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 UNA PROVOCAZIONE INACCETTABILE: IL RISORGIMENTO DA RISCRIVERE

di Gustavo RAFFI

da: http://www.grandeoriente.it/riviste/Hiram/2000/04editoriale.htm

La recente e provocatoria mostra dal titolo "Il Risorgimento italiano. Un tempo da riscrivere" presentata al meeting riminese di Comunione e Liberazione e la santificazione di Pio IX hanno dato vita a una polemica sulla stampa italiana culminata con l’intervento di firme prestigiose come quelle di Eugenio Scalfari, Indro Montanelli, Saverio Vertone, Pietro Craveri e riproposto la questione del rapporto tra Risorgimento e Massoneria. Noi preferiremmo che questi dibattiti fossero svolti negli ambiti culturali d’elezione, le aule universitarie e nei congressi storici scientifici, se alla base di tutto ci fosse una volontà vera di riflessione storica e non il tentativo di legittimare un progetto politico che ha come fine lo scardinamento dello stato unitario italiano. Ma anche i dibattiti giornalistici possono essere utili se inducono l’opinione pubblica a riflettere su una parte della nostra storia che non riteniamo intoccabile, un’epopea da santificare. Pensiamo che sia utile, per esempio, una riflessione critica sul pensiero federalista di Carlo Cattaneo o quello economico di Giuseppe Mazzini che, seppur sconfitti dalla destra liberale, hanno dimostrato con il passare degli anni tutta la loro validità. Un federalismo che migliori il rapporto tra Stato e cittadini ma che al contempo non sia uno strumento di divisione e rivalità tra entità regionali, come auspicato da Cattaneo, non è forse il modello al quale si ispirano gli stati federalisti attuali? La cooperazione tra lavoratori e imprenditori anziché la lotta di classe, pur salvaguardando le legittime rivendicazioni economiche e sociali dei primi, come auspicato da Mazzini, non è forse alla base dei moderni rapporti di produzione? Un conto è confrontarci sul pensiero economico mazziniano o l’ipotesi di un’Italia federalista, idee accarezzate da molti patrioti risorgimentali, un altro è porre come modelli positivi i briganti calabresi e campani o il Papa del Sillabo e del rapimento del piccolo ebreo Mortara. Questo tentativo destabilizzante, che va ben oltre la querelle storiografica, e l’attacco massiccio messo in atto contro la nostra Istituzione mi obbliga ad intervenire per ribadire il ruolo svolto dai Massoni nella costruzione di uno Stato moderno, laico e democratico. Sul rapporto tra Risorgimento e Massoneria per molto tempo i testi di riferimento sono stati quelli di Alessandro Luzio e Giuseppe Leti con tesi opposte ma speculari. Il primo, accanito antimassone, negava ogni coinvolgimento della Liberamuratoria nel processo unitario italiano facendosi forza sulla scarsissima presenza di logge clandestine negli Stati italiani preunitari dove, come tutti sanno, la Liberamuratoria era proibita. Il secondo, alto dignitario massonico, invece rivendicava totalmente all’Istituzione un ruolo guida, sforzandosi di dimostrare la presenza di strutture massoniche nel periodo della Restaurazione. Entrambi però si sono dimostrati deboli nell’impianto interpretativo; per esempio se si affronta esclusivamente il problema riducendo l’ottica alla presenza di strutture e organismi liberomuratori senza dubbio si deve convenire sulla scarsa presenza delle logge massoniche nel Risorgimento italiano ma se, come ha scritto uno storico di fama come Giuseppe Giarrizzo ci spostiamo dallo studio delle strutture organizzative a quella dei modi dell’agire politico vediamo che sia i moderati che i rivoluzionari conservarono nell’impianto ideologico, le proprie ascendenze muratorie. Seguendo questa logica "il giacobinismo, come una delle articolazioni del nesso Risorgimento italiano-Rivoluzione francese, si interpreta e si apprezza solo se inserito nel corrispondente capitolo della storia massonica; alla Massoneria l’azione politica dei ‘patrioti’ deve la forma organizzativa e importanti schemi ideologici; alla Massoneria rinvia la forma-partito che si costituisce a cavallo del 1848 ed