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IL BRIGANTAGGIO E LA QUESTIONE MERIDIONALE

LA QUESTIONE MERIDIONALE

da: http://www.iis.lunigiana.it/legalita/la.htm

Mentre alla vigilia della spedizione dei Mille si realizzava al Nord e al Centro d'Italia l'unificazione territoriale (con l'esclusione del Veneto e di Roma), la successione di Francesco II e di Ferdinando II nel regno delle Due Sicilie faceva intravedere prossima la caduta dell'Impero borbonico, ancora legato ad una mentalità ormai superata ed ostile ai movimenti nazionali e liberali divampati ovunque nella Penisola. L'atteggiamento del nuovo sovrano insensibile alla politica del Cavour favorì l'impresa di Garibaldi preparata dal Crispi e dai moti insurrezionali guidati da Rosolino Pilo; ma la progettata liberazione non prevedeva forse tutto il cumulo dei problemi che si sarebbero presentati con la realizzazione della nuova carta politica dell'Italia. La rapida azione militare dei volontari garibaldini fu gloriosamente conclusa grazie anche al contributo di uomini del Sud che sacrificavano beni e vita; ma le difficoltà serie incominciarono quando l'inserimento del Mezzogiorno nella vita nazionale richiese una partecipazione armonica di tutte le regioni in ogni settore dell'economia, dell'amministrazione pubblica, della cultura e dell'organizzazione sociale. Allora si rivelò una impreparazione enorme a superare la barriera che secoli di storia separata avevano innalzato tra Nord e Sud, né l'uno né l'altro conoscevano le reciproche possibilità e risorse, le divergenze di mentalità, l'apporto da dare reciprocamente alla Patria. Persistevano invece pregiudizi, complessi di inferiorità e superiorità, campanilismi, incomprensioni, differenze che rendevano problematica ogni collaborazione. Le migliori condizioni economiche e sociali del Nord facevano si che i settentrionali guardassero al resto dell'Italia con un certo senso di alterigia scostante: la funzione di stato - guida esercitata dal regno sabaudo, nel processo di unificazione, creò quel piemontesismo che influenzò perfino i patrioti meridionali esuli al Nord e piemontesizzati, come si diceva al Sud non senza disappunto. Nacque allora la cosiddetta "questione meridionale", che ancora oggi, dopo centotrentanove anni di Unità, presenta problemi urgenti e non ancora risolti. Ma perché, viene spontaneo chiedersi, fu tanto laboriosa una fusione tra gente della stessa stirpe, legata da interessi storici, culturali, economici e affratellate dalle medesime aspirazioni sui campi di battaglia?. Il motivo più ovvio sta nel fatto che l'Unità avvenne non per un graduale innesto e poi per una lenta fusione con reciproci " trapianti" di cittadini tra regione e regione, ma con una violenta annessione che parve più sconcertante nel Meridione dove, mancando un naturale assorbimento del progresso raggiunto al Nord ed un affiatamento favorito da continui contatti, le condizioni di vita erano del tutto particolari e depresse. Inoltre si lamentava, ( e lo osserva il Mascati), la mancanza di una classe dirigente meridionale che sapesse da un lato rapidamente italianizzare e dall'altro porre il rispetto per l'indipendenza spirituale, morale ed economica del Mezzogiorno d'Italia. Ma " l'unità italiana, scrive lo Sprini, era un evento tanto nuovo e rivoluzionario nella storia della Penisola che gli Italiani stentavano ad adattarsi". Gli usi e le consuetudini assai dissimili, la legislazione diversa, il sistema amministrativo, burocratico e militare per nulla conforme, la varietà dei pesi, delle misure e delle monete accrescevano il disorientamento, mentre la più osservata differenza del tenore di vita e dello sviluppo industriale e commerciale si andava aggravando a tutto svantaggio del Meridione, rimasto alla piccola economia artigianale, al piccolo commercio locale, alla modesta produzione agricola ancorata a sistemi superati. Con penuria di strade ferrate e di vie di comunicazione, cadendo le barriere