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IL BRIGADIERE DEI RR.CC. CHIAFFREDO BERGIA

di: Anonimo - da: "AVVENTURE ITALIANE" Vallecchi Editore, Firenze 1961

 

LE PRIME AVVENTURE

Chiaffredo Bergia nacque il 1 gennaio 1840, in Paesana, circondario di Saluzzo. Chiamato sotto le armi con la leva del 1860, domandò di essere ammesso nell'arma dei Reali Carabinieri, e avendo tutte le qualità richieste fu accolto nella legione allievi in Torino, e alla fine dello stesso anno, promosso carabiniere, venne destinato alla legione di Chieti, negli Abruzzi. Era il tempo in cui negli Abruzzi infieriva maggiormente il brigantaggio. Bande di malfattori e predoni, di avventurieri nazionali e stranieri, scorrazzavano per il paese, saccheggiando, depredando, incendiando, commettendo stragi e delitti di ogni specie. Il Bergia fu assegnato alla stazione di Scanno in quel di Sulmona, e non tardò a dar prova del proprio coraggio. Il 19 giugno 1862, con altri quattro colleghi, tenne fronte ad un primo attacco contro alcuni briganti che vennero posti in fuga, e si guadagnò così la prima delle tante menzioni onorevoli di cui doveva farsi corona il suo valore. Il fatto si svolse così: I briganti, avuta notizia dai loro compari che una piccola carovana di mulattieri stava per attraversare il paese con un carico di mercanzie di valore, si erano appostati in uno dei punti più brutti della ripida strada. Non appena i poveri mulattieri giunsero in quel luogo, i banditi furono loro addosso, e minacciandoli con le pistole e coi pugnali, li costrinsero ad abbandonare le bestie e la merce, avvertendoli che se avessero denunziato il reato sarebbero stati fatti segno della loro vendetta. I mulattieri, intimiditi, cedettero ogni cosa, contenti di aver salva la vita, e tirarono innanzi; ma incontrati dai carabinieri vennero destramente interrogati e finirono con il raccontare quanto era accaduto. I bravi militi si avviarono alla ricerca dei briganti e, trovatili, intimarono loro la resa. Questi risposero facendo fuoco, ma inutilmente. Allora si impegnò una lotta che finì con la dispersione dei malviventi e il recupero delle merci e dei muli. E questo fu per special merito dell'intrepido Bergia. Nei giorni successivi, destinato con altri due militari dell'arma a far parte di una colonna mobile che aveva la missione di inseguire due bande composte in gran parte di avventurieri spagnoli capitanati dal Boryes, il Bergia diede nuova prova di zelo e coraggio, per la qual cosa fu segnalato assieme a due suoi compagni nell'ordine del giorno del comandante della colonna, ed ebbe un'altra menzione onorevole. Nel settembre del 1862 due banditi sequestrarono dieci cavalli nelle montagne di Scanno. Due carabinieri della stazione, Fraghi e Pompili, unitamente al brigadiere Cambiaghi, si diedero ad inseguirli, ed il carabiniere Bergia, seguito da un caporale di fanteria, scontratosi con i due briganti, giunse a ferirne uno e ad arrestare l'altro, recuperando i cavalli rubati. Per questo fatto tutti i carabinieri che vi presero parte ebbero la menzione speciale dal comando della legione, ma il Bergia ebbe un encomio particolare, che fu per lui lo sprone che lo spinse ad atti di valore sempre maggiori. Era il mattino del 22 aprile 1863, e tre carabinieri della stazione di Scanno, reduci da una perlustrazione, rientravano alla loro residenza quando videro un crocchio di nove individui armati, fra cui erano due guardie campestri inermi. I tre bravi militi, preso consiglio soltanto dal proprio dovere, retrocedettero per disporsi meglio all'attacco. Erano il carabiniere Bergia e i suoi due compagni Grin Degli Innocenti e Pompili. I briganti facevano parte della banda del famigerato Tamburini. I tre militari, troppo deboli per affrontare la banda apertamente, si disponevano a mettersi in agguato per attaccarla di sorpresa, quando i briganti, avvistisi della loro presenza, li prevennero con una scarica, e il carabiniere Degli Innocenti cadde ferito. L'attacco da parte dei carabinieri era divenuto impossibile, ma la ritirata doveva essere eroica. Il Bergia, con fuoco vivissimo e con impareggiabile risolutezza, tenne testa all'intera banda, mentre il suo compagno Pompili, sostenendo il ferito, si allontanava. I briganti, quantunque numerosi, si trovarono deboli di fronte a tanto ardire, ed il Bergia poté così difendere se stesso e i compagni, assicurand9 al commilitone ferito il conforto degli amici negli spasimi dell'agonia. Per questo nuovo fatto di valore, il Bergia, con regio decreto dell'11 ottobre 1863, venne fregiato della medaglia d'argento al valor militare. Il 1 agosto 1867 fu promosso al grado di vicebrigadiere e assegnato al comando della stazione di Campotorto, sempre in Abruzzo, dove gli si offerse maggior campo di esplicare il suo coraggio e la sua abnegazione di soldato, congiunta all'iniziativa e al colpo d'occhio sicuro del comandante.

