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Liceo Classico Statale "Mario Cutelli" Catania

Laboratorio di Storia

prof.ssa Bonasera

La svolta postunitaria a Catania

 

Catania tra il 1866 e il 1890

 

 

Introduzione su Catania nella prima metà dell'800

 

 

Nei primi anni dell’800 a Catania iniziò un processo di sviluppo che, già a partire dall’incremento demografico, facilitò la rinascita economico-culturale e l’imposizione, a livello industriale, della città sulle altre province dell’isola. I settori commerciale ed artigianale erano in continuo incremento e determinarono una circolazione maggiore dei capitali catanesi, in un primo tempo tra la campagna ed il centro urbano, ed in seguito anche a livello internazionale. La crescita economica diede il via alla mobilità sociale e alla formazione di nuovi ceti lavorativi, facilitando contemporaneamente l’ascesa di un centro urbano sempre più legato agli interessi borghesi. Tuttavia, la fonte di ricchezza privilegiata della città restava sempre l’agricoltura, che subì una profonda crisi negli anni 1816-1817 con il ritorno dei Borbone a Napoli , dimostrando che le strutture economiche erano ancora fin troppo ancorate ai sistemi arcaici e feudali; il clero ed i poteri baronali, infatti, non rinunciavano ad imporre i propri interessi, a scapito dei ceti meno abbienti. Tuttavia, negli anni successivi l’intendenza della valle di Catania attuò delle modifiche volte a ridimensionare l’economia della provincia, avviandola verso obiettivi di moderna efficienza: le attività di scambio furono agevolate dalla costruzione di una fitta rete viaria e migliori condizioni di coltivazione furono assicurate mediante la costruzione di un canale, alimentato dalle acque del Simeto.

A partire dagli anni trenta importanti personalità dell’imprenditoria catanese promossero la formazione di un moderno sistema economico favorito dalla costruzione di mulini e di fabbriche, che incentivarono la produzione frumentaria, agrumaria e vinicola. Un impulso allo svecchiamento feudale fu determinato dall’abolizione dei fidecommessi (XIX sec.) e dalla conseguente decadenza del potere del patriziato, danneggiato dal frazionamento delle grandi proprietà terriere. La città si distinse per la fioritura d’attività agricole, poste alla base di un iniziale capitalismo industriale. Tra i vari rami produttivi fu notevole l’impulso dato all’attività mineraria e alla lavorazione del tabacco e della liquirizia. Ma nonostante l’espansione del mercato, il ceto imprenditoriale non riuscì ad uniformarsi ai livelli produttivi nazionali. Negli anni ’60, quando l’unità d’Italia stava per compiersi, l’intera regione siciliana appariva isolata rispetto al resto del Paese e l’apertura del mercato interno delle regioni settentrionali che intrattenevano rapporti anche con i mercati esteri fu causa di un ulteriore ritardo dell’economia siciliana, frenata dalla mancanza di infrastrutture; il Nord Italia presentava condizioni sicuramente più favorevoli al decollo: un avanzato sistema industriale, maggiori disponibilità economiche, una più diffusa alfabetizzazione, un capillare controllo sul territorio e frequenti rapporti con l’Europa industrializzata.

Tuttavia, nella seconda metà dell’800 Catania divenne un polo d’attrazione delle iniziative produttive e commerciali della provincia, cui la costruzione della ferrovia circumetnea (che collegava i comuni di Riposto, Giarre, Mascali, Piedimonte Etneo, Linguaglossa, Castiglione di Sicilia, Randazzo, Maletto, Bronte, Adernò, Biancavilla, S.M. di Licodia, Paternò, Belpasso, Misterbianco a Catania) diede notevole impulso.

L’attività commerciale dell’hinterland catanese fu dunque legata alla nascita della ferrovia, che doveva rispondere alle esigenze degli stranieri che erano sempre più interessati allo zolfo siciliano.

 

 

 

 

 

Borghesia imprenditoriale e Stato unitario a Catania

 

 

Il tener conto rigorosamente del periodo storico nel quale la motorizzazione e l’elettrificazione determinarono gli sconvolgimenti industriali che passano per il termine "rivoluzione" implica, per quanto attiene la realtà industriale catanese, un'interpretazione, diciamo così, dilatata del termine industria: poiché bisogna mettere insieme industria, artigianato e commercio. Verrebbe altrimenti difficile trovare in quei tempi le trasformazioni industriali cui il tema della nostra ricerca allude.

Da un lato, infatti, gli elementi politici, sociali ed economici in senso lato, che dettero vita alle rivoluzioni industriali, ebbero, in Catania, nella provincia, in Sicilia e nell'Italia meridionale tutta, una tale dilatazione da rendere databile posteriormente (ai primi decenni del XX secolo) l'efficacia delle rivoluzioni industriali. Dall'altro, per quello che di minimale, rispetto alle identità paradigmatiche europee ed italiane, possa essere avvenuto nella nostra città, scarse sono le tracce d'archivio.

La rivoluzione industriale, quindi, incominciata durante il Settecento in Inghilterra, si sviluppa nel resto d'Europa nei decenni successivi per arrivare nella città di Catania durante la seconda metà dell'Ottocento.

In questi anni, si rileva nella città etnea una notevole crescita demografica (dal 1834 al '61 la popolazione aumenta addirittura del 31%) di gran lunga superiore rispetto allo sviluppo di altre città siciliane. Tutto ciò si deve di certo al benessere che si stava diffondendo a Catania, (migliorata la qualità della vita, era aumen-tata la natalità e diminuita la mortalità, soprattutto infantile) ma anche al consistente numero di persone che dalle campagne si trasferivano in città: le ricche famiglie per gestire meglio i loro affari, i semplici contadini alla ricerca di un posto di lavoro.

All'interno dell'organizzazione economica e sociale cittadina non vi è una distinzione tra ambiente popolare, abitato dai cittadini di classe medio-bassa, residenti nella zona S.Berillo-Civita, e ambiente civile, abitato cioè dalla nobiltà nella zona V.Etnea-P.zza Stesicoro. Questa sorta di pacifica convivenza si rivelerà utile per la successiva costruzione di industrie più moderne.

Le caratteristiche produttive della città, anche per il suo rapporto con il territorio, esprimono già in epoca borbonica connotazioni di tipo artigianale e soprattutto commerciale; l’artigianato, legato al settore della ceramica, del legno e a quello tessile, veniva espresso prevalentemente dalla tessitura della seta per la presenza e la coltura del baco da seta (settore questo in crisi nella prima metà dell’Ottocento);il commercio era legato invece al settore agricolo e minerario.

Dice il Di Blasi nella sua "Storia del Regno di Sicilia": "l'arte della seta, che oggi è quasi deperduta, fu quella, ch'ebbe la sua origine in Sicilia. Noi fummo, che additammo all'Italia ed all'Europa tutta la maniera di coltivare il gelso, di governare i boschi, di estrarne le sete, e di tessere i drappi. Gran vantaggio dal setificio trassero l’industria ed il commercio che sono mancati in quest’età, nella quale si è introdotto un altro gusto nel vestire, ed innumerabili artisti applicati a fabbricare dei drappi, oggi periscono di fame". (1)

Lo stesso dicasi della ceramica e del legno la cui lavorazione aveva un aspetto che potremo dire, per l'intervento di varie fasi, di artigianato complesso. D'altro canto mancò a quell'epoca lo stimolo all'investimento di capitale nell'industria. Gli alti tassi d'interesse, infatti, delle società bancarie e l'ignavia della classe dirigente escludevano interessi imprenditoriali.

Inoltre, si rivela difficile il tentativo di far circolare, negli anni '60-'70, una maggiore quantità di denaro e di rendere più agevoli i prestiti, poiché nella città ci sono troppi e troppo piccoli istituti di credito, che non permettono la supremazia di uno di essi sugli altri. Dopo la forte crisi del '75, causata dall'abuso di tecniche per ottenere denaro, in pieno periodo di rivoluzione le banche aumentarono soprattutto in funzione dei commerci, così come le casse di risparmio. A questo proposito, un certo rilievo deve essere dato al Banco di Sicilia, nato nel 1862, che aprì anche molte filiali nei capoluoghi di provincia italiani.

Dobbiamo ricordare che il regime feudale, il cui atto formale di morte è contenuto nella famosa rinuncia ai diritti feudali da parte dei baroni siciliani nel 1812, sopravvisse di fatto anche ai moti popolari del 1820 e del 1848, tanto che al tempo dello sbarco di Garibaldi nel 1860 e quindi dell'inserimento della Sicilia nel Regno d'Italia, esso aveva ancora ben salde radici nella situazione e nelle strutture economico-sociali dell'isola.

I prodotti agricoli, così, e quelli minerari riuscivano a stimolare piuttosto interessi commerciali che di trasformazione industriale. Solo dopo il 1880 l'industria alimentare e molitoria esprime quattro aziende per la macinazione dei cereali che utilizzano motori a vapore, con circa duecento addetti e una produzione di un centinaio di migliaia di quintali nel loro complesso, mentre fa capolino a Catania la raffinazione dello zolfo. Fino a quella data, il vapore s'era visto solo nei battelli che trasportavano lo zolfo greggio, stoccato a Catania, nei centri di raffinazione esteri. Sono Inglesi, Svizzere e Francesi le compagnie ed i singoli imprenditori che s’impegnano nelle proprietà di battelli per il trasporto per mare, nelle industrie alimentari e di estrazione. Le fabbriche di birra e di gazzosa di J.T.Rovaire, la fabbrica di mobili Kackerlin & Co., la Società dei francesi Merle e Guibert che possedeva a Catania una fabbrica per l'estrazione dell'alcool dalle carrube e dai fichi d’india.

