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I FATTI DI ARIANO DEL SETTEMBRE 1860

di: Nicolino POLCINO - da: "Sprazzi Poetici - Poesie Discorsi Personaggi" - Paupisi, 1998

 

Il Comitato Centrale d’Ordine di Napoli, per il coordinamento insurrezionale e dei Comitati periferici si avvaleva dell’opera di tre Irpini: il Marchese Rodolfo D’Afflitto di Ariano, Antonio Ciccone da Savignano e Antonio Miele da Andretta.

Fu proprio il Marchese D’Afflitto a proporre il Governo Provvisorio Irpino nella sua città natale di Ariano. Ariano divenne così il centro del Movimento Insurrezionale Irpino e Sannita anche perché il Re Borbone, tra Salerno, Avellino e Benevento, aveva dislocato oltre 30000 armati per eventuali sommosse nei due principati: il Citeriore e l’Ulteriore. Ariano il 25 agosto 1860 era già nota come località proposta per il concentramento delle forze insurrezionali e il Generale Vincenzo Carbonelli fu inviato emissario di fiducia, da Garibaldi, ad Avellino da ove il primo importante appuntamento fu con Ariano ove si recò il 30 di agosto. Il Carbonelli diede subito disposizione che ivi si concentrasse molta forza liberale e che gl’insorti di Foggia, del Molise, del Beneventano e di Terra di Lavoro vi si recassero per il 4 settembre.

Il 3 settembre il Carbonelli e Rocco Brienza, del Comitato Lucano, si portarono nuovamente ad Ariano e vi giunsero di buon mattino, tanto che il Brienza scrisse subito un proclama ai Fratelli Irpini che fece stampare nello stesso giorno e affiggere in serata nel centro e nelle campagne Arianesi e dei paesi circonvicini, ma i manifesti furono tutti strappati durante la notte dai reazionari borbonici. Il Carbonelli a sua volta scriveva, pure nella stessa mattinata del 3 settembre, agli amici del Comitato di Azione di Napoli: "Carissimi amici, … Già in Ariano sono raccolte più di 600 persone. Questa mattina si aspetta De Marco con altri 1000 uomini circa. Altri 1000 in piccoli contingenti arriveranno nella giornata di domani. Dopo domani arriveranno quelli del Molise e forse quelli di Piedimonte; in una parola pel giorno 7 conto dare battaglia al Generale Flores, che si avanza da Bari ed è già a Cerignola. Il Flores ha un reggimento di linea, 2 squadroni di cavalleria, un 600 gendarmi e mezza batteria; in tutto oltre 2000 uomini".

Il Generale Carbonelli evidentemente non era al corrente che a Cerignola il Generale Flores si era incontrato con il Generale Buonanno e che, pertanto, le forze riunite assommavano a ben 6000 armati. Le 600 persone che menziona il Carbonelli erano: parte giunti da Avellino la sera del 3 sett. con il Magg. Generale De Conciliis e parte Santangiolesi, con in testa la banda musicale di Taurasi, circa 300 guidati da Camillo Miele. Dopo due giorni di estenuante marcia i "militi della libertà" di Miele arrivarono all’alba del 4 sett. nello spiazzo del Palazzo Vescovile ove sdraiandosi cercarono di trovare un poco di sollievo. Intanto, sin dal primo mattino, le campane del centro e delle borgate suonavano a distesa, chiamando a raccolta cittadini e villici asserviti ai notabili del paese rimasti fedeli alla monarchia Borbonica. Da ogni dove i reazionari a frotte affollavano frettolosamente le vie e le piazze della cittadina al grido di: Viva Francesco II, morte ai forestieri!, mentre il bandito Bartolomeo lo Conte meglio conosciuto come "Meo Scarnecchia" (uomo feroce e robusto), adunava e inquadrava i villici armati delle contrade prossime. L’atteggiamento provocatorio e minaccioso delle migliaia di monarchici, favorirono lo sbandamento delle poche centinaia di patrioti che trovarono rifugio nella vallata. Solo un centinaio d'insorti liberali rimasero a disposizione del Carbonelli che miracolosamente rimase illeso da una fucilata sparatagli da una finestra.