doganali, la Campania e la Sicilia, mal reggevano al confronto con il Piemonte, la Lombardia e l'Emilia, più attrezzate per sostenere la concorrenza e più ricche di iniziative imprenditoriali. L'erario nazionale dissanguato dalle guerre d'indipendenza e dalle spese enormi "d'impianto" del nuovo stato, esigeva senza discriminazione le tasse, in ugual misura da regioni ricche e povere, cosicchè il governo italiano al Sud in veste di "strozzino e affamatore" suscitava nostalgici rimpianti per l'amministrazione borbonica che non pretendeva molto perché non spendeva nulla per l'utilità pubblica. L'impopolarità contro lo Stato cresceva con l'imposizione del servizio militare obbligatorio che danneggiava il bilancio delle famiglie a cui venivano sottratte braccia per lavorare . Il Minghetti avrebbe voluto applicare un sistema amministrativo decentrato di tipo inglese tenendo conto delle discrepanti condizioni delle varie zone, ma prevalsero i criteri del sistema accentrato in uso già nella Francia napoleonica. Per reazione scoppiarono moti separatisti ed episodi di un brigantaggio organizzato, fenomeno non di pura delinquenza ma di opposizione armata al governo centrale. Il banditismo in Lucania Calabria, incoraggiato dalle scarse forze di polizia, si diffuse accogliendo gli sbandati del disciolto esercito borbonico, i nostalgici del vecchio regime, i renitenti alla leva italiana, i contadini irritati contro il governo " protettore dei ricchi borghesi", i borghesi e i nobili che si sentivano più liberi e potenti sotto Francesco II. Lo stato reagì allora in forma violenta con forze di polizia e dell'esercito, decretando fucilazioni e pene esemplari finchè nel 1866, con un atto di resipiscenza, mise in liquidazione i beni dell'ex - regno borbonico e degli ordini religiosi ad esso fedeli, a favore dei contadini che però non ne trassero un vero vantaggio. Nel 1867, quando la relazione commerciale tra l'Italia e la Francia ebbero una flessione notevole, gli agrumi, gli ortaggi e l'olio, prima esportati, rimasero bloccati, con danno rilevante. Non fu dunque meraviglia se nel '92 si costituirono " i fasci di operai siciliani" che raccoglievano in prevalenza contadini e zolfatari ma aprirono le loro fila anche a tutti i malcontenti. Ovunque imperava nell'Isola una oligarchia feudale dei ricchi latifondisti i cui rappresentanti riuniti a Caltagirone proposero l'abolizione della istruzione elementare ai contadini per evitare che si emancipassero assimilando, con la lettura, idee di progresso sociale e di rivendicazioni. Intento al brigantaggio si associava la magia e con esso si moltiplicavano i ricatti, gli assassini, i sequestri e le teglie, l'analfabetismo giungeva in molte parti del Sud alla spaventosa percentuale del 90% e la situazione generale si faceva sempre più insostenibile. Il Codronchi inviato come commissario governativo in Sicilia appoggio' alcune proposte sul modo di comporre le diatribe tra imprenditori e lavoratori, sulla revisione dei patti agrari e su alte innovazioni nella legislazione del lavoro. Le trattative naufragavano e fu necessario uno sciopero di diecimila operai nelle zolfatare per costringere il Parlamento a riprendere in esame le sopracitate proposte. IL secolo XX non si apre con prospettive di pace nel campo che oggi chiameremo sindacale: nel 1907 gli scioperi nelle campagne di Ruvo, Cerignola, Canosa e del Foggiano furono seguiti da disordini e sommosse: ma la storia delle agitazioni nel Meridione continuò ancora perché i suoi problemi non furono mai coraggiosamente affrontati, tanto che anche oggi sussistono in misura più o meno grave e riguardano l'analfabetismo, il basso tenore di vita, l'industrializzazione, l'ancora modesto sviluppo delle vie di comunicazione, la lenta meccanizzazione nell'agricoltura, la latente persistenza della mafia, la piega del banditismo. La sovrappopolazione di certi centri in mezzo a zone quasi spopolate determina ancora carenze di case, di servizi, di