L'importante amministrazione Casalotto cerca e ottiene nel 1868 il riconoscimento del porto di Catania come "porto di terza classe", impresa complicata ma felicemente conclusa. Era proprio il porto uno dei punti forti della città, tanto da renderla ambita per molti stranieri (inglesi soprattutto), che avevano intenzione di restaurare nel Meridione una fitta rete commerciale e di scambio con altri paesi del Mediterraneo.

Il tessuto sociale catanese si mostra intricato, caratterizzato da un forte personalismo e dall’assenza di confronto con le altre forze politiche.

Negli anni della Destra i governi, non comprendendo l’ansia di giustizia sociale delle "glebe" meridionali, soffocheranno violentemente il brigantaggio, che altro non era che un’ennesima espressione della endemica miseria del mondo contadino.

Tuttavia, negli stessi anni a Catania, la classe operaia, accresciuta la sua importanza, si organizza in circoli per entrare a far parte della politica, prendendo subito posizioni tendenzialmente di sinistra.

L'industria della raffinazione dello zolfo si afferma come settore prevalente, e ancora una volta Casalotto rende la città più vivibile con la costruzione di monumenti, di luoghi di ritrovo, di strade, che sono a esclusivo beneficio dei più abbienti.

Si estende l'istruzione a più ragazzi possibile, con un certo successo, anche se le aule sono ancora in condizioni poco igieniche e solo nell'80 si stenderà un piano regolatore riguardante i luoghi scolastici. Non bisogna comunque pensare ad un processo facile, perché la maggior parte dei bambini dei quartieri popolari veniva mandata a lavorare e i figli dei nobili avevano maestri privati; infatti, per quanto riguarda la scuola superiore, il numero di iscritti al liceo classico è inferiore a quello degli iscritti all'istituto tecnico.

Sul piano linguistico, oltre al bilinguismo costituito dall'italiano e dall'inglese, si usa il dialetto attuale.

Questa è la situazione di Catania prima dello scoppio del colera (1887), che ne dimezzerà il numero degli abitanti tanto che la città, come scrive Cristoadoro, sembra un gran paese senza popolazione. Ovviamente i quartieri più colpiti sono quelli più popolati e la crisi bancaria, inizialmente tenuta nascosta per coprire gli imbrogli di un certo Nello Grecuzzo, faccendiere, non fa che aumentare, mettendo ulteriormente in ginocchio gli immigrati e i lavoratori, che già subiscono da parte dei loro datori di lavoro minacce di licenziamento.

A denunciare questa situazione è De Felice che, a capo delle squadre democratiche, cerca di aiutare finanziariamente le famiglie più disagiate. Quest'ultimo, due anni dopo, nel 1889, entrerà nel consiglio provinciale con la lista radicale ed attaccherà apertamente sette anni di malgoverno, mettendosi contro lo stesso sindaco e pagando questa sua voglia di giustizia prima con il licenziamento e poi con l'arresto.

La politica di De Felice, volta allo sviluppo e al potenziamento di ogni attività, non è stata però dimenticata. Infatti la sua figura è ricordata anche per aver ricostruito lo sciolto partito socialista, ora organizzato sugli stessi ideali che avevano caratterizzato le squadre democratiche, riunendo alcuni soci nei " fasci dei lavoratori", con lo scopo di rendere comuni i generi di prima necessità. Tra le altre cose denunciate da De Felice c'è anche la mafia. Essa non attecchisce tra le classi più disagiate, ma tra quelle nobili; la polizia da parte sua non s'impegna a combatterla, anzi la appoggia. Persino il governo ne trae vantaggio durante la campagna elettorale e, non essendoci associazioni alle quali i lavoratori possono aderire, li lascia in balia di queste organizzazioni criminose che danneggiano il buon nome della città.

Tutti questi elementi rientrano nel lungo processo evolutivo che coinvolge Catania per più di 50 anni e ne modifica profondamente le caratteristiche.

Tuttavia proprio quegli anni '90 segnano per la città la vera rivoluzione industriale. Alla base di tutta l'economia catanese vi è infatti l'industria, nella quale la maggior parte dei capitali devono essere impiegati, mentre per il settore agricolo non c 'è stato un adeguato sfruttamento produttivo di determinate zone, premessa necessaria per lo sviluppo dell'industria alimentare.

NOTE:

(1): Di Blasi, "Storie del Regno di Sicilia".

 

 

 

 

 

Il settore tessile

 

 

Sulla base di approfondite documentazioni relative alla condizione dell'industria tessile nella provincia di Catania durante la seconda metà dell’800 è possibile rilevare una diminuzione della produzione laniera. Le cause sono da attribuire ad arcaici processi di tosatura, ad una crescente mortalità delle greggi, con la conseguente mancanza di pascoli, in particolare di razza ovina. Tuttavia il conseguente rincaro dei prezzi dovuto ad un calo di produzione non accadde grazie all'eccedenza della domanda rispetto all'offerta. La pastorizia praticata nella provincia di Catania subì un declino e provocò un disboscamento ed una permanenza dei campi chiusi, detti "chiusa" in Sicilia, esclusivamente destinati al pascolo. Tuttavia furono impiegati innovativi e potenti mezzi per il ripristino degli armenti, e tra questi l'istituzione di prati ottenuti arginando i fiumi che serpeggiavano in tutta la provincia ed incanalando le acque. Con tale sistema il gregge poteva disporre di foraggi secchi e verdi ed a basso prezzo in tutte le stagioni. Contrariamente, con l'affitto di boschi e di campi chiusi, si attuava un eccessivo dispendio economico.

Un altro mezzo impiegato fu l'istituzione di una marina mercantile nelle coste di Catania e provincia al fine di poter distribuire a bassi costi le produzioni interne al commercio estero, sostituendo il sistema di commercio basato sul noleggio di velieri e piroscafi stranieri. Inoltre, a causa dell'impossibilità della stabulazione del gregge, non fu possibile allevare la razza africana della pecora merino.

Rispetto alla razza ovina della provincia catanese la pecora merino era caratterizzata dalla robustezza del corpo, da una maggiore lunghezza della lana e da abbondanza di latte. Nella provincia, le pecore della varietà di lana bianca e nera furono allevate per il latte e per la lana e furono esposte a condizioni atmosferiche non sempre "ideali", a causa delle quali la lana cominciò a diventare ruvida, corta e tessosa. Al contrario le pecore allevate nelle stalle avrebbero fornito abbondante latte e una lana migliore. Nonostante la diminuzione delle mandrie, la lana nei territori della provincia fu sicuramente sufficiente al consumo interno, ed una parte poté addirittura essere destinata al commercio estero. Nell’industria tessile venne usata la lana nera per la produzione di vestiti, mentre quella bianca per le calze e le coperte da letto. Le pecore della provincia di Catania, sebbene non tenute in stalla, ma nutrite con foraggi adeguati, furono comunque in grado di concorrere con il mercato svizzero ed inglese.

 

 

 

 

 

Il declino dell'industria tessile

 

 

Alla metà dell'800 è riconducibile la crisi dell'attività manifatturiera congiunta alla produzione del lino, del cotone e della canapa, nate appena agli inizi del secolo. La causa portante di tale declino era, sicuramente, da attribuire all'avanzata delle industrie franco-inglesi, che erano in condizione di porre sul mercato il prodotto finito a prezzi quasi equivalenti a quelli che il lavoratore siciliano pagava per la sola materia prima. Poco prima dell'unità d'Italia, la produzione del lino a Catania risulta ancora soddisfacente con 1580 salme di terra coltivate a 23000 quintali di manna ottenuta. Tale produzione è concentrata essenzialmente a Catania, Ramacca, Belpasso, Palagonia, Paternò e Giarre (in città tende ad aumentare passando dalle 182 salme coltivate nel 1856 alle 464 dell'anno successivo).

Il cotone era prodotto soprattutto lungo il corso del fiume Simeto: nella zona di Biancavilla, Adernò (l'odierna Adrano) e Paternò, in quelle terre che di solito erano di proprietà dei grandi conventi catanesi; in questi stessi territori era coltivata anche la canapa, ma in quantità limitata.

La produzione serica, invece, subiva un forte ridimensionamento, la cui causa principale era l'atrofia, che a cominciare dalla seconda metà dell'800 aveva colpito gli allevamenti dei bachi da seta del catanese e del messinese, convincendo i proprietari alla possibilità di "sbarazzarsi delle ligattiere e dar luogo agli agrumi"; non era lo stesso al nord, laddove gli allevamenti erano procurati dal Giappone.

In effetti, gli agrumeti davano risultati migliori rispetto ai terreni europei a coltura intensiva. Di conseguenza si preferivano alle attività delle filande e delle poche fabbriche di tessuti.

