BRIGANTAGGIO SUL MATESE 1860-1880

FOTO: veduta del lago di Gallo e dei contrafforti nord occidentali dei monti del Matese - autore: Marco Vigliotti

di Rosario Di Lello & Giuliano R. Palumbo, mostra storica promossa dall'Ammininistrazione Provinciale di Benevento (a cura) - Museo del sannio nella ROCCA DEI RETTORI PONTIFICI , marzo -giugno 1983 - Edizioni Museo del Sannio - Tipografia Stampa Sud Piedimonte Matese (CE).

Cap.I - I PRODOMI E LA RIVOLTA PROLETARIA

Cap. II - LA GUERRIGLIA: EVOLUZIONE E CRISI

Cap. III - RECRUDESCENZA E FINE DEL BRIGANTAGGIO

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I PRODROMI E LA RIVOLTA PROLETARIA

Nel corso dell'Unificazione Nazionale, i liberali delle province meridionali, fin dall'estate del 1860, avevano agevolato con movimenti sovversivi la spedizione delle forze garibaldine dalla Sicilia verso Napoli. La sommossa, in settembre, interessò Terra di Lavoro, Molise e Beneventano: moderati e democratici, con l'impiego di corpi armati volontari, destituito il potere borbonico, andavano proclamando Governi Provvisori in nome di Vittorio Emanuele II e Garibaldi. Utile contributo, in tal senso, dettero la Legione del Matese, forte di 350 uomini, e i Battaglioni del Sannio, Vitulanese-beneventano e dei Cacciatori del Vesuvio (1). Re Francesco II abbandonò Napoli il 6 settembre e, da Gaeta, chiamò a raccolta l'esercito e ricorse alla sollevazione popolare. Il piano d'azione aveva lo scopo di contrastare sulla linea del Volturno la pressione garibaldina, di ostacolare, negli Abruzzi, una eventuale avanzata delle truppe piemontesi e di reprimere la rivoluzione borghese. Operando dunque sul sentimento filoborbonico dei sudditi e sul malcontento delle masse contro i "galantuomini", assicurando libertà, bottino e migliori condizioni di vita, Francesco II organizzò e potenziò l'esercito, sollecitò l'appoggio di volontari e ne sostenne e legittimò l'azione, fosse stata pure violenta, contro i liberali. La partecipazione di popolo in Terra di Lavoro, Molise e Beneventano fu pressoché generale: folti gruppi di "cafoni", non di rado sostenuti da militari regi, regolari o che scorrevano la campagna, liberarono i detenuti, attaccarono reparti garibaldini e corpi volontari, misero in fuga i proprietari terrieri, ne saccheggiarono le abitazioni e, in numerose località, ristabilirono il vecchio stato di cose. L'insurrezione, dal distretto di Piedimonte d'Alife, investì pure e in breve volgere di tempo, l'intiera area del Matese. Dal 16 al 21 settembre, contadini armati di scuri e falci, percorsero le vie di Caiazzo tumultuando al grido di "Viva Francesco II"; si sollevarono i montanari di Gallo (2) e Letino e i valligiani di Capriati; da Roccaromana a Baja e da Latina a Dragoni (3), schiere di rivoltosi guidate da un cappellano misero in rotta manipoli di Cattabeni e Csudafj. Benché la repressione fosse stata tempestiva e decisa, capoluoghi di Distretto e centri minori destavano inquietudine pronti com'erano alla rivolta. Il 21 di quel mese, mentre i militi di Fanelli e Pateras presidiavano Isernia per reprimere tentativi di ribellione organizzati dal Vescovo Saladino, insorsero gli abitanti di Cantalupo e Macchiagodena; colonne dell'esercito napoletano, in tanto, rioccupavano Caiazzo e liberarono il Vescovo Riccio, dai garibaldini tenuto in ostaggio perché sospettato di fede borbonica. Il successo si delineava completo e definitivo. Il 24 settembre, a causa di manifestazioni ostili e dell'approssimarsi dei regi, i legionari del Matese e la borghesia abbandonarono in tutta fretta Piedimonte. Il 25, le truppe entrarono in città, abbassarono gli stemmi sabaudi, perquisirono le dimore dei liberali e, coi fucili in esse rinvenuti, armarono una compagnia di civili e l'avviarono a ripristinare l'autorità borbonica in Pietraroja, San Massimo, Campochiaro e San Polo. L'insurrezione proseguì secondo i piani predisposti: sommosse pluricentriche, nell'assenza delle forze repressive e all'avvicinarsi di quelle napoletane. Il 27 settembre, scoppiarono disordini in San Lorenzello e Cerreto; il Vescovo Luigi Sodo, incriminato quale fautore di quelle agitazioni e minacciato d'arresto, riuscì a fuggire e scampò in Napoli. Analoghe dimostrazioni intanto sconvolgevano altri centri del Beneventano tanto da richiedere l'intervento del Commissario Straordinario Bentivegna e di volontari armati (4). Il 30 settembre la rivolta, fomentata da Mons. Saladino, dal Duca D'Alessandro di Pescolanciano e da notabili filoborbonici, turbò Venafro, Isernia e, nei giorni successivi, una più vasta area molisana. Il 3 ottobre, presero le armi i contadini di Roccamandolfi e Pettorano (5) e il 17, popolani di Carpinone e Castelpetroso, solidali con i militari regi provenienti da Isernia, decimarono la "colonna Nullo" che muoveva verso quel capoluogo per occuparlo prima dei Piemontesi avanzanti lungo la via di Sulmona.(6) La vittoria, però, delle camicie rosse presso il Volturno e l'arrivo delle truppe sabaude, imponendo all'esercito borbonico il ripiegamento oltre il Garigliano e l'arroccamento in Gaeta per l'ultima resistenza, vanificarono il vasto movimento insurrezionale. La sollevazione di popolo s'era rivelata, tuttavia, esperimento utile, tanto che Francesco II l'avrebbe di li a poco ripresa al fine di riconquistare il Regno perduto. A tal proposito, per quanto concerne la plaga matesina, fin dal dicembre del 1860, agenti borbonici e romani, favoriti da buona parte del clero e da comitati clandestini, ne percorsero i centri maggiori facendo opera di proselitismo e incitando le popolazioni alla rivolta (7). I risultati non tardarono a venire e, senza soluzione di continuità, con la formazione delle prime bande armate, si passò al Brigantaggio. Le cause e le componenti del complesso fenomeno che interessò il Meridione d'Italia, sono state ampiamente trattate dalla storiografia. Qui verranno riportati, seppure in modo conciso, quei motivi di ordine locale che ebbero parte rilevante nell'insorgenza e nell'evoluzione della guerriglia sul Matese e zone limitrofe. L'economia del territorio era, verso il 1860, in prevalenza agricolo-pastorale. L'agricoltura, pressoché improduttiva sia per le estese aree boschive e montuose, sia perché praticata con metodi arcaici, poco remunerativa al bracciantato rurale, dava derrate appena sufficienti alla domanda del mercato locale e, soltanto per talune limitate fasce vallive, un sovrappiù commerciabile nelle province contermini e nella Capitale. La pastorizia, estesa e fiorente nei secoli XVI e XVII, ormai scaduta per quantità e qualità di armenti, cespite di un numero esiguo di famiglie facoltose, non rappresentava più la base delle molteplici attività commerciali e industriali. Le rare manifatture del ferro, del rame, della creta, del legno, del cuoio, della lana e della carta, erano ridotte a poco più che botteghe a conduzione familiare. La sola industria significativa era la tessile degli Egg, in Piedimonte d'Alife. L'impresa boschiva dava lavoro per breve periodo dell'anno, così come l'emigrazione bracciantile stagionale verso le campagne romane e di Puglia. Il quadro economico, in breve, rifletteva la presenza di risorse non rigogliose ma garantite da un'adeguata politica fiscale; non v'era benessere, almeno per le masse (8), tuttavia "si viveva" in equilibrio, quantunque instabile, frutto del paternalismo politico dei Borboni. Le perturbazioni economiche e sociali che accompagnarono e seguirono il crollo del Regno di Napoli, determinarono profondo disagio che in maggior misura colpì i ceti umili. Nel distretto di Piedimonte così come negli altri, lo spirito pubblico niente affatto tranquillo, faceva presagire disordini (9). Il tacito malcontento sfociò in proteste di elementi isolati. Sporadiche in origine e spontanee, vennero, con i moti del 60, alimentate, mutate in agitazioni collettive, orientate e utilizzate dalla parte borbonica. Il concorso di popolo non si esaurì in più o meno violente manifestazioni di piazza ma, in breve volger di tempo, dette luogo alla costituzione di agguerrite bande armate. I militari borbonici, sbandati delle Calabrie e del Volturno e reduci da Gaeta, ne furono i nuclei originari. In esse confluirono renitenti alla Leva, disertori dell'Esercito italiano, proletari e qualche delinquente comune, spinti, di volta in volta, dal disagio economico, dalla speranza di un avvenire migliore, dal desiderio di rivalsa contro i "galantuomini", dallo spirito di emulazione e d'avventura e da sentimenti filoborbomci. Un campione di 132 individui, tra i 1320, finora noti, che presero parte alla rivolta armata sul Matese, dal 1860 al 1870, rende il seguente quadro sui rapporti tra condizioni socio-economiche e Brigantaggio nell'area presa in esame (10).

