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Mons. Gennaro Saladino

[…] Vescovo di Venafro e Isernia fu ritenuto il promotore dei moti reazionari del 30 settembre 1860. Nel corso del processo fu accusato dal Pubblico Ministero Nicola Tramontano di aver provocato la reazione per proteggere "la causa di Francesco Borboni. I mezzi adoperati due, Religione e denaro. Mezzi che valevano pur troppo a muovere e mantenere nella ostilità quella plebaglia. il Vescovo Saladino era sostenitore del primo... E nel palazzo vescovile appunto era la sede della conventicola. Quivi dalla fatalissima sera del 30 settembre convenivano a segrete e tenebrosa congrega de Lellis, Cimogli, Giura ed altri... il Saladino muovendo all'incontro della truppa borbonica cui faceva seguito Cimone ed altri... qui infine si trattava le sorti d'isernia e nella esaltazione delle menti forse quelle del Regno". Anche il governatore De Luca attribuiva tutta la responsabilità della rivolta di Isernia al Vescovo Saladino "colpevole del sangue versato dà quei stolti e sedotti contadini da lui invitati e benedetti, allorché gli presentavano teschi infilzati a pali... vile strumento di dispotismo e precisamente colui che chiamava le orde borboniche in isernia, per iniziare la reazione. Fuggito in Gaeta all'appressarsi dell'invitto Generale Cialdini, si dice che 1'istesso Re Francesco ricusasse di accoglierlo tanto era sozzo di sangue, e di brutture, ed ora è riparato in Roma, sentina di scellerati". Sul Vescovo il De Luca così si pronunciava: "vecchio prelato, che ha goduto tutti i favori di re Ferdinando e di Francesco II, devoto cordialmente alla causa borbonica...". Nel rapporto del 24 settembre 1860, il Governatore attribuiva tutta la responsabilità dei fatti negativi che avveniva nella sua provincia alla vicinanza e all'influenza dell'archidiocesi di Benevento, perché molti Comuni del Molise si trovavano sotto quella gerarchia, e scriveva: "io non saprei cosa dire di preciso sul conto di quel cardinale (Domenico Carafa) perché non l'ho avuto mai in pratica; però da quel che posso scorgere dal clero della sua diocesi, parmi che alla comune tenerezza pel cessato governo, né aggiunga una maggiore per la corte pontificia". Il De Luca concludeva che i suddetti prelati non avevano fatto ancora alcun atto di adesione e si mantenevano in silenzio, anche se i vescovi di Boiano, di Larino e Trivento per lettera si complimentavano con lui. Il vescovo di Boiano, fra' Lorenzo Moffa, il 21 ottobre, così rispondeva alla richiesta di adesione del Governatore: "Nel nome del Signore. Dichiaro io qui sottoscritto, anche da parte del mio Clero Diocesano di cui mi sono ben noti i sentimenti in massima parte, che siccome nei grandi rivolgimenti nazionali, sogliono venire in urto e collisione diritti e dominii ecclesiastici, politici e civili, onde sorgono inestricabili problemi, nascono questioni ditale svariata natura da non potersi agevolmente, incolpevolmente, impunemente risolvere, massime da coloro ai quali non altro propriamente si appartiene che pregare e benedire e santificare; non altro che predicare, insegnare e consigliare secondo la dottrina della Fede; non altro che dirigere, invitare e precedere i loro fedeli nella via della Verità e vita che è Gesù Cristo, non mi è dato accogliere l'invito datomi officialmente dal signor Governatore in nome del Ministro, di fare cioè formale atto di volontaria adesione al nuovo ordine di cose". Il governatore di Campobasso, Giuseppe Belli, in un rapporto del 28 maggio 1861, inviato al segretario generale del Dicastero di Grazia e Giustizia e degli Affari Ecclesiastici, riferiva che il Vescovo, per ragioni di coscienza, non poteva personalmente ed attivamente cooperare alla Festa Nazionale; ma che rispettando le leggi dello Stato, lasciava a tutti i preti della sua Diocesi, la piena libertà di comportarsi come credevano "rimanendo essi soli responsabili del fatto loro innanzi a Dio e agli uomini".

da: "PRETI, CONTADINI E BRIGANTI" di Pietro Zerella - Edizione La Scarana, 2000, Benevento

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