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Sui fatti di Campolattaro: l'eccidio dimenticato

di Alessandro ROMANO - 2012

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I fatti di Campolattaro

da "Sannio Brigante" di M. De Agostini £ G. Vergineo, Ricolo Editore, Benevento, 1991

 

[…] ….. Dal 7 all'11 agosto 1861 anche in Campolattaro avvenne una serie di fatti che furono simili, in gran parte, a quelli che erano o sarebbero avvenuti in altri paesi: prima, diffusione di notizie false, atte ad eccitare gli animi della plebe ignorante, poi invasione, violenze a persone e da cose, inevitabile riflusso, repressione. Su Campolattaro converrà soffermarsi alquanto, un pò perchè la storiografia corrente ha avuto la tendenza a trattare le vicende di questo paese alquanto succintamente dal momento che per fortuna durante l'occupazione dei reazionari non avvennero uccisioni o altri gravi delitti contro le persone; un pò perchè è opportuno riportare alla giusta valutazione degli studiosi fatti e personaggi. Per avere un quadro sintetico ma esatto degli avvenimenti, così come realmente si svolsero, leggiamo la relazione su di essi del sindaco di Campolattaro; questi aveva già informato il 18 agosto con due brevi note l'intendente del circondario di Cerreto Sannita, Marletti, su ciò che era accaduto l'8, 9, 10 agosto nel paese; ma poi fu sollecitato da questo a mandare al più presto una particolareggiata relazione che coi rapporti precedenti gli permettesse di conoscere quanto potesse aver riguardo ai fatti medesimi e di ciò che in prosieguo si fosse per avventura verificato. Il 9 settembre il sindaco Tedeschi si decise ad inviare all'intendente, riscontrando la sua perentoria richiesta, un "dettaglio sull'aggressione dei briganti": …..Verso le ore 23 del giorno 7 detto mese (scil. agosto) pervenne qui la notizia per mezzo del concittadino Sigismondo Cifaldi (1) che una banda di più briganti entrati nel vicino comune di Pontelandolfo stava per giungere a momenti in questo comune. A tal spaventevole notizia non trovandosi in questo piccolo comune di 1500 abitanti una competente forza da resistere, attesi pochissimi fucili ed una resistenza non trovata nel suddetto comune di Pontelandolfo di circa 5000 abitanti, tutti i buoni cittadini si diedero alla fuga per scampare la vita minacciata. La mattina del giorno 8, dietro invito e chiamata de' briganti, tutti i soldati sbandati si riunirono in piazza al numero di 12 e si impadronirono delle armi esistenti nel posto di Guardia Nazionale e si unirono ai briganti andati a Pontelandolfo. La sera dell'istesso giorno verso le ore 23 una voce si elevò di molti cittadini reazionari nella pubblica piazza e girando poi l'abitato con bandiera bianca proclamando "viva Francesco II" e contemporaneamente scassinando le porte della mia abitazione e quelle del cancelliere D. Gaetano e figli D. Carlo e notar Amando Nardone e sacerdote D. Pietro di Mangano, distruggendo tutti i mobigli, rompendo lastre dell'invetrate e brugiando al medico D. Carlo Nardone due librerie in medicina e chirurgia ed altri mobili e carte di famiglia, accesero il fuoco in mezzo alla piazza, brugiarono molti mobili della mia abitazione e libri ancor del cancelliere, assaltarono il Corpo di Guardia, ruppero l'emblema e le effige del nostro Re (Dei Gratia) Vittorio Emanuele e quello di Garibaldi. Nel giorno 9 parte dei suddetti reazionari fecero il disarmo di quei pochi fucili esistenti nelle masserie del paese appartenenti a individui della Guardia Nazionale e la sera andiedero a unirsi alla banda di briganti di Pontelandolfo, composta di naturali di Pontelandolfo stesso, di Casalduni, di qui, di altri paesi. La mattina del giorno 10, al far del giorno, tutti i soprannominati briganti si recarono in questo comune al numero di circa 80 con tromba e bandiera bianca si diedero al saccheggio nel palazzo del Cav. Giosuè De Agostini di quanto esisteva di prezioso, danneggiando e distruggendo tutto in generale, non escluso tutto il corredo ed oggetti preziosi della Signora Mariuccia De Longis moglie del nominato dott. Carlo Nardone preventivamente ivi nascosti e distruggendo tutti i mobili e rotture di lastre con minacce d'incendio del palazzo istesso, in atto di fucilare il domestico Saverio D'Angelo che fu salvato per mezzo