 

CORPO A CORPO CON IL BRIGANTE

Era una fredda mattina di novembre. La nebbia offuscava le cose, coprendole di un colore cinereo; l'aria gelata metteva i brividi fin nelle ossa. Nulla si scorgeva dei magnifici panorami dell'Appennino. Poiché era un giorno festivo, gli abitanti dei villaggi e dei casolari se ne stavano rinchiusi in casa, raccolti davanti al fuoco degli ampi camini, il cui fumo, salendo per le cappe e uscendo dai comignoli, si perdeva nella nebbia. Ma né il cattivo tempo né il rigore del clima trattiene i carabinieri dal compiere il loro dovere. - Ragazzi - disse il brigadiere Bergia ai suoi militi - oggi dobbiamo uscire in perlustrazione. - Ma brigadiere, che volete mai trovare per le strade in una mattinata come questa? I lupi? Diteci allora che andiamo a fare una battuta di caccia. - Se preferite... - rispose sorridendo il brigadiere che rispettava sempre le opinioni dei suoi militi - Se preferite chiamarla così. - Si trattasse almeno di lepri, potremmo prepararci una bella cena! - Tranquillo, Giovanni, che la cena non ti mancherà - disse Bergia - E neppure un buon fiasco di vino vecchio, per riscaldarti lo stomaco. - Come il Grignolino del vostro paese - aggiunse un altro carabiniere senza cessare di lustrarsi il cinturino. - Bravo Agresta.... Tu lo conosci bene, eh? - Perbacco, sono stato di servizio ad Asti. - Se ti intendi di vino, vuol dire che hai un buon fiuto. Oggi ne avrai bisogno - replicò il brigadiere - Mi sbaglierò, ma sento odore di briganti. Intanto vi offro un cicchetto di Centerbe, che vi riscalderà. Così dicendo, il brigadiere trasse da un armadio, ove custodiva la corrispondenza e i corpi del reato, una fiaschetta impagliata e dei bicchierini e versò il prezioso liquore ai compagni della progettata spedizione, i carabinieri Giovanni Milani e Oronzo Agresta. Quindi, avvolti negli ampi mantelli neri, col fucile sottobraccio pistola alla cintola, uscirono dalla caserma e, attraversato il paese di Mascioni, entrarono in aperta campagna. Il brigadiere camminava davanti agli altri sfidando il vento impetuoso. Per mezz'ora non incontrarono anima viva: sembrava che attraversassero il deserto. - Brigadiere, temo che torneremo a mani vuote - disse il carabiniere Milani. - Sento puzzo di briganti - rispose il brigadiere, con piglio scherzoso ma insistente. - Io non sento proprio nulla - osservò Agresta - Ma sarà perché ho il naso gelato! I tre militi erano così giunti ad un bivio, un ramo del quale saliva verso la montagna e l'altro conduceva verso la valle. - Io scendo da questa parte, voi salite da quella. Di lassù dominerete le strade che io percorrerò. State attenti alle macchie. Un buon carabiniere deve avere l'olfatto del cane, la prudenza del lupo e la furbizia della volpe. Se non scoveremo selvaggina, ci ritroveremo a questo bivio fra un'ora, per tornare in caserma, a cena.... Giovanni Milani e Oronzo Agresta si incamminarono per la strada montana; il brigadiere si inoltrò nella valle. Dopo un quarto d'ora il brigadiere vide agitare alcuni arbusti a mezzo tiro di fucile; si fermò, acuì lo sguardo e vide sbucare da un cespuglio un uomo che fuggiva. - Se scappi, non hai la coscienza pulita - disse fra sé l'ufficiale. E non meno svelto dell'altro, si mise a rincorrerlo. Non gli ci volle molto per raggiungere il fuggiasco, é mentre questi tentava un disperato sforzo per sottrarsi alla stretta del brigadiere, costui lo agguantò per il collo con una mano mentre con