è infine importante il contributo ‘laico’ o religioso (non ecclesiastico) delle varie osservanze nel processo formativo della politicizzazione delle masse, in vista della ‘riforma intellettuale e morale’ dell’Italiano e soprattutto dell’avvento in Italia di un modello d’umanità rigenerata". Oltre a questa interpretazione, fondamentale per capire il reale rapporto che lega la Massoneria alle vicende risorgimentali, non dobbiamo sottovalutare il ruolo svolto dalle Logge e dai Massoni nell’enorme processo di modernizzazione che si attuò tra la fine del XVIII secolo e il 1815 e al radicale cambiamento di mentalità che si produsse, cambiamento che la Restaurazione non poté né cancellare né distruggere. Altresì va ricordato non solo il rapporto stretto tra Massoneria e Carboneria (dove per raggiungere i massimi gradi si doveva rivestire il grado di maestro massone) ma in generale il rapporto con quel vasto, complesso e mobile mondo delle società segrete in Europa dopo la Restaurazione, in cui continuamente, spesso per fini politici immediati, dalle società segrete esistenti altre e nuove se ne diramavano. Di questo mondo la Massoneria fu il punto di partenza e, con la nascita delle prime Logge nell’Italia unita, il punto d’arrivo; l’alveo in cui i gruppi rivoluzionari italiani, una volta conseguito il loro fine, rifluirono per gestirne i risultati. Questa tesi "continuistica" tra Massoneria e società segrete in Europa fu ampiamente studiata dal compianto Carlo Francovich che dimostrò l’esistenza di una fitta trama di relazioni tra i magmatici universi settari e liberomuratori del periodo giacobino e napoleonico e della prima Restaurazione. Da questo stretto connubio nacque nel 1803 la Filadelfia e in seguito da essa e da altri settori della Massoneria illuminata sarebbero poi scaturite nuove associazioni, quali la Carboneria nell’Italia meridionale e l’Adelfia in quella settentrionale e in Francia; a loro volta parte degli adelfi e filadelfi confluirono nella società dei Sublimi Maestri Perfetti, costituita da numerosi massoni seguaci di Filippo Buonarroti. È in base a questi precedenti storici che noi massoni rivendichiamo a pieno titolo il nostro contributo al Risorgimento italiano fin dai suoi albori ma ancor più rivendichiamo il nostro ruolo nella costruzione di uno Stato laico e moderno. In questo progetto l’Istituzione massonica si inserì all’interno di un campo di forze, in cui esisteva una molteplicità di tensioni dal basso e dall’alto: dal basso rispetto allo sviluppo dell’associazionismo dentro il corpo della società civile; dall’alto un percorso istituzionale che privilegiava la dimensione statuale dell’intervento politico. I massoni italiani cercarono di supplire alle debolezze degli strumenti politici messi in campo dallo Stato liberale per cercare di distruggere le vecchie appartenenze dell’ancien régime e imprimere un’accelerazione ai percorsi d’integrazione e di democratizzazione. A questo punto viene logico porsi degli interrogativi: la Massoneria contribuì a "fare gli italiani"? Ebbe cioè un ruolo nel processo di costruzione di un’identità nazionale nella diffusione dei valori patriottici presso le classi medie urbane del secondo Ottocento? I nomi stessi assunti da molte Logge (spesso quelli dei maggiori protagonisti del Risorgimento); la loro partecipazione a riti e feste civili (come quella del XX Settembre, vissuta come coronamento del processo di liberazione nazionale e nel contempo come solenne affermazione dello spirito anticlericale); il contributo dato all’elaborazione di una liturgia patriottica fatta di manifestazioni in ricordo di vicende risorgimentali, di inaugurazioni di lapidi e monumenti; infine l’opera di legittimazione del nuovo Stato svolta nei primi decenni postunitari (per esempio sollecitando ripetutamente la partecipazione elettorale dei cittadini) fanno sì che si possa rispondere affermativamente. Tutto questo avveniva per supplire alla titubanza dello Stato nell’incentivare lo spirito nazionale: le feste civili, le ricorrenze patriottiche, la monumentalistica dovevano diventare