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PRESENTAZIONE

di Fioravante BOSCO

"Questa è una strana storia" - affermava nel dicembre 1975 Luisa Sangiuolo in una nota "al lettore" nell'opera "Il Brigantaggio nella provincia di Benevento 1860 - 1880" - "questa è una strana storia che, nell'ambito di una provincia, mostra i grandi personaggi del Risorgimento, diversi da come li aveva presentati l'agiografia di un mitico passato". "Ma davvero il Risorgimento Meridionale fu un seguito di fanfare, di bandiere tricolori al vento, (Italia Una e Vittorio Emanuele), fiori nelle bocche dei fucili, tedeum nelle chiese e applausi in piazza?" - si chiedeva sempre nel 1975 Ludovico Greco nel suo saggio "Piemontisi, Briganti e Maccaroni" - "Cosi' ce lo avevano insegnato" - rispondeva alla sua domanda - "può darsi si continui in questa stessa maniera a scuola, fin dai primi libri di lettura. Il Risorgimento (prendiamo in prestito, anzi, la definizione più corrente degli agiografi: l'epopea risorgimentale) è stato sempre visto e narrato a livello scolastico e di sottocultura, come ha voluto fin d'allora la parte vincitrice: questa è stata dei buoni, l'altra, la perdente, dei cattivi. Ma c'è un altro Risorgimento, lo possiamo conoscere attraverso le testimonianze di quelli che vollero combattere contro di esso e perdettero. Più che un secolo di distanza ci consente, oggi, di guardare con sincerità demistificatoria agli avvenimenti che seguirono, nel Mezzogiorno, la spedizione dei Mille e l'Unità". "I beneventani" - in particolare rileva la Sangiuolo - "fanno presto ad accorgersi dopo il 3 settembre 1860 che Garibaldi non è il liberatore dalla miseria; Cavour non l'assertore della "Libera Chiesa in libero Stato", se dà l'avvio ad una persecuzione religiosa e ad una dura censura sulla stampa; Vittorio Emanuele non il Re Galantuomo, se ricorre al terrore facendo fucilare, senza i dovuti accertamenti, veri o presunti oppositori." "C'è un altro Risorgimento" - afferma Greco - "fatto di tradimenti, di lutti, di sangue, di fango, orrore, dolore, crudeltà, ferocia. Non vi si sottrassero i piemontesi, e nemmeno i meridionali. Da una parte galantuomini e liberali, dall'altra reazionari e cafoni." - Greco si chiede a questo punto - "Fu il tempo dei briganti: banditi di strada o guerriglieri? Combattenti di una rivolta contadina o bande sospinte alla rapina e al saccheggio da generici impulsi delinquenziali?" - Fa eco la Sangiuolo - " Il popolo basso fornisce un alto contingente alle bande partigiane di Francesco Borbone, nella speranza di veder riconosciuti i suoi elementari diritti e condizioni più tollerabili di vita." "Ma sia l'uno che l'altro, i due risorgimenti" - fa presente Greco - "quello dei vincitori e quello degli sconfitti, si identificano: è da questo opposto ma comune travaglio, sanguinoso, crudo e feroce, fitto di sangue e di lagrime, che ha inizio la difficile nascita della Nazione". - Ma in ogni caso aggiunge con forza la Sangiuolo - "La guerra ai piemontesi si chiude con una sconfitta. Dopo il 1870 comincia la grande migrazione verso i paesi dell'America del Nord, alla ricerca di un posto di lavoro che non riescono ad assicurare i tre Circondari (della provincia di Benevento), depauperati da un fiscalismo più rapace dell'antico. La provincia di Benevento, nata di 1a classe dalla passione democratica dì un cittadino, Salvatore Rampone, ultima della Repubblica Italiana nella Cronica delle cose occorrenti ai tempi nostri, (anche nei nostri giorni la provincia ingloriosamente è posizionata agli ultimi posti delle classifiche nazionali sul reddito, qualità di vita, occupazione ecc.: un anno un po' più su, un altro un po' più giù, ma sempre e comunque in retrovia- Cfr. Antonio De Lucia "Il Sannio da Ritrovare" 1996) attende ancora che siano avviati a soluzione i problemi della sua depressa economia, di cui il brigantaggio fu una denuncia. I tempi (1860 - 1975 - 2000) sarebbero maturi".

 

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