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 BRIGANTAGGIO: RILEGGERE L'UNITA'

di Paolo MIELI

da: http://www.iniziativameridionale.it/archivio.asp?IdSezione=11&IdArticolo=492

 

Riprendiamo integralmente dal "Corriere della Sera" del 18 gennaio 2002 una lettera a Paolo Mieli e le sue proposte. Senza commenti. "La stagione del brigantaggio e le ragioni del Sud. Ho letto la lettera del professor Gianni Donno che, rispondendole in tema di indagini parlamentari, lodava le commissioni istituite a ridosso dell’Unità d’Italia e criticava quelle di adesso. Quella sul brigantaggio del 1863, secondo il docente leccese, avrebbe prodotto "eccellenti risultati". Quelle "Antimafia" e "stragi", guidate da Luciano Violante e Giovanni Pellegrino, no. Sospendiamo, per carità di patria, il giudizio su queste ultime. Ma davvero si può sostenere che quella commissione di un secolo e mezzo fa lasciò dietro di sé qualcosa di memorabile? O non servì piuttosto a varare l’abominevole legge Pica?". Mario Sorrentino. "Caro Signor Sorrentino, credo che il professor Donno, almeno per ciò che riguarda quella lontana Commissione di inchiesta sul brigantaggio. Abbia ragione. La Commissione fu istituita alla fine di dicembre del 1862, entrò in carica ai primi di gennaio del 1863 e a marzo –dopo un viaggio nel Sud dei nove parlamentari che ne facevano parte, sotto la guida di Giuseppe Massari- portò a termine un’eccellente inchiesta sull’Italia meridionale. Notevoli erano ancora i pregiudizi dei commissari tra i quali c’era il generale garibaldino Nino Bixio- Padre Carlo Piccirillo sulla Civiltà cattolica protestò: "Questo che Voi chiamate con nome ingiurioso di brigantaggio, non è che una vera reazione dell’oppresso contro l’oppressore, della vittima contro il carnefice, del derubato contro il ladro". E, se tralasciamo la veemenza dei toni, almeno in parte aveva ragione. Tant’è che quando quell’inchiesta fu discussa in Parlamento, si ebbe un violento scontro tra Massari –che imputava il fenomeno del brigantaggio alle mene cospirative di agenti borbonico clericali- e il mazziniano Aurelio Saffi che, invece, intravedeva le ragioni sociali di quelle sollevazioni del Sud. Dopodichè, lei ricorda bene, furono le leggi eccezionali predisposte dal deputato abruzzese Giuseppe Pica,. In merito alle quali merita di essere letto un libro appena pubblicato (Jovene editore) da Pasquale Troncone, docente di diritto penitenziario all’Università di Napoli: "la legislazione penale dell’emergenza in Italia". La legge Pica avrebbe dovuto restare in vigore dall’agosto al dicembre del 1863. Invece fu prorogata in vari modi fino a tutto il 1865. Produsse nel Mezzogiorno innumerevoli abusi che furono denunciati in Parlamento da Vito D’Ondes Reggio, un deputato siciliano e cattolico appartenente alla Destra. Per protesta contro quel che era accaduto in seguito al varo della legge (e contro il rifiuto opposto all’istituzione di una nuova Commissione di indagine) Giuseppe Garibaldi sui dimise da deputato. Proprio in questi giorni nella parte settentrionale della Lucania –il Melfese, cioè i comuni di Atella, Avigliano, Filiano, Rapone, Rionero in Vulture, Ruvo del Monte e San Fele- sta maturando l’idea di varare iniziative per raccontare meglio la storia dei briganti che combatterono da quelle parti: Carmine Crocco, Giuseppe Caruso, Nicola Summa detto Ninco Nanco. Credo che sarà una buona occasione per parlare nuovamente della Commissione Massari nonché della legge Pica. Senza dimenticare qualche buona ragione del Sud che resistette all’unità e i numerosi torti che esso subì in quella complessa stagione storica. Ma, concordo con Donno, se lo potremo fare sarà anche grazie alla documentazione prodotta dai nove parlamentari in quel viaggio di studio all’inizio del 1863." Paolo Mieli