i punti di forza per un’integrazione nazionale fondata su momenti simbolici di particolare intensità emotiva. La Massoneria, difendendo la tradizione laica risorgimentale come cemento ideologico dell’idea di Nazione si confrontò con un progetto analogo a quello dello Stato liberale: la costruzione dell’identità nazionale e la definizione di un ambito di riferimento comune, che non fosse soltanto una appartenenza puramente burocratico-amministrativa. Se verso lo Stato l’Istituzione si impegnò per colmare un deficit di iniziativa sul piano politico, verso la società civile il sodalizio liberomuratorio si rivelò uno straordinario fattore di moltiplicazione dell’associazionismo laico-borghese e popolare. La Massoneria ebbe un rapporto di osmosi con varie altre forme associative (settarie, corporative, mutualistiche, filantropiche, politiche), dalle quali trasse stimoli e risorse umane nella fase di nascita delle Logge. Furono innumerevoli le aggregazioni sociali di carattere laico e solidaristico, anche di nuova concezione, che videro la luce per iniziativa delle Logge massoniche: scuole per il popolo (serali o domenicali), biblioteche circolanti, università popolari, cooperative di consumo e, più raramente, di produzione, banche del popolo, società per l’allattamento materno, società di cremazione e per le onoranze funebri, società per la pace e per gli arbitrati internazionali, associazioni, infine, costituite per sostenere campagne in favore di temi di rilevanza civile, come quelle per l’abolizione della pena di morte, per l’introduzione del suffragio universale o del divorzio, per la lotta contro la prostituzione, e così via. Ciò, a sua volta, si inquadrava in un più ambizioso progetto di secolarizzazione e democratizzazione della società italiana, che inevitabilmente comportò il crescente coinvolgimento del sodalizio nella lotta politica e sociale. Questo progetto di costruzione di un’identità nazionale nacque quindi direttamente dentro la società civile, con percorsi organizzativi e istituzionali definiti, promuovendo al massimo lo sviluppo e l’incremento della dimensione "spontanea" dell’associazionismo. In quest’ultima direzione la Massoneria fu spinta anche dal fatto di aver rappresentato una delle poche forme associative ottocentesche diffusa in modo relativamente uniforme sull’intero territorio nazionale e dotata di una struttura direttiva verticistica e centralizzata. Fin dai primi anni postunitari le logge assunsero un ruolo importante di aggregazione dove si confrontavano progetti politici e culturali di consenso o di opposizione. Oltre alla tradizione esoterica e rituale - che verrà vissuta all’interno delle Logge in modo sofferto, ma con la consapevolezza che l’osservanza rigorosa avrebbe impedito degenerazioni pericolose - appare chiaro che l’impegno politico e sociale fu al centro della strategia massonica. Sul versante politico l’associazionismo massonico divenne, a partire dal 1860 fino alla fine del secolo, uno strumento del processo di politicizzazione - mancando la borghesia e i ceti dirigenti di moderne strutture partitiche - così da risultare una sorta di laboratorio dove le varie opzioni politiche sperimentavano strutture di aggregazione e future alleanze. La Massoneria svolse un ruolo fondamentale nella legittimazione di uno stato estremamente debole, per molti anni dopo l’unificazione, in quanto, come scrisse Lewis Namier "un regime costituzionale è solido quando i suoi metodi sono penetrati intimamente nelle abitudini e nelle reazioni istintive della nazione politica: esso salvaguarda la vita civile ma presuppone accordo e stabilità nella misura in cui la garantisce". Fin dal 1860, malgrado le laceranti lotte tra moderati e democratici, la Liberomuratoria si propose di costruire uno stato laico fornendo quadri dirigenti, sostenendo un radicale processo di riforme e opponendosi alle forze cattoliche che agivano come strumenti antisistema o extrasistema. Attraverso questa interpretazione possiamo affermare che l’Istituzione massonica agì come una organizzazione a difesa dello stato laico