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Gallarini Giovanni

Governatore e Prefetto di Benevento

 

IL GOVERNATORE GALLARINI

 

UN MAGISTRATO POCO GENTILE ED UN GOVERNATORE COLLERICO

 

NOTA AUTOGRAFA DI GALLARINI DEL 1 AGOSTO 1861

 

NOTA A STAMPA DI GALLARINI DEL 22 NOVEMBRE 1861

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Governatore Gallarini

da "Sannio Brigante" di M. De Agostini & G. Vergineo, Ricolo Editore, Benevento, 1991

 

L'avv. Giovanni Gallarini fu prefetto di Benevento dal 16 luglio 1861 al 2 marzo 1862. [Cfr. Mario Missori - Governo, Alte Cariche dello Stato e Prefetti del Regno d'Italia, Roma, Istituto Grafico Tiberino, 1973, a cura del Ministero dell'Interno, Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Fonti e Sussidi, vol. III, pag. 301] …….. la nomina di Giovanni Gallarini a Governatore [succeduto a Carlo Torre nel 16 luglio 1861], poi prefetto [dal 9 ottobre 1861] nel Sannio, coincide con l'introduzione dei metodi sbrigativi del sistema cialdiniano. Avvocato settentrionale, energico e disinvolto, anticlericale, impregnato sin nelle più profonde viscere di spirito massonico, egli considera la provincia beneventana un'oasi di retrogradume e di superstizioni, la di cui genesi sarebbe più razionale, se procedesse dal feticismo che dal cattolicismo (1). Egli ha l'insensibilità necessaria a spazzar via ogni impaccio di pietà e umanità, per intraprendere un cruento processo di normalizzazione e di epurazione. Come Enrico Cialdini e Ferdinando Pinelli (incaricato del comando delle colonne mobili operanti tra Terra di Lavoro, Irpinia e Sannio, già noto per la pratica di fucilazioni sommarie e indiscriminate contro gli insorti abruzzesi e per i proclami antireligiosi e anticlericali), Giovanni Gallarini, anche lui degno strumento dell'assolutismo cialdiniano, ha l'efficientismo razionale, che tra i mezzi e i fini non ammette considerazioni umanitarie devianti. Se per strada egli trova l'ostacolo della miseria, degradazione, desolazione, di povera gente senza speranza, egli lo spazza via, impietosamente. La sua logica è quella del funzionalismo. I suoi strumenti sono quelli del progresso tecnologico: cannoni e fucili rigati a retrocarica, contro archibugi arrugginiti ad avancarica, forche, roncole, zappe, mazze, armi occasionali. Con questo prefetto il senso della nuova realtà appare nel Sannio per la prima volta in tutta la sua chiarezza. Si capisce da quali premesse culturali discenda la deduzione repressiva. Nell'ideologia dei liberatori, l'uomo, in base all'individualismo moderno, non è più un animale sociale, che abbia debiti di natura verso la sua comunità; è, bensì, un soggetto solitario, titolare di diritti individuali, che si associa in base a calcoli di convenienza o di opportunità. Di qui la fine delle comunità naturali, o patrie locali, in cui si risolvono le vite dei singoli spontaneamente, sulla base di sacre tradizioni; di qui la costituzione di società contrattuali, effetto di decisioni o scelte individuali, in vista di vantaggi o utilità particolari; di qui il principio di nazione, società suprema, che, una volta firmato il contratto elettorale o plebiscitario, si formalizza nell'ordinamento statale, burocratico, formale, legale; di qui la rivoluzione dei concetti di vita civile e di relazione internazionale. Come l'individuo, che cade in un vortice permanente di competitività, sotto il presidio di una legge formale, che non gli impedisce il gioco più spregiudicato, pur di affermare se stesso, la Nazione, che è anch'essa, a suo modo, un individuo, non riconosce più il fair play della diplomazia tradizionale, ed entra in rapporti competitivi, cioè conflittuali con altri soggetti nazionali, senza più principi di proporzionalità e di parità di soggetti, di equilibrio o di armonia. Infranta la sacralità della tradizione comunitaria, non resta che il principio dell'interesse, a caratterizzare il criterio di comportamento. La secolarizzazione istituzionale lascia scoperto l'istinto di sopraffazione. L'occupazione del Sud, senza alcun rispetto di leggi e consuetudini, il bombardamento terroristico delle popolazioni civili, la tracimazione degli egoismi di classe, oltre gli argini della decenza, il rigetto dei principi di lealtà e di cavalleria nelle azioni di guerra, non sono cose da ascrivere a codici eccezionali, o a iniziative disinvolte di particolari temperamenti nevrotici, ma rappresentano una concezione nuova della vita, per cui Cialdini si sente in diritto di continuare a cannoneggiare Gaeta anche durante le trattative di resa, visto che il cannone non guasta mai gli affari, come egli stesso telegrafò al Cavour. E per un efficientista è un crimine perdere tempo. Ferdinando Pinelli, eroico fucilatore di morti di fame, analogamente, si sente in forma solo quando può fulminare il ciarpame reazionario. E Giovanni Gallarini si realizza solo quando dà ordini di rappresaglia su popolazioni inermi, di arresti di massa, di fucilazioni sommarie. Un prefetto di questo stampo è un esempio eloquente della razionalizzazione in atto. La sua analisi della situazione è impietosa, nel rilevare disfunzioni e inefficienze. Egli vuole funzionari rigidi, esecutori impassibili, ufficiali