Anche le produzioni di lino e cotone d'altronde risultavano incapaci di suscettibilità industriali: la maggior parte di prodotto veniva esportato grezzo ad uso e consumo dell'industria straniera; ciò accadeva in modo particolare per il cotone siciliano che, insieme a quello napoletano e pugliese, aveva sostituito gradualmente i cotoni più tradizionali dei paesi del levante, diventando assai ricercato per il suo taglio lucido e resistente. Tale commercio aveva trovato un potente slancio al tempo della guerra di secessione combattuta nella Pomerania del Nord, quando i prezzi del cotone erano saliti vertiginosamente; ma la cessazione delle cause che erano servite per l'aumento di prezzo bastò per fare scemare la coltura. Scrive in proposito il De Luca Carnazza, in alcune pagine della sua inchiesta sulle condizioni economiche della provincia di Catania nel 1881, che l’industria del cotone in Sicilia era talmente sviluppata e fiorente che ben 700 telai lavoravano incessantemente e 10000 vi erano impiegati e l'eccellenza delle manifatture siciliane di cotone era siffatta per forma che il governo prima del 1846 dovette emanare regolamenti per non confondere questi tessuti con quelli dell'estero. Fin dal 1804 venne introdotto il filatoio alla maltese e si fabbricarono coltri pregevolissime. Oggi la nostra materia prima, a causa della mancanza di nuove macchine, va in Inghilterra, là si fila e si tesse, poi si riporta qui.

Non vi sono fabbriche: pochi industriali si limitano ad un lavoro domestico; segnatamente ad Acireale e nella maggior parte dei comuni si esercita nelle famiglie rurali ed in specie l'industria tessile sul telaio a mano, industria stazionaria, e si fanno oggetti che servono in parte all'uso delle famiglie coloniche, e si vendono in questa città sul mercato del Lunedì.

La produzione di lino, cotone e canapa, dunque, pur dando da vivere a parecchi stabilimenti a conduzione familiare, non riuscì ad evolversi in senso industriale: per gli alti costi degli impianti di lavorazione; per i consensi assai tiepidi all'attuazione delle nuove imprese, dovuti al pregiudizio che tale produzione potesse accelerare il declino dell'arte serica; per le manovre dei mercati stranieri, i quali avevano interesse ad importare e distribuire essi i prodotti ed i manufatti, dai più comuni ai più pregiati, necessari all'uso della vita quotidiana dei ceti medi ed aristocratici.

Si rimaneva, così, legati ai mercati esteri, inviando greggio per importare filo da tessere.

 

 

 

 

 

Agricoltura e Industria

 

 

Tra il 1816 e il 1817 scoppiò in Sicilia una grossa carestia che mise in evidenza, oltre alla profonda fragilità della agricoltura isolana, la necessità di incrementare metodi e ritmi di produzione e di infrangere la tradizione della conduzione monopolistica, da parte di ordini religiosi e di baroni, di mulini, frantoi e masserie.

L'Intendenza della Valle catanese approvò una sfilza di attività congiunte volte a modificare l'economia cittadina, istradandola nella direzione di medesimi obiettivi, tra questi: il miglioramento delle comunicazioni fra centro e campagna; l'irrigazione della Piana, attraverso l'introduzione di un canale che riportasse alla pianura l'antica produttività ; la fondazione di una Società Economica (1832-1958) riguardante i problemi del territorio catanese, la registrazione dello Stato nominativo dei mulini del distretto cittadino, il quale ci offre un documento completo riguardante le fabbriche che si occupano della produzione del grano. Nel 1800 i mulini venivano posizionati nei dintorni di fiumi e correnti poiché era già subentrato l'impiego delle "macchine idrauliche", nonostante rimanessero ancora notevoli i "centimoli" e non mancavano neanche i mulini a vento.

Un gran numero di forni, molti dei quali di antica costruzione, era inoltre legato ai mulini catanesi. I panettieri, infatti, si riunivano in corporazioni già dal XVIII secolo, dopo aver retto una dura lotta contro i forni abusivi organizzati dagli ordini religiosi.

Poco diffusi erano invece i pastifici, in cui il prodotto veniva dapprima (fino al 1769) lavorato a mano dai maccaronari, e poi lavorato con un nuovo arnese di ferro. Alla fine del secolo spiccano tra i più noti pastifici: la Società Accomandata Pastai e Panettieri Santa Lucia, presso l'omonimo stabilimento; il pastificio dei Grassi-Finocchiaro ad Ognina, e più tardi il pastificio Madonna Monserrato di Santo Campione.

 

 

 

 

 

L'Industria Mineraria

 

 

Parlando di industria mineraria ci si riferisce prevalentemente a quella solfifera in forte espansione già dopo il 1835, anno in cui S.M. Ferdinando II permise l'introduzione di macchinari atti alla raffinazione e alla molitura di questo materiale. La lavorazione del prodotto si sviluppava in tre stadi:

  1. Ricerca del filone solfifero
  2. Estrazione
  3. Fusione

Tuttavia, le numerose miniere aperte in Sicilia non furono particolarmente utili all'evoluzione economica regionale, ma servirono all'arricchimento di pochi privati, per lo più borghesi latifondisti o ecclesiastici che concedevano in gabella ai coltivatori le miniere. Di rilevante importanza fu l'intervento di imprese e capitali stranieri, più fiduciosi nel mercato minerario isolano.

Tra questi il francese Le Blanc, il quale, grazie alla scoperta di nuove tecniche e materiali (come ad es. l'uso delle mine al posto del piccone, che si era rivelato meno adatto alla durezza del minerale), aveva permesso l'introduzione dello zolfo in diversi settori commerciali.

Un altro esempio di investimenti stranieri nell'isola è fornito dall'inglese Roberto Trewhella, il quale, negli anni a cavallo tra il XIX e il XX secolo, era detentore di gran parte delle miniere esistenti nella Sicilia orientale.

La produzione solfiera aveva raggiunto in Nord Europa livelli considerevoli già all'inizio del XIX secolo. Le fiorenti industrie del tempo, infatti, per mantenere alti i loro ritmi di produzione, necessitavano di un'elevata quantità d’acido solforico, cui si giungeva mediante un particolare processo denominato "Debb". Gli utilizzi, che di questa sostanza venivano fatti, erano molteplici:

.Estrazione della soda dal sale comune

.Fabbricazione dell'acido cloridrico

.Raffinazione di metalli ferrosi

.Produzione della cellulosa attraverso altre sostanze

L'improvviso abbassamento dei prezzi provocò una straordinaria eccedenza di prodotto, che non trovava più abbastanza spazio sul mercato.

Questa situazione determinò ricorrenti crisi nell'industria, crisi che raggiunse i livelli più elevati negli anni a cavallo tra il 1876 e il 1896.

A Catania la crisi fu accentuata dalla concorrenza dei capitali stranieri e dalla carenza di strutture volte a convertire il prodotto in energia (le industrie).

La più importante industria del catanese fu quella di Fontanarossa, fondata dalla Società Generale degli Zolfi di Parigi, che funzionava come centro di smistamento di prodotti che, in seguito, circolavano in tutta Europa.

Il più delle volte, tuttavia, gli interessi prettamente economici, uniti alla condizione di profonda arretratezza in cui imperversava la Sicilia, indussero all'indifferenza nei confronti di alcune norme di sicurezza indispensabili nell'esercizio di tale lavoro.

Questa disattenzione fu causa di numerosi e gravi danni a carico dei minatori, spesso poco più che adolescenti, che non erano in alcun modo risarciti né dalle Amministrazioni minerarie, né dalle società assicurative, né tantomeno dai Sindacati.

 

 

 

 

 

L'Industria Vinicola

 

 

Lo sviluppo dell'industria vinicola, relativa al territorio di Catania è molto legato nel XIX secolo alla costruzione di grandi cantine padronali che operavano il commercio all'ingrosso e al dettaglio e più tardi alla costruzione di società volte alla "compra, manifattura e vendita del vino locale", all'impianto di nuovi stabilimenti, garantendo in tal modo un miglioramento delle qualità di produzione. Nacquero nel 1871 la società enologica di Catania sotto la presidenza del Marchese di Casalotto e la società enologica di Acireale dedita all'emulazione dei rosoli delle primarie fabbriche d'Europa a cominciare dal Chartreuse per arrivare al Benedettino. I vini catanesi furono degustati ed apprezzati anche all'estero. Pertanto si ottenne così l'assegnazione alla città di una scuola di coltura ed enologia (come ad Asti) e di un annesso deposito governativo che conteneva macchinari e strumenti utilissimi all'agricoltura. In particolar modo furono introdotti moderni apparecchi per la distillazione delle uve che diedero nuovi impulsi all'industria della fabbricazione dell'alcool.

Qust’ultima era sorta nei primi anni del XIX secolo grazie a mercanti e imprenditori inglesi che controllavano il mercato locale dell'esportazione e si era diffusa soprattutto a Mascali, Giarre e Riposto con più di 50 fabbriche esportatrici di grandi quantità di alcool a Genova, Livorno e Malta.

In seguito alla legge del 25 settembre 1870, la produzione di alcool subì una profonda crisi per una forte tassazione, ma continuò a mantenere dignità "industriale" grazie alla produzione di cognac e vermut dei fratelli Steeber e ai liquori dello stabilimento dolciario Fratelli Amato.