I patrioti che avevano trovato rifugio nella valle si riorganizzarono e la colonna dei Santangiolesi guidata dal Miele ritenne più saggio marciare su Grottaminarda. La colonna, ignorando la tragica imboscata, si trovò presto alla mercé dei contadini filoborbonici armati che, nascosti tra le siepi e gli arbusti, miravano all’uomo e il comandante Miele esortò i suoi ad allungare il passo senza accettare il combattimento. Poca strada fecero che si accorsero di essere circondati da ogni parte, fu giocoforza fermarsi, prendere posizione e battersi da leoni.

La lotta fu impari: meno di trecento patrioti allo scoperto contro circa 4000 reazionari in agguato guidati da Meo Scarnecchia. La lotta fu impari ma non altrettanto il risultato delle armi che fu favorevole ai militi della libertà.

Calata la sera il combattimento cessò, ma i padroni del campo restarono i villani a compiere oltraggio verso i patrioti caduti: derubandoli, denudandoli e anche decapitandoli prima di seppellirli per minimizzare la strage. Al mattino sul terreno si contavano ancora 33 patrioti caduti contro gli 80 reazionari e numerosi furono i feriti da ambo le parti.

Il Magg. Giuseppe De Marco comandante i Cacciatori Irpini, che si trovava ancora nel Beneventano, alla notizia della sanguinosa strage, rimase indignato e promise vendetta.

Il sorgere del sole del 5 sett. fu accolto nuovamente dal suono a distesa dai campanili di tutte le chiese del centro di Ariano e delle campagne alle quali facevano eco gli squilli dei paesi vicini e alle campane a martello si univano i villici che frastornavano l’aria con campanacci e "tofe" rudimentali di corna di bue, al grido di: Viva Francesco II, morte a Garibaldi!

L’8 sett. Il Generale Carbonelli fu nominato, dal Governo Provvisorio Arianese, Comandante Generale delle. forze insurrezionali.

Il giorno 9 le forze superstiti garibaldine si mossero da Ariano per incontrarsi ad Apice con i Cacciatori Irpini del Magg. Giuseppe De Marco da Paupisi e con la Legione del Matese di Giuseppe De Blasiis, le quali forti di 1400 uomini bene armati se non avessero indugiato nella liberazione di Benevento, stato della chiesa, che non offrì alcuna resistenza da parte dei papalini, i gravissimi fatti di Ariano del 4 sett., forse, non si sarebbero verificati.

Nei giorni 6 e 7 Settembre Ariano era ancora nelle mani dei reazionari e l’entrata in città delle truppe Borboniche dei Generali Flores e Buonanno fu accolta festosamente dai rivoltosi che credevano di aver definitivamente vinta la partita. Alla notizia dell’ingresso in Ariano delle truppe borboniche, le milizie rivoluzionarie dei Cacciatori Irpini, con in testa la fanfara del battaglione, guidate dal De Marco l’8 settembre si mossero da Apice a marce forzate verso il territorio Arianese.

Il Generale Flores il dì 9 settembre si era recato ad ispezionare la rete stradale tra Grottaminarda, Mirabella Eclano e Montemiletto con a seguito Ufficiali dello stato maggiore e un reparto armato di scorta. In avvicinamento ad Ariano il Magg. De Marco ebbe notizia di questa sortita del Flores e, con sorpresa, attaccò la scorta che fu sopraffatta dai Cacciatori Irpini e il Generale Flores, con tutto il seguito, fu fatto prigioniero sulla rotabile tra Pietradefusi e Campanariello [attuale Venticano]. Cattura che favorì lo sbandamento della colonna borbonica e la più sicura tenuta di Napoli da parte di Garibaldi e più agevoli manovre per le successive battaglie.