intransigenti. La circolare di intimazione alle autorità di restare sul posto e resistere agli assalti, ne è uno specimen illuminante (2). Eccessivo il giudizio del reazionario De Sivo, ma non infondato: dove i briganti non avevano saccheggiato, saccheggiavano e assalivano i prefetti del re galantuomo, restauratore di morale. Il prefetto Gallarini, non fu già impiccato, ma traslocato; ma lo punì Dio: gli tolse l'unico figlio, e a lui il senno (3). La stessa idea ispiratrice della guerra di annessione discende da questa posizione razionalizzatrice: non si combatte più pro aris et focis, ma per lo Stato Nazionale. Si tratta di un'ottica che non lascia più fuori campo di battaglia la società civile, ma la coinvolge e responsabilizza. Cade la costellazione dei valori etici, delle virtù eroiche, della santità dei caduti, dell'integrità familiare, della gloria immortale. E' vero che, poi, neppure lo stato secolarizzato e massonizzato può fare a meno di questi valori (ogni potere aspira ad una sua forma di consacrazione); ma è un vestito disdicevole al corpo nazionale e liberale: un abito antico sul corpo di una persona moderna. La realtà è quella che traspare dall'attivismo frenetico del prefetto Gallarini, cui l'interesse più debole e meno razionalizzato della classe dirigente del Sud deve cedere, come ad una logica non di equilibrio, ma di dominio. Gallarini attiva tutte le forze disponibili, dai militari alle Guardie Nazionali, dalle colonne mobili ai corpi di volontari, dalle forze dell'esercito alle forze locali. Sotto la sua dittatura, i movimenti di truppa nei circondari sono frequenti e rassicuranti per i galantuomini. Contemporaneamente, si fa largo uso di agenti provocatori, di spie, di informatori, di infiltrati. Si tesse una trama diretta a suscitare i pentimenti, a favorire i tradimenti, le delazioni, le denuncie. Nello stesso tempo si impiega la maniera forte con i familiari dei banditi, veri o presunti, con i parenti, con i complici omertosi. E' un agente segreto che provoca la cattura del capobanda Michele Zeuli a Pietrelcina. Il Delegato provinciale di polizia in persona, Lupi, con poche guardie di pubblica sicurezza, circonda la casa nascondiglio e arresta il ricercato. Ouesti spiffera tutto. E, per evitare la fucilazione, si offre alla cattura di tutti i suoi uomini (28 agosto). Spesso sono gli stessi abitanti a ordire trappole e consegnare alla polizia i malcapitati, come a Pietraroia (12 settembre) o a Fragneto l'Abate, nello stesso torno di tempo. Non si risparmiano i mezzi di adescamento neppure verso gli ex soldati borbonici. A Fragneto Monforte, lo stesso Delegato provinciale di Pubblica Sicurezza riesce a convertire un gruppo di soldati per dare la caccia ad alcuni malviventi: operazione coronata da esito felice (4 ottobre). Gallarini incalza e sprona, incessantemente, i suoi collaboratori. Il risultato si vede un po' dovunque. E, per avere più direttamente il controllo delle situazioni, decide di visitare la parte più pericolosa della provincia: Alto Fortore e Alto Tammaro. Il 3 settembre parte da Benevento con un corpo di 200 uomini, che, in contrada Mosti, si divide in due colonne: una per Pietrelcina e paraggi, l'altra, di scorta al prefetto, per Pesco, dove i reazionari da imprigionare sono uccelli di bosco; ma in compenso si sequestrano le vettovaglie reperibili. Il 4 settembre, le due colonne si ricongiungono nel tenimento di S. Marco dei Cavoti, per concordare altre direzioni. Così la colonna di Gallarini, accompagnato anche dal Delegato Lupi punta su S. Giorgio La Molara, dove arriva a sera inoltrata. Occupati gli sbocchi del paese, piantonate le case inquinate di borbonismo, si procede agli arresti di rito e al sequestro degli archivi familiari compromettenti. Il giorno 5, tre arrestati sono condannati a morte da una commissione militare, e, seduta stante, fucilati in prossimità dell'abitato. Il primo Eletto, facente funzione di sindaco, viene destituito e sostituito con una persona più affidabile. Ma essendo il Consiglio Comunale dimezzato dalle secessioni, si indice un'elezione straordinaria per metà settembre. Poi la colonna passa a Molinara, dove si ricongiunge con l'altro tronco. Sotto lo shock di una recente incursione incendiaria, il popolo e il clero, in processione, vanno incontro al prefetto, per fermare la sua mano vendicatrice. Ma il prefetto impone innanzitutto la consegna delle armi e la presentazione dei soldati borbonici dispersi; poi riorganizza il Comune e le forze locali di polizia. Destituito il sindaco facente funzione, ne nomina il successore di fiducia, provvede alla ricostituzione della Guardia Nazionale. Prescrive ai fautori della reazione un grosso tributo di guerra. Ammonisce il popolo a respingere le bande reazionarie, pena dure misure ritorsive. Infine, per sigillare efficacemente la giornata offre lo spettacolo di due esecuzioni capitali. Questo terrorismo di stato non impedisce ad una banda reazionaria di accoglierlo, appena uscito dal paese, con una sparatoria dimostrativa, sia pure senza effetto. Dopo Molinara, è la volta di S. Marco, dove si installa col seguito e col comandante della colonna nel palazzo reazionario di Nicola Ielardi, assente ingiustificato. Il giorno successivo,