La chiamata alle armi sotto le Reali Bandiere, la condotta delle forze repressive, l'opera del clero e l'attività dei comitati clandestini, diedero impulso al Brigantaggio e ne accelerarono l'evoluzione. La coscrizione per le Leve 1857 - 1858 - 1859 - 1860 interessava pure quei militari che già avevano prestato servizio nell'esercito regio e sottraeva in un momento critico forze produttive all'economia e sostegno alle famiglie (11). Per quanto concerne l'atteggiamento delle forze preposte all'ordine pubblico, v'è da dire che la Guardia Nazionale, fin dai primi giorni del 1861, venne a trovarsi in una delicata fase riorganizzativa che mise in evidenza contraddizioni e squilibri di non facile e rapida soluzione. Tra l'altro, male armata e arruolata tra commercianti, artigiani ed elementi della piccola borghesia rurale, in prevalenza cittadini segretamente di fede borbonica o legati ai briganti da vincoli di parentela, di solito fu esitante e talvolta connivente coi ribelli (12). La repressione condotta dai corpi volontari e successivamente dalla truppa, in principio esagerata in rapporto all'entità del reato, venne esasperata al punto che la pregressa militanza nelle fila dell'esercito napoletano fu motivo di implacabili persecuzioni e il solo sospetto di favoreggiamento giustificò la carcerazione e il domicilio coatto. Sopraffazioni di tal genere dovettero subire, tanto per citare qualche esempio, Vincenzo Arcieri e Salvatore Dell'Ungaro in San Potito, Cosimo Giordano in Cerreto, Giuseppe Leone in Casalduni, Samuele Cimmino e Domenicangelo Cecchino in Roccamandolfi, Domenico Fuoco in San Pietro Infine e numerosi loro commilitoni, familiari e conoscenti (13). La rivolta inoltre pur se aveva motivato l'imposizione di presidi militari nei centri del Massiccio non giustificò l'atteggiamento della truppa. Sovente incauto, si rivelò addirittura scandaloso, dati i tempi e la diversità delle culture venute all'impatto, allorché i militari trasformarono in caserma qualche luogo di culto, esercitarono il controllo delle funzioni religiose e assecondarono la pratica del meretricio (14). Va infine tenuta da conto la "politica" del clero, tuttora fedele alla dinastia borbonica per concordato e per acquisiti privilegi. Minacciato nel potere economico e vessato con misure poliziesche dal nuovo regime (15), operando sul profondo sentimento religioso delle masse, alimentò, con partecipazione più o meno manifesta ma sempre determinante, la reazione contro lo Stato unitario. Non altrimenti e non per motivi diversi, agirono la nobiltà legittimista e la borghesia filoborbonica. Nell'ambito, dunque, di queste realtà, reduci e sbandati, renitenti e disertori, contadini e bracciali, pastori e carbonai, anno dopo anno, si trasformarono in ribelli, si organizzarono in formazioni di guerriglia e si diedero alla macchia. Per impegnarsi in una lotta voluta da altri e da loro stessi, ma con finalità diverse. I contemporanei di parte avversa li definirono "ladroni", "malandrini", "empi", "tristi", "nemici dell'Italia". Cert'è che, seppur delusi nella speranza di migliori e più giuste condizioni di vita, profusero, con tenacia e disperato coraggio, ogni loro energia nella ricerca istintiva e violenta di una nuova e più conforme dimensione della dignità umana. La comparsa delle prime bande sul Matese, risale, al febbraio-marzo del 1861. Allo scopo di armarsi e di fomentare il "popolo basso" contro i possidenti liberali, si aggiravano nelle vicinanze dei centri abitati. La comitiva di Pietro Trifilio detto il Calabrese, scorreva la campagna da Presenzano a Capriati e da Pietravaitano a Raviscanina a Val di Prata, oggi Valle Agricola; quella di Samuele Cimino e Domenicangelo Cecchino, dai paesi del versante molisano premeva su Letino, Gallo e Prata; la grossa banda di Ferdinando Ferradino dominava da Baja a Rajano, oggi Ruviano. Le masse di Giuseppe Cutillo, dai monti di Solopaca alla valle telesina e di Cosimo Giordano, di Angelo Pica, di Filippo Tommaselli, di Giuseppe Leone e di Angelo Varrone, da Cerreto a San Lupo e da Pontelandolfo a Guardiaregia ampliavano l'area dell'imminente movimento insurrezionale (16). I cospiratori legittimisti intanto preparavano l'azione. Particolarmente attiva in tal senso, venne segnalata l'opera del Conte Laurenzana e del possidente Vincenzo Pitò, alfiere della Guardia Nazionale in Piedimonte, del Conte Procaccini da Cautano, di un Berlingieri da Roccamandolfi e di numerosi religiosi, tre dei quali, da Calvisi di Gioja, avevano rapporti con il comitato borbonico di Napoli (17). Iniziali tentativi di sommossa s'ebbero in San Potito Sannitico la sera del 12 febbraio 1861. Si sarebbero ripetuti il giorno successivo, al suono del Mattutino, se l'intervento delle Guardie Nazionali e dei legionari del Matese non avesse ricondotto all'ordine quei paesani. Il 5 marzo, Pietro Romagnoli Sindaco di Piedimonte comunicava al Governatore della Provincia di Terra di lavoro: " Signore . . . ella con l'ultimo suo ufficio ordinava l'arresto de' soldati del disciolto Esercito Napolitano . . . Dalle raccolte informazioni posso assicurarle che da qualche sera si riuniscono fuori dell'abitato al numero di circa 60, e cospirano su' modo da tenersi per sorprendere il posto di Guardia Nazionale ed armarsi. E per meglio riuscire nel cattivo proposito sento che abbiano aperte corrispondenze con i soldati de' comuni vicini in particolare con quelli di Cusano ... Il Sindaco P. Romagnoli" (18). Il conflitto, concomitante a quelle di altre province meridionali, esplose violento da marzo a luglio. I ribelli entrarono in Presenzano e Capriati; occuparono Letino, irruppero in Roccamandolfi, Pratella, Val di Prata e Castelpizzuto (19). Ovunque inneggiando a Francesco II, disarmarono i posti di Guardia Nazionale, frantumarono gli stemmi sabaudi, inalberarono i vessilli borbonici, diedero fuoco agli archivi e alle case comunali e saccheggiano le abitazioni della borghesia. Il Cialdini, per stroncare le trame legittimiste, assai fitte pure sul Matese e contenere l'espansione della lotta armata dai centri montani e periferici verso quelli maggiori, aveva adottate misure poliziesche. Riordinate inoltre, le zone militari e trasferiti il Generale Govone sul confine pontificio, il Pinelli in Terra di Lavoro e il De Villarej in Molise, aveva istituiti presidi permanenti nei capoluoghi e ordinato la dislocazione di reparti mobili là dove, di volta in volta, fossero stati richiesti. I provvedimenti non dettero risultati apprezzabili. La reazione dilagando nel Beneventano e in Molise, in Terra di Lavoro e nell'Avellinese, con la conquista dell'arco appenninico, minacciò di accerchiare Napoli e isolarla dal versante adriatico. Per quanto concerne il Matese, fin dai primi giorni di luglio la rivolta si acuì su tutto il Massiccio. Il 2, il Capitano Cremo del distaccamento militare di Venafro telegrafò al Governatore di Caserta: "Letino occupato da briganti. Innalzata bandiera borbonica, altre nel Matese. Gallo sta per insorgere, autorità e famiglie fuggite. Castellone come Letino. Paesi limitrofi in allarme. Pronti provvedimenti chiedono ivi" (20). Tre giorni dopo Val di Prata cadde nelle mani dei ribelli. A causa delle incessanti sommosse il Generale Pinelli si portò in Piedimonte con forte nerbo di truppe (21). I briganti, nel tentativo di ripiegare verso il bosco di Torcino, furono sorpresi presso Roccavecchia di Pratella e subirono perdite (22). L'insuccesso patito non scoraggiò i rivoltosi. Le bande, fin dai primi giorni di agosto si riversarono in Civitella Licinio e Ailano, invasero Cantalupo e San Polo, al Campo Figliuolo sopra Gallo, sconfissero una compagnia di Bersaglieri, fecero incursioni in Calvisi di Gioja e Pietraroja, provocarono sanguinosi disordini in Pontelandolfo, Campolattaro e San Lupo, catturarono e trucidarono alle Spinelle di Casalduni un drappello di militari; attaccarono Faicchio e disarmarono il corpo di Guardia Nazionale; assaltarono Guardia Sanframondi e sopra Monte Parata di Cerreto sostennero accaniti scontri con Guardie Nazionali e l'11 Compagnia del 62° Fanteria di Linea (23). La rappresaglia fu immediata e violenta: due battaglioni di Bersaglieri, invano contrastati dalla banda Giordano, misero a sacco e fuoco Casalduni e Pontelandolfo. A seguito dei fatti di Pontelandolfo e Casalduni mentre alcune bande chiesero di "poter essere ammesse a presentarsi", frazioni di quelle cerretesi passarono in Molise (24) e presero parte alla lotta, più che mai aspra sul quel versante. Folte comitive di insorti, talora fino a 400 elementi, gettarono lo scompiglio in Cantalupo e ripetutamente in Roccamandolfi, saccheggiarono Guardiaregia, combatterono in Castelpizzuto e in Campochiaro subirono perdite (25). In settembre, un tal Zettiri maggiore dell'esercito italiano, si portò in Cerreto per annientare il brigantaggio. Ordinò arresti, istruì processi, comminò condanne e, dal 16 di quel mese al 17 ottobre passò per le armi 30 reazionari. Il 4 settembre, i briganti invasero San Polo e, il 17, in Letino disarmarono e passarono per le armi cinque militi della locale Guardia Nazionale. Sul finire dell'autunno, l'amnistia e le costituzioni, gli arresti e le fucilazioni, i dissidi tra alcuni capi e il fallito tentativo borbonico di organizzare militarmente, pure sul Matese, la guerriglia sotto il comando dello spagnolo Borjes (26), contribuirono alla riduzione numerica di talune formazioni e alla scomparsa delle comitive Trifilio, Ferradino, Cecchino e Cimino. Il movimento insurrezionale, pertanto e pure a causa dei rigori invernali, registrò una flessione e proseguì, per qualche tempo ancora, con isolate azioni in danno di possidenti liberaleggianti e con atti punitivi contro spie e traditori.

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LA GUERRIGLIA: EVOLUZIONE E CRISI