igiene, di assistenza medica e sanitaria: chi abbia letto l'interessante e sconcertante relazione di Danilo Dolci su Patrocinio, comprende certe ribellioni di banditi alla Giuliano e certe evasioni della società verso la condizione di fuorilegge. L'agricoltura è afflitta dal latifondismo che soffoca i piccoli proprietari; la presenza di sistemi feudali e di vecchie baronie intralcia il progresso e deprime i deboli, i più intraprendenti emigrano verso altre regioni e vanno all'estero, accrescendo i disagi dei loro paesi dove rimangono i vecchi e i meno qualificati. Ad onor del vero, dopo la II guerra Mondiale, si sono trapiantati complessi industriali provenienti dal Nord, assorbendo lavoratori locali adeguatamente istruiti, si sono impegnati forti capitali forniti dalla Cassa del Mezzogiorno e le raffinerie di petrolio di Gela ad Augusta e gli stabilimenti costruiti in Campania, nonché l'incremento dato al turismo medioevale con intelligente propaganda e valide attrezzature alberghiere, dimostrano che la fiducia in una rinascita del Sud e confortata da piani di massiccio intervento e dimostrano che la Nazione crede nell'utilità e nell'efficacia di una collaborazione integrale. Del resto, a parte qualunque considerazione utilitaristica, valorizzare il Mezzogiorno d'Italia al quale tutta la nazione è debitrice di un prezioso contributo datale con generosità esemplare nella preparazione dell'unificazione e dopo l'avvenuta Unità. Alludo al contributo di singoli cittadini distintisi nella cultura, nella politica, nelle arti, nel diritto: ma alludo anche a quell'apporto collettivo, formato da una imponente schiera di fedeli servitori dello stato: soldati, ufficiali, servitori dell'ordine, impiegati, magistrati, insegnanti. Tutti costoro, chi con la dottrina e l'impegno, chi con il silenzioso adempimento del dovere quotidiano, hanno conservato, nella nuova società nazionale costituitasi, i valori umani delle loro solide tradizioni ispirate agli ideali di Dio, Patria, Famiglia. Un cenno di gratitudine meritano gli emigranti delle nostre regioni meridionali, i quali con percentuali elevatissime si recavano all'estero negli anni 1870 - 1915, contribuendo con le rimesse di denaro in patria, al benessere economico italiano di quel periodo e a quello del paese d'origine a cui spesso donarono ospedali, scuole, chiese e istituzioni di pubblica utilità. Ma qualche nome delle personalità più rappresentative della gente meridionale, si renderà persuaso di qual ricchezze spirituali ed intellettuali ossia abbia ornato la cultura e la civiltà italiana. Nelle arti figurative, ad esempio, un Michetti, un Gemito, un Dalbono sono sufficienti a dare, insieme ai due Palizzi ed alla scuola pittorica di Posillipo, un posto di primo piano alla nostra pittura e scultura del secondo ottocento, in in poesia e letteratura Capuana, Verga, D'Annunzio e Pirandello hanno lasciato una traccia che onora il nostro Paese tra quelli stranieri nella critica di De Sanctis e il Settembrini con il Croce ed il Gentile ( esponenti questi ultimi dell'idealismo italiano) insieme a molti musicisti e scienziati accrebbero il nostro prestigio nel mondo. Però dove il contributo del Meridione fu più ricco è certo tra gli statisti e i giuristi: Crispi, Orlando, De Nicola, con l'acume ereditato dai greci e l'equilibrio acquistato dai romani, consolidarono le funzioni del potere esecutivo, legislativo e giudiziario, nella patria che, rinata a nuova vita, aveva tanto bisogno di riorganizzarsi sulle basi del diritto. Da questo breve quadro che ha accennato a problemi e contributi dell'Italia Meridionale non si può concludere senza esprimere un sentimento di profonda riconoscenza ai fratelli del Sud per l'apporto reale e costruttivo dato da loro alla comunità nazionale, ma ci è più caro auspicare anche più concrete provvidenze per la soluzione definitiva di tante difficoltà che assillano la generosa terra.

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