Il 10 alla notizia dell’arresto del Generale, la colonna Flores di stanza in Ariano si dissolse con un totale sbandamento dei soldati che abbandonarono in loco un ingente bottino di armi, munizioni, casermaggio, vestiario, … che divenne preda della popolazione.

Il giorno 13 sett. il Magg. Giuseppe De Marco entra, con i suoi Cacciatori Irpini e la fanfara, in Ariano tra lo scontento del popolo e lo scompiglio creato dalla diserzione delle truppe borboniche.

Il 14 giunsero in Ariano le legioni del Matese e del Molise a dare man forte al De Marco che aveva trovato una gravissima situazione di disordine e reazione. Fu eseguito un primo setacciamento delle campagne con arresti e sequestro di armi e materiale di provenienza bellica, ma si rinvennero pure indumenti dei liberali massacrati dai reazionari borbonici e cadaveri sepolti sotto un sottile strato di terreno. Nello stesso giorno mentre nella cattedrale si cantava il Tedeum, il Generale Carbonelli, Comandante Generale della forze insurrezionali, conferiva al Magg. De Marco tutti i poteri militari e civili su Ariano e l’intero circondario ove maggiori erano le ostilità e la presenza di gruppi reazionari bene armati.

Il De Marco ristabilì subito la calma nel centro cittadino con perlustrazioni permanenti diurne e notturne e l’impiego di due compagnie di Cacciatori suddivise in tre reparti di 80 uomini con fucili pronti allo sparo e baionette in canna. I reazionari non accettavano di buon grado le misure repressive del De Marco: la vigilanza rafforzata e l’epurazione in tutto il circondario delle autorità sospette e non affidabili. Ordinò il disarmo di tutti i cittadini con la consegna dì ogni tipo di arma da fuoco e da taglio e intensificò gli arresti dei responsabili del sanguinoso scontro del 4 sett. e del successivo vandalismo esercitato sui feriti e sui cadaveri dei Patrioti Liberali.

Tra gli arrestati non mancarono prelati ancora fedeli alla monarchia Borbonica e tra i più illustri: il Canonico Forte, il francescano Ciardulli e i sacerdoti Giuseppe Santosuosso e Nicola Vernacchia. Il De Marco riordinò la Guardia Nazionale, che dalla sua istituzione non aveva mai funzionato e ne affidò il comando al patriota Magg. Giuseppe Vitali. Alla Guardia Nazionale affiancò una compagnia movibile di 150 militi al comando del Capitano Raffaele Verdura di Fragneto. Il comportamento vigoroso, sennato ed efficace del De Marco aveva domato, senza spargimento di sangue, i malintenzionati sempre pronti per organizzare nuove sommosse e per la qual cosa fu costretto a proclamare lo stato d’assedio e il coprifuoco in tutto il circondario.

In seguito alla pressante protesta dei cittadini che si lamentavano per la eccessiva severità dei provvedimenti, il De Marco il 21 sett. tolse lo stato d’assedio e il 26, sicuro di aver ristabilito l’ordine in Ariano e dintorni, partì per compiere analoga opera di repressione a Mirabella Eclano il 27 sett. e a Pietradefusi il 28.

Fu così che, riportata la calma tra quella gente che arditamente si era battuta, con molto spargimento di sangue, per la causa di fedeltà al Regno delle due Sicilie e dopo avere assicurato alla Gran Corte del Principato Ultra i malfattori e i responsabili di delitti, il De Marco e il Generale Carbonelli il 29 sett., lasciano nella pace la città di Ariano e l’Arianese per trasferirsi al Volturno, sui luoghi di combattimento agli ordini diretti del Dittatore Garibaldi.

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Dall’Arianese al Volturno

di: Nicolino POLCINO - da: "Sprazzi Poetici - Poesie Discorsi Personaggi" - Paupisi, 1998

 

Il De Marco, ristabilita la calma in Ariano, Pietradefusi, Mirabella Eclano e dintorni, ebbe l’ordine di raggiungere il fronte sul Volturno ove si riteneva imminente l’attacco dell’esercito borbonico con la presenza sul campo del Re Francesco II e dell’ardimentosa Maria Sofia.