 Le operazioni di leva, fin dal dicembre del 1861, avevano dato causa ad una recrudescenza e ad un visibile aumento del le trame reazionarie. Comitati clandestini, cospiratori locali, numerosi soldati del disciolto esercito borbonico ed alcuni sacerdoti, non lasciarono intentato alcun mezzo per avversare quella istituzione sia provocando manifestazioni ostili sia dando consigli di resistenza e di violazione alle leggi (27). Benché il breve periodo d'inattività delle bande avesse alimentato il convincimento che il brigantaggio fosse stato sconfitto, già all'inizio della primavera del 1862, i briganti erano pronti per l'imminente ripresa del conflitto. Libero Albanese, Francesco Guerra, Domenico Fuoco, Giacomo Ciccone e Alessandro Pace, minacciavano il versante molisano del Massiccio; Raffaele De Lellis - Padre Santo - Salvatore Dell'Ungaro e Liberato Di Lello controllavano il territorio da Ailano a Faicchio (28); Cutillo, Giordano e Varrone ripresero le posizioni acquisite l'anno precedente; Luciano Martino vigilava l'area da Solopaca a Casalduni; Michele Caruso, con forte comitiva di cavalieri, s'accingeva ad invadere il Morconese; Nunzio Di Paolo stava tra Campobasso e il Matese. L'apertura delle ostilità mise in evidenza un mutamento nella condotta della guerriglia. Alcune grosse bande s'erano scisse e la conseguente, ridotta consistenza numerica degli effettivi, consentiva maggiore autonomia, più agevole approvvigionamento, rapidità operativa, dunque capillare controllo di un vasto territorio, con minor numero di elementi. I briganti, inoltre, per non dar motivo a feroci rappresaglie che, causa di malcontento tra le popolazioni, ne avrebbero compromesso il sostegno, piuttosto che sollevare e apertamente coinvolgere i centri abitati, sfruttando il burocratico rispetto dei militari per le aree di competenza territoriale, con improvvisi e rapidi colpi di mano portarono a termine danni al patrimonio, sequestri, ricatti e grassazioni. Soltanto in estate, dopo qualche iniziale insuccesso contrastarono, in tenimento di Guardiaregia, reparti di truppa e Guardie Nazionali; sul Monte Monaco di Gioja, misero in rotta soldati e milizia civica di San Lorenzello; assaltarono e disarmarono, in Castello, il corpo di Guardia Nazionale e, tra le forre del Palombara, sopra Pietraroja, sconfissero un distaccamento del 45° Fanteria (29). Le autorità con misure poliziesche e militari conducevano intanto la lotta tra evidenti difficoltà. La Guardia Nazionale portò scarso contributo perché in numerosi occasioni fraternizzò coi ribelli o quantomeno operò nel rispetto di una tacita neutralità. Distolta, inoltre, dal servizio di perlustrazione e di appostamento, venne sovente impiegata per quello di polizia urbana (30). La truppa talvolta insufficiente, di regola si dimostrò impreparata all'asperità di un territorio che, al contrario, le bande conoscevano a fondo e percorrevano col favore delle popolazioni. I militari pertanto dovettero sostenere il peso di continue e logoranti operazioni per prevenire o contrastare i piccoli colpi di mano e le improvvise scorrerie dei briganti (31). Negli ultimi mesi del '62 tuttavia, vennero annientate le comitive di Cutillo e di Raffaele De Lellis. Numerosi briganti si trasferirono nello Stato pontificio. Ovunque la guerriglia entrò in un momento di sosta determinato dall'approssimarsi dell'inverno più che dai successi delle forze repressive (32). Per il terzo anno consecutivo, nel 1863, il brigantaggio divampò sul Matese. Alle bande superstiti s'erano affiancate quelle di Antonio Sartore, sui monti da Alvignano a Baja e, ad ovest, le comitive di Francesco Tommasino, Giovanni Farano, Michelangelo Albanese e Carlo Giuliano. Sconfitte e vittorie s'alternarono nel susseguirsi incessante delle azioni. Cosimo Giordano sul Matese e sul Taburno, Di Lello a monte di San Potito (33) e Domenico Fuoco sul Cesima patirono insuccessi. Nunzio Di Paolo fu rinvenuto cadavere presso Macchiagodena. Nei mesi estivi Michele Caruso, con forte massa, più volte gettò lo scompiglio da Casalduni a Sepino (34); Cosimo Giordano, alla Valle Ceca, poco oltre Civitella fece strage della Guardia Nazionale di Cusano (35) e Liberato Di Lello occupò Calvisi piegando la resistenza di un reparto del 46° di Linea e della milizia civica comandata da Giuseppe Di Nardo. Il 15 agosto i due rami del Parlamento approvarono la "legge Pica". Essa, tra l'altro, assoggettava i luoghi infestati dal brigantaggio alla giurisdizione dei tribunali militari, puniva con la pena di morte chi a mano armata avesse opposto resistenza alla forza pubblica, inviava al domicilio coatto i sospetti, i manutengoli e i familiari dei briganti, riduceva di uno a tre gradi la pena a "coloro che si fossero presentati entro un mese dalla promulgazione". In settembre il Generale Pallavicini prese il comando della Zona Militare di Benevento, centrale tra i versanti adriatico e tirrenico delle Province Meridionali e pertanto notevole, per collocazione, nella guerra al brigantaggio (36). Disposizioni prefettizie inoltre, col divieto di permanenza e di accesso sul Matese, a contadini, pastori e carbonai, aggravarono lo stato della economia, agricolo-pastorale e industriale-boschiva, già in crisi e acuirono il disagio delle popolazioni. Le misure preventive e repressive vigenti produssero, con quelle di nuova adozione, dannosi effetti sulla guerriglia indotto da Achille Del Giudice, sostenitore di briganti ma liberale e già membro del Governo Provvisorio in Piedimonte, si costituì Salvatore Dell'Ungaro con parte della banda. Michelangelo Albanese, Sartore e Farano ne imitarono l'esempio. Cosimo Giordano, favorito dal Conte di Laurenzana, si ritirò a Roma e Caruso, in quel di Morcone subì le prime sensibili perdite ad opera del Pallavicini. I briganti, nel tentativo di recuperare il perduto credito, si riorganizzarono per nuove e più appariscenti imprese. Il 10 novembre le formazioni di Domenico Fuoco e Carlo Giuliano, mandate dal barone Sanniti di Pietramelara, entrarono in Baja, sollevarono i paesani, uccisero il sindaco Scotti, ne devastarono l'abitazione e si ritirarono nel bosco di Torcino. Benché la vittoriosa incursione avesse riportato fiducia e i ribelli ovunque minacciassero la sicurezza pubblica, rare ma efficaci operazioni militari di fine d'anno, inflissero considerevoli perdite ai briganti. Il 5 ottobre, un plotone del 40° di Fanteria, attaccò sui monti di Gioja la banda di Liberato Di Lello. I briganti in fuga lasciarono sul terreno Elisabetta Palmieri da San Potito, ferita a morte, un fucile, cinque cartucce, una piccola accetta, una corona, un piccolo Cristo e "una medaglia con l'impronta della Madonna dei Sette Dolori" (37). In dicembre, Liberato Di Lello non più favorito da D. Filippo Onoratelli, suo padrino di battesimo, arrestato in un casolare sopra Calvisi venne fucilato in Piedimonte per sentenza del Tribunale Militare di Guerra (38). Michele Caruso tradito e catturato presso S. Giorgio la Molara, fu passato per le armi in Benevento, fuori Porta Rufina. La banda di Angelo Varrone, sorpresa per delazione nella Grotta delle Fate tra i dirupi sopra Cusano, si arrese, dopo alcuni giorni di resistenza, alla truppa comandata da Andrea Amato e dal Generale Pallavicini. Tradotti in Pietraroja, il capo e tre dei suoi vennero giustiziati, due rivoltosi si salvarono con la fuga e un disertore dell'Esercito italiano fu condannato a 13 anni di lavori forzati (39). Alla ripresa dell'ostilità, nel 1864, la disposizione delle bande non di molto era mutata. In autunno ad esse si assocerà quella di Andrea Santaniello costituita dai sanguinari Giovanni Civitillo - Senza Paura, Giovan Giuseppe Campagna, Nicola Vassallo, Pietro Campagna e Sebastiano Petraglia, già accoliti di L. Albanese. Abrogata la Legge Pica, il 7 febbraio e con varianti di scarsa rilevanza, andò in vigore la legge speciale per la repressione del brigantaggio. Subito dopo, apposito decreto ribadì lo stato di ribellione, tra le altre, nelle province di Benevento, di Terra di Lavoro e, per il Molise, nel circondano di Isernia. Le autorità civili e militari intensificarono i preparativi per l'attacco decisivo e, pur tra contrasti più o meno evidenti non tralasciarono pratiche per la presentazione di alcune bande. Ai tentativi intrapresi dal Sottoprefetto di Piedimonte, Domenico Fuoco rispose negativamente, data la certezza di una guerra che in primavera avrebbe prodotta la caduta del Governo italiano (40). Favorevoli, al contrario furono i gregari di M. Albanese e del Di Lello, nascosti sui monti e timorosi di severissime pene. Il Sottoprefetto assicurò clemenza; il Comando del VI Ripartimento Militare di Napoli deplorò e ordinò la sospensione delle trattative (41). I briganti, intanto, si rendevano protagonisti di violente azioni contro privati cittadini e di inevitabili combattimenti nel tentativo di sfuggire alle frequenti perlustrazioni delle forze dell'ordine. Il 17 marzo, uomini dell'Albanese rapirono in Piedimonte il Giudice Don Nicola Coppola e chiesero per il riscatto la somma di 80.000 Ducati (42). Braccati da truppa e Guardia Nazionale, i rapitori vennero intercettati e, seppur impegnati da Tresoglie al Vallone dell'Inferno sul Matese, con gravi perdite riuscirono a fuggire. In giugno, la banda di Domenico Fuoco sbaragliò al Perrone di Guardiaregia un drappello della locale milizia civica, mentre i resti della comitiva Albanese soccombevano in località San Felice di Cusano all'attacco della Guardia Nazionale. Risultati incoraggianti però, vennero più che dalle operazioni militari, dal ricorso alla collaborazione di informatori prezzolati, dall'imposizione di taglie e dalle elargizioni di premi in favore di quanti avessero contribuito alla cattura o all'uccisione di Pace, Albanese, Fuoco, Tommasino e Guerra e alla distruzione delle loro formazioni (43). Tommasino, isolato per l'arresto dei compagni favorito da spie, in agosto, trovò la morte per mano di traditori (44). Libero Albanese, coi proventi del ricatto Coppola, si rifugiò in Civita Castellana (45) e Cosimo Giordano veniva segnalato in Roma ove pare dimorasse alla via Rimessa sotto il falso nome di "sor Nicola" (46). Le sfortunate vicende degli ultimi due anni, le costituzioni, gli arresti, le uccisioni di capi prestigiosi e di valorosi gregari e la defezione di ragguardevoli sostenitori. avevano autorizzato a credere nella crisi irreversibile del brigantaggio. Numerosi ribelli, tuttavia perseveravano nel conflitto o per timore di condanne troppo severe o per diffidenza nelle Leggi dello Stato. Altri vennero coinvolti dalla sete di rapina e di vendetta, altri ancora adescati da occulti o palesi registi, camaleonti della politica e capi di bande i quali credevano o soltanto mostravano di aver fede nella rinascita dello Stato borbonico. Emblematico è, a tal proposito, un brano della deposizione resa dal Giudice Nicola Coppola dopo il rilascio: " . . . chiesto se ebbe luogo di conoscere qual fine vacheggino i briganti nel continuare la vita brigantesca . . . ha detto che sotto il nome di Francesco Il che credono e hanno la speranza di rivedere sul Trono, commettono essi assassini di ogni genere e dicono che siccome i Galantuomini e i Garibaldini hanno fatto la rivoluzione per opprimere il Ceto Basso, così debbono essi fare di tutto per distruggere i Galantuomini . . . " (47). Il brigantaggio dunque, con la perdita progressiva dei residui, autentici motivi legittimisti, sempre più si rivelava conseguenza, talvolta di malcontento di popolo, talaltro dei dissidi tra famiglie preminenti in difesa di antichi e nuovi privilegi. La guerriglia repressa nel Cerretese e sul versante molisano, proseguì per tutto il 1865 da Gioja a Faicchio, ad opera di Civitillo, Santaniello e Vincenzo Arcieri; nel Venafrano, con le altre, si resero sempre più attive le bande di Valerio Andreozzi e Taddeo (48). Il Matese, oltre che di sporadiche azioni brigantesche fu luogo di rifugio così come i confini dello Stato Pontificio che agevolavano il disimpegno dalle forze militari e le scorrerie verso i paesi di Terra di Lavoro. Di tanto quella Prefettura informava le autorità periferiche, i comandi della Guardia Nazionale e i Carabinieri Reali della Provincia (49). Gli organi preposti alla sicurezza pubblica per limitare l'attività dei ribelli e scoraggiare l'apporto dei manutengoli, armarono squadre di esploratori, ordinarono il coprifuoco, proibirono ai cittadini il domicilio nelle case rurali, vietarono a quelli che lavoravano fuori dell'abitato di portar seco cibo e bevande oltre il necessario per una giornata, intimarono ai familiari dei rapiti di non pagare il riscatto, negarono la carta di ricognizione a sospetti, rei di connivenza e familiari di briganti, obbligarono il clero a "predicare la crociata contro la reazione" (50), misero taglie in favore di quanti avessero collaborato alla cattura o alla uccisione di briganti (51). Il 22 luglio a sera, le bande di Taddeo-De Lellis, Santaniello, Arcieri e Civìtillo, capeggiate da Cosimo Giordano "venuto a bella posta da Roma per catturare e ricattare D. Achille Del Giudice e D. Enrico Sanillo", mossero su San Potito. All'ingresso del paese uccisero il luogotenente della Guardia Nazionale e persero un compagno. Assaltarono il caffè cittadino e colpirono a morte il gestore e il possidente Enrico Sanillo, ferirono numerosi avventori, trascinarono sui monti il Sindaco Pietrosimone e lo trucidarono a pugnalate. I dissidi tra notabili, le discordie tra famiglie, i risentimenti personali e il malcontento nei riguardi dell'Amministratore, ancora una volta erano stati moventi di esasperata e confusa protesta di massa (52). Dopo breve permanenza in Cerreto, dove abitava alla "casa terranea in via Capo la fora e propriamente vicino alle Monache" (53) Cosimo Giordano, col ricavato di estorsioni e grassazioni, prese la via di Roma (54). All'approssimarsi dell'autunno e per il resto dell'anno, il brigantaggio soffrì decisivi rovesci. Fu ucciso Luciano Martino, Taddeo venne arrestato e la sua banda dispersa, Alessandro Pace, inseguito per Tresoglie, ripiegò verso Cusano. Tra Alife e S. Angelo, la Guardia Nazionale mobilizzata mise in fuga la comitiva di Andrea Santaniello e catturò Maria Maddalena De Lellis amante del capo. A questo punto è opportuno accennare all'organizzazione dei briganti (55). Non agivano mai isolati, al contrario, operavano in formazioni costituite da poche unità fino a cento, trecento e più effettivi. Quelle esigue compivano, di regola, attentati al patrimonio e alle persone; le grosse, sovente potenziate dalle prime, conducevano operazioni di guerriglia contro le forze dello Stato. Il numero delle "masse" e dei componenti era variabile a causa di unioni e scissioni frequenti. Talune bande, come quelle di Fuoco e di Santaniello, erano organizzate militarmente con gregari, scrivani, foriere e sotto capobanda. Il capo veniva eletto a votazione, d'ordinario tra ex militari borbonici oppure scelto, per acclamazione, fra i componenti più temerari e abili. La disciplina, rigorosa, non ammetteva deroghe e il rispetto di essa prevedeva finanche la fucilazione dei trasgressori. I briganti avevano un loro inno. Attaccavano di sorpresa e si ritiravano prima dell'arrivo dei militari. Aggredivano il nemico, soltanto in agguato e in vantaggio numerico e per posizione. Non di rado, nei combattimenti, le brigantesse superavano per audacia i compagni. Se avvistati e inseguiti i briganti si disperdevano in varie direzioni. Segnalavano tra loro e coi manutengoli, per mezzo del rumore ritmato di pietre percosse e colpi d'arma da fuoco. Vivevano del frutto di estorsioni, ricatti e rapine, quando non erano sufficienti i contributi dati dai sostenitori. A termine delle imprese e degli spostamenti, di regola notturni, si accampavano nel folto dei boschi o trovavano asilo in grotte, presso capanne di compiacenti carbonai e in "caselle" di pastori amici. Nelle lunghe ore di inattività alla macchia, disposte le sentinelle, dedicavano l'attesa alle personali esigenze e al giuoco delle carte spesso causa di accese e sanguinose liti. Vestivano alla rinfusa: gli ex soldati quanto loro rimaneva dell'uniforme, altri il costume del luogo d'origine, altri ancora calzoni a caviglia, giacche alla paesana e scarponi chiodati. Per sfuggire ai controlli o per rendere più agevoli le loro imprese, usavano indossare divise militari o della Guardia Nazionale o travestirsi da cacciatori e perfino da donne. Le armi, varie per modello o provenienza, erano rappresentate da carabine a tamburo rotante di fabbricazione nazionale o di importazione clandestina, da fucili militari borbonici o sottratti al nemico e da schioppj sovente congegnati da armaioli locali. Le pistole, militari e non, moderne o desuete, erano prerogativa dei capi. Coltelli a serramanico o a lama fissa, bajonette trasformate in pugnali e accette costituivano l'arma bianca. L'immagine della Madonna dei Sette Dolori, o della Pietà, era segno di riconoscimento tra briganti; l'abitino della Vergine del Carmelo che solevano tenere al collo con un nastro, era testimonianza di una loro profonda religiosità.