In conformità a quanto appreso attraverso l'analisi dei documenti della prefettura, il 20 maggio 1888 a Palermo si svolse un congresso anti-fillossera al quale presero parte i rappresentanti dei Consigli Provinciali, i Municipi, le Società e i Comizi Agrari per combattere la "fillossera devastatrice", terribile malattia in via di espansione nei vigneti dell'isola. Le risoluzioni intraprese ed i mezzi di difesa appurati del Programma furono la coltura delle viti sulla sabbia, facilmente attuabile in Sicilia, la concimazione ed i processi speciali di coltivazione e di potatura, l'adattamento dei vigneti americani nei vari terreni della Sicilia e delle loro tecniche, produttori diretti ed ibridi, la sorveglianza dei vigneti. Pur determinandosi una larga circolazione di vini, che tra l'altro favorì un rilassamento dei prezzi, il raccolto dell'anno fu inferiore alla media e ciò causò un periodo di inflazione.

La crisi vinicola, avvertita in campo nazionale, fu resa nota con la relazione della Commissione sulla "crisi vinicola", approvata dalla camera nella seduta del 10 luglio 1888, relativa alla scarsa produzione vinicola dovuta alle malattie particolari che si diffusero in quel periodo. Risultava quindi necessaria l'emanazione di provvedimenti atti a un eventuale blocco causato dalla scarsa qualità del prodotto. Dopo un anno furono segnalati dei deboli miglioramenti nelle zone di Catania (Caltagirone) anche se colpite da fenomeni di siccità prolungata. Dunque il flusso delle esportazioni ricevette una dura battuta d'arresto ed in conformità al Decreto Ministeriale del 18 luglio 1890 molte imprese catanesi, accertate infette da filossera o sospette di esserlo furono bandite dall'esportazione di vegetali. Nel medesimo periodo il Consiglio Agrario propose ed incentivò l'organizzazione di concorsi per l'esportazione di macchine vinicole e di fiere di vini. Nella provincia di Catania furono pertanto indetti vari concorsi a premi per la produzione di vini, al fine di sollecitare le associazioni a confezionare vini a tipi costanti. Man mano questi concorsi, da locali, si estesero all'ambito regionale, nazionale e perfino internazionale allo scopo di incrementare la produzione del vino. Furono anche promossi concorsi per la coltivazione di viti americane. Grazie alla mostra Nazionale delle Arti e delle industrie tenuta a Firenze nel 1899 si realizzò la commistione tra il lavoro ed i progressi compiuti nel XIX secolo. Successivamente furono istituiti concorsi per la produzione de mosto e di uva passa.

 

 

 

 

 

La liquirizia e il tabacco

 

 

In Sicilia erano in forte espansione le fabbriche che si occupavano della produzione di liquirizia, di cui Catania, nel periodo 1889-95, era la maggiore fornitrice. La liquirizia era esportata in piccoli bastoncini verso grandi città come Trieste, Livorno, Genova, Marsiglia, ed in importanti nazioni come Inghilterra, Olanda, Germania, e persino in Giappone ed in Australia. Questa era utilizzata per produrre il colore di diverse penne per le sue rimanenti proprietà medicinali. Ma poche erano le fabbriche bene attrezzate, come quelle della ditta di Bernardo Fichera o di Giuseppe Pastore, che producevano succo e radice manifatturata, o di Gaetano Musumeci che concorreva con il mercato russo e spagnolo, lavorando una radice particolare, premiata anche con una medaglia d'oro.

Nonostante la fortuna incontrata da questo prodotto, anche sul mercato internazionale, i processi produttivi continuarono su livelli artigianali. A prova di ciò il fatto che ancora negli anni '90 queste industrie non disponevano di motori meccanici, continuavano ad utilizzare forza manuale.

Molto importante, infine, era anche l'industria del tabacco, che usava le qualità brasiliane e spagnole, coltivate ad Acireale, Paternò, Licodia, Vizzini, Mineo e Grammichele. In città le aziende produttrici di tabacco erano circa una ventina e furono eliminate nel 1878 a causa del monopolio statale. Gli operai assorbiti furono impiegati nella Grande Manifattura di Stato, alloggiata nell'ex caserma borbonica costruita sulla via Ferdinanda.

 

 

 

 

 

La Ferrovia

 

 

Una tappa fondamentale nella storia del sistema dei trasporti nella Sicilia orientale è rappresentata dalla costruzione della ferrovia nel tratto Messina–Siracusa, passante per Catania.

Dai documenti della prefettura di Catania si evince che, a partire dal 1861, furono avviati studi e progetti per la costruzione della linea ferroviaria, per la quale fu necessario richiedere l’espropriazione di un ingente numero di terre private.

Le condizioni generali di espropriazione sono specificate da due articoli:

Art.1.Resta in carico dell’espropriato il tacitare i coloni affittuari, i livellari e qualunque altro interessato per tutto quanto potesse competere ai medesimi in forza dell’espropriazione contemplata nella presunta perizia.

Art.2.Resta parimenti inteso che qualora venisse in detto fondo occupato, per bisogni della ferrovia, una maggiore quantità di terreno, come sopra espresso, verrà il medesimo verificato a lavoro ultimato, valutato in base ai prezzi unitari ed alle condizioni della presente perizia.

Il 6 Agosto 1864, il Ministro dei Lavori Pubblici approvò con alcune modifiche il progetto di massima, presentato il 12 Giugno 1864 dalla società Vittorio Emanuele per la costruzione del tronco della strada ferrata da Messina a Siracusa, compreso tra Giardini Naxos e Catania, della lunghezza di circa 50 Km.

Il rappresentante della società V.Emanuele era l’ingegnere Enrico Petit e proponeva di deviare il percorso ferroviario conducendolo lungo la marina; percorso che i cittadini desideravano invece in una zona centrale della città con stazione a Nesima.

Il 21 Settembre del 1864, il sindaco Alonso riferì in consiglio che in Luglio la giunta municipale ritenne necessario far rimanere a Torino un delegato, convocato dal municipio per far valere presso il ministro le ragioni della città contro il progetto Petit.

Il progetto definitivo fu approvato dal Ministero dei Lavori Pubblici nel Giugno del ’65.

I lavori furono portati a termine in poco meno di un anno, e la linea fu inaugurata il 23 Giugno 1866.

I festeggiamenti durarono diversi giorni, fino all’arrivo di un treno proveniente da Messina. Per ricordare l’evento furono coniate anche nuove monete.

Atti del 1867 illustrano che la società francese Vitali-Picardi Charles e Co. attuò perizie su terreni da espropriare per la costruzione delle strade ferrate calabro-sicule riguardo la linea da Messina a Siracusa, nel tratto da Giardini Naxos a Catania.

Nel 1867 furono emessi dei documenti degli atti riportanti i nominativi dei proprietari di quei terreni compresi tra la stazione ferroviaria di Catania e il confine della provincia verso Siracusa.

Nelle suddette compilazioni era comunicato alle prefetture il bilancio dei pagamenti, da cui è evidente che molti dei proprietari contattati per espropriazioni furono danneggiati dall’inadempimento del pagamento, in seguito al fallimento della società Beltroni – Gallone.

In seguito alla costruzione della ferrovia circumetnea si sentì l’esigenza di prolungare la suddetta linea con un’altra esclusivamente Circumetnea, una ferrovia a scartamento ridotto che doveva collegare la città di Catania con alcuni centri etnei.

La società siciliana LL.PP. lamenta al ministero la mancanza di serietà con cui dovrebbe prendere in considerazione i progetti.

Serietà che non era mancata nell’approvazione delle linee ferroviarie o di Siracusa, Palermo e Messina. (*)

Il documento di protesta si conclude con tre punti fondamentali:

1. Il consorzio è nato con l’obbligo della costruzione e dell’esercizio della Circumetnea, e col diritto alla sovvenzione del governo, a monte delle leggi sulle materie alle quali il consorzio non ha rinunciato.

2. Quest’obbligo e questo diritto non sono stati messi in dubbio dallo stesso governo e vanno attuandosi con gli studi, tracciati ed estimativi, fatti eseguire dal Cav.Trewhella, seguendo le norme date dal Ministero e dal consiglio dei Lavori Pubblici.Quindi il compromesso Trewhella conosciuto dal governo e sta in diritto e in fatto.

3. L’autorizzazione data dal Ministero alla Sicilia per lo studio della Circumetnea è un errore, che non può infirmare i diritti del consorzio e del cav. Trewhella oggi rappresentato dalla società LL.PP. Catania.

Riteniamo che il governo, sollecitato dai giusti reclami delle rappresentanze delle popolazioni interessate nella Circumetnea, non tarderà ad approvare un progetto che è nei voti di tutti.

La costruzione della ferrovia era finalizzata a facilitare le relazioni economiche e commerciali con l’hinterland catanese per migliorare l’immagine di Catania quale polo di smistamento dei prodotti locali e per valorizzare queste spinte economiche a livello nazionale.

Nel ’79 in seguito alla richiesta di sovvenzioni il Consiglio Provinciale elargì un sussidio economico a beneficio di tale linea.

Nel 1883 tra la provincia di Catania e la Camera di Commercio ed Arti di Catania e vari comuni della Provincia, tra cui la stesa Catania, si è costituito un consorzio per la costruzione e l’esercizio della ferrovia denominata Circumetnea, da Catania a Giarre e Riposto, con il seguente piano di riparto delle quote di concorso.