I Cacciatori lasciarono l’Irpinia il giorno 29 sett. con destinazione Maddaloni di Caserta; la sera del 1° ott. il battaglione fu fermato alla stazione di Solopaca per reprimere una sommossa scoppiata a Frasso Telesino e che avrebbe potuto distogliere le truppe Garibaldine, stanzianti tra Durazzano e Caserta, già in stato di preallarme e pronte a intervenire di rincalzo. Il De Marco inviò a Frasso uno dei suoi più fidati ufficiali: il Cap./no De Nunzio con la Iª compagnia dei Cacciatori. Il De Nunzio ristabilì l’ordine nel giro di una giornata con gran diplomazia, prendendo contatto con i notabili del paese e i capi reazionari, evitando così l’uso delle armi e perdita di uomini.

Frattanto il giorno 1° ott., sul fronte del Volturno si scatenò l’offensiva borbonica; il Re Francesco II di buon mattino con i suoi 50000 armati sorprese, lungo tutta la linea del fronte da Maddaloni a Santa Maria Capua Vetere, i 24.000 Garibaldini. I Garibaldini, se pure attendevano da un momento all’altro l’offensiva borbonica, rimasero sorpresi da un attacco istantaneo così violento che vacillarono al punto di far temere il peggio. Ripresi e incorati dalla sicura determinata presenza di Garibaldi, sulla prima linea del fronte, i Garibaldini passarono al contrattacco battendosi eroicamente tra l’alternarsi dell’esito del combattimento.

Molto incerto fu il successo e la vittoria per tutto il giorno, ma, prima che la sera calasse, le Camice Rosse in un generale sbalzo di entusiasmo al grido di "Italia o morte" ribaltarono le sorti della immane impari battaglia e all'imbrunire del 1° ott. fu la Vittoria Garibaldina. Lungo tutta la linea di combattimento da Maddaloni a Santa Maria C.V. i morti non si contavano, un miscuglio di corpi esanimi disseminati per ogni dove. In quella sola tremenda battaglia i morti Garibaldini furono 1600 e tantissimi i feriti e le amputazioni.

Il Magg. Giuseppe De Marco informato dell’aspro combattimento e della vittoria, impaziente e desideroso di partecipare al battesimo del fuoco sul Volturno, forse chiamato dallo stesso Garibaldi, allertò il battaglione dei Cacciatori e si mise in marcia verso i campi della gloria. Partito da Solopaca la sera del 2 ott. giunse nei pressi di Maddaloni il mattino del 3 ottobre giusto in tempo per intervenire contro gli ultimi disperati attacchi del Re Francesco II che non sentendosi domato correva disperatamente alla ricerca della Vittoria.

Le truppe Garibaldine, decimate ed esauste, con l’appoggio risolutivo dei Cacciatori del De Marco e di un battaglione di bersaglieri giunto da Napoli posero la parola fine alla tracotanza borbonica, sgominandoli per sempre.

Il 4 ott. dopo le vittorie dei giorni precedenti vi fu la grande rivista di Maddaloni ove parteciparono i Cacciatori Irpini con la fanfara Vitulanese. Il Magg. Giuseppe De Marco, alla presenza dei numerosi reparti Garibaldini fu promosso personalmente da Garibaldi al grado superiore di Ten. Colonnello e assegnato alla divisione del Gen./le Giuseppe Avezzana. Il Gen./le Avezzana fu un acceso patriota dei moti Risorgimentali dal 1814; assetato di patriottismo e Unità d’Italia seguì da Quarto al Volturno Garibaldi, distinguendosi in tante battaglie, e nell’infuocata battaglia del Volturno fu tale il suo eroismo che Garibaldi lo promosse Gen./le sul campo; e poi, fu valoroso combattente nella III guerra d’indipendenza (1866) distinguendosi sul Trentino e a Mentana.