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RECRUDESCENZA E FINE DEL BRIGANTAGGIO

Il 1866 fu l'anno dell'inasprimento dell'attività reazionaria. Le bande di Valerio, Ferrara, Croce e Policarpo Romagnoli dai circondati di Vasto e Lanciano scendevano in quello di Isernia; Pace, Fuoco, Ciccone, Guerra e Francesco Di Meo - Indelitto - , puntavano verso il Matese; Arcieri, Civitillo, Tommaso Di Mundo e Santaniello scorrevano la montagna da Letino a Cusano. Cosimo Giordano ricomparve, per breve tempo, nel Cerretano. Tutte queste formazioni si distinsero per l'incessante alternarsi di unioni, scissioni, attacchi repentini e rapidi spostamenti (56). La repressione, in primavera, aveva già conseguito qualche risultato positivo: gli accoliti del Di Mundo erano stati dispersi alle Case Pagane di Raviscanina e Vincenzo e Antonio Arcieri catturati presso Piedimonte (57). Gli uomini di Domenico Fuoco messi in fuga sopra le Mainarde, attraverso i monti di Pozzilli e Venafro avevano trovato rifugio sul Matese. Il trasferimento di truppe per la guerra contro l'Austria, animò la frangia oltranzista borbonica che pareva si provasse "ad un ultimo disperato tentativo" (58), e contribuì non poco all'inasprimento della guerriglia. Il governo papale intanto, manifestava maggiore impegno contro il brigantaggio che, fin dall'anno precedente e con la partenza delle truppe francesi, aveva assunto in territorio pontificio proporzioni allarmanti. Le autorità dunque, con condotta più attenta e decisa (59), andavano ributtando oltre confine le grosse bande delle province contermini e quelle indigene che sull'esempio delle prime s'erano via via organizzate. Incoraggiate da notabili, da sacerdoti, da popolani e da renitenti di leva, grosse e piccole formazioni si riversarono in Molise e in Terra di Lavoro e tormentarono, con quelle locali, il Massiccio matesino. Nel circondano di Isernia, in breve tempo, "le barbare orde" crebbero di numero e di forza e, alimentate "da Roma, dalla città che dicesi santa", libere di qualunque ostacolo, "senza pensare ad assaltar paesi", passarono, scorazzarono, fecero ricatti e uccisero bestie e uomini. Le autorità sovente si trovarono nell'impossibilità di controllarle, anche perché venne meno "la decisa collaborazione di quegli abitanti e della Guardia Nazionale" (60). Tra il maggio e il giugno, quali sovvertitori dell'ordine pubblico o per reati inerenti al brigantaggio, ben 82 individui vennero rinchiusi nel carcere mandamentale di Piedimonte d'Alife, 7 schedati in Civìtella, 42 in Cusano, 7 in Pietraroja, 13 in Solopaca, 9 in Frasso, 5 in Morcone, 4 in Guardia Sanframondi, 4 in Faicchio e 42 in Cerreto (61). Sebbene il 2 giugno, a Monte Porco sul Matese, la banda Santaniello, sorpresa da forze regolari avesse subito perdite (62) e, all'alba del 22 agosto, la comitiva di Francesco Di Meo - Indelitto -, localizzata per delazione presso Filignano, fosse stata annientata dai Carabinieri e da Guardie Nazionali di Venafro, la lotta al brigantaggio continuò fra non poche difficoltà. Le pene detentive inflitte ai favoreggiatori o sospetti tali, le perlustrazioni e le agevolazioni concesse per la presentazione di briganti (63), si rivelarono di scarsa efficacia. A tal proposito il Prefetto di Campobasso rimetteva al Sotto-Prefetto di Isernia la seguente circolare del Ministero dell'Interno: "il Ministero dello Interno con nota del primo corrente mese, dichiara ai Prefetti delle Provincie Meridionali e in termini più formali e decisi che non si era fatto per lo addietro, esser suo intendimento che tutti i loro sforzi debbano principalmente indirizzarsi a finirla del tutto col brigantaggio, e ridonare a queste popolazioni la sicurezza delle persone e delle cose. Riflette il Ministero che quantunque il nerbo principale della milizia fosse ancora raccolta nei campi Veneti, nulladimeno rimane in questa provincia tal quantità di agenti della forza pubblica, e possono le Autorità Politiche organizzare tali altri mezzi straordinari di forza che la repressione dei briganti, sempre che si voglia può essere sicura . . . e spiega che qualora la milizia regolare, di presente stanziata nelle diverse provincie non si credesse bastevole, esso Ministero, al primo rapporto, o meglio alla prima segnalazione telegrafica entrerà in pratiche col Ministero della Guerra onde trovar modo di aumentarla. Premesse cotali dichiarazioni ed operazioni il Ministero proclama che Prefetti saranno d'ora in poi personalmente responsabili della continuazione del brigantaggio, perciochè quando il Governo ha messo a loro disposizione tutto ciò che occorre a combattere e distruggere i briganti, se questo scopo non si ottiene è da presumere che non siasi saputo usare convenientemente de' mezzi opportuni . . . " (64). Dopo aver eluso per alcun tempo l'ostinata caccia delle truppe, numerose bande vennero intercettate e impegnate in combattimento. In ottobre, nel Venafrano, Fuoco si scontrò con la Guardia Nazionale di S. Pietro Infine (65). Il 7 novembre, nel corso di un movimento militare sulla linea del Matese, Alessandro Pace fu battuto in territorio di Campochiaro (66) e il piccolo gruppo di Giovanni Civitillo disperso alla masseria Sassi a valle di San Potito. Ferito nello scontro e catturato presso Alife, Civitillo morì nell'infermeria del carcere di Piedimonte senza aver potuto rendere le interessanti dichiarazioni il giorno innanzi promesse al Delegato di Pubblica Sicurezza (67). Il 21 di quello stesso mese, il Prefetto di Terra di Lavoro ordinava, con telegramma cifrato n. 270: "Prefetto Campobasso, Chieti e Sottoprefetto Isernia. N. 862 - Da 111 per 490 giorni operazione 700 298 123 744 tutta 740 497 717 838 958 952 Potrebbero far 309 497 202 700 o 438 262 815 541 700 bande. Avverto tener vigili le forze. Prefetto Reggente Serpieri" (68). Il giorno successivo le masse di Valerio e Fuoco sul Cesima e di Ciccone, reduce dal Matese e presente alla Quercia di Presenzano vennero impegnate con esito parzialmente favorevole da reparti di truppa mista (69). Il 5 dicembre 140 briganti di Pace, Cannone, Jannucci e Fuoco, provenienti da Sant'Elia Fiumerapido e diretti verso il bosco di Torcino, attaccati sul Cesima (70) ripiegarono sopra Monte Coppo. Tra quelle balze, uniti agli uomini di Francesco Guerra, sconfissero, in un epico combattimento, reparti del 72° Fanteria e Guardie Nazionali di Mignano. Durante l'ultimo trimestre del 1866 i briganti avevano portato a compimento, soltanto nei circondari di Caserta, Piedimonte e Sora, ben 168 reati contro le persone, le proprietà e la sicurezza pubblica e dello Stato (71). In dicembre, corsero voci insistenti sulla ripresa della reazione clericale con conseguente "sviluppo di un movimento nella notte del prossimo Natale, dopo che il Papa avrebbe bandito scomunica". Già erano state designate le vittime e le famiglie oggetto di vendette e rappresaglie (72). Le autorità, consapevoli che lo stadio del brigantaggio era in Terra di Lavoro e nelle limitrofe province quello "di una guerra disperata", si prepararono a rafforzare il dispositivo di sicurezza (73). I mesi invernali non limitarono, contrariamente al solito, l'attività dei briganti. Fin dai primi giorni del 1867, Santaniello e Pace, Fuoco e Ciccone, Guerra e Colamatteo, resi intraprendenti dalla collaborazione di nuovi sostenitori e dalla frequente neutralità della Guardia Nazionale, tormentarono i centri che fanno corona al Matese (74). La persistenza e l'inasprimento del brigantaggio vennero, in maniera determinante, fomentate dagli odi di parte, dalla diffidenza nelle leggi e dalla miseria (75) resa ancor più pesante dalla guerra del 1866 che, con nuovi aggravi finanziari, nel contesto di una crisi economica internazionale, aveva peggiorato le condizioni di vita delle masse popolari. I motivi legittimisti emersero soltanto in rare occasioni: nel momento in cui Alessandro Pace fu nominato, pare, tenente di un immaginario esercito borbonico, o quando Santaniello incitò in Piedimonte "i giovani e il popolo Basso" alla rivolta o allorché Domenico Fuoco, mentre manifestava propositi di resa, si disse fiducioso in un "ritorno in Napoli di Francesco Borbone, pronto all'uopo al confine verso Isoletta, con 6000 svizzeri, 6000 disertori, con truppa papalina e 900 briganti a cavallo". In quel particolare momento della storia del brigantaggio affiorarono altresì palesi la stanchezza dei protagonisti e la delusione verso quel movimento che nato sotto i migliori auspici, s'avviava all'insuccesso (76). Con la soppressione del Comando Generale delle truppe alla frontiera pontificia, erano state istituite le Zone militari di Avezzano, del Sangro e di Cassino. Quest'ultima abbracciava il circondano di Gaeta e Sora. Per quelli di Caserta, Piedimonte e Isernia il comando generale s'era riservata la direzione del servizio (77). Con la costituzione del Comando Generale della Zona Militare del Matese, le autorità, ben decise alla rapida soluzione del brigantaggio, oltreché con l'imponente impiego di truppe, osteggiarono i briganti con le ormai consuete misure poliziesche (78). Per tutto il 1867 nel carcere di Piedimonte vennero tradotti quali conniventi, manutengoli e briganti, 120 individui (79). I briganti, coalizzandosi secondo le esigenze in una grossa banda di 80, 90 componenti, risposero operando colpi di mano improvvisi e veloci e ponendo somma cura nell'eludere l'aperto conflitto coi soldati. In tal modo destarono preoccupazione nelle forze militari le quali, ancora una volta, trovarono difficoltà nel fronteggiarli. Scontri di un certo rilievo s'ebbero nell'autunno: la banda Fuoco, a Presenzano e Pozzilli, impegnò più volte la truppa; Scoppitto, presso Roccamandolfi, contrastò una compagnia del 45° Fanteria; a termine di lungo vagare, da Presenzano a Venafro e da Campobasso a San Massimo, Pace, Colamatteo, Valerio e Guerra si batterono a S. Cristinziano di Roccamandolfi e nel bosco Gasamara di Letino contro distaccamenti di Linea (80). Il resto dell'anno decorse povero di azioni di massa. Soltanto in dicembre, nel bosco di Majorano di Monte, Carabinieri Reali e Guardie Nazionali di Dragoni, intercettarono la comitiva Santaniello. I briganti, rispondendo al fuoco si ritirarono e, superata la scafa di Rajano al Volturno, trovarono rifugio nella selva di San Simeone (81).Fin dai primi mesi del 1868 ebbe inizio la liquidazione delle bande superstiti che si aggiravano per il Matese e territori limitrofi. Santaniello, battuto sopra le colline di Alife, tra Sepino e Pietraroja, a Isola Grande di Guardiaregia e al Mortito di Piedimonte, ritornò a Bracigliano suo paese di origine: isolato e fatto oggetto di serrata persecuzione, proditoriamente venne ucciso per mano di Fiore Antonio, soldato di seconda categoria in congedo e di Giordano Michele ed Amato Gennaro, compagni e conterranei (82). Le comitive di Pace, Ciccone e Guerra attaccate sopra Colle Cavallo di Presenzano e a Monte Pizzuto, subirono gravi perdite e fuggirono verso il bosco di Torcino (83). Domenico Fuoco, a Casamatteo di Venafro, contrastò con esito favorevole una pattuglia del 27° Fanteria (84), Giuseppe Campagna, a capo di piccola banda, mise in