del brigante Domenico Di Mella. Nel comprensorio del detto palazzo v'è la Casa Comunale e quivi portatisi successivamente posero mano nell'archivio, vuotarono e confusero tutte le carte per terra involandone una porzione che per mancanza di tempo non è ancora verificata l'mesistenza e ruppero i busti del Re Vittorio Emanuele e dell'invitto generale Garibaldi. Indi si portaron nella mia abitazione distruggendo e saccheggiando quanto altro esisteva, egualmente praticarono nell'abitazione del cancelliere Gaetano e figli Carlo e notar Amando Nardone brugiando inoltre i protocolli dei sei notari defunti... ed altre carte che interessavano la famiglia. Di tutti gli oggetti in generale saccheggiati parte ne portarono secoloro e parte obbligarono che ne prendesse il popolo buttandoli per le finestre. I danni sono immensi. Dopo essersi praticate tutte queste cose si portarono in chiesa al suon del tamburo e (con) bandiere bianche, e chiedendosi il sacerdote D. Antonio Iadanzanza (2) cantò il "Te Deum" per Francesco II. Elevatasi una voce che venivano i Piemontesi, si diedero alla fuga". Dunque le principali vittime degli eccessi dei rivoltosi furono il Cav. Giosuè De Agostini, il cancelliere D. Gaetano Nardone e figlio D. Carlo, il notaio Amando Nardone con incendio di tutti i protocolli, D. Pietro Di Mangano, il sindaco Luigi Tedeschi. Una nota redatta subito dopo i fatti da D. Carlo Nardone per conto del padre cancelliere elenca anche i nomi degli "individui (di Campolattaro) che mossero la reazione nella sera di 8 agosto scassinando le case con i soldati sbandati facendo il disarmo al quartiere ed al paese con le grida di "Evviva Francesco II" ...questi, tutti uniti coi briganti di Casalduni e Pontelandolfo saccheggiarono il palazzo, le famiglie Nardone, Tedeschi con incendio di carte…. (3). Non ci furono perdite umane; violenze fisiche, ferimenti, percosse sì; e i danni provocati dalla plebe scatenata al saccheggio furono gravissimi nelle abitazioni prese di mira; ma sopra tutto gli aggressori si accanirono la mattina del 10 agosto contro il palazzo del Cav. De Agostini in cui era, oltre l'archivio comunale, anche il monte frumentario pubblico. Essi penetrarono negli appartamenti, rovistarono tutte le camere, finanche tutti i soffitti; sfondarono il muro tra le camere e la cappella gentilizia; per penetrare nella volta di questa sfondarono il pavimento scavando fin sopra alla volta del sepolcro domestico ove erano le casse contenenti i resti mortali di Giovanni De Agostini e di Anacleta figlia del Cavaliere. Presero il vino in cantina, spillarono botti e tini pieni d'acqua che vi era riposta in caso che si dovesse essere assaliti; portaron fuori tutta la paglia dai fienili, rovesciarono le pile di legna e di combustibili, rovistarono sotto i mucchi di carbone, vuotarono il magazzino del monte frumentario di tutto il grano, saccheggiarono la dispensa. Penetrarono nella cappella gentilizia, forzarono gli armadi in sacrestia, rimossero la porticina dalla custodia sull'altare credendola d'oro (era invece appena dorata), ne portarono via persino la chiave di argento dorato; ruppero la lastra di vetro che chiudeva la nicchia contenente la statua di Santa Filomena e ne tolsero i voti d'oro e d'argento; non toccarono la nicchia dell'Addolorata ma presero il cerchio o diadema inargentato della S. Famiglia ed alcune suppellettili. Sfondarono con calci o con colpi di fucili, con accette, con picconi, con pali di ferro gli armadi, le porte, gli stipi, ridussero in frantumi lampadari, vasi, i vetri di tutte le finestre, si impadronirono di tutti gli oggetti di valore e di quanto potevano portar via: abiti, arnesi, biancheria, perfino materassi, lettiere di ferro e di ottone, vasi di rame, terraglie, cristallerie; gettarono dalle finestre altri oggetti, arazzi, libri ai loro familiari ed amici che li portavan via. Il resto fu ammucchiato nel grande cortile e bruciato (4). Le immense perdite di denaro, di oggetti preziosi, di beni di vario genere sono testimoniate dal verbale descrittivo dei danni stilato dal sindaco Luigi Tedeschi in sostituzione del giudice De Agostini, impedito perchè interessato; particolarmente grave fu la distruzione della ricca biblioteca, dell'archivio familiare e dei 108 volumi dell'archivio dell'Ordine Costantiniano (5).