Così da Roma il 22 Giugno 1883 è stato inviato a Catania un documento in cui si affermava che: <<dopo il voto favorevole del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici sul progetto di Consorzio per la Ferrovia Circum Etnea, è stato necessario il parere del Consiglio dello Stato, che ricevuti tutti gli atti, provvederà per l’approvazione del Consorzio se nulla vi sia in contrario da parte del Consiglio di Stato>>. (*)

Il 4 Agosto 1883, a risposta del documento n°3201 del 30 Luglio, fu notificato che il Consiglio di Stato emise parere sospensivo sul progetto di costituzione del Consorzio della ferrovia Circumetnea e ciò sino a che non siano forniti dati statistici.

Bisognerà quindi attendere che il Consiglio di Stato si pronunci in merito agli atti prodotti dall’amministrazione sulla costituzione del Consorzio.

Nell’Aprile dell’84, fu approvato dall’Assemblea generale lo statuto del consorzio per la costruzione della ferrovia circumetnea e dall’87 all’89 furono elaborati vari progetti di massima della linea.

Di contro però in data 23 Giugno 1885 il Ministro dichiara che non intende accettare progetti ferroviari da parte di privati, se non per mezzo della Deputazione Provinciale.

Il 31 Agosto 1887, il direttore della Società Siciliana dei Lavori pubblici scrive al signor presidente del consiglio per la ferrovia Circumetnea ed invia il progetto riveduto, completato e bollato come era stato richiesto dal regio ispettorato generale per le ferrovie del 25 Luglio 1887.

La revisione del progetto (rispetto a quello originario presentato il 15 dicembre 1885) contiene anche osservazioni riguardo sei punti relativi alle gallerie di San Venera dei Saraceni e di Licodia (vedi tabella).

Successivamente il direttore della società siciliana LL.PP. Scammacca volle accertare le ragioni che avrebbero dovuto assicurare il Real Governo, e garantisce quest’ultimo esponendo la piena legalità del Consorzio, nato in virtù di un decreto legge del 1883 che giustificò i suoi mezzi finanziari con le quote di consorzio degli enti consorziali.

Il Consorzio aveva stipulato un vantaggioso compromesso con il Cav. Trewhella (dall’atto dell’11 settembre 1885) che quindi s’impegnò a costituire la società siciliana dei LL.PP. che fu riconosciuta legalmente, come sopra menzionato. La società siciliana si è costituita con la soscrizione di un milione di lire ma non ha trascurato la primaria importanza di accrescere il capitale sociale come stabilito dall’articolo 5 del suo statuto. In conclusione dello scritto, Scammacca riconosce la validità della società siciliana L.L.P.P <<composta di individui che, più che in lucro particolare, hanno di mira il bene della città e della provincia di Catania e non possono trarre da questa società molto utile per la loro vita industriale e commerciale>>.

Nel 1888 è stato studiato e redatto un possibile progetto di massima della linea, che è stato poi portato a Roma tramite una missione del cav. Leonardi del 1889.

L’11 Maggio del 1889 l’ass. del consorzio per la costruzione della ferrovia deliberò la nomina di una nuova procura composta da quattro delegati: Giovanni Fiammingo, Lucio Quattrocchi, Giovanni Leonardi, Michele Grassi Papini.

In data 23 Maggio 1889 l’estratto della registrazione dell’atto fu ricevuto dal ministero dei Lavori Pubblici ed in esso era scritto: <<concessione dell’impresa per la costruzione e l’esercizio della ferrovia a scartamento ridotto denominato Circumetnea da Catania a Giarre e Riposto per Misterbianco, Biancavilla, Paternò, Bronte, Randazzo, Piedimonte con diramazione dalla stazione di Riposto alla Marina>>.

Il ministro dei Lavori Pubblici Gaspare Finali e il ministro del Tesoro Giovanni Giolitti indirizzarono a R.Trewhella, rappresentante della società siciliana dei Lavori Pubblici, un atto di concessione mediante un corrispettivo di £ 19.300.000.

Nel 1890 fu attuata una cessione di crediti di £ 6.000.000 tra la SS.LL.PP e la Società Belga.

Il 10 Settembre dello stesso anno Giovanni Trewhella, delegato del consorzio si recò in Belgio presso i banchieri di Amsterdam Westendorp per chiedere sovvenzioni per i lavori, già iniziati nel 5 Aprile.

Venuto in Sicilia al seguito di Garibaldi, R.Trewhella era al centro di una complessa attività industriale che spaziava dagli appalti di costruzione di tronchi ferroviari alla gestione di miniere di zolfo; dall’attività armatoriale alla intermediazione finanziaria ed alla gestione di grandi alberghi.

Il 5 Novembre 1891 fu inaugurato il primo tratto della stazione di Cibali e Misterbianco.

L’apertura di questo tratto fu ostacolata dalle discordie note circa il tratto dal Gaito al Cibali.

Nel 1894 fu stipulato un contratto tra la società siciliana LL.PP. e la cassa Belga di Bruxelles, denominata "Classe de subventions governmentales".

questo contratto riguardava i crediti da destinare alla costruzione, i materiali, i prezzi e discuteva anche intorno all’espropriazione (causa di utilità pubblica di terreni da occuparsi per la linea).

La SS.LL.PP. concesse i diritti alla società Belga nel concorso e furono pagate £ 9.665.464.13 dal governo italiano per sovvenzionare la ferrovia (6.000.000 di franchi belga).

L’atto di cessione dei crediti fu inviato ai comuni di Adernò (Adrano), Randazzo, Misterbianco, Biancavilla, i cui territori erano interessati nel percorso della linea ferroviaria.

Il 14 Febbraio 1895 fu eseguita la costruzione del tronco Adernò – Catania per il completamento del tratto di linea che dalla stazione di Catania giungeva al Gaito, come annunciato ufficialmente da Trewhella al presidente della Circumetnea, Castorina.

Numerose le proteste tra le quali quelle del presidente della società siciliana dei Lavori Pubblici, il quale con una lettera con data 13 Maggio 1895 indirizzata al presidente del consorzio Castorina, lamenta le difficoltà che sono create al commercio per la mancanza di un ufficio daziano alla stazione di Catania.

Egli inoltre evidenzia i danni che conseguentemente la società ne potrebbe derivare.

Pertanto egli prega l’amministratore del dazio di adottare un provvedimento che valga ad eliminare le difficoltà che si lamentano, favorendo in tal modo lo sviluppo di un mercato locale, ristretto, sottoposto a più rigidi controlli.

Il 3 Agosto 1895 avvenne inoltre il congiungimento del braccio di Merenda.

Il 25 Settembre 1895 s’inaugura l’intero percorso di 100 Km con la partenza simultanea del tratto Catania–Borgo e di quello di Riposto, destinati ad incontrarsi a Randazzo.

Nel 27 Settembre 1895 il sindaco del comune di Catania inaugura ufficialmente il tratto della ferrovia Circumetnea nel tratto Catania– Giarre.

Numerosi giungono i ringraziamenti per l’invito all’inaugurazione da parte di molti personaggi di rilievo, ma tra questi spicca una lettera di protesta del sindaco di Randazzo, diretta al presidente del consorzio Castorina, nella quale lamentava di essere stato trattato in maniera poco adeguata rispetto all’importanza degli impegni assunti in codest’occasione.

Il 10 Ottobre 1895 l’ispettorato generale ferroviario autorizzò l’apertura al pubblico per l’esercizio della ferrovia e pochi mesi dopo il consorzio nominò un ispettore della linea per accettarsi della legalità del servizio, dei reclami del pubblico e dei regolamenti.

Con l’apertura del tronco Giarre–Riposto, avvenuta il 25 Novembre del 1896, si diede la possibilità di viaggiare a uomini, bagagli e merci per colli non eccedenti i 100 Kg.

Questo tronco fu inserito nel circolo ferroviario di Palermo come stabilito dal decreto amministrativo del 18 Maggio 1897.

In merito agli impianti della Ferrovia Circumetnea nelle stazioni comuni di Catania e Giarre, al prolungamento della Ferrovia Circumetnea, al porto di Catania ed al servizio di scambio delle merci, erano state infatti tenute a Roma varie conferenze nei giorni dal 22 al 26 Gennaio 1897 tra la Società Italiana delle Strade Ferrate della Sicilia, il Consorzio Concessionario della Ferrovia Circumetnea e la società siciliana di LL.PP., subconcessionaria della ferrovia suddetta, con l’intervento dell’ispettorato generale delle FF.SS. per concordare le modalità da seguirsi nell’esecuzione degli impianti della Circumetnea, i canoni da pagarsi della Società Siciliana di LL.PP. e di quella italiana per le Strade Ferrate della Sicilia per occupazione di suolo, servitù ed altro ed infine le basi per un servizio cumulativo per viaggiatori, bagagli e cani e di corrispondenza per le merci. La Società Siciliana di LL.PP. e l’ispettorato generale fecero vive premure perché fosse attuata la consegna dei terreni e venisse concesso l’incominciamento dei in assonanza alla stipulazione della convenzione definitiva per regolare i rapporti tra le due società. Per comprendere meglio i termini della questione risulta doveroso riportare gli articoli più salienti di tale convenzione:

Articolo 3) Sul confine del terreno che le verrà ceduto la Società Siciliana di LL.PP. si obbliga di costruire a sue cure e spese un muro di chiusura con andamento segnato sull’unito piano. Il detto muro deve trovarsi a non meno di 1,75 metri dalla più vicina rotaia dei binari siculi racchiusi nel recinto della Circumetnea.

Articolo 10) Il muro verrà eseguito a tratti di limitata lunghezza a guisa da evitare qualsiasi smottamento delle pareti che possa arrecare danno alla sicurezza.