allarme una colonna volante del 44° Fanteria di Linea in Cusano (85). Nell'angosciosa ricerca di inaccessibili rifugi e nel tentativo di procurarsi mezzi di sopravvivenza, i briganti compromettevano ovunque la tranquillità pubblica. Sostenuti sempre meno dal favore popolare, colpivano ciecamente e imponevano l'omertà col terrore. Il Ministero della Guerra, per imprimere alla persecuzione una svolta decisiva, concentrò nelle mani del Pallavicini il Comando Generale delle Truppe per la Repressione del Brigantaggio nelle Provincie di Terra di Lavoro, Aquila, Molise e Benevento (86). L'alto ufficiale si trasferì in Caserta (87) e il 15 aprile diede inizio alle operazioni con un generale movimento di militari su tutto il Matese. In prosieguo scaglionò presidi in zone strategiche, aumentò il numero degli effettivi, impose il coprifuoco, il blocco dei centri abitati e le visite domiciliari dalle falde delle Mainarde alle pendici del Matese, perseguitò i manutengoli (88) e istituì taglie (89). Non mancò infine di aggravare la crisi del commercio, dell'agricoltura e della pastorizia, con lo sgombero di tutte le località rurali abitate, con le ripetute revoche del permesso di accesso ai monti a pastori, contadini e carbonai e con la chiusura delle masserie (90). In breve volger di tempo, le bande vennero a trovarsi del tutto isolate. Pace si rese fuggiasco, Fuoco si nascose nell'alto Sangro (91), Guerra, braccato sopra i monti del versante molisano manifestò propositi di resa (92) e Campagna, respinto mentre a capo di una piccola banda varcava il confine pontificio presso Settefrati, si ritirò sui monti di Cusano e Pietraroja. Tra quelle forre perse tre uomini ad opera di contadini del luogo e, incalzato da militari del 62° di Linea, fuggì in territorio pugliese (93). Questi fatti erano il sintomo che preannunciava l'imminente collasso del brigantaggio. Il 30 agosto 1868, militari e Guardie Nazionali guidate da un delatore, colsero in un casolare di Fontanacesa un gruppo di briganti. Il Pallavicini comunicò l'avvenuto scontro ai Sottoprefetti di Isernia, Formia, Piedimonte d'Alife e Sora: "scorsa notte truppe scompartimento attaccavano banda Guerra sotto Monte Morrone Mignano. Rimanevano uccisi Capobanda Francesco Guerra, capobanda Ciccone Giacomo, e brigante D'Orsi di Letino e la druda del capobanda Guerra" (94). Michelina De Cesare caprala, incinta per la terza volta e Francesco Orsi capraio, erano stati, al contrario, trucidati subito dopo la cattura (95). (BRIGANTESSE) Il 12 settembre, i carabinieri arrestavano Giovan Giuseppe Campagna nella taverna di tal Santacroce Lorenzo in Sepino (96). Per tutta la prima metà del 1869 Alessandro Pace, Domenico Fuoco e i superstiti gregari, coalizzati in piccola banda si mossero nel Venafrano. Dimesso il vestire brigantesco e usando abiti "da cafoni" percorrevano sconosciuti le campagne e i paesi onde meglio sottrarsi alla ricerca della truppa e alle insidie di molti contadini avidi della promessa taglia (97). A causa di sopravvenuti disaccordi, in luglio, i due capi sciolsero il sodalizio e ancora per qualche tempo si spostarono nei circondari di Isernia e di Piedimonte. Il 27 agosto, carabinieri e Guardie Nazionali, a conclusione di uno scontro, catturarono Alessandro Pace, Nicola Vendettuoli, Giuseppe Lodovico e Giovanni Ragosta, in una grotta sui monti a due miglia da Morcone. I quattro briganti vennero condotti in Cerreto e successivamente rinchiusi nel carcere di Caserta in attesa di giudizio, sebbene il Generale Pallavicini fosse stato dell'avviso che "misura fucilazione sarebbe stata opportuna momento arresto" (98). L'alto Ufficiale comunque, nel dare ampio risalto all'accaduto notificò ai sindaci delle province di Terra di Lavoro, Aquila, Molise e Benevento: " Dopo la cattura della banda Pace, . . la persecuzione del brigantaggio è entrata in una novella fase, in quel periodo cioè nel quale la pubblica sicurezza non va più garantita contro orde di malfattori, che scorazzano armata mano la campagna, ma va tutelata contro malviventi isolati, ultimi residui di vecchie bande e contro ladroni di occasione, che si uniscono improvvisamente e che si sciolgono una volta eseguito il colpo . . . Ciò non pertanto io non mi perito ancora a proclamare ristabilita la pubblica sicurezza tanto più mi astengo da tale dichiarazione che Fuoco, il bandito di cui il nome risuona più funestamente celebre in tutti i luoghi esiste tuttavia . . . In base a quanto ho precedentemente detto giudico che nelle presenti condizioni non debba darsi sosta alcuna alle persecuzioni . . . poiché attribuisco la più grande importanza alla cattura, o alla uccisione del capobanda Fuoco (scomparso il quale saremo ben vicini ad affermare per sempre distrutto il Brigantaggio in queste provincie) (. . .)" (99). Alba del 17 agosto 1870. in una grotta tra Vallerotonda a Casalcassinese, Domenico Fuoco, Benedetto Di Ventre e Francesco Cocchiara Caronte -, ultimi briganti del Matese tuttora attivi, furono massacrati nel sonno da tre prigionieri resi audaci dalle minacce di spaventose torture (100). A questo punto un prospetto dettagliato su briganti e sostenitori, bande e forze repressive, vittime e reati, avrebbe dato, più d'ogni altra considerazione, una visione esaustiva di quell'imponente fenomeno che travagliò il Matese e i territori circonvicini, con logorio di energie, con sacrificio di vite e con sperpero di fortune. I documenti d'archivio e le fonti bibliografiche prese in esame, danno un quadro che, seppur non aspira alla compiutezza, si rivela indicativo. Dal 1861 al 1870 sopra un territorio di circa mille kmq. in prevalenza montuosi, con 53 comuni a economia agro-pastorale e 129.811 abitanti (101), avvicendarono 88 bande armate, sovente capeggiate da sbandati dell'esercito borbonico e costituite da contadini, bracciali, pastori e artigiani. Il loro effettivo era fluttuante, variando da un minimo di cinque ad un massimo di 200 e più uomini. La rivolta armata si manifestò con 42 assalti a paesi, 35 depredazioni di posti di Guardia Nazionale, 145 uccisioni di civili, 139 di militari, carabinieri e Guardie Nazionali, 293 rapimenti a scopo di ricatto e 419 danneggiamenti in prevalenza grassazioni, estorsioni, ferimenti, mutilazioni, furti, saccheggi e abigeati. Le forze militari si impegnarono nella repressione con reparti del 1°, 5°, 6°, 12°, 27°, 28°,29°,36°,37°, 38°,39°,40°,41°,44°, 45°, 46°, 59°, 61°, 62°, 63°, 66°, 71°, 72° e 78°, Reggimenti Fanteria di Linea e del 5° Reggimento Granatieri "Napoli" impiegarono inoltre plotoni del 3°, 5° e 6° Lancieri di Firenze, del 3° e 4° Lancieri di Novara e del 13° Cavalleggieri di Monferrato, compagnie del 18° e 28° Bersaglieri e squadriglie di Reali Carabinieri a cavallo e appiedate. Delegazioni di Pubblica Sicurezza, ordinarie nei centri maggiori e straordinarie in quelli minori, svolsero attività poliziesca; 430 Ufficiali e 6920 militi costituirono l'organico della Guardia Nazionale. La persecuzione produsse 152 scontri a fuoco, 169 uccisioni di briganti, 228 arresti, 106 fucilazioni e 224 costituzioni. Quali manutengoli, conniventi, sospetti tali e pertubatori dell'ordine pubblico, vennero sottoposti a sorveglianza o arrestati, dal 1861 al 1869, nel Circondario di Cerreto Sannita 752 individui e 760 nel Circondano di Piedimonte. Per quanto concerne i notabili di parte borbonica e perfino liberale che istigarono e non oltre un certo limite, sostennero i briganti, onde non riportare notizie frammentarie e dati spesso contrastanti, diciamo soltanto che, alcuni pagarono con l'arresto, con l'esilio o con la vita il prezzo della fedeltà all'ideale legittimista. La maggior parte, nel pieno rispetto delle regole sul trasformismo d'élite, mentr'erano ancor calde le spoglie degli ultimi briganti uccisi, ovunque, si accinse a rivestire prestigiose e ben remunerate cariche elargite dallo Stato unitario. Dopo i tristissimi avvenimenti fin qui descritti, più non si ebbero assalti a paesi, agguati, sconti a fuoco e rapimenti. Improvvisamente un fatto inatteso venne a turbare la quiete tanto duramente pagata. Il 24 giugno 1880 Cosimo Giordano e Libero Albanese, ritornati nel Cerretano, sequestrarono sui monti di Morcone il possidente Libero Della Penna (102). La notizia, "incredibile ma vera", destò allarme tra le autorità e panico tra le popolazioni. Vennero promesse taglie, i militari presidiarono i comuni che erano stati teatro della rivolta armata e da Isernia, Piedimonte, Guardiaregia, San Polo, Morcone, Sepino, Cusano, Pietraroja e Cerreto operarono perlustrazioni convergenti verso le balze del Mutria (103) tra le quali era stata avvistata la banda. Il 3 luglio, Giordano e Albanese, ricevuto il prezzo del riscatto liberarono il prigioniero (104). Da luglio a tutto settembre, nel frenetico susseguirsi di conferme e smentite, i numerosi rapporti segnalarono la "masnada" in luoghi diversi del Molise, Abruzzo, Puglia, Terra di Lavoro e Beneventano o tuttora nascosta nelle grotte dei Mutria (105). Nel Venafrano si parlò di Internazionalisti (106). Numerose notizie di avvistamento vennero inoltre diffuse ad arte dai coloni che in quei mesi di raccolto volevano tenere lontano dai fondi rustici i proprietari; da quuesti ultimi, per garantirsi una protezione più assidua da parte delle forze dell'ordine e dai ladruncoli i quali profittavano del panico per commettere qualche reato (107). Giordano e Libero Albanese intanto, avevano varcato il patrio suolo diretti il primo in Francia, il secondo verso l'America del Nord (108). Tra i documenti sulla ricomparsa di Cosimo Giordano e Libero Albanese ve n'è uno notevole perché chiarisce le condizioni socio-economiche, per certi aspetti ancora immutate, dieci anni dopo l'immane olocausto. Il 4 agosto del 1880 la contadina Maria Vittoria Grifone da Guardiaregia aveva dichiarato all'Ispettore di Pubblica Sicurezza: "….sul finire del mese di giugno in un giorno che non so bene precisare però ricordo che era giorno di venerdì trovavorni nella contrada Ravesprecata sotto il Monte Mutria a fare il così detto fascio di legna . . . Fu allora che alzando gli occhi mi accorsi di tre individui che stavano in una fonte lì vicino in attitudine di bere, uno dei quali fecemi segno di avvicinare . . Il ripetuto individuo mi domandò finalmente se un certo Nicolangelo Albanese inteso Corticchia tenesse molti denari; al che io risposi negativamente facendogli rilevare che quest'ultimo aveva anticipate delle somme con usura a vari individui di Guardiaregia che erano emigrati per l'America….." (109). Allo stesso modo che in una dissolvenza di suoni, di voci e di immagini, sull'ultimo riverbero del Brigantaggio tramontato, s'era innestato, impercettibilmente, un evento di non minore portata, l'emigrazione. Alla lotta armata seguì l'esodo di migliaia di Italiani e quelle masse abbandonate a se stesse, silenziose ma tenaci, anno dopo anno andarono incontro al miraggio lontano dì un avvenire migliore. Quante e quali lezioni dì vita scaturiscono dunque dalle violente e sanguinose vicende che per oltre un decennio accomunarono vincitori e vinti in quella competizione fratricida? Non risponderemo per gli altri. 

