

4. Abele De Blasio "Il Brigantaggio tramontato", R. Tipografia Pansini in San Lorenzo, Napoli, 1908.

5. Tuttora nell'Italia Meridionale ti usa la parola trabante col significato di ordinanza.

6. I fatti cui si accenna sono i seguenti che togliamo dalla memoria dell'amico nostro Egildo Gentile: "il Castello e la Terra di Pontelandolfo": "erano le ore del vespro del 7 agosto 1861. Il popolo seguendo la Croce ed il Clero, usciva dall'abitato per recarsi alla cappella di San Donato (di cui quel dì ricorreva la festa) ad assistere ai salmi del vespro. Dopo un'ora mentre si aspettava in paese il ritorno dei devoti dalla chiesetta, si vide tornare la croce seguita da un vessillo e da parecchi rivoltosi, che schiamazzando accompagnarono il Clero in Chiesa e l'obbligarono a cantare il Tedeum in rendimento di grazie per la restaurazione del governo Borbonico, che asserivano compiuto. Chiesta così la benedizione a Dio, depredarono le case dei cittadini, che erano fuggiti, ed assassinarono l'esattore di fondiaria, un negoziante e un eremita di Sassinoro. Il giorno 9, Cosimo Giordano, svaligiata la carrozza postale, entrò in Pontelandolfo. Un tal Libero D'Occhio, corriere segreto dei garibaldini, preso dagli affiliati del Giordano, venne da questi ucciso. Ma scene molto più luttuose e feroci di quelle perpretate nel Comune di Pontelandolfo si avverarono in Casalduni. Il giorno 11 agosto per sedare i disordini, fu da Campobasso inviato un drappello di 45 soldati del 36° di linea con il Tenente Luigi Augusto Bracci e 4 carabinieri. I due soldati rimasti indietro, perché stanchi, uno fu ucciso, l'altro gravemente ferito; i restanti, avute le munizioni dal vice Sindaco di Pontelandolfo, si chiusero nella torre Baronale. Provocati dai Briganti, tentarono subito una sortita e si incamminarono verso Casalduni; ma ivi una banda numerosa, comandata da Angelo Pica, li costrinse a darsi prigionieri. Giunto intanto l'annunzio dell'arrivo di altri soldati, il brigante ordinò che i prigionieri fossero uccisi. Qualcuno riuscì a salvarsi, gli altri vennero trucidati. Dopo tali avvenimenti a Casalduni per sicura nuova di soldati marcianti niuno riposò; tutti fuggirono. Ma Pontelandolfo, niente sapendo, fu colto. Sull'alba del 14 agosto un battaglione di 500 bersaglieri, comandati dal Tenente Colonnello Negri, si avanzava verso il paese; le campane suonavano a stormo, la gente smarrita fuggiva dall'abitato. Il dì seguente un dispaccio da Fragneto Monforte del colonnello Negri annunziava laconicamente al Governatore di Benevento: "Ieri mattina all'alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. Il sergente del 36°, il solo salvo dei 40, è colla nostra truppa, che fu oggi divisa in due colonne mobili". Per la terza volta, nello spazio di otto secoli circa, Pontelandolfo era stato fatalmente incendiato".

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