l'altra estraeva là pistola. - Mi arrendo! - gridò lo sconosciuto. - Andreani - esclamò il Bergia riconoscendolo, e aggiunse - Mi pareva di sentire puzzo di brigànti! - Che volete? - chiese con arroganza il brigante, ripreso si dalla paura e vedendo che il carabiniere era solo. - Solo una cosa: condurti a Mascioni, per render conto dell'omicidio che vi hai commesso. L'Andreani, facendosi animo, tentò di svincolarsi dalla stretta del Bergia e di strappargli di mano la pistola, ma non vi riuscì. Il brigadiere avrebbe potuto lasciar partire il colpo e freddare il bandito; ma conosceva troppo bene il suo dovere e l'osservava scrupolosamente. Non voleva uccidere un uomo prima che avesse fatto i conti con la giustizia, né sostituirsi a questa con un gesto impulsivo. Ma l'Andreani approfittò di un momento di esitazione del Bergia per sfuggirgli con un violento strappo. Il bravo ufficiale non si perse d'animo e riprese l'inseguimento lasciando il mantello per aver maggior libertà di movimenti, e il moschetto del quale credeva di non aver bisogno per mettere a posto il malandrino, che in breve riuscì a riacciuffare. Ma l'Andreani si ribellò ancora ed impegnò una lotta accanita, dalla quale uscì malconcio, ma sempre in tempo per riprendere la disperata corsa, balzando come un cervo attraverso i cespugli. Il Bergia non indugiò un attimo e rincorse di nuovo l'Andreani. Gli cadde la pistola, ma non si chinò a raccoglierla. In un attimo fu sopra il bandito e lo avvinghiò con le braccia serrandolo come in una morsa. Il brigante si lasciò cadere al suolo, attirando con sé il carabiniere fino sopra una ripida china, giù per la quale precipitarono entrambi. Finalmente il brigadiere riuscì ad afferrare una pietra con la mano destra, e mentre con la sinistra teneva fortemente avvinto l'Andreani, lo colpì alla testa. Il brigante svenne e l'ufficiale riuscì a levarsi in piedi. Ormai aveva vinto e avrebbe portato la sua preda fino a Mascioni. Ma dalla strada trasversale. che conduceva ad un gruppo di case vicine accorse una frotta di contadini, parenti ed amici dell'Andreani, armati di pale, di forche e di altri strumenti rurali, con l'intenzione di liberare l'omicida. Il brigadiere non si perse d'animo di fronte a quell'imprevisto pericolo. Pensò che Milani e Agresta dovevano averlo veduto alle prese con il brigante e che non avrebbero tardato a giungere in suo aiuto. Prese quindi posizione per la difesa, dopo aver bene stretto i polsi del prigioniero, ed attese imperterrito l'arrivo dei contadini. Ma in quel momento sopraggiunsero anche i due compagni del Bergia, con la baionetta innestata sui fucili e la rivoltella in pugno. Incatenato l'Andreani, i tre carabinieri affrontarono gli assalitori, e la lotta si impegnò accanita. I contadini, essendo una ventina, credevano di poter facilmente sopraffare i carabinieri, ma la loro speranza andò delusa. I tre carabinieri avevano formato un triangolo, al cui vertice stava il Bergia e, difendendosi dai colpi degli avversari dapprima, e attaccandoli poi, riuscirono a metterli in fuga. I tre valorosi non avevano riportato che qualche scalfittura e, ripreso il bandito, se ne tornarono a Mascioni, acclamati dagli abitanti e dai loro compagni. - Brigadiere, ci avete promesso da bere - disse Giovanni Milani non appena rientrato in caserma - Un fiasco di quello vecchio! - Magari due, ragazzi. Ogni buon lavoro merita premio - rispose il brigadiere sedendo a tavola con i suoi uomini.