Articolo 13) Dove il binario della Circumetnea corre quasi parallelo al binario del porto siculo, ad un piano inferiore deve costruirsi da parte della Società Siciliana un muro di sostegno per il suddetto binario.

Articolo 16) La Società Sicula di LL.PP. prenderà tutte le misure occorrenti per impedire che dall’esecuzione del lavoro possa derivare danno all’esercizio del binario siculo al porto.

Articolo 18) I lavori che interessano l’esercizio della stazione e dei binari della rete sicula e cioè :

a) lo sterro della scarpata (per fare luogo alla nuova sede del binario al porto nel tratto dello spostamento)

b) il muro di sostegno

c) la ricostruzione in altra località della garretta

d) lo spostamento della trasmissione del disco al lato Palermo

e) l’allargamento della trincea non potranno essere cominciati senza autorizzazione della Direzione Locale di esercizio di Catania.

Articolo 19) Riscontrando qualche irregolarità nel modo di esecuzione dei lavori l’assistente e l’ingegnere della Società Sicula faranno constatare l’irregolarità alla direzione dei lavori per i provvedimenti necessari; e dove si tardasse a prendere questi provvedimenti l’ingegnere della Società Sicula potrà immediatamente sospendere i lavori.

Articolo 21) Gli operai adibiti ai lavori accederanno ai medesimi da un sottopassaggio o da un’altra via che la Società Siciliana ritenga aprire senza attraversare i binari della Sicula. I depositi dei materiali da costruzione e i materiali di rifiuto dovranno essere trasportati fuori dalla proprietà della Ferrovia Sicula.

Articolo 26) Le concessioni di passaggi attraverso la Ferrovia sia a livello sia con cavalcavia per stabilimenti balneari sino al punto in cui la sede del binario Circumetneo che va al molo, si distacca dalla sede del terreno siculo è devoluta esclusivamente alla società esercente la rete sicula e la Società Siciliana non potrà fare obiezione a siffatta concessione.

Articolo 29) La presente convenzione mentre vincola la Società Sicula di LL.PP. non sarà obbligatoria per la società delle Ferrovie sicule se prima non avrà riportata l’approvazione dei competenti uffici superiori.

Con un atto emanato il 10 giugno 1987 e destinato al Presidente del Consiglio d’Amministrazione del Consorzio per la Ferrovia Circumetnea venne liberalizzata ed effettuata la cessione dei terreni presso la stazione sicula di Catania e la consegna dei terreni alla Circumetnea. L’ingegnere capo Francesco Clarenza con una lettera del 17 Agosto 1897 indirizzata al Presidente del Consiglio d’Amministrazione del Consorzio per la Circumetnea espose i progetti per la fermata al Gaito ed il prolungamento al porto di Catania. In un telegramma compilato dal sindaco di Catania Leonardi il 24 Febbraio 1898 al Presidente del Consorzio per la Ferrovia Circumetnea, venne trattata la questione relativa al nuovo progetto di prolungamento dal Goito al molo. In particolare il sindaco Leonardi pose in auge il problema relativo alla costruzione di un passaggio a raso sugli spazi della stazione delle Sicule preferibile ad un sottopassaggio che avrebbe recato una profonda ingiuria ed una terribile mostruosità estetica alla città. Nelle conferenze tenutesi a Roma nei giorni 30 Maggio e 1 Giugno 1896, a Palermo nei giorni 30 e 31 Luglio e 1 Agosto 1896 ed a Roma nei giorni 22-23-24-25 e 26 gennaio 1897 tra i rappresentanti del Governo della Società Siciliana Italiana per le strade Ferrate della Sicilia, del Consorzio per la Ferrovia Circumetnea e della Società Siciliana per i Lavori Pubblici, la questione inerente alla comunicazione delle Stazioni Circumetnea e Sicula di Catania Centrale per il servizio dei viaggiatori e bagagli in servizio cumulativo, fu risolta di comune accordo, ammettendo che fosse da costituirsi un sottopassaggio dalla Stazione Circumetnea e la stazione Sicula. Anche il Consiglio d’Amministrazione del Consorzio della Circumetnea nella seduta del 16 Novembre 1987 deliberava di escludere che la comunicazione tra le stazioni contigue delle due ferrovie fosse stabilita grazie a un sottopassaggio e proponeva di insistere per il passaggio a raso con una banchina da costruirsi di fronte al fabbricato dei viaggiatori delle Sicule. Si doveva anche risolvere la questione con il Ministero della Marina per l’abusiva occupazione di suolo nelle aree demaniali del molo per l’impianto della stazione terminale della Ferrovia Circumetnea. L’Onorevole Avvocato Paolo Castorina, presidente del Consorzio Concessionario la Circumetnea, sostenne che il sottopassaggio non era adeguato ai bisogni della città e pertanto era preferibile la costruzione di un passaggio a raso; contrariamente la Società esercente la Rete Sicula e l’Ispettore Capo del Circolo di Palermo facevano rilevare che il passaggio a raso avrebbe impegnato il fascio di scambi dal lato di Palermo della nuova rimessa locomotiva e che il suddetto passaggio sarebbe stato pericoloso per i viaggiatori (provvisti di biglietto cumulativo) ed avrebbe ostacolato la libertà di movimento dei treni. Per la città di Catania rappresentava un’ingiuria la costruzione di un sottopassaggio che obbligava a scendere trenta scalini ed il Consorzio insisteva sul passaggio a raso per garantire ai passeggeri la sicurezza del trabalzo in orario in modo da evitare di perdere l’eventuale coincidenza o di infastidire i passeggeri in partenza. L’Ingegnere Clarenza, delegato del Consorzio, propose che tale passaggio poteva stabilirsi tra la banchina della Circumetnea al termine del viadotto in muratura e che sarebbe servito soltanto per i viaggiatori di trasbordo tra la Circumetnea e la Rete Sicula per i treni in coincidenza. Con questo passaggio a raso per il solo servizio di trasbordo con le Sicule e con il progetto di prolungamento al Porto sarebbero stati soddisfatti tutti i servizi della Circumetnea e sarebbe risultata poca la nocività per le Sicule; in tal senso fu previsto un anno di esperienza dopo il quale si sarebbe potuto stabilire la continuazione del servizio.

Nel 1914 furono elaborati la Pianta e il progetto della ferrovia dal voto espresso dal consiglio superiore dai Lavori Pubblici nell’adunanza del 15 Giugno 1914.

Gli impianti di ristrutturazione del tracciato della ferrovia Circumetnea –soprattutto nel tratto urbano di Catania- faranno presto svanire l’atmosfera romantica e parte del fascino della vecchia Circum, atmosfera identificabile soprattutto nella "Cafittera", così come era scherzosamente soprannominata la locomotiva a vapore che, nera e fumosa, collegata ad incerti e traballanti vagoni, ancheggiava, nel suo modesto arrancare, lungo le rampe della via Vallona, oggi corso delle Province, o presso il Gaito, oggi piazza Galatea.

Qui era presa d’assalto dai ragazzi, che, dopo aver fatto i bagni lungo la scogliera sottostante, prendevano a sbafo posto sui terrazzini per ritornare comodamente a casa, transitando per l’incrocio con il viale della Libertà dove il transito era controllato da un omino che bloccava lo scarso traffico viario.

Ritmi molto lenti erano quelli della "Cafittera", che permettevano, soprattutto agli utenti più giovani, di scendere dalle carrozze in lenta marcia, far rifornimento di frutta varia e risalire facilmente.

Inoltre accadeva che anche il personale di macchina e viaggiante veniva coinvolto da quest’atmosfera così rilassante; erano frequenti le giocate a carte del macchinista o del capotreno.

Tutta la vita dell’epoca della "Cafittera" era scandita dai suoi transiti, precisi riferimenti orari per gli abitanti della zona attraversata dalla ferrovia: il suo penetrante fischio ricordando sempre l’ora del risveglio, dell’uscita da casa, della "calata" della pasta, del riposo, accompagnava ogni attimo di vita.

Momenti da riportare alla memoria: quello che riguardava la decoratissima carrozza reale, il ricordo del viaggio del Re d’Italia Vittorio Emanuele III e della regina Elena, che, nel 1911, inaugurarono il monumento al Re Umberto, in piazza Roma e visitarono Catania con la "Circum".

O come durante la Seconda Guerra Mondiale fu necessario un notevole sforzo per assicurare migliaia di persone la fuga dai bombardamenti sulla Città di Catania.

Sì, la "Cafittera" era lenta, ma le si voleva bene come ad una vecchia signora che riscuote tuttora un gran rispetto. Servirà a tramandare alle generazioni future il messaggio di un tempo che fu: quello in cui la vita scorreva in maniera più umana, meno nevrotica, e in cui i rapporti sociali erano molto più vivibili.

La lettera, sopra esposta, è un piacevole pretesto per introdurre la storia della nascita della Circumetnea.

L’Ottocento è stato il secolo delle grandi scoperte tecnologiche, ampliate, modificate ed aggiornate nel Novecento; ma è stato proprio nell’Ottocento che sono state poste le premesse per tutto ciò di cui oggi godiamo.

E così, possiamo bene dire che quando all’inizio del secolo scorso il veicolo dotato di ruote si affrancò dalla tradizione animale (carri trainati da cavalli o da buoi), ebbe inizio un processo inarrestabile, forse la più grande rivoluzione della storia dell’umanità.