UNITA’ D’ITALIA: SUL "CORRIERE" CONTINUANO LE CRITICHE DI PAOLO MIELI

da: http://www.iniziativameridionale.it/archivio.asp?IdSezione=11&IdArticolo=496

IL PREGIUDIZIO NEGATIVO NEI CONFRONTI DEL MERIDIONE "Sto seguendo il dibattito sui Borbone e il Mezzogiorno attraverso le lettere pubblicate nella sua pagina sul Corriere e alcune sue risposte. Mi sembra assodato che il Regno delle Due Sicilie fosse migliore di come ci e’ stato descritto dopo il 1861, cioe’ dopo l’Unita’ d’Italia. Ma non credo che si possa sostenere, come qualcuno ha scritto, che i piemontesi ebbero un "animus" nazzista o di discriminazione nei confronti delle popolazioni meridionali. Faccio queste affermazioni, pur ricordando quella lettera da Napoli (da Lei citata in un suo libro) di Luigi Carlo Farini a Cavour: " Che barbarie! Altro che Italia! Questa e’ Africa: i beduini a riscontro di questi cafoni, sono fior di virtu’ civile ." Claudio Lanza – Torino PAOLO MIELI HA COSÌ RISPOSTO: "Caro Signor Lanza, anch’io non credo che si possa parlare di "animus razzista" dei piemontesi o piu’ in generale dei settentrionali nei confronti del Meridione a meta’ Ottocento. Pero’ ci sono le prove, queste si’, di un forte e radicato pregiudizio negativo. Paolo Macry, uno tra i migliori storici italiani della generazione dei cinquantenni, ha studiato il fenomeno e ha tratto la conclusione che "a ridosso del 1860 ha preso forma una immagine patologica del Sud". Proprio cosi’: "un’immagine patologica". E la prova non e’ solo in quella lettera di Farini, luogotenente di Vittorio Emanuele II a Napoli, che lei ha citato. In un’altra lettera, stavolta a Minghetti, lo stesso Farini scrivera’: "Napoli e’ tutto, la provincia non ha popoli ma mandrie". Quanto al paragone con l’Africa, e’ destinato a tornare infinite volte. Scrive la Gazzetta di Torino nel ‘61 "Per la gran parte di noi l’Italia e’ un po’ come l’Africa per i geografi: ne conosciamo i confini ma poi se vogliamo spingere un po’ piu’ in la’ l’occhio e il pensiero, ci troviamo innanzi – come i geografi nell’Africa – le terre ignote". Nino Bixio: "In questo Paese i nemici o gli avversari si uccidono, ma non basta uccidere il nemico, bisogna straziarlo, bruciarlo vivo a fuoco lento…e’ un Paese che bisognerebbe distruggere o almeno spopolare e mandarli in Africa a farsi civili". Giuseppe Bandi ne: "I mille" scrisse che persino la lingua dei siciliani era "africanissima". Quintino Sella dira’ che "tenuissimi sono i vincoli di affetto che legano l’Italia settentrionale alla meridionale.". Diomede Pantaleoni diceva che "la civilta’ di queste province (del Sud, n.d.r.) e’ molto diversa ed inferiore a quella dell’Italia settentrionale". Aurelio Saffi parlava dell’ex Regno di Napoli come di un "lascito della barbarie alla civilta’ del secolo XIX". Costantino Nigra dira’ di aver trovato a Napoli "incapacita’, corruzione, inerzia", e un "popolo instabile, ozioso e ignorante". Per Giuseppe Massari Napoli e’ "chiasso e sudiciume". Ancora all’inizio del Novecento, a conclusione dell’inchiesta parlamentare sui contadini del Mezzogiorno Eugenio Faina scrivera’: "L’inferiorita’ del contadino meridionale e’ un prodotto storico (…). Dato l’ambiente di ignoranza e di miseria in cui ha vissuto per secoli il lavoratore della terra, qual meraviglia se il suo temperamento si e’ volto al male, se l’acutezza della mente ha degenerato il frode, la forza in violenza, l’amore in libidine?". Ed e’ evidente, caro signor Lanza, che i comportamenti dei nostri antenati che fecero l’Unita’ d’Italia corrisposero alle idee che avevano in testa." (Corriere della Sera 1.2.2002)

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