Garibaldi apprezzò con piacere il nome di "Cacciatori Irpini" perché felicemente memore dei suoi Cacciatori delle Alpi del 1859. Fu entusiasta e si complimentò con la fanfara del Vitulanese che il giorno precedente, nella mischia del combattimento, e quel giorno durante la rivista aveva eseguito infervoranti inni patriottici e di guerra. I Cacciatori Irpini fraternizzarono con i Garibaldini e furono trattenuti nel Maddalonese fin verso la metà di ottobre, perché impiegati in vigilanza di polizia e repressione nella quale attività il De Marco aveva buona fama per essersi distinto nel ribelle reazionario focolaio Arianese.

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Dal Volturno a Pettoranello

di: Nicolino POLCINO - da: "Sprazzi Poetici - Poesie Discorsi Personaggi" - Paupisi, 1998

 

Tra il 12-13 ott. il De Marco ebbe l’ordine di raggiungere con il battaglione i pressi di Isernia perché da Capua in ritirata si trasferivano reparti di borbonici sconfitti al Volturno per assecondare e rinforzare la grossa insurrezione esplosa nel Molise e riordinare i reparti per passare al contrattacco dopo la sconfitta del Volturno.

La distanza di un centinaio di chilometri rese necessario alcune soste e pernottamenti che da Maddaloni per la Valle e Dugenta fecero una prima sosta a Solopaca, poi a Pontelandolfo, a Morcone e il mattino del 16 furono a S. Giuliano del Sannio e nel meriggio dello stesso giorno a Bojano.

Tra Bojano e Cantalupo già operava il Colonnello Francesco Nullo acceso patriota di vecchia data, giacché partecipò nel 1848 alle 5 giornate di Milano, nel 1859 corse in difesa della Repubblica Romana e poi combattè da valoroso nella seconda guerra d’indipendenza (1859); fu con i suoi 264 Bergamaschi (i Giopì) al seguito di Garibaldi da Quarto al Volturno.

Il Nullo nei pressi di Cantalupo non aveva una forza considerevole, egli disponeva di poco più di 300 armati, tra i quali i superstiti Bergamaschi, qualche decina di Siciliani e un centinaio di papalini romani. Il De Marco, invece, aveva portato con sé un max Battaglione per complessivo 1200 volontari bene addestrati e la fanfara Vitulanese di 16 musici.

Nella zona operavano e si ammucchiavano sempre più soldati borbonici affiancati da nostalgici reazionari appostati tra le siepi e le fratte; in più da Capua erano giunte fresche nel contado le divisioni di Scotti e Douglas e il Nullo, per evitare che i borbonici si allargassero verso il sud, con i suoi Giopì, i siciliani e papalini, il 16 ott. si spinse imprudentemente fino a Cantalupo e oltre fra borbonici e cecchini imboscati che con i loro fucili avancarica tiravano all’uomo. Le forze patriottiche che stanziavano fra Castellone di Bojano e S. Massimo, resesi conto delle difficoltà in cui s’era andato a cacciare il Col. Nullo, il giorno 17 si mossero per congiungersi al Nullo già al di là di Cantalupo e prossimo alla taverna di Pettoranello del Molise. Infiltrazioni nemiche borboniche vi erano anche dalla parte est di Pettoranello, e a monte di Carpinone stanziavano grosse formazioni nemiche.

Il Colonnello Nullo, temendo l’accerchiamento, ordinò al Ten. Col. De Marco di occupare Carpinone sul trivio delle rotabili per Isernia, Cantalupo e Pescolanciano sull’alto Trigno giacché importante punto strategico. Il De Marco, ricco di esperienze e previdente, prima di mettere in marcia l’intero battaglione tra eventuali imboscate, inviò in avanscoperta pattuglie di cavalleggieri nell’agro tra Pettoranello, Pantaniello e Carpinone.

Infatti sul farsi del mezzogiorno nei pressi di Pettoranello si accese un ferocissimo combattimento che sembrava travolgere le forze liberali garibaldine comandate dal Nullo, ma i volontari anche se molto inferiori per numero e armamento passarono feroci al contrattacco da costringere il nemico alla ritirata; ma da Isernia giunsero masse di rinforzi borbonici che travolsero le sorti della battaglia.