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NOTE

1. Benevento, Museo de Sannio (d'ora in poi MDS). Archivio Storico dell'Amministrazione Provinciale di Benevento (d'ora in poi ASPB). Manifesti Storici, Busta o. XVIII, 1860. La Nuova Italia. Anno Primo n. 22. Napoli, 6 settembre 1860.

2. S. Angelo d'Alife, Raccolta Gabriele Martone (d'ora in poi SA.GM). Sotto-Prefettura di Piedimonte d'Alife, corrispondenza n. 3664 del 18 agosto 1866.

3. MDS. ASPB., Fondo Del Giudice. Comando della Guardia Nazionale di Capriati, corrispondenza del 21 dicembre1860. - Napoli, Archivio di Stato (d'ora in poi ASN). Commissione Provinciale Danneggiati dal Brigantaggio, Fs. 5 fascicolo 13, ff. 1r-11r. Oggetto: istanza Perretta Fortunata ved. Massaro.

4. MDS. Inventario (d'ora in poi Inv.) n. 5837, Ordine del giorno del 30 settembre 1860.

5. Piedimonte Matese, Raccolta Famiglia Scorciarini Coppola (d'ora in poi PMSC), corrispondenza G.B. Fottiero-N. Coppola del 24 maggio 1861.

6. MDS. ASPB. Manifesti storici, Busta n. XVIII, 1860. L'Opinione Nazionale,, Anno I n. 80, Napoli, 30 ottobre 1860.

7. MDS.ASPB., Fondo Del Giudice, Amministrazione Comunale di S. Gregorio; corrispondenza del 23 settembre 1860 - MDS. ASPB., Fondo Del Giudice, Amministrazione Comunale di Gallo, corrispondenza del 29 dicembre 1860 - MDS. ASPB., Fondo Del Giudice, Guardia Nazionale di Piedimonte, corrispondenza del 30 dicembre 1860 - MDS. ASPB., Fondo Del Giudice, Comando della Guardia Nazionale di Faicchio, corrispondenza n. 15 del 31 dicembre 1860.

8. Caserta, Archivio di Stato (d'ora in poi ASG), Atti Processuali, anno 1867. Processo per il ricatto di V. Di Franco e G. Angelillo. L'intermediario venne accusato di essere in possesso di qualche mezza piastra "….in tempi che è pur difficile vedere qualche moneta di bronzo...".

9. Piedimonte Matese, Archivio Comunale (d'ora in poi ACPNI), Atti del Decurionato, tornata del 25 agosto 1861.

10. Documenti Citati e seguenti e fonti bibliografiche.

11. Piedimonte Matese, Raccolta Giuliano R. Palumbo (d'ora in poi PMGP), Ministero della Guerra, circolare n. 1400 del 5 luglio 1861. Detta circolare comunica tra l'altro che numerosi individui "…. fan pervenire per mezzo delle Autorità le loro reclamazioni, sullo scopo di ottenere la esenzione dal marciare perché sostegni di famiglia ….. Tale pratica essendo abusiva, non può essere più lungamente tollerata, e non dovranno accogliersi alcune dimande di siffatto genere …."

12. MDS. ASP., Fondo del Giudice. Guardia Nazionale - Raviscanina, Raccolta Antonio De Sisto (d'ora in poi RADS), Guardia Nazionale di Raviscanina, carteggio 1860-1865 - ASC. Atti di Prefettura, Intendenza del Circondano di Piedimonte, relazione del 4 maggio 1861. Detta relazione illustra ampiamente lo stato della Guardia Nazionale nel Distretto di Piedimonte. Fa altresì accenno alla deficienza dei mezzi di comunicazione telegrafica, alla presenza di mene reazionarie e all'intesa dei briganti del Distretto di Isernia e di Abruzzo con quelli di Piedimonte.

13. Archivio Comunale di S. Potito Sannitico (d'ora in poi ACSPS), Registro degli oziosi e vagabondi. - Piedimonte Matese, Raccolta Rosario Di Lello (d'ora in poi PMRDL), Governo della Provincia di Terra di Lavoro, circolare n. 1617 del 19 agosto 1861. In essa, le autorità, consentono l'uso dei Veterani per il piantonamento a carico delle famiglie degli sbandati, dei requisiti, dei renitenti di leva e dei disertori. - ASC. Atti di Prefettura, Giunta Provinciale di Terra di Lavoro, verbale n. 1 del 25 settembre 1863. Oggetto: invio al domicilio coatto di 27 individui. - MDS. ASPB., Brigantaggio Casalduni, 1865. Biografia politica di G. Leone. 14. MDS. ASPB.,.

14. SottoPrefettura del Circondano di Cerreto Sannita, carteggio: Meretricio, 1861-1864. - Piedimonte Matese, Archivio Chiesa PP. Celestini. Incartamento relativo all'occupazione della Chiesa da parte dei soldati. Piedimonte, 1 gennaio 1863.

15. MDS. ASPB., Governo di Terra di Lavoro, circolare dell'11 marzo 1861.

16. MDS. ASPB., Giudicatura di Cetreto Sannita, corrispondenza del 24 luglio 1861 - MDS. ASPB., Giudicatura di Cusano Mutti, corrispondenza n. 161 del 26 settembre 1861.

17. ASC. Atti di Prefettura, Intendenza del Circondario di Piedimonte, riservatissima n. 1801 del 16 aprile 1861 - ASC. Atti di Prefettura, Regno d'Italia, Ministero dell'Interno, corrispondenza n. 3712-PS del 12 giugno 1863, al Prefetto di Caaerta. Oggetto: brigantaggio - ASC. Atti processuali, copia dell'interrogatorio di Silverio D'Orsi. S. Maria CV. del 16 settembre 1861 - ASC. Atti di Prefettura, Sotto Prefettura del Circondano di Piedimonte, riservatissima n. 8506 del 25 novembre 1861, da G. Cennami contro il P. Francesco di Pontelandolfo - ASC. Atti di Prefettura, Prefettura della Provincia di Napoli, corrispondenza del 9 dicembre 1861 - MDS. ASPB., Amministrazione Municipale di Cusano Mutri, corrispondenza del 23 dicembre 1861.

18. Piedimonte Matese, Raccolta Pasquale Romagnoli. Amministrazione Comunale di Piedimonte, corrispondenza del 5 e 9 marzo 1861.

19. ASN. Commissione Provinciale Danneggiati dal Brigantaggio, Fs. 5 fascicolo 17 ff. 40r-52r per A. Monaco e M. G. Mancini di Roccamandolfi - MDS. ASPB. Procura Generale del Re presso la Corte di Appello pressante n. 4994 del 26 aprile 1865.

20. ASC. Atti di Prefettura, 2 luglio 1861.

21. MDS. ASPB. Intendenza del Circondano di Piedimonte, corrispondenza del 6 luglio 1861.

22. ASC. Atti di Prefettura. Amministrazione Municipale di Prata, corrispondenza del 3 luglio 1861 - ASC. Atti di Prefettura. Intendenza del Circondano di Piedimonte, corrispondenza o 387 del 6 luglio 1981.

23. ASN. Commissione Provinciale Danneggiati dal Brigantaggio. Fs. 6, fascicolo 6 ff. 80r-83r. Istanza di M. G. Capra da San Polo - ASN. Commissione Provinciale Danneggiati dal Brigantaggio. Relazione del 14 gennaio 1865 su istanza di Andrea Amato da Pietraroja - MDS. ASPB., Brigantaggio Casalduni, 1861.

24. V. nota n. 19 - MDS. ASPB., Governo della Provincia di Benevento, circolare a stampa n. 8442 del 27 agosto 1861.

25. ASN. Commissione Provinciale Danneggiati dal Brigantaggio. Fs. 6 fascicolo 6 ff. 30r-38r. - Isernia, Archivio di Stato (d'ora in poi ASI). Atti di Pubblica Sicurezza. Carteggio n. 4753 del 22 giugno 1868, corrispondenza tra l'Arciprete N. Palladino da Guardiaregia e il SottoPrefetto di Isernia.

26. MDS. inv. n. 10942. Dichiarazione resa dal brigante Michele Tommaso da Gioja, bracciante, il 13 dicembre 1861.

27. ASC. Atti di Prefettura, Comitato clandestino borbonico, proclama ai "Napolitani ", 1862 - ASC. Atti di Prefetura. Carabinieri Reali, Diviaione di Caserta, rapporto n. 6058 dell' 8 agosto 1862. Nel rapporto un brigante rivela la connivenza del Conte di Laurenzana. dimorante in Roma e di suoi agenti in Piedimonte, con la reazione - PMRDL. Prefettura della Provincia di Terra di Lavoro, Prot. 2672, circolare n. 117 del 2 dicembre 1961 - RADS Sotto-Prefettura del circondano di Piedimonte. Uffuzio di P.S., riservata n. 826 del 6 settembre 1862.

28. ASC. Atti Processuali. Regia Pretura di Piedimonte d'Alife, Registro crimini, 1862, copia dei carichi penali su Liberato Di Lello - ASC Atti Processuli. 1863. Corte di Appello di Napoli. processo contro Raffaele De Lellis e altri - ASC. Atti Processuali, 1863. Regia Giudicatura del Mandamento di Piedimonte. Atti di Istruzione, n. 121 del registro dei crimini, contro Salvatore Dell'Ungaro e altri.

 29. ASC. Atti di Prefettura. Sotto-Prefettura del Circondario di Piedimonte, corrispondenza n. 236 del 22 marzo 1862. Oggetto: Brigantaggio - ASN. Commissione Provinciale Danneggiati dal Brigantaggio, ff. 43r-45r. Circa N. Gasbarro da Guardiaregia.- V. nota n. 28 - V.nota n. 23.

30. ASC. Atti di Prefettura. SottoPrefettura del Circondario di Piedimonte d'Alife, relazione speciale del 28 maggio 1863 - ASC. Atti di Prefettura. Prefettura di Terra di Lavoro, carteggio on. 4481 e 4785 titolo 3, 1862 - ASC. Atti di Prefettura. SottoPrefettura di Piedimonte, riservatissima n. 251 del 28 marzo 1862 - ASC. Atti di Prefettura. SottoPrefettura di Piedimonte, riservata n. 249 del 26 marzo 1862 - ACPM. Giunta Municipale di Piedimonte, tornata del 12 febbraio 1862.

31. MDS. Inv. n. 10957. Prefettura di Benevento, telegramma del 17 luglio 1862 - ASC. Atti di Prefettura. SottoPrefettura del Circondano di Piedimonte, riservate n. 479 del 18 giugno '62, n. 562 del 18 agosto '62 e n. 570 del 21 agosto 1862.

32. ASC. Atti Processuali, 1862. Giunta municipale di Torremaggiore, attestato di morte di Raffaele De Lellis, agnominato Padre Santo - S Gregorio Matese, Archivio Comunale (d'ora in poi ACSGM) Registro Atti di morte 1862, atti n. 9 e 10 - NIDS. Inv. nn. 10961, 10962, 10963, 10964, 10965. Corrispondenze di briganti dallo Stato Pontificio, anni 1862, '64, '66.

33. MDS. ASPB. Inv. nn. 10977, 10978. Telegrammi del 19 e 23 marzo 1863 - ASC. Atti di Prefettura. SottoPrefettura del Circondano di Piedimonte d'Alife, relazione speciale n. 487 del 27 maggio 1863 - ASC. Atti Processuali. Giudicatura Mandamentale di Piedimonte. Registro dei crimini, 1863. Impotazioni a carico di Liberato Di Lello fu Giovanni da Cutti di Gioia.

34. ASN. Commissione Provinciale Danneggiati dal Brigantaggio. Commissione Provinciale di Benevento per la Repressione del Brigantaggio. N. 135 - PS, 4 fascicolo 1ff. lr-13r - Anno, 1863.

35. ASN Commissione Provinciale Danneggiati dal Brigantaggio. Commissione Provinciale di Benevento per la Repressione del Brigantaggio. N. 117 - PS. 4 fascicoli i ff. lr-23r - Anno, 1863.

36. MDS. ASPB. Sotto Prefettura di Cerreto Sannita. Riservata del dicembre 1863 - ASC. Atti di Prefettura. SottoPrefettura del Circondano di Piedimonte d'Atife, riservata n. 1 del 15 gennaio 1864.