Sicuramente nessuno, tra quanti erano impegnati nella progettazione e costruzione di mezzi a trazione meccanica, immaginava quale sviluppo –nel volgere di pochi decenni-, essi avrebbero avuto, modificando profondamente vita e tradizioni di innumerevoli comunità, ma soprattutto, creando condizioni che favorirono nuovi e più concreti contatti ed interscambi tra i popoli, altrimenti impensabili alla fine del secolo precedente.

Già il 24 Marzo 1800, l’ingegnere minerario Richard Trevithiche, inglese come quasi tutti i più noti scienziati dell’epoca, presentò un brevetto relativo ad un apparato motore che ben si adattava ad essere impiegato sui veicoli a ruote, e già nel 1804 la prima macchina a vapore - la Penny darren - messa in testa ad un convoglio, era in grado di trainare cinque vagoni con un carico d’undici tonnellate.

Subito fu un susseguirsi di scoperte e perfezionamenti, frammezzati anche da qualche delusione.

Nel 1829 Stephenson, con la sua "Rocket" (razzo) vinse il concorso di Rainhill: iniziava l’avventura della ferrovia.

In tempi brevi tutti gli stati moderni si dotarono di strade; anche in Italia – per se con maggiore lentezza – fu dato il via alla costruzione delle prime ferrovie.

Il primo collegamento – nell’allora Regno delle due Sicilie –fu inaugurato nel 1839 e congiungeva Napoli a Portici; l’anno successivo fu la volta, nel Regno Lombardo - Veneto, della Milano – Monza.

La seconda metà del secolo, oltre all’unità d’Italia, vide il proliferare di nuove linee ferroviarie nel Nord del Paese, dove era presente una certa imprenditoria pratica, efficiente, che si era resa conto dell’importanza del trasporto, su lunghe e brevi distanze, di persone e merci.

Ad un certo punto tutte le amministrazioni dei maggiori centri aspirarono ad avere una propria ferrovia, e quando le loro richieste non venivano prese in considerazione dalle grandi compagnie (le ultime, prima che la gestione ferroviaria fosse unificata dallo Stato, furono la Rete Mediterranea, la Rete Adriatica e la Rete Sicula), favorivano l’istituzione di Consorzi per gestire – previa la loro costruzione – linee ferroviarie, affidandole a società, nel frattempo, appositamente create.

A seconda delle esigenze tecniche e dell’orografia dei territori attraversati, le linee potevano essere a scartamento ordinario o ridotto (per scartamento si intende la distanza tra le facce interne delle tue rotaie che costituiscono il binario); lo scartamento ridotto viene adottato per particolari esigenze tecniche (curve più ridotte) o per usufruire di sovvenzioni erogate a ferrovie agenti in condizioni di economicità.

Le grandi città delle Sicilie ebbero i primi collegamenti solo dopo l’unità d’Italia.

A Palermo il primo treno giunse il 28 Aprile 1863 ed a Catania solo il 3 Gennaio 1867, grazie alla Compagnia della Rete Sicula che, con grande impegno procedeva nella realizzazione delle nuove strade ferrate nell’isola.

L’allocazione degli impianti della Rete Sicula a Catania fu determinante per la scelta dei luoghi da adibire a posti di servizio della futura Circumetnea, anche se quella scelta, ed in particolare quella del luogo sul quale sarebbe sorta poi la Stazione "Sicula" (la futura Stazione Centrale) fu occasione di non poche polemiche.

Fin dai primi giorni del 1864 il Consiglio Comunale etneo prese in esame un documento di tale Petit, francese di nascita, esperto in costruzioni ferroviarie.

L’ingegnere rappresentante della società costruttrice delle strade ferrate calabro – sicule, presentò l’11 Aprile 1864 al sindaco Antonino Alonzo una pianta rilevante il cammino della strada ferrata per la città di Catania e il luogo della sua stazione.

Il sindaco approvò il progetto che venne rivisto all’interno del consiglio comunale: fu deliberato che per questioni di utilità la ferrovia passasse accanto al molo e che la sua stazione fosse vicino a questo per motivi commerciali e sociali: scarico delle merci, trasporto viaggiatori.

Il progetto proposto però non fu considerato idoneo alle esigenze prospettate e quindi fu scartato.

Gli amministratori dell’epoca decisero di nominare una commissione che elaborasse un altro progetto, eliminate le carenze del progetto Petit.

Così il progetto fu discusso al Municipio da una commissione di ingegneri: Di Stefano, Landolina, Madolene e Sciuto Patti.

La commissione presentò alle autorità comunali un nuovo documento con progetti che smontarono l’elaborato francese.

Ogni esperto aveva un progetto da presentare, ma alla fine, dopo estenuanti battaglie oratorie, riconquistò spazio proprio il progetto Petit, progetto per il quale, ancora oggi a Catania si piangono le conseguenze.

Secondo il primario progetto, poi attuato, la strada ferrata da Ognina doveva seguire l’andamento della costa fino alla scogliera d’Armisi, sulla quale sorge ora la Stazione Centrale, quindi, per superare il dislivello della "Marina", avrebbe proseguito verso Acquicella su un viadotto in muratura ad arcate, lungo 892 m., alla fine del quale, sulla strada del Gallarro (poi via Zurria), si sarebbe immersa in una galleria.

Così è stato, effettivamente fino al 1958. Successivamente la Stazione Centrale fu ampliata, coprendo ignobilmente parte della scogliera d’Armisi.

Tutt’ora la presenza di una strada ferrata nel molo costituisce un grosso disagio per coloro che comunicano fra mare e terra.

Successivamente il consigliere F.Imbert, nel suo "Resoconto sulla traversata della ferrovia, pronunziato nella seduta del Consiglio Comunale di Catania il 5 Gennaio 1866 dopo aver evidenziato gli inconvenienti del progetto Petit, afferma che sia possibile raggiungere un accordo sul passaggio ferroviario nella piazza del Castello Ursino prevedendo un allungamento della galleria. Dopo, Imbert, divenuto sindaco, favorisce, con la sua posizione "realista", la realizzazione di un miglioramento del tracciato senza spesa alcuna per il comune.

Svanite le polemiche sul dislocamento degli impianti della "Sicula", cresceva nel circondario etneo il fermento per la creazione di una ferrovia che collegasse alcuni centri della provincia al capoluogo,e per conseguenza, con la rete ferroviaria nazionale.

I comuni maggiormente interessati erano quelli della fascia pedemontana dell’Etna che, per le notevoli produzioni agricole, aspiravano a fruire di un sistema di trasporti migliore di quello viario esistente, troppo tortuoso, poco affidabile per i forti dislivelli, le condizioni atmosferiche spesso eccezionali e per le non rare scorrerie banditesche che alleggerivano i carretti delle merci trasportate e delle borse i malcapitati conducenti.

Non fu quindi difficile addivenire ad un accordo tra gli esponenti politici dei diversi comuni per la costituzione di un Consorzio tra la Provincia di Catania, la Camera di Commercio ed Arti di Catania ed i Comuni di Riposto, Giarre, Mascali, Piedimonte Etneo, Linguaglossa, Castiglione di Sicilia, Randazzo, Maletto, Bronte, Adrano (allora Adernò), Biancavilla, S.Maria di Licodia, Paternò, Belpasso, Misterbianco e Catania per promuovere la costruzione e l’esecizio di una ferrovia denominata "Circumetnea".

La partecipazione alle spese era ripartita in base alla capacità contributive delle singole amministrazioni aderenti.

Nel frattempo che il Consorzio, non avendo sufficienti nozioni in campo ferroviario, si avvaleva di prestazioni offerte da tecnici e progettisti locali e stranieri, infuriavano polemiche sull’idoneità dei percorsi che avrebbe dovuto seguire la Circumetnea.

Tra il 1880 e il 1885 videro la luce numerose pubblicazioni sull’argomento; l’ingegnere – architetto G.Loturco, nella sua monografia "Sulla ferrovia attorno all’Etna" edita nel 1882, faceva notare, disquisendo su altre possibilità, che sarebbe stato meglio non adottare lo scartamento ridotto, in modo che "i nostri treni possano correre sulle ferrovie ordinarie, e i treni di queste correre sulla nostra, fu quindi un servizio cumulativo". Che lungimiranza! Questa possibilità è oggi varata, cioè dopo 100 anni!

C’è da dire che molte proposte del Loturco furono poi prese in considerazione, come non lo furono invece quelle del canonico P.Castorina nella sua monografia "la Circumetnea – Stazione e Fermata in Catania del 1866.

Il canonico si opponeva con forza alla sistemazione degli impianti previsti dai progetti esecutivi, facendo notare che tale esecuzione era realmente legata agli interessi del costruttore e dei proprietari dei terreni, che avrebbero acquistato un enorme fu il passaggio della ferrovia.

Trascorsi due anni dalla costruzione del Consorzio, si convenne di stipulare un compromesso per la costituzione e l’esercizio della ferrovia, ma…a chi affidarsi?

A quell’epoca erano gli inglesi a dominare la scena nel campo delle costruzioni ferroviarie, e fu gioco forza affidarsi ad uno di loro.

Colpì, tra i candidati, la figura di tale Robert Trewhella che riuscì l’11 Settembre 1885 a stipulare il compromesso con il Consorzio appaltante.

In virtù della sottoscrizione Robert Trewhella si obbligava a redigere i progetti, costruire la linea, gestirla a sue spese.