Con il riaccendersi violento del conflitto, il Capitano De Nunzio con la I Compagnia Cacciatori si trovò a far fronte a un intenso volume di fuoco che dovette eludere lo scontro frontale e muoversi in aggiramento sul fianco dell’avversario. I regi che stanziavano nei pressi di Carpinone approfittarono dello sbandamento Garibaldino per tentare di prendere il controllo delle importanti arterie e dello incrocio stradale. Il Ten. Col. De Marco intuito lo stratagemma, con parte dei suoi Cacciatori, il De Blasiis con i legionari del Matese e il Cap. Coretti con i papalini, corse a contrastare il colpo di mano sulla importante rete stradale. Lo scontro fu sanguinosissimo ma buono il risultato delle armi, poiché i borbonici furono costretti a ripiegare su Isernia. Il Cap. De Nunzio, sganciatosi dallo scontro di Pettoranello, era corso con la sua compagnia di Cacciatori decimata a dare man forte al suo comandante e con i suoi valorosi si scagliò all’inseguimento dei regi in ritirata e mancandogli le munizioni, continuò la pugna all'arma bianca con le baionette in canna.

Alla fine la situazione non apparve rosea per nessuna delle parti in lotta, l’urto borbonico fu di una violenza eccezionale e possente per numero e armamento, e non meno deciso e violento fu lo sfondamento dei Cacciatori Irpini che per non perder tempo a ricaricare i fucili rudimentali in avancarica passavano arditamente al corpo a corpo con le baionette a siepe, ma con una perdita di vite rilevante.

Quando tutto sembrava finito i borbonici con rinforzi freschi da Isernia riattaccarono, dopo aver circondato e fatto prigionieri in direzione di Pesche il Cap. De Nunzio e tutti i superstiti della valorosa Iª Compagnia che avevano inseguito i regi in ritirata.

Lo scontro fu cruento e impari, ma innumeri i gesti sublimi di eroismo da parte dei Cacciatori che per non cedere preferivano morire al grido di "Viva l’Italia, viva la Libertà".

Il sole volgeva al tramonto, i valorosi crollavano al sovrumano sforzo, i papalini del Cap. Coretti cedevano alla pressione borbonica, i Cacciatori Irpini preferivano far passare sui loro corpi le zampe borboniche, al che il Colonnello De Marco, esausto e ferito, fu costretto a ordinare la ritirata su Cantalupo del Sannio, chiamando quivi a raccolta i reparti. Al rapporto ufficiali, l’oggetto fu: la riorganizzazione del battaglione, il recupero dei morti, il soccorso ai feriti, dispersi o prigionieri; mancava all’appello Ufficiali il Cap./no De Nunzio che nell’inseguimento fu sopraffatto, fatto prigioniero con l’intera compagnia e tradotti a Gaeta tra insulti e maltrattamenti.

Il Colonnello De Marco avea subito gravissime perdite in uomini e mezzi negli scontri terribili, ma anche le forze dei reazionari e le divisioni borboniche, che in rapida successione e da ogni fianco si avvicendavano, furono decimate e letteralmente scompigliate al punto tale da non poter più tentare l’aggiramento alle spalle dei Garibaldini già vittoriosi al Volturno per la controffensiva in intesa con le truppe residue di Francesco II riorganizzatesi a Capua e a Gaeta. Da Pettoranello si poté digià gridare all’Unità d’Italia giacché i Cacciatori Irpini e i Patrioti tutti della Libertà, pur con i sacrifici supremi, avevano contribuito efficacemente a scrivere la parola "FINE" alle ostilità con la Monarchia Borbonica e il Regno delle Due Sicilie. I resti borbonici asserragliati a Capua e a Gaeta furono snidati dal Gen./le Enrico Cialdini il 3 novembre 1860 da Capua e il 2 febbraio 1861 da Gaeta: Francesco II fuggì a Roma ancora sotto il potere temporale dei papi.