 

LA SORPRESA NELLA MACCHIA

La mattina del 29 novembre 1867, all'alba, nella caserma dei carabinieri di Mascioni regnava una grande animazione. Il brigadiere Bergia aveva ricevuto, la sera prima, un dispaccio da Aquila, con speciali disposizioni per una missione urgente. - Agresta, siamo pronti? - domandò Bergia. - Pronti. Anche il distaccamento di fanteria dovrebbe essere qui a momenti. Il brigadiere guardò l'orologio e disse: - Mancano ancora cinque minuti. Giusto il tempo per bere un cicchetto. - Magnifico! Il cicchetto riscalda il sangue, acuisce l'intelligenzà, eccita le idee - osservò Milani - ma credo che oggi non ne avrete bisogno, perché nonostante la giornata fredda, farà un bel po' di caldo. - Ci vorresti essere anche tu, eh? - disse ridendo l'Agresta - Invece, a casa! Ma non ci pensare, anche tu ti leverai la voglia di menar le mani. Il Centerbe fu versato e tracannato dai carabinieri. - Ecco i soldati - annunziò il carabiniere di piantone. La brigata si pose subito in cammino. Mascioni era ancora immerso nelle tenebre. Per le strade non si vedeva anima viva. Quando i militi raggiunsero la strada maestra, la debole luce del giorno cominciava appena a schiarire l'oriente, dando alla campagna circostante, coperta di neve, un'aria di squallore che stringeva il cuore. Ma i soldati non si lasciavano impressionare, ed avrebbero volentieri intonato "La Bella Gigogin" se non avessero avuto ordine di conservare il più assoluto silenzio. A mano a mano che il chiarore aumentava, il brigadiere si faceva più attento. I bravi soldati erano ormai entrati nella macchia di Chiarino. La neve gelata scricchiolava sotto i passi e folate di vento gelido, agitando i rami degli alberi, facevano cadere sui carabinieri e sui soldati i larghi fiocchi di cui erano carichi. Ad una piccola radura, dove si vedevano i resti di un fuoco spento, del quale la neve non aveva ancora cancellato tutte le tracce, il brigadiere Bergia ordinò ai suoi compagni di fermarsi. Oltre quel punto non c'erano più indizi di sentieri, perché nella notte la neve caduta a fiocchi aveva steso su tutto la sua bianca coltre. - Bisogna orientarci - disse il brigadiere. E per far questo pensò che non ci. fosse di meglio che spingersi egli stesso in perlustrazione da un lato, mandando l'Agresta dal lato opposto, e lasciar il picchetto fermo nella radura. Se i soldati avessero udito dei colpi di arma da fuoco, avrebbero dovuto accorrere in quella direzione. Il Bergia si inoltrò a destra e l'Agresta a sinistra, ambedue esaminando attentamente i dintorni, rimuovendo ogni tanto la neve, per vedere se si trovava qualche orma che potesse servire di indizio. Bergia camminava da un quarto d'ora usando tutte queste precauzioni, quando alzando il capo vide al disopra degli alberi una leggera nuvoletta che stava dileguando. - Fumo - pensò - Siamo vicini a della gente. E si mise a guardare intensamente, per scoprire da che parte venisse quel fumo portato dal vento. Si rese presto