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NOTE

(1) Fu uno dei protagonisti delle vicende brigantesche di quei giorni: già condannato per omicidio in Terra di Lavoro, si era distinto come ardente sostenitore della causa borbonica; dopo il plebiscito del 1860 si era recato con altri a Gaeta per manifestare al re Francesco II il suo odio contro i liberali; si uni agli sbandati di Campolattaro e prese parte ai fatti di Pontelandolfo e di Casalduni; in quest'ultimo paese partecipò al massacro dei soldati "piemontesi"; fu uno dei principali promotori e attori, con Angelo Pica e con altri compaesani e forestieri, dei saccheggi perpetrati in Campolattaro. Fu arrestato il 16 ottobre 1861 dal Capitano Vandone e dopo un sommario giudizio fu fucilato il 18 ottobre con Angelo Cifaldi e Simeone (o Simone) Nardone.

(2) Don Domenicoantonio Iadanza "Luccia", nato a Campolattaro, sacerdote, fu uno dei principali istigatori della sollevazione di Campolattaro, nel qual paese esercitava le funzioni di maestro di scuola elementare e di conciliatore. Fu testimone e indirettamente anche responsabile dei saccheggi e degli incendi perpetrati. Unico presente in paese tra i sacerdoti locali, celebrò il 10 agosto nella chiesa parrocchiale di Campolattaro un rito in onore di Francesco II con canto del "Te Deum". Arrestato dal cap. Pellizza nella seconda metà di agosto ottenne la libertà mediante il pagamento di "una "tassa di guerra" di 100 ducati. Nuovamente arrestato il 16 ottobre dagli uomini del cap. Vandone fu rimesso in libertà anche per intercessione del cav. De Agostini. Su di lui leggiamo una relazione stilata dall'autorità militare il 15 novembre 1862, in cui si legge che "il prete Iadanza è notissimo per le sue azioni. Il signor maggiore Besagna lo conosce da un pezzo perché stato altra volta in prigione e per opera dello stesso Sig. De Agostini fatto uscire. Male, perché (è) un brigante...".

(3) Secondo questa nota essi sono: Sigismondo Cifaldi, capo brigante; Nicolantonio Nardone, reazionario; Giuseppe Pistacchia, sagrestano capobrigante; Angelo Cifaldi di Vito, soldato sbandato; Saverio De Blasis di Paolantonio; Nicola Zacchino di Tommaso; Luigi Zacchino di Tommaso; Gioacchino Barbieri; Gabriele Zacchino di Tommaso; Salvatore Zacchino di Tommaso, soldato sbandato; Diodoro Nardone; Giuseppe Nardone di Diodoro; Pasquale Rinaldi; Angelo Rinaldi di Pasquale; il figlio di Raffaele Morelli "Spaccone", soldato sbandato; Simone Nardone, reazionario per eccellenza; Pietro Nardone, idem; Mariano Cifaldi; Pasquale di Mangano; Nicola Cifaldi; Placido Cifaldi; Prospero Cifaldi; Prospero Nardone "Cardillo"; il figlio di Giovanni Morelli "Cotta"; Luigi Iadanza di Giovanni "Luccia"; Giovanni Iadanza; Antonio Casaccia "Cioccia", soldato sbandato, brigante; Stefano Casaccia; Giovanni Nardone "Tofano"; Nicolantonio Zotti, brigante; Antonio Mancini "Cellone", capo reazionario, brigante; Raffaele Mancini "Cellone," idem, brigante; Antonio Morelli, soldato sbandato, capobrigante; Benedetto Ciro Caiazza, soldato sbandato, brigante; Nicola Focareta "Tabacchera", brigante; Antonio Paglia, reazionario; Lorenzo Urso, brigante; Angelo Paglia; Sebastiano Paglia, brigante; Saverio Lombardi, brigante; Domenico Parciasepe, brigante; il figlio di Tommaso Pistacchia, brigante; il figlio di Angelo Pistacchia, brigante; Gianbattista e Giovanni Pistacchia, sbandati, briganti; Nicola Pistacchia fu Geremia, reazionario; i figli di Giuseppe D'Andrea "Napoleone", briganti; Vitantonio Caiazza, soldato sbandato. (Archivio De Agostini, "Brigantaggio").

