Gaetano Grasso

Ariano dall'Unità d'Italia alla Liberazione

da: http://www.edizionilaginestra.it

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"...Per le quali cose mi ricordavo come Ariano fondata da’ fuggenti della distrutta Equotutico, a giudizio del savio e diligente Tommaso Vitale, sebbene Servio ne creda autore Diomede ed il Frezza una colonia di Beneventani; ma di qualunque origine fosse, prima del mille era salita per la virtù dei suoi cittadini a grandissima fama e rinomanza talché fu prescelta da Ruggiero a tenervi il primo general parlamento, nel quale si osservava a’ vinti signorotti e tirannelli succedere un Re forte e guerriero, che a concordia riduceva le parti divise, e ricreava con savie leggi una terra stanca e piena di ferite" [Nicola Nisco]

Premessa

Cento anni or sono Nicola Flammia pubblicava la "Storia della Città di Ariano". Da allora più nessuno ha organicamente raccolto e narrato le vicende della nostra comunità. Il fine di questo lavoro è quello di compiere il tentativo di colmare questo vuoto, senza la presunzione di scrivere "la Storia". Intendo solo narrare gli avvenimenti, ricordare i protagonisti e aggiungere qualche considerazione anche in relazione ai documenti inediti che sono riuscito a reperire; riprendendo la "narrazione" dal punto in cui la lasciò Nicola Flammia: dai giorni delle lotte per l’Unità d’Italia. I giorni in cui si posero le basi della società italiana che stiamo vivendo dopo essere passati attraverso trasformazioni profonde, drammatiche involuzioni e orgogliosi riscatti.La numerosa riproduzione di documenti, in appendice, mi é sembrata utile per offrire al lettore la possibilità di conoscere meglio i protagonisti, comprendere appieno i fatti e le situazioni, valutarli autonomamente e gustare il linguaggio dell’epoca.

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Nel 1860 Ariano aveva 14.OOO abitanti ed era capoluogo del Distretto comprendente 26 comuni e quindi sede della Sottointendenza (dopo l’Unità d’Italia Sottoprefettura). La classe dirigente era costituita da vecchi notabili proprietari terrieri e da una borghesia già politicamente consolidata. Un ceto politico che riusciva ad egemonizzare le masse rurali e urbane tanto da poterle guidare contro le forze liberali, pur rappresentando soltanto il 3-4 per cento della popolazione. Gli "eligibili", quelli cioé che potevano accedere alle cariche pubbliche erano 199, in rappresentanza di una cinquantina di famiglie; delle quali una ventina arbitre della vita politica, economica e sociale della città. Interessante la composizione sociale degli "eligibili": 2 magistrati, 3 ricevitori dei dazi, 13 impiegati, 14 legali, 2 agrimensori, 12 negozianti, 2 "scribenti", un architetto, 6 caffettieri, 4 orefici, 8 medici, 7 massari di campo, 5 farmacisti, 7 studenti, 2 archiviari, 6 notai, un libraio, un ebanista, un pizzicagnolo, i restanti 102 "proprietari". Una classe dirigente, dunque, che basava il suo potere economico e politico sulla terra, sfruttata in modo parassitario senza investimenti di rilievo. Anzi, in molti casi, i terreni demaniali e comunali erano stati oggetto di usurpazione che determinarono annose liti tra il Comune e alcuni di quegli eleggibili. A questi redditi si aggiungeva quello derivante dall’usurpazione delle rendite delle opere pie e delle varie istituzioni assistenziali e caritative sorte nei secoli precedenti e che erano amministrate attraverso commissioni espresse dal Decurionato. Infine questi ceti consolidavano il proprio potere con l’applicazione di tasse, dazi, balzelli che imponevano e riscuotevano con grande impegno anche personale. Basti pensare al modo di riscuotere il dazio sul vino: il Decurionato assegnava ad ogni decurione un quartiere nel quale andare personalmente a "misurare" la quantità di vino prodotto. Ovviamente tutto questo era reso possibile da una organizzazione istituzionale fondata completamente sul censo e i cui strumenti erano:

IL DECURIONATO composto di trenta decurioni nominati dal governo, e per esso dall’Intendente, scelti tra gli "eligibili";

IL SINDACO nominato dall’Intendente sulla base di una terna "offerta" dal Decurionato e dei pareri espressi dal Sottointendente e dal Vescovo.

IL PRIMO ELETTO nominato allo stesso modo del Sindaco. Aveva un ruolo molto importante e un potere non inferiore a quello del Sindaco: aveva il comando della polizia, poteva comminare contravvenzioni ed esercitava il ruolo di pubblico ministero davanti al giudice di pace.

IL SECONDO ELETTO che sostituiva il Sindaco in caso di assenza o il CAPO URBANO cioè il comandante della Guardia.

Un peso importante, spesso determinante, aveva il clero e non solo per l’autorità spirituale che esercitava. La Chiesa aveva un grande peso economico che derivava da un ingente patrimonio terriero.

Dall’accordo delle famiglie più influenti e del clero dipendevano ovviamente le nomine e la stabilità del governo cittadino. Dal loro disaccordo derivava o il blocco o la instabilità dell’amministrazione e, in questo caso, la lotta si faceva senza esclusione di colpi. Le accuse che gli avversari si rivolgevano reciprocamente, delle quali erano destinatarie le autorità di governo, andavano dall’immancabile ladrocinio alla condotta depravata. Un fenomeno estesissimo e utilizzato molto frequentemente era quello delle lettere anonime che l’Intendente prendeva puntualmente in considerazione. Anche quando la lettera arrivava senza affrancatura: in questo caso la respingeva al mittente ma dopo averla copiata. C’è da dire ancora che molti di questi rappresentanti della classe dirigente arianese avevano precedenti penali per reati caratteristici di una "classe padronale": percosse, omicidio mancato, ferite, porto abusivo di armi, abbattimenti di limiti, ingiurie. Bisogna aggiungere che c’era un altissimo tasso di analfabetismo. Molti degli stessi eleggibili erano qualificati come "mediocremente abili" nel leggere e scrivere e tuttavia erano ormai numerosi, all’interno dei ceti borghesi, gli elementi decisi ad uscire dal municipalismo per avviarsi nelle carriere della burocrazia statale. Nella primavera del 1860 il Sindaco in carica era Ottavio Carluccio. Il suo mandato era scaduto già da due anni. Ma attraverso un complesso gioco di veti e di rinunce era riuscito a restare in carica ben oltre i termini legali suscitando proteste e denunce nelle quali l’accusa più blanda era quella di ladro. Aveva però larghe complicità nel decurionato: infatti le terne che si offrivano all’Intendente, perché entro quelle scegliesse il Sindaco, contenevano sempre elementi che o erano incompatibili o rinunciavano o non avevano il parere favorevole del Vescovo o del Sottointendente. Forse non sarebbe stato ancora rimosso se Francesco II non avesse aperto le porte del governo ai liberali.

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