conto che veniva dal bosco, e si incamminò in quella direzione. Ma la macchia si faceva sempre più folta, il suolo più accidentato; presto tuttavia il brigadiere scoprì delle orme d'uomo, che dimostravano un recente passaggio. Seguendole, il brigadiere giunse in vista di una rozza capanna, di quelle che i boscaioli costruiscono nella buona stagione per trascorrervi la notte. La capanna appariva costruita di recente con tavole nuove e con paglia, coperta da una specie di cemento formato di terra, di calce e di sterco secco. Sul tetto, un denso strato di neve dissimulava la capanna a chi la guardasse dall'alto del monte. Strisciando sul terreno, il brigadiere si avvicinò alla capanna. Con il coltello riuscì a praticare un forellino al quale appose l'occhio, e così poté vedere quanto vi accadeva dentro. - Sono tre - disse fra sé dopo aver attentamente esaminato l'interno - Se ci fosse anche l'Agresta, sarebbe facile prenderli.... Non c'è tempo da perdere. Avranno certo dei compagni intorno, che potrebbero sopraggiungere a mandare tutto a monte. Due di quei furfanti dormono accanto al fuoco e forse sono ubriachi. L'altro si sta caricando la pipa. Potrebbe essere il capobanda. Se riuscissi ad impadronirmi di lui, sarebbe cosa fatta.... E senza riflettere molto, con una poderosa spallata, abbatté la porta della capanna, entrò dentro e, acciuffò per il collo quello che caricava la pipa. Questi sorpreso, non mandò un grido, ma cercò di divincolarsi ; non vi riuscì subito e allora estrasse il pugnale e cercò di colpire il brigadiere, che si schermì e, rovesciato il brigante al suolo, gli pose un ginocchio sul corpo e lo tenne inchiodato. La lotta svegliò di soprassalto gli altri due briganti. Se essi, anche disarmati; si fossero lanciati sul brigadiere questi sarebbe stato perduto. Invece vollero afferrare i fucili, che erano in un angolo della capanna; ciò salvò il brigadiere, perché proprio in quell'attimo entrò nella capanna anche Agresta. Anche lui, infatti, seguendo l'indizio del fumo dal lato opposto, era giunto laggiù pochi attimi dopo il suo superiore. Entrare là dentro; afferrare la situazione, gettarsi sui briganti, afferrarli per il collo e rovesciarli a terra fu un colpo solo. - Ci arrendiamo! - gridarono all'unisono i due briganti. Il terzo, invece, che cercava sempre di liberarsi dalla stretta del brigadiere, gridava: - Difendetevi, vigliacchi! L'Agresta non perse tempo: in pochi istanti legò saldamente i due briganti riducendoli all'impotenza, poi aiutò il brigadiere a fare altrettanto del suo avversario. Ma Bergia voleva una vittoria più completa. Consegnati i tre prigionieri ad alcuni soldati di fanteria guidati dall'Agresta, si nascose nella capanna con altri militi e attese tutto il giorno. Verso sera capitarono altri cinque briganti, che furono subito circondati, e dopo aver scambiato qualche colpo di fucile coi soldati, saputo che il loro capo era stato fatto prigioniero, si arresero e vennero condotti a Mascioni.