Di contro, il Consorzio si obbligava a devolvere in favore del Trewhella tutte le somme stanziate dallo Stato, quale quota a suo diretto carico.

Successivamente Trewhella, coadiuvato dai suoi tecnici, presentò il progetto ed il relativo piano finanziario al Ministero dei Lavori Pubblici, cui spettava l’approvazione preventiva, ma sorsero subito problemi che contrassegnarono in termini di tensione i successivi rapporti tra il Consorzio ed il Trewhella.

Tra un compromesso e l’altro il 23 Maggio1889 si giunse alla stipulazione dell’atto formale che consentiva di dare il via alla costruzione della Circumetnea.

L’incarico fu conferito alla Società Siciliana di Lavori Pubblici (anch’essa creatura del Trewhella), l’atto fu sottoscritto per il governo dal Ministero del Tesoro, Giolitti, dallo stesso Robert Trewhella, che pochi giorni prima aveva ottenuto dal Consiglio di amministrazione della stessa società la nomina a direttore con pieni poteri.

L’atto di concessione prevedeva che la Società Siciliana di Lavori Pubblici costruisse e gestisse una ferrovia denominata "Circumetnea" che collegasse Catania a Giarre e a Riposto.

La linea doveva essere costruita utilizzando lo scartamento ridotto di 950 mm, secondo il tipo 4 delle ferrovie economiche, che prevedeva un peso delle rotaie di 25 Kg per metro.

La scelta dello scartamento ridotto da parte della Società Siciliana di Lavori Pubblici per la futura Circumetnea pare fosse dovuta, oltre che a motivi di natura prettamente economica, anche alla possibilità di inserirsi in una linea che partendo da Dittaino o Leonforte, raggiungesse Regalbuto e quindi il versante Tirrenico; eventualità caduta forse per il ridimensionamento dei progetti dello Stato.

Il Decreto Ministeriale del 25 Luglio 1891 pose fine ad ogni discussione sul percorso da seguire a Catania: la linea sarebbe passata a nord della città, deviando subito dopo la stazione Borgo, verso sud - est e raggiungendo la località Gaito, presso il mare.

Il primo tratto ad essere inaugurato fu Catania Borgo – Adernò (oggi Adrano), il 2 Febbraio 1895.

Sul "Corriere di Catania" del 12 Gennaio dello stesso anno, un articolo a firma del deputato Paolo Castorina recitava:"… dopo tante vicissitudini finalmente la ferrovia è un fatto compiuto".

A proposito del materiale rotabile, lo stesso organo di stampa elogiava la comodità dei vapori, "tutti dipinti a vernice" e come quelli di terza classe avessero sedili a spalliera, mentre quelli di prima fossero "elegantissimi salottini e capaci di contenere dodici persone".

Inaugurato il primo tratto, gli altri seguirono a ruota: Catania Borgo – Catania Gaito il 13 Marzo 1895; Adernò – Bronte il 2 Giugno 1895; Castiglione – Giarre l’1 Luglio 1895; Bronte – Castiglione il 30 Settembre 1895; Giarre – Riposto il 25 Novembre 1896.

Ma ben presto si pose un problema: il collegamento diretto con il Porto e la linea a scartamento ordinario; vi era l’ostacolo della "Sicula" e quindi fu obbligatorio lo scavalcamento di quest’ultima.

Si provvide con un cavalcavia metallico di dodici metri in due campate sovrapposte il binario di Messina – Catania, seguito da un viadotto in muratura in discesa per riportarsi al livello di quest’ultimo.

Tra il febbraio del 1895 ed il Marzo del 1899, si alternarono alla guida dell’azienda tre direttori generali che dovevano operare sotto il controllo di una commissione composta da inglesi che con atteggiamenti autoritari e arroganti vessavano il personale subalterno in ogni modo, in ogni circostanza.

Tra le polemiche e i conflitti a partire dallo stesso anno la linea ferroviaria è aperta al traffico.

Robert Trewhella ricoprirà la carica di direttore fino al 1900, anno in cui lascia il Consiglio della Società.

La linea della Circum viene gestita dalla Società Siciliana di Lavori Pubblici fino al 1948, anno in cui, a causa di una crisi, decade la concessione.

Dai cento anni solo i convogli della Circumetnea riescono a transitare in questi deserti di lava accessibili solo a volpi, capre e animali selvatici.

Oggi, la "Circum" si avvia a diventare il "metrò", ma senza soluzioni di continuità, senza traumi, sempre al servizio della città e del suo hinterland.

Scomparsa la "Cafittera" dal Corso delle Province, scomparsa la "littorina" da Viale Ionio, scompariranno anche le moderne diesel – elettriche, dalle intasate vie di Catania, ma sotto di esse pulserà nuova vita, nuovo traffico, nuovi servizi.

NOTE:

(*): Fonte l’Archivio di Stato.

Prefettura affari generali: indice 10, busta 319; i.11, b.39; i.11, b.410; i.14, b.410.

Consorzio per la ferrovia circumetnea: busta 1, 2, 26, 33, 92, 96, 169.

In conclusione possiamo affermare che l’Unità d’Italia ha determinato nel Mezzogiorno, in contrapposizione ai modelli totalizzanti sia economico sociali che culturali proposti dallo stato unitario, il processo opposto di differenziazione amministrativa. Infatti con la nascita dello stato unitario fu avviato lo sviluppo e la costruzione di un’organizzazione amministrativa nelle zone meno avanzate del meridione, fondato su basi ideologiche sostenitrici del binomio unità=progresso e libertà=prosperità. Ma proprio queste manovre statali di uniformità organizzativa nel settore istituzionale-amministrativo non fecero altro che accentuare le divergenze culturali e le diverse capacità economiche di Nord e Sud Italia, a causa dei criteri speciali e dei procedimenti differenziati applicati alle varie regioni. Negli anni ’60 la Destra storica aveva applicato sistemi politico-economici orientati ad un modello oligarchico, personalistico ed accentratore, basato su ordinamenti uniformi per tutto il regno e su una rigida gerarchia di funzionari dipendenti dal centro. Questa politica si rivelò però inadeguata, in quanto nel Meridione si verificò la questione demaniale, relativa alla eccessiva lentezza con cui procedettero la suddivisione e la messa in vendita di terre di proprietà dello stato. Al profondo malessere dei contadini meridionali si associavano le aspirazioni d’indipendenza nutrite sia dagli ex militari borbonici, sia dagli alleati francesi, austriaci ed ecclesiastici, ostili al progetto di unificazione nazionale portato a termine dallo sbarco garibaldino. Tutto ciò comportò la diffusione del fenomeno del brigantaggio, particolarmente radicato nell’hinterland catanese. Nel 1876, in seguito al declino della destra, le elezioni politiche sancirono il successo della sinistra storica, fortemente appoggiata dallo stesso governo. La nuova politica economica portata avanti dalla sinistra sostituiva al liberismo un sistema protezionistico, che danneggiò fortemente il settore delle culture specializzate, molto diffuso nel territorio catanese, a causa dell’introduzione di elevati dazi doganali sul grano, frenanti il libero scambismo.

I propositi di modernizzazione e sviluppo economico avanzati dalla sinistra storica si concretizzarono con l’avvio del processo di industrializzazione, che fu però occasione di squilibri regionali e tra città e campagne.

Sebbene questi fossero gli anni della nascita della "questione meridionale", tuttavia Catania si distinse per lo sviluppo industriale nei settori tessile, minerario, vinicolo, e nella produzione di liquirizia e tabacco. La costruzione di linee ferroviarie favorì pure l’agevolazione degli scambi commerciali tra i vari comuni siciliani.

Nell’ambito più propriamente sociale l’industrializzazione a Catania comportò effetti determinanti : alle figure del piccolo mercante e del bracciante agricolo si sostituì quella dell’imprenditore, per lo più di ascendenza borghese, ed acquistò centralità il ruolo del capitale bancario e finanziario, proveniente soprattutto dai paesi esteri come l’Olanda e l’Inghilterra.

Nonostante ciò il fenomeno industriale catanese restò ancorato al settore agricolo, a causa della persistenza di mentalità imprenditoriali conservatrici ed arcaiche, retaggio del latifondismo, che , pur se estirpato formalmente, continuava effettivamente ad imporsi ed a fare sentire la sua ingerenza.

Ai cambiamenti economici corrispose anche uno spostamento nell’asse sociale delle posizioni dei diversi ceti medi. È il tempo dell’irrefrenabile ascesa della borghesia locale, che accentrò intorno a sé lo stile di vita di un’intera società. Il suddetto ceto borghese acquistò però a Catania caratteri "nobiliari", ripiegandosi all’insopprimibile richiamo dei titoli e dei privilegi, che distoglievano dall’attiva, frenetica e laboriosa attività imprenditoriale ed appagavano gli spiriti dei nuovi ricchi.

Elemento determinante per la crescita economica ed industriale della città è comunque rappresentato dal finanziamento fornito alle attività produttive dai capitali esteri e dagli intensi contatti mantenuti con insigni personalità imprenditoriali straniere, quali il Cav. Trewhella o il francese Leblanc.

Grazie a questi rapporti ed ai prosperi risultati conseguiti nei campi economico e sociale Catania fu valorizzata nelle sue capacità di sviluppo, divenendo un costante polo di attrazione di attività commerciali e produttive.

 

 

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