  palazzo Ielardi

pronuncia un violento discorso contro i nemici del regime liberale, con i soliti rituali apotropaici contro il fantasma borbonico. Riorganizza l'Amministrazione, chiama Michele Zurlo alla funzione di sindaco, affida ad un satellite zelante il comando delle Guardie Nazionali (4). Lasciato S. Marco, il corteo si avvia verso Colle, dove arriva il giorno 9, accolto trionfalmente da una schiera di Guardie Nazionali e ragazze acclamanti l'Unità e il re d'Italia. Da Colle a Circello, da Circello a Castelpagano, a Castelvetere, la linea del regime si presenta abbastanza efficiente. A Castevetere, la fazione liberale egemonizzata dai Gigli, uno dei quali capitano della Guardia Nazionale, mostra di saper stare bene in sella, una volta arrestato il borbonico marchese Moscatelli. La missione governatoriale si conclude a S. Bartolomeo in Galdo, dove giunge a termine anche il rosario delle vendette consumate dai liberali rimessi in arcione. Sotto il profilo della normalizzazione, questa missione è un passo avanti. Ma sono i Consigli di guerra, più che le concioni parenetiche del visitatore, a spingere avanti il regime. Nel Circondano di Cerreto, a cominciare dal 16 settembre, in un mese si contano 30 fucilazioni, grazie al maggiore Zettini (5). A Benevento la solerzia fucilatoria non è da meno: investe anche due famosi capi: Francesco Esci, Michele Zeuli, invano traditore e denunciatore dei compagni di sventura. Gallarini è soddisfatto: può festeggiare l'anniversario del plebiscito, convinto di aver portato il metro razionalizzante del regime anche nella provincia dell'oscurantismo clericale. Ma è un'illusione. In realtà le bande esplicano una tattica di risparmio e di raccoglimento fatta di movimenti obliqui, serpeggiamenti subdoli, sfuggenti. Si disimpegnano e occultano, nell'imminenza della stagione invernale. E, perciò, sembrano scomparire, come se tutti i soldati ex borbonici avessero abbandonato il campo. Ma il prefetto non può cantar vittoria: occultarsi non significa sparire. Finisce l'azione clamorosa, ma il colpo di mano è ancora possibile. Fa impressione l'annuncio al Consiglio provinciale (8 dicembre 1861) che notifica l'assenza del consigliere Marco Bifani "per essere stato nella propria abitazione assalito dai briganti e derubato, riportando la moglie di lui gravissime ferite" (6). Forse l'episodio riporta Gallarini, prefetto dal 9 ottobre, presente alla seduta, ad una più lucida coscienza della situazione reale e a un maggior senso della misura…….