37. ASC. Atti Processuali, Carabinieri Reali, Stazione di Gioja, rapporto n. 26 del 5 ottobre 1863 - ASC. Atti Processuali. Giudicato del Circondario di Piedimonte, corrispondenze nn. 1634 e 1663 del 9 ottobre 1863.

38. D. Filippo Onoratelli, liberale di Piedimonte, aveva fatto parte del Decutionato che il 7 settembre 1860 proclamò il Governo Provvisorio in Piedimonte. L'Onoratelli venne, dalla brigantessa Palmieri morente ... incolpato di somministrazioni di viveri, di munizioni e di numerario ai briganti...". V. ASC. Atti di Prefettura. Sotto-Prefettura del Circondano di Piedimonte d'Alife, riservata n. 1113 del 7 ottobre 1863 - ASC. Atti di Prefettura. SottoPrefettura del Circondano di Piedimonte d'Alife, riservata n. 40 dell'8 dicembre 1863. Oggetto: arresto del Capobrigante Liberato Di Lello da Curti.

39. MDS. ASPB. Fascicolo "Grotta delle Fate", sui fatti del dicembre 1863 in Pietraroja.

40. ASC. Atti di Prefettura. SottoPrefettura del Circondano di Piedimonte, riservata n. 181 del 16 febbraio 1864.

41. ASC. Atti di Prefettura. SottoPrefettura del Circondano di Piedimonte, riservata n. 1 dell'11 marzo 1864.

42. ASC. Atti di Prefettura. SottoPrefettura del Circondano di Piedimonte, relazioni speciali nn. 282 del 16 marzo 1864 e 285 del 17 marzo 1864.

43. ASC. Atti di Prefettura. Provincia di Molise. Manifesto taglia del 22 giugno 1864 - ASC. Atti di Prefettura. Prefettura della Provincia di Terra di Lavoro, circolare n. 5473 del 27 giugno 1864.

44. ASN. Commissione Provinciale Danneggiati dal Brigantaggio. Provincia di Terra di Lavoro. Commissione centrale per la sottoscrizione nazionale a pro dei danneggiati dal Brigantaggio. Oggetto: arresto di sei briganti della banda Tommasini (. . .). Fs. 5/10 ff. 90r-98r.

45. ASI. Sotto-Prefettura del Circondano di Isernia. Carteggio n. 4753 del 22 giugno 1868. Lettera di L. Albanese alla madre - ASC. SottoPrefettura del Circondano di Piedimonte d'Alife. Rapporto n. 1044 del 16 ottobre 1864.

46. ASC. Atti di Prefettura. Prefettura di Terra di Lavoro, rapporto n. 5288 del 17 giugno 1864 al Ministero Interni, Torino.

47. ASC. Atti di Prefettura. Deposizione del 18 maggio 1864 resa al Delegato di Pubblica Sicurezza di Piedimonte.

48. ASC. Atti di Prefettura. Sotto Prefettura del Circondano di Piedimonte d'Alife, quadro statistico sul Brigantaggio per gli anni 1864 e '65 - MDS. Inv. n. 11012, 11013, 11014, 11021. Manifesti a stampa sul divieto di accedere nelle zone rurali.

49. MDS. Inv. n. 11008. Prefettura di Terra di Lavoro, circolare del 1 maggio 1865.

50. ASC. Atti di Prefettura. SottoPrefettura del Circondano di Piedimonte d'Alife, rapporto n. 69 del 21 agosto 1865 - ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Regno d'Italia, Ministero dell'Interno, riservata da Firenze n. 17108 del 20 dicembre 1865.

51 MDS. Inv. n. 11009, 11010. Taglie per la cattura di briganti.

52. ASN. Commissione Provinciale Danneggiati dal Brigantaggio, Fs. 5 fascicolo 20 ff. 2r-l0r, Anno 1865. Per Speranza Riselli - ASN. Commissione Provinciale Danneggiati dal Brigantaggio, Fs. 5 fascicolo 14 ff. lr-11r, Anno 1865. Per Petella Vittoria ved. Pietrosimone - MDS. Inv. n. 11015. SottoPrefettura di Piedimonte, telegramma del 22 luglio 1865 - MDS. ASPB. Deposizione della brigantessa M. Maddalena De Lellis, 1865.

53. ASC. Atti processuali. Ordinanza del 15 novembre 1865 da parte del Presidente del Tribunale di S. Maria C.V. contro C. Giordano, C. Cassella e G. Civitillo.

54. ASC. Atti di Prefettura. Regno d'Italia, Prefettura della Provincia di Benevento, riservata n. 1539 del 14 agosto 1865 al Sig. Prefetto di Caserta. " …Da recenti informazioni assunte presso l'Ufficio di S.P. in Cerreto, risulterebbe che i briganti i quali dal Cerretano si recano a Roma, e viceversa, tengono ordinariamente la stradale del Matese per la contrada della Chiana rasente il lago e precisamente nel punto ove stavano accasermati i gendarmi borbonici; salgono quindi una montagna ove si trova una fontana fabbricata per abbeverare le bestie, e vanno a far riposo presso un pecoraio sul monte detto Rotondo nel Circondano di Sora di proprietà di un barone dimorante in Roma: passano il ponte detto di venticinque archi ed il fiume di Sora in vicinanza di San Vincenzo, e si fermano a Pietra di Campo sopra S. Francesco, territorio pontificio, dove lasciano le armi presso un massaro chiamato Antonio, dal quale le riprendono volendo ripercorrere la via pel Cerretano. Di tali notizie compio il dovere di mettere in conoscenza la S.V. Ill.ma, per l'uso che stimerà fare in occasione d'istruzioni o provvedimenti per la repressioni del brigantaggio. Il Prefetto. ..".

55. Tanto risulta dalle notizie sulle bande Ferradino, Trifilio, Cecchino Cimino, Giordano, Arcieri, Di Lello, De Lellis, Fuoco, Guerra, Ciccone, Pace, L. Albanese, Santaniello, Colamatteo, De Meo, Valerio, Varrone A., G. Varrone, G. Martino, Puzella, riportate nei seguenti documenti: - Caserta, Archivio di Stato: Atti di Prefettura - SottoPrefettura del Circondario di Piedimonte, corrispondenze nn. 1664 del 16 aprile 1867 e 1544 del 25 aprile 1867 - Atti Processuali. Regia Pretura di Piedimonte, atti di Istruzione contro Cosimo Giordano ed altri 25 ignoti, 1863 - Regia Pretura di Piedimonte d'Alife, verbali del 28 gennaio 1868 sulle armi del brigante Ferrucci e del 15 settembre 1868, sulle armi del brigante Tommaso Di Mundo - Delegazione di Pubblica Sicurezza di Piedimonte d'Alife, deposizione di Nicola Angelillo, brigante, anno 1868 - Isernia, Archivio di Stato: Atti di Pubblica Sicurezza. SottoPrefettura del Circondano di Isernia, rapporto n. 307-11 dell'11 novembre 1866 - Telegramma del 18 marzo 1866 al Prefetto di Campobasso - Relazioni n. 3418-3-8 del 7 settembre 1866 e 6012 del 13 ottobre 1866 - Luogotenenza dei Carabinieri Reali di Isernia, rapporti no. 3714 del 19 settembre 1866, 3786 del 23 settembre 1866 e 5374 del 22 dicembre 1867 - Delegazione di Pubblica Sicurezza di Isernia, deposizione di Benedetto Iannitelli resa il 10 ottobre 1867 - Delegazione di Pubblica Sicurezza di Piedimonte, rapporto del 31 dicembre 1866 al SottoPrefetto di Isernia - Delegazione di Pubblica Sicutezza di Venafro, relazione n. 1044-10 del 19 ottobre 1867 - Dicastero dell'Interno, circolare n. 2325 del 1 maggio 1863. Napoli, Archivio di Stato: Commissione Provinciale Danneggiati dal Brigantaggio. Commissione Provinciale di Benevento per la repressione del Brigantaggio. N. 300 e 163 del 18 agosto 1864. Fs. 4 fascicolo 11 ff. lr-7r - Commissione Provinciale di Benevento per la repressione del Brigantaggio. N. 304 del 31 agosto 1864. Fs. 4 fascicolo 2 ff. 106r-116v. V. inoltre documenti già citati e seguenti: Benevento, Museo del Sannio. Archivio Storico dell'Amministrazione Provinciale di Benevento. Comando della Guardia Nazionale di Cusano Mutri, deposizione del brigante B. Perugini resa il 10 febbraio 1862 - SottoPrefettuta del Circondario di Cerreto Sannita, stato nominativo dei briganti del circondano di Cerreto negli anni 1861, 1864, 1865, 1866, 1870 - Sotto-Prefettura del Circondano di Cerreto Sannita, nota degli individui da arrestarsi che fecero parte della Banda G. Varrone, 1865 - Delegazione P.S. di Cerreto Sannita, elenco alfabetico dei briganti del Circondario tuttora viventi con le rispettive biografie, 1865 - Municipio di Frasso Telesino, relazione del 14 maggio 1864 sul sequestro di A. Barretta da parte della banda di L. Martino - Brigantaggio Casalduni, 1862, sull'attività della banda di G. Puzella.

56. ASI. Sotto-Prefettura del Circondano di Isernia, risposta n. 9488-3-8 del 7 settembre 1866 alla nota n. 375 del Prefetto di Campobasso - ASC. Atti di Prefettura. SottoPrefettura del Circondano di Piedimonte d'Alife, quadro statistico sul Brigantaggio per il mese di gennaio 1866.

57. ASC. Atti Processuali. Tribunale Correzionale di S. Maria Capua Vetere. N. 24 del Registro della Pretura di Piedimonte d'Alife, procedimento penale Contro Tommaso Di Mondo e altri, 1866 - Piedimonte Matese, Archivio della Pretura (d'ora in poi AP.PM). Registro ingresso al carcere per gli anni 1866-1869 con riferimento al mese di marzo 1866.

58. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Regno d'Italia, Ministero dell'Interno, Div. 1 - Sez. l, circolare riservata n. 7889 P.S. del 27 giugno 1866.

59. ASC. Atti di Prefettura. Editto del Delegato Apostolico Luigi Pericoli. Dato dal Palazzo Apostolico di Frosinone il 7 dicembre 1865 - ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Prefettura di Molise, telegramma n. 118 del 27 novembre 1866 al S. Prefetto di Isernia.

60. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. SottoPrefettura del Circondario di Isernia, circolare n. 33364-3-59 P.S. del 18 giugno 1866.

61. APPM. Registro ingresso al carcere per gli anni 1866-69 con riferimento ai mesi di maggio e giugno 1866 - MDS.ASPB. Circondario di Cerreto Sannita e Amministrazione Municipale di Cusano Mutri, stati degli ammoniti e delle persone sospette per connivenza in brigantaggio. 29 aprile - 20 maggio 1866.

62. ASC. Atti di Prefettura. SottoPrefettura del Circondano di Piedimonte d'Alife, corrispondenza n. 3886 del 29 agosto 1866.

63. ASC. Atti di Prefettura. Prefettura della Provincia di Terra di Lavoro, circolare n. 280 del 14 ottobre 1866.

64. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Prefettura della Provincia di Molise, circolare urgentissima n. 375 del 6 settembre 1866.

65. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Luogotenenza dei Carabinieri Reali di Isernia, rapporto n. 4918 del 2 novembre 1866.

66. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Sotto-Prefettura del Circondano di Piedimonte. Telegramma n. 12 del 6 novembre 1866 "Sig. Sotto Prefetto Isernia. Mando al limite del Circondano verso Gallo e Letino tutta la forza disponibile. Il Sotto Prefetto Paroletti " - ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Luogotenenza dei Carabinieri Reali di Isernia, rapporto n. 4741 del 10 novembre 1866. Oggetto: scontro con i briganti della banda Pace.

 67. ASC. Atti di Prefettura. Divisione dei Carabinieri Reali di Caserta, rapporto n. 10963 dell'11 novembre 1866 - ASC. Atti di Prefettura. Prefettura della Provincia di Terra di Lavoro, rapporto n. 208 del 4 novembre 1866 dai Delegato Straordinario in Mignano al Sig. Prefetto della Provincia - ASC. Atti di Prefettura. SottoPrefettura del Circondano di Piedimonte, rapporto n. 4723 del 10 novembre 1866.

68. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. "DA (DOMANI) PER (CINQUE) GIORNI OPERAZIONE (RE) (CI) (PRO) (CHE) TUTTA (LI) (NE) (A) (CONFINE) (PONTIFIC) (IO) POTREBBERO FAR (PE) (NE) (TRA) (RE) O (IN) (TE) (R) (NA) (RE) BANDE. AVVERTO PER TENER VIGILI LE FORZE. PREFETTO REGGENTE SERPIERI.

69. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Luogotenenza dei Carabinieri Reali di Isernia, rapporto n. 4923 del 24 novembre 1866 - ASI. Atti di Prefettura. Delegazione di Pubblica Sicurezza di Venafro, telegramma n. 36 del 28 novembre 1866. "Giovedì notte Ciccone con 13 briganti passò scafa Vairano proveniente Matese e pei lago di questo paese e bosco Quercia Presenzano recossi Monte Coppo ... lasciando Matese stesso banda Pace . . . Il Delegato" - ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Luogotenenza dei Carabinieri Reali di Isernia, rapporto n. 4948 del 26 novembre 1866.

70. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Prefettura di Terra di Lavoro, Circondario di Sora. Interrogatorio di Maria Giuseppa De Meo da Casal Cassinese. 26 febbraio 1867.

71. SAGM. Gazzetta Provinciale di Terra di Lavoro, Anno I n. 2 1867 - p. 16.

72. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Sotto-Prefettura del Circondano di Isernia, riservatissima n. 315 P.S. del 18 dicembre 1866 al Sig. Delegato di Pubblica Sicurezza di Castellone.

73. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Prefettura della Provincia di Terra di Lavoro, circolare n. 204 del 27 dicembre 1866.

74. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. SottoPrefettura del Circondano di Isernia. Elenco delle bande brigantesche che sogliono infestare il Circondano di Isernia. Anno 1867 - MDS. Inv. n. 11052. Sotto-Prefettura del Circondano di Piedimonte, telegramma del 15 settembre 1867. - V. pure nota n. 75.

75. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Delegazione di Pubblica Sicurezza di Venafro. Verbale di interrogatorio del Sacerdote Morra, raccolto l'11 ottobre 1867.

76. V. nota n.. 75.

77. V. nota n. 73.

78. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Prefettura della Provincia di Molise. Nota n. 305 del 26 aprile 1867 - ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. SottoPrefettura del Circondano di Piedimonte. Nota n. 2388 S.P. del 12 giugno 1867 - ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Brigata Aosta, 5° Reggimento Fanteria Prot. n. 671 del 12 luglio 1867 - ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. SottoPrefettura del Cincondario di Piedimonte d'Alife. Nota n. 2668 del 12 luglio 1867 - ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Luogotenenza dei Carabinieri Reali di Isernia, rapporto del 14 luglio 1867 - ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. SottoPrefettura dcl Circondano di Isernia. Piano operativo sul Matese disposto il giorno 15 luglio 1867 - ASC. Atti di Prefettura. Prefettura della Provincia di Benevento, corrispondenza del 6 maggio 1867 - ASC, Atti di Prefettura. Prefettura di Terra di Lavoro. Prot. n.. 1492.

79. APPM. Registro di ingresso al carcere per gli anni 1866-1869 con riferimento all'anno 1867.

80. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Luogotenenza dei Carabinieri Reali di Isernia, rapporto n. 3763 del 4 settembre 1867.- ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Comando 16° Compagnia del 45° Fanteria, Distaccamento di Roccamandolfi, rapporto n. 179 del 6 settembre 1867 - ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Comando Generale della Zona Militare del Matese, rapporto n. 616 del 4 settembre 1867 - ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Comando Generale della Zona Militare del Matese, carteggio del 29 agosto 1867. FF 8. Con telegramma cifrato del 27 agosto 1867, il Sotto Prefetto di Piedimonte informava il collega di Isernia: "Comitiva Pace e Guerra scorsa notte sostenne scontro in appostamento Casamara Letino riportandone SOLDATI LA PEGGIO...".

81. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Comando Generale della Zona Militare del Matese, rapporto n. 1079 del 16 dicembre 1867.

82. MDS. Inv. n. 11033. Delegazione Pubblica Sicurezza di Cerreto. Telegramma n. 9 del 5 marzo 1868 - MDS. ASPB. Sotto-Prefettura di Piedimonte, telegramma n. 28 del 30 marzo 1868 - ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Sotto-Prefettura del Circondario di Piedimonte. Prot. n. 1578-1064 del 23 marzo 1868 - ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Sotto-Prefettura del Circondano di Isernia, riservatissima del 3 maggio 1868 - ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Prefettura di Salerno. Telegramma n. 55 del 9 maggio 1868.

83. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Luogotenenza dei Carabinieri Reali di Isernia, rapporto n. 940 del 15 marzo 1868 - ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Sotto-Prefettura del Circondario di Isernia, carteggio n. 1333. Oggetto: attacco di briganti sui monti di Presenzano agli 11 marzo 1868.

84. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. SottoPrefettura del Circondano di Isernia, carteggio n. 1668. Oggetto: attacco di soldati al 27 marzo 1868 presso Casamatteo.

85. MDS. ASPB. Colonna Volante del 44° Reggimento Fanteria in Cusano Mutri, rapporto n. 26 del 20 maggio 1868.

86. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Comando Militare di Salerno. Circolare n. 2 del 22 marzo 1868.

87. MDS. ASPB. Prefettura della Provincia di Benevento al SottoPrefetto di Cerreto. Telegramma n. 10 del 10 aprile 1868.

88. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Comando Generale della Zona Militare del Matese. Quadro della dislocazione delle Truppe. Anno 1868 - ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. SottoPrefettura del Circondano di Isernia. Riscontro n. 2585 del 7 maggio 1868 da Roccamandolfi - ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Comando Generale delle Truppe per la Repressione del Brigantaggio nelle Provincie di Terra di Lavoro, Aquila, Molise e Benevento. Circolare n.695 del 1 maggio 1868 - APPM. Registro di ingresso ai carcere per gli anni 1866-1869 con riferimento al 1868.

89. MDS. Inv. n. 11045. Manifesto-taglia del 31 agosto 1868.

90. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Delegazione Pubblica Sicurezza di Venafro. Nota n. 223 del 4 aprile 1868 - ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Prefettura di Terra di Lavoro, riscontro del 13 giugno 1868 al rapporto del 4 giugno 1868 - MDS. Comando Generale delle Truppe per la Repressione del Brigantaggio. Circolari n. 89 dell'8 dicembre 1868 e n. 4377 del 14 dicembre 1868 - MDS. Comando della Zona Militare del Matese. Circolare n. 3199 del 14 gennaio 1869.

91. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Comando Generale della Zona Militare del Matese. Rapporto n. 1297 del 12 giugno 1868.

92. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Comando Generale delle Truppe per la Repressione del Brigantaggio. Telegramma cifrato del 3 giugno 1868 - ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Amministrazione Municipale di Roccamandolfi. Nota del 21 agosto 1868.

93. ASC. Atti Processuali. Pretura di Piedimonte d'Alife, Registro dei crimini, imputazione a carico di Giovan Giuseppe Campagna di Diodato. Copia del 10 luglio 1868 - MDS. ASPB. Prefettura di Terra di Lavoro. Telegramma n. 12 del 4 agosto 1868 - MDS. ASPB. Comando Militare di Piedimonte d'Alife. Telegramma n. 104 del 25 agosto 1868.

94. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Comando Generale delle Truppe per la Repressione di Brigantaggio. Telegramma n. 389 del 31 agosto 1868.

95. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Delegazione di Pubblica Sicurezza di Mignano. Rapporto n. 2602 dell'11 settembre 1868 - ASC. Atti di Prefettura. Prefettura della Provincia di Terra di Lavoro. Istanza inoltrata il 3 ottobre 1869 da De Mattino Antonio per Giovanni De Cesare da Caspoli.

96. MDS. ASPB. Comando Generale delle Truppe per la Repressione del Brigantaggio. Circolare n. 63 del 21 settembre 1868.

97. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Comando Generale delle Truppe per la Repressione del Brigantaggio. Riscontro n. 5372 del 3 marzo 1869 al n. 809 del 28 febbraio 1869 - MDS. ASPB. Comando Generale delle Truppe per la Repressione del Brigantaggio. Circolare del 17 aprile 1869.

98. MDS. ASPB. N. 93 Gabinetto della Sotto Prefettura di Cerreto Sannita. Rapporto sulla cattura dei briganti Pace, Ludovico, Ragosta, Vendettuola, eseguita il 30 agosto 1869.

99. MDS. Inv. n. 11039. Comando Generale delle Truppe per la Repressione del Brigantaggio. Circolare n. 155.

100. MDS. Inv. n. 11041. Prefettura della Provincia di Benevento. Telegramma del 17 agosto 1870 - MDS. ASPB. Sotto-Prefettura del Circondano di Cerreto Sannita. Corrispondenza . 434 del 20 agosto 1870 - MDS. ASPB. Prefettura della Provincia di Benevento. P.S. Prot. n. 120-22-1-10 del 30 agosto 1870.

101. Istituto Centrale di Statistica. 11° Censimento generale della popolazione. Roma, 1972.

102 ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Prefettura dello Provincia di Benevento, telegramma n. 591 del 25 giugno 1880.

103 ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Ministero dell'Interno, telegrammi n. 424 del 14 luglio 1880 e n.509 del 16 luglio 1880 - MDS. Inv. n. 11049. Prefettura della Provincia di Benevento - ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Comando della Divisione Militare di Napoli, riservata n. 463 del 10 luglio 1880 e disposizioni n. 24 del 4 luglio 1880 al Prefetto della Provincia di Campobasso - ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Sotto Prefettura del Circondano di Isernia, nota n. 1227 del 2 luglio 1880.

104. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Prefettura della Provincia di Molise, copia di nota del Prefetto di Benevento, addì 3 luglio 1880 n. 1334-3-332 - ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Prefettura della Provincia di Benevento, telegramma n. 72 del 2 luglio 1880.

105. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Delegazione di Pubblica Sicurezza in Bojano, telegramma n. 7 del 21 luglio 1880 - ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Sotto Prefettura del Circondano di Isernia, telegramma n. 511 del 16 luglio 1880 - ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Prefettura della Provincia di Molise. Copia di telegramma del Ministero dell'Interno, dal Prefetto di Campobasso al Delegato di P.S. in Bojano. Prot. n. 1885 del 27 luglio 1880 - ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Prefettura della Provincia di Terra di Lavoro, telegramma cifrato n. 413 del 14 luglio 1880 - ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Ministero dell'Interno, urgente n. l3009-l5-60-l95 del 15 luglio 1880 - ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Luogotenenza dei Carabinieri Reali di Isernia, rapporto del 4 luglio 1880 all'Ispettore di Pubblica Sicurezza in Bojano.

106. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Sotto Prefettura del Circondano di Isernia, copia di rapporto del 5 agosto 1880 dal Delegato di P.S. in Venafro al Sotto Prefetto di Isernia.

107. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Delegazione di P.S. in Sesto Campano. Rapporto del 10 agosto del 1880 all'Ispettore di P.S. in Venafro.

108. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Compagnia dei Carabinieri Reali di Campobasso. Rapporto n. 3321 del 3 luglio 1880. "Al Prefetto di Campobasso ... Giordano Cosimo dopo ottenuto il prezzo del ricatto, dicesi che voglia emigrare all'Estero . . . ". In realtà, Giordano emigrò in Francia. Nell'82 fu catturato a Genova, subì un processo e venne condannato all'ergastolo. Morì nel penitenziario dell'isola di Favignana, all'età di 48 anni, il 14 novembre 1888. Tanto risulta dal Registro degli Atti di Morte n. 5, Parte II, anno 1888, nell'Ufficio dello Stato Civile del Comune di Cerreto Sannita.

109. ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Delegazione Straordinaria di Pubblica Sicurezza in Guardiaregia. Interrogatorio di Maria Vittoria Grifone. In una precedente deposizione la Grifone aveva dichiarato che gli emigrati erano "in numero di più di venti individui ": ASI. Atti di Pubblica Sicurezza. Municipio di Guardiaregia, corrispondenza n. 205 del 28 giugno 1880.

 

 

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