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"Storie di galantuomini, briganti
e soldati dal 1860"

ricerche storiche di:

Vincenzo Perretti

CAPITOLO X

Del personaggio principale di queste vicende si è detto molto poco e nulla si conosce circa i posti che frequentava dalla metà di luglio ai primi di agosto del '57: evidente stanco dei pericoli e dei disagi che comportava il vivere randagio, pensava di poter patteggiare addirittura una sua eventuale resa ed a questo scopo avvicinò tal caporale Guadagno, della Gendarmeria di Grassano, al quale chiese di procurargli un incontro, non con un qualsiasi ufficiale dell'esercito borbonico, ma espressamente il Maggiore DeLiguori, che era di stanza a Salerno e del quale aveva fiducia. Tra le carte processuali si è rinvenuta una lettera che Angelo Serravalle, quasi analfabeta, aveva fatto scrivere al fratello Paolo, dalle carceri di Potenza il 28 agosto 1857, che si riporta per intero: " Mio caro e amato Fratello, vi conoscere che ho parlato con il Signor Maggiore Comandante Don Giuseppi Liguore, e che mi promise sulla sua spallina d'onore che voi presentativi da lui vi fara ottenere ciò desiderate e dovete credere che questa è una Famiglia di parola e d'onore come si conosce per ogni dove, e bene voluto dal nostro Sovrano (D.G.) che tutto potete ottenere per mezzo del Signor Maggiore e subito fatimi la risposta che verrò io di persona e ti porterò anche il salvacondotto, onde ti prega di non perdere questa occasione. Profittativi di questo degno Magistrato, che Sua Maestà (D.G.) lo tieno come uno sicondo suo figlio, e per mezzo suo tutto potete ottenere. Serafina subito il Signor Maggiore la fatta uscire dal prigione, non altro lo stesso ed io vi do mille abbraccio. Tuo fratello Angelo". Ottenuta l'adesione dell'ufficiale, che gli viene comunicata una settimana più tardi dal Guadagno, si sceglie quindi il luogo dell'appuntamento: scartata la Macchia di Sant'Antuono, vicino Grottole, Serravalle indica l'Orto di Verre in tenimento di Montepeloso, e di questo incontro è nota la versione dello stesso brigante, nella deposizione resa nelle carceri di Potenza nel maggio dell'anno successivo: " il dichiarante puntualmente nel mattino, e nell'ora designata, si recò nel luogo stabilito, in compagnia di un altro calabrese nomato Tommaso Miglio; che esso andava armato di fucile da cavallo, che l'altro suo compagno procedeva anche a cavallo, ma senz'arma da fuoco (...) essendosi alquanto trattenuto e non vedendo giungere il Maggiore sudetto o alcun'altro secondo il concerto, si avviò verso la Masseria di Verre, quando, dato pochi passi, si vide scaricare una grandine di fucilate da taluni gendarmi ed altri individui armati (...) accortosi che si avea unicamente il desiderio di ucciderlo anzicchè farlo presentare, spinse il suo cavallo e si diede a precipitosa fuga, senza fare alcuna resistenza, e senza trarre alcun colpo". Dopo questa incauta iniziativa il brigante ritorna alla macchia e lui stesso dichiarerà di essere stato " per lunghi mesi malato" in casa della sua amante, tal Carmina Omograssi di Pomarico. Sull'episodio della sua cattura vi sono molti lati oscuri; comunque è noto che fu arrestato il 17 aprile del '58, in casa dei coniugi Vincenzo Branchi e Margherita Vitacco di Pomarico, ove vi era trattenuto con l'assistenza di un'altra sua amante, tale Margherita Glionna e del compiacente marito di quest'ultima, Michelangelo; complici Vincenzo Spica, la già citata Carmina Omograssi, e Michele Spinazzola. L'arresto non fu opera della forza pubblica, come fecero credere le autorità all'epoca, bensì merito del mulattiere Giuseppe Strammiello, e di altri quattro cittadini, tutti di Pomarico. A questo proposito, è da sottolineare con quanta falsità l'Intendente della Provincia di Potenza, Achille Rosica, descrive questo episodio: " la sera del 17 aprile ultimo, la solerte e valorosa Guardia Urbana di Pomarico, la quale si è resa degna del plauso e della riconoscenza della provincia, catturò il fuorbandito Serravalle, fin' allora obbietto di lunghe ed infruttuose ricerche, restituendo così la calma e la sicurezza a queste atterrite contrade". Nei diversi interrogatori rivolti a Serravalle nelle carceri di Potenza, questi non si sottrae alle domande: nega di aver commesso il sequestro Spaziante, del quale accusa il compagno Tommaso Miglio ed il servo degli Spaziante, Giuseppe Peloso; si dice innocente di tutti gli altri crimini che gli erano stati addebitati e racconta solo particolari di nessuna importanza, senza mai fare i nomi dei veri complici, manutengoli e componenti la stessa banda. Profitta invece della occasione per vendicarsi di conoscenze non più gradite ed utili e fa i nomi di Sabato Agnone e Pasquale Gallo di Brindisi, di Pasquale Conte e Paolo Lapenta di Grassano; questi ultimi due, racconta il Serravalle, avrebbero fatto finta di " vibrargli dudici colpi di fucile con la sola polvere, essendo allo stesso tempo informatori delle autorità mentre prendeano il di lui compenso". Infine accusa di aver comprato favori da un tal Giovanni, impiegato al Tribunale di Potenza, " che ha un occhio alquanto offeso", il quale gli aveva più volte consigliato, " poichè conosceva tutti i passi che dava la Giustizia, di non presentarsi, che sarebbesi esposto a triste conseguenze". In una seconda deposizione Paolo Serravalle coinvolge un tal Angelo Catalano di Vaglio, "il quale gli manifestava sempre di volersi a lui associare per commettere ribalderie, perchè trovandosi carico di debiti, non aveva come fare, ed anche perchè, dovendo monacare una sorella, aveva bisogno almeno di ducati 2000". Per il sequestro Spaziante, il capo brigante ripete che si trovava " nelli d'intorni della Pallareta in tenimento di Potenza", e conferma le accuse contro Pasquale Miglio, il quale " gli diceva che il sequestro era stato da lui praticato per suggerimento di un vaccaro di nome Pasquale, della costui moglie e figlia, di Jacopo Arai (D'Araio) di Grassano, e del guardiano del signor Spaziante". Si è detto della condanna, e della sua fuga da Potenza, avvenuta tra il '60 ed il '61.

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