(4) Promotore delle azioni delittuose in Campolattaro e capo indiscusso fu Angelo Pica "Picozzo" (che fu anche uno dei principali responsabili dell'eccidio dei militari in Casalduni l'11 agosto). Lo confermano numerose testimonianze raccolte dagli inquirenti nei giorni immediatamente successivi al saccheggio. (Copie nell'archivio De Agostini, "Brigantaggio").

(5) Giosuè De Agostini era cavaliere inquisitore del Real Militare Ordine Costantiniano. I beni di questo, prima assegnati all'Ordine di S. Giorgio delle Due Sicilie, poi reputati vacanti, o di Casa Reale, furono amministrati dal Demanio; in seguito al concordato del 1818 tra la S. Sede e il Regno delle Due Sicilie passarono sotto la giurisdizione delle Commissioni Diocesane, alle quali fu ordinato di restituirle all'Ordine. Giosuè De Agostini ebbe, con rescritto del 6 giugno 1835, l'incarico di prendere in consegna i beni dell'Ordine esistenti nella Provincia del Molise, amministrarli ed eseguirne verifica per tutta la Provincia. Egli adempì il suo mandato e per più anni compì il giro dell'intera Provincia per la verifica ordinatagli dei suddetti benefici, per la più parte abbandonati. Da unico volume di documenti di 89 fogli che aveva ricevuto dall'Ordine non si rilevavano se non circa 20 benefici. Dopo lunga corrispondenza con le autorità civili ed ecclesiastiche, dopo la lettura di titoli svariati negli archivi di Napoli, delle province, dei comuni, delle chiese, e notarili innumerevoli, di diritto dell'Ordine, venne a capo di scoprire l'esistenza di benefici in 76 comuni. Radunati i documenti relativi, tra i quali molti originali come platee, inventari, titoli di fondazione e di erezione, ne formò 108 volumi che costituivano un ben ordinato archivio dell'Ordine per la Provincia di Mouse. Ma quel che è più notevole, fornì uno stato generale di tutti i beni dell'Ordine stesso nella suddetta Provincia. Dopo l'Unità i beni dell'Ordine furono incamerati dallo Stato italiano. Comprensibile quindi è la sollecitudine con la quale il direttore generale del Pubblico Demanio e il direttore dei dazii diretti, del demanio, tasse e diritti diversi della provincia di Benevento dopo il saccheggio del palazzo De Agostini esortarono le autorità responsabili "a por tutta l'opera senza il menomo indugio per il rinvenimento ditali volumi di titoli usando di tutti i mezzi che sono in suo potere" (Archivio De Agostini, "Brigantaggio"). Ma purtroppo di essi non erano rimasti se non pochi resti bruciacchiati. Sul Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio si trascrivono qui le notizie contenute nel Dizionario dei Santi (Dizionari TEA, Torino 1989) alla voce "Giorgio di Lidda": "Le gesta del santo guerriero fecero sì che parecchi Ordini religioso-cavallereschi gli fossero intitolati. Il più noto è il Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, di cui alcuni attribuiscono, senza basi storiche, la fondazione a Costantino stesso, altri a Isacco Angelo Comneno, imperatore di Costantinopoli, che nel 1190 avrebbe istituito questa milizia ad imitazione degli ordini dei Crociati, affidandole la difesa dell'impero. Conquistata Costantinopoli da Maometto 11(1453), i Comneni dovettero rifugiarsi in Italia, dov'ebbero il favore dei Papi; nel 1690 l'ultimo dei Comneni, Andrea Havio, cedette i suoi diritti a Gianftancesco Farnese, duca di Parma, e questi a sua volta all'infante Don Carlo, figlio di Filippo V di Spagna, il quale, divenuto re di Napoli, diede all'ordine una nuova costituzione ed il nome attuale, benché i duchi di Parma protestassero; più tardi le due case convennero di esercitare insieme i diritti di Gran Magistero dell'Ordine. L'Ordine è riconosciuto dalla S. Sede. L'insegna è una croce gigliata, smaltata di porpora, con nel centro il monogramma; negli angoli della croce le lettere I.H.S.V. (In Hoc Signo Vinces).

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