NOTE

(1) A. Zazo, Curiosità storiche beneventane, De Martini-Ricolo, Benevento 1976.

(2) Cfr. A. Zazo, Il brigantaggio nella provincia di Benevento e un severo richiamo del Governatore, in "Samnium", 3-4, 1965.

(3) G. De Sivo, Storia delle due Sicilie.

(4) Cfr. A. Fuschetto, Fortore di ieri e di oggi.

(5) L. Sangiuolo, Il brigantaggio nella provincia di Benevento.

(6) A. Mellusi, L'origine della provincia di Benevento.

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UN MAGISTRATO POCO GENTILE ED UN GOVERNATORE COLLERICO

da "Sannio Brigante" di M. De Agostini & G. Vergineo, Ricolo Editore, Benevento, 1991

 

Mario De Agostini, in una lettera scritta ai genitori il 26 agosto 1861, esprime un giudizio su due personaggi: il Procuratore Generale Carelli ed il Governatore Gallarini.

 

Miei cari genitori,

Fui ier l'altro dal Procuratore Generale, un certo Carelli, ruvido uomo. Gli dissi che, essendo destituito li giudice di Pontelandolfo, vi sarebbe stato mestieri mandar sopraluogo un magistrato qualunque che prendesse ingenere dei danni sofferti e procedesse in linea giudiziaria. Rispose aver commesso al Giudice Istruttore di Cerreto, aver scritto ai Sindaci, e mille altre cose in mala grazia. ...Il Governatore, è vero, è ottimo, onesto, vispo, provvido. Ma grida sempre, e grida con tutti indistintamente. Tutti fuggono, non si può aprir bocca. Avete letto il proclama a stampa. Tutto contro i liberali e i danneggiati, non una parola alle popolazioni ree. Non un provvedimento per l'effettiva restituzione dell'ordine; non nuovo delegato a Pontelandolfo; non ancora giudice regio; non soldati neanche per purgare i paesi...Incaponito a dire opera impossibile: tornare, quando nel paese passeggiano ancora impuniti i colpevoli. Torneremo senza appoggio di truppe? Niente; non ci sono ragioni.. Vi riceve in sala, grida: "Dica, dica, dica!" ed, aperta la bocca, evita la discussione: "fate barricate, fate uscire i fucili, fucilate, arrestate!" "Ma con chi? e per mezzo di chi?" "V'è la truppa che agisce in molte direzioni!" (Ma come servircene se attende unicamente al suo piano?)...Tornando al Governatore, non è che grida con me solo: è proverbiale questa condotta, e con tutti. Ieri Andreotti non potè parlare; non dice altro che "Tornino, facciano barricate; se non hanno fucili li ritolgano a' briganti! I paesi che resistono sono certo da questi stati rispettati!….."

Archivio De Agostini, "Brigantaggio"

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