e liberale contro le spinte non solo delle forze antisistema ma contro le forze moderate, timorosa che una convergenza tra componente cattolica e moderata dinastica, appoggiata dall’incultura politica delle masse rurali, portasse a un regime illiberale e clericale. Ma, come ho già sostenuto, se la questione fosse solo un dibattito storico, poco senso avrebbe il mio intervento che storico non sono. Quello che preoccupa noi Massoni è che, dietro questo revisionismo storico, dove Pio IX, il cardinale Ruffo, i briganti del sud sono i modelli positivi mentre i liberali e i democratici che fecero l’unità d’Italia sono quelli negativi, esista un sempre più arrogante integralismo cattolico che, alleato con movimenti separatisti, sta portando un assalto all’identità, alla storia e alle istituzioni del nostro Paese. Stiamo osservando in questi ultimi tempi la convergenza di ideologie opposte unite nel tentativo di distruggere le istituzioni politiche e l’unità nazionale, in pratica distruggere lo Stato italiano e il suo ordinamento democratico. Il rifiuto dello Stato italiano da parte degli integralisti cattolici ha radici lontane e queste radici lontane trovano insperati alleati in movimenti e partiti che fanno della disgregazione nazionale, della xenofobia, del culto della razza, la loro bandiera. Il primo passo di questo processo è quello di mettere in discussione le radici dell’unificazione che prese origini dal Risorgimento, passò attraverso Porta Pia e si concluse con il ricongiungimento di Trento e Trieste. Se per assurdo si riuscisse a dimostrare che la nostra storia è fatta di imbrogli, massacri, ingiustizie, si metterebbero in discussione le basi fondative e legittimanti della democrazia italiana. Ed è proprio contro questo tentativo clericale integralista e xenofobo, che passa attraverso la privatizzazione della scuola, l’imposizione di veti oscurantisti alla ricerca medico-scientifica, la discriminazione razziale nei confronti degli immigrati non cattolici e per ultimo, in ordine cronologico, con la discriminazione tra figli naturali e figli adottivi, che i Massoni si battono. Noi vogliamo contribuire a costruire un mondo dove le Nazioni non siano più portatrici di conflitti ed elementi di divisione ma, come campeggia nel pensiero di Mazzini, espressioni di identità sociali e culturali, che prevalgano sull’elemento etnico, regionalistico e confessionale. Anche in questo traiamo forza dalla nostra tradizione, dall’insegnamento dei nostri predecessori, i Gran Maestri Mazzoni, Petroni, Lemmi, Nathan, Ferrari, tutti ferventi mazziniani, che, fedeli al concetto di nazionalità di Mazzini, non solo impedirono derive nazionalistiche, ma fecero sì che la Massoneria si impegnasse per la difesa e l’autodeterminazione dei popoli oppressi e per la creazione di organismi internazionali, come l’arbitrato internazionale e la Società delle Nazioni, con il fine di raggiungere la fratellanza universale tra i popoli. Non a caso nelle Costituzioni discusse e approvate nella prima Assemblea costituente, tenutasi a Torino nel dicembre 1861, il Grande Oriente italiano aggiungeva all’universale concetto massonico di Libertà, Uguaglianza, Fratellanza quello di Indipendenza, Unità e Fraternità delle Nazioni. Nazioni affratellate da un comune senso di giustizia e libertà, dove predomini la collaborazione e le differenze razziali, culturali e religiose siano considerate non come momenti di attrito e conflitto ma come un bene e una risorsa per la costruzione di un nuovo umanesimo. Per questi motivi i massoni, che si sono posti da sempre l’obbiettivo della laicizzazione e modernizzazione del Paese, saranno sempre in prima fila per difendere l’esperienza risorgimentale, che si cementò sul vincolo strettissimo fra sentimento nazionale, spinta modernizzatrice e forte visione laica della civiltà, e saranno fieri avversari dell’integralismo cattolico e delle forze disgregatrici che, da qualunque versante politico provengano, tenteranno di minare la democrazia e il laicismo nel nostro Paese.

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