La conta dei caduti fu pesante, solo nelle file dei Cacciatori Irpini vi furono un centinaio di morti, un centinaio di prigionieri, un gran numero di feriti e di amputati. Il crimine più vile perpretato fu l’orrendo eccidio dei 16 musici della fanfara Vitulanese che durante l’infuriare della battaglia si erano rifugiati con i loro strumenti sotto un ponte nei pressi di Pettoranello. Sedici musici che attendevano il quietarsi della mischia per ritornare allo scoperto, ma sorpresi sotto il ponticello da inferociti borbonici furono massacrati con il più inumano infierire su esseri indifesi.

Gloria ai 16 musici della cittadina di Vitulano che offrirono il petto per rincuorare e incitare i combattenti della Libertà con inni patriottici, nelle marce estenuanti e nell'infuriare delle battaglie: Gloria a tutti i Caduti dell’Unità d’Italia!

Con la conquista del Regno delle due Sicilie e l’annessione al Regno d’Italia e dopo lo storico incontro di Garibaldi e Vittorio Emanuele II, in contrada Monteforte di Teano il 26 ottobre 1860, l’impresa dei Mille fu dichiarata conclusa.

La Monarchia di casa Savoia, timorosa, non gradendo ancora la presenza di formazioni Garibaldine si affrettò a sciogliere le valorose Schiere Risorgimentali. Il Corpo volontario dei Cacciatori Irpini sorto in Paupisi, ad opera dell’ardimentoso suo figlio Giuseppe De Marco fu sciolto con decreto Reale l’11 novembre 1860.

Il prof. Zazo, illustre storico Beneventano, in uno dei suoi preziosi volumi pose in gran rilievo le gesta del Colonnello Garibaldino Giuseppe De Marco: "… il quale prima di essere gloria del Sannio, è innanzi tutto gloria di PAUPISI..." Giuseppe De Marco, fedelissimo di Garibaldi, intriso sin dalla nascita di amor di Patria scrisse una delle più belle, luminose, risolutive pagine nella storia del Risorgimento Italiano.

Il De Marco ritiratosi nella sua nobile casa in via li Sala di Paupisi, resa parca per le frequenti contribuzioni alle necessità dell’impresa, continua per alcuni anni a dirigere e a partecipare attivamente alla repressione del brigantaggio, residuo dei settari borbonici, che infestava quasi tutto il meridione. I risultati non furono eccellenti per le troppe montagne, anfratti, nascondigli, caverne e zone boschive e anche perché il De Marco era più uomo di ideali e d’armi al servizio della integrità della Patria.

Egli teneva molto alla prestanza fisica anche perché intenzionato a partecipare alla III guerra d’indipendenza (1866) insieme al suo comandante del Volturno Gen./le Giuseppe Avezzana.

La sorte gli fu avversa e, in un banale incidente, per una caduta da cavallo nella piazza d’armi di Molfetta che lo rimase inabile, dovette con gran dolore rinunciare, in così giovane età, ai nobili ideali per un patriottismo attivo.

Con lo spirito saldo in un corpo invalidato si dedicò ad educare il figlio giovinetto Girolamo ai più rigorosi sentimenti di libertà e di amore di Patria. (Il figlio Girolamo Cap.no del I Btg. Indigeno cadde il 1° marzo 1896 ad Abba Garima). Nell’avita casa di Paupisi il 20 di luglio l882 una vita operosa ed eroica, il Colonnello Garibaldino Giuseppe De Marco, a 15 giorni dai 61 anni serenamente si spense rendendo la gloriosa anima a Dio.

Il prof. Vincenzo Fasani nella commemorazione del centenario degli eventi garibaldini (l860-1960); scrisse: "Paupisi osserverà la memoria di questo suo grande nobile Figlio, mentre reclama per Esso, nella storia d'Italia, e fra le glorie del Sannio, gli onori e l'alloro degli artefici più grandi del Risorgimento".

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