 

I TRE EVASI

La legione di Chieti, formata particolarmente per reprimere il brigantaggio che infestava quella provincia, venne ad un certo momento soppressa. Il brigadiere Bergia fu così trasferito alla legione di Bari, ed appena giuntovi ebbe occasione di segnalarsi. Dalle carceri del castello di Chieti erano infatti evasi tre detenuti pericolosissimi: Gaetano Modugno, Nicola Franco ed un altro del quale si è perso il nome. Occorreva arrestarli ad ogni costo, prima perché avrebbero potuto rimettersi in campagna ingrossando qualche banda di malfattori, e secondo perché ci andava di mezzo il prestigio della forza pubblica e dell'autorità. Il brigadiere Bergia fu incaricato dell'ardua impresa e corrispose pienamente nella fiducia in lui riposta. La mattina del 25 novembre 1869, una folta nebbia avvolgeva le campagne: a due passi di distanza dalle persone si distingueva appena l'ombra, ma non là fisionomia. Bergia pensò che gli evasi, privi di denaro, non potevano essere molto lontani: forse si erano nascosti in qualche grotta, dalla quale sarebbero usciti soltanto per avviarsi verso il mare, dove non sarebbe stato per loro difficile di trovare qualche tartana di pescatori che li accogliesse a bordo. Una stagione più adatta sarebbe stato difficile pensarla. - Giocherei la testa che in questo momento i tre malandrini sono per strada, sicuri di non essere visti - disse fra sé il brigadiere - Ma cambio mestiere se non mi riesce scovarli. Scelse fra i suoi dipendenti alcuni dei più provati e. formò una pattuglia, impartendo a ciascun carabiniere esatte istruzioni; poi si misero in marcia. Camminavano da oltre un'ora alla spicciolata, perlustrando tutti i sentieri trasversali, scrutando intelligentemente ogni minima traccia, quando il brigadiere che, come al solito, si era spinto innanzi sulla strada maestra un centinaio di metri più dei subordinati, cominciò a distinguere una massa nera. Osservando più attentamente rilevò che la massa si muoveva. Scommetto la testa che sono proprio loro, che camminano nella nostra stessa direzione - esclamò - Occorre agire subito. Senza riflettere oltre e malgrado il freddo intenso, Bergia si tolse l'uniforme e la lucerna per non dare nell'occhio ai banditi se mai lo vedessero camminare dietro di loro, lasciò il moschetto, e si mise ad inseguirli. In breve riuscì ad afferrare Gaetano Modugno e ad intimare l'arresto agli altri due. Era in maniche di camicia e a capo scoperto; non aveva che la rivoltella, ma il suo aspetto e l'energia dell'intervento furono tali che Nicola Franco e il terzo compagno non pensarono neppure a resistere e si dettero a disperata fuga, mentre Modugno implorava pietà. Gli altri carabinieri erano molto lontani. Bergia non poteva ne trascinarsi dietro l'arrestato per inseguire i suoi compagni né abbandonarlo. Il brigadiere restò un istante perplesso; poi ammanettò e legò solidamente il Modugno. Mentre compiva questa operazione, comparve sulla strada un capitano della Guardia Nazionale. Bergia lo chiamò, lo informò dell'accaduto e gli consegnò il prigioniero; quindi, senza perdere tempo, si slanciò dietro ai fuggiaschi. L'inseguimento non durò molto. L'intrepido carabiniere pervenne a raggiungere e ad agguantare Nicola Franco. Costui era una specie di colosso di forza erculea: la disperazione aumentava il suo vigore, e subito impegnò con il brigadiere una lotta disperata. Si avvinghiarono e dopo sforzi disperati caddero entrambi. Nicola era di sopra; Bergia sotto. Un ultimo sforzo e il brigante, il quale non cercava che di liberarsi della stretta, avrebbe ottenuto il suo intento. Bergia se ne rese conto e, estratta la pistola con la sinistra, mentre con la destra stringeva l'evaso, gli sparò un colpo nella spalla. Nicola Franco mandò un grido di dolore, fu assalito da un attimo di debolezza, e in un attimo si trovò sotto al Bergia, che gli posò un ginocchio sul corpo e gli puntò la pistola alla gola. Ormai la partita era vinta dal brigadiere, e i suoi compagni che sopraggiunsero di corsa, trovarono anche il Franco ammanettato e intriso di sangue. Il terzo evaso era riuscito a mettersi in salvo; ma il male non fu tanto perché si trattava di un comune ladruncolo.

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