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IL BRIGANTAGGIO E LA QUESTIONE MERIDIONALE

MAFIA

da: http://www.iis.lunigiana.it/legalita/members.htm

Associazione criminale sorta in Sicilia nel XIX secolo, in seguito trasformatasi in una organizzazione affaristico-criminale di dimensioni internazionali tuttora operante.

Origini

Il fenomeno mafioso trae le proprie origini da una mentalità di stampo feudale, secondo la quale i rapporti sociali vengono regolati sulla base del principio di salvaguardare la propria difesa e i propri interessi senza ricorrere alle autorità costituite e alla giustizia ufficiale. Soprattutto con la costituzione dello stato unitario, la mafia, strutturata gerarchicamente e vincolata da giuramenti di sangue e da patti di segretezza, si profilò ancor più come organismo sostitutivo dell'ordine legale: sfruttando le difficoltà degli strati sociali più poveri, vessati da un'autorità statale lontana e iniqua come lo erano stati prima dai prepotenti latifondisti locali, intervenne nell'amministrazione della giustizia e nella gestione dell'occupazione e offrì assistenza agli indigenti. Il termine mafia ha tuttora un'etimologia incerta. Lo spirito mafioso poggiava in origine su un rigido codice d'onore fatto di omertà, intimidazioni e privati regolamenti di conti, anche se la pratica dell'omicidio non era ancora una norma. Non passò molto tempo, però, che una serie di ricatti, sequestri ed estorsioni inaugurò la prassi mafiosa di imporre una contropartita in cambio di protezione e salvaguardia delle proprietà. Durante il Risorgimento il fenomeno assunse i primi connotati politico-sociali: la mafia divenne strumento dell'aristocrazia o della ricca borghesia in funzione antiborbonica per reprimere le rivolte contadine e bracciantili. Iniziò quel processo di infiltrazione mafiosa negli apparati pubblici e amministrativi e nel tessuto socioeconomico che si sarebbe consolidato dopo la seconda guerra mondiale.La reazione dello stato era ancora assente e si limitava ad alcune infruttuose inchieste parlamentari intese a valutare il fenomeno. Il primo a sferrare un vero e proprio attacco alla criminalità mafiosa fu il prefetto Cesare Mori, investito di poteri straordinari da Mussolini: l'azione repressiva del governo fascista in realtà non servì a estirpare le cause del fenomeno mafioso, favorendone anzi la commistione con una classe politica che prosperava nel sottogoverno e che si sarebbe ancor più diffusa dopo il crollo del fascismo.

Mafia e politica

Il rapporto mafia-politica si concretizzò all'indomani del secondo conflitto mondiale, con l'infiltrazione di rappresentanti delle famiglie mafiose (o cosche) nel potere locale e in seguito anche nazionale. La mafia subì un'ulteriore trasformazione, assumendo sempre più l'aspetto di un'organizzazione criminale: oltre a diventare serbatoio elettorale, estese la propria sfera d'influenza ad altre attività criminose o lucrose, come appalti e concessioni edilizie, usura, mercato di manodopera, consorzi, dopo che in tempo di guerra aveva monopolizzato il contrabbando e il giro di forniture militari. Nel frattempo appoggiò il movimento indipendentista siciliano e per ribadire la propria egemonia sull'isola intervenne nella repressione delle proteste contadine fino a commissionare al bandito Salvatore Giuliano la strage di Portella della Ginestra (1947), quando decine di braccianti riuniti per festeggiare il Primo maggio vennero falcidiati da colpi di arma da fuoco.

Cosa Nostra

Il periodo della guerra determinò cambiamenti anche per altre ragioni: già dal 1943 avevano cominciato a fare rientro in Sicilia i mafiosi italoamericani. Il fenomeno mafioso si era radicato negli Stati Uniti sulla scia delle emigrazioni di fine Ottocento, aveva prosperato durante il proibizionismo e si era strutturato in una potente organizzazione criminale con diramazioni internazionali: i legami con Cosa Nostra (il nome della mafia americana) portarono la mafia siciliana ad allargare i propri interessi e la propria sfera d'azione, trasformando l'isola nel più importante centro mediterraneo per il traffico internazionale di armi e di droga. In Sicilia le cosche locali si radicarono nel nuovo tessuto del parastato e degli enti regionali che offrivano ulteriori occasioni di potere e ricchezza. Si moltiplicarono nel frattempo violenze e crimini di stampo mafioso, con efferati assassinii di dirigenti e sindacalisti e sanguinosi regolamenti di conti che testimoniavano della guerra tra le cosche per la supremazia e per il controllo del territorio. Fu in questo periodo che la mafia palermitana si organizzò in "cupola" e si inaugurò la denominazione di Cosa Nostra anche per definire la mafia siciliana. Le antiche cosche clandestine legate dal ferreo e segreto codice d'onore scomparvero: al loro posto emerse la nuova "mafia imprenditrice" che operava nel commercio della droga, nella prostituzione e nei sequestri, cimentandosi in azioni criminose sempre più feroci. Cosa Nostra allungò i suoi tentacoli nell'isola e nel Mezzogiorno, fece il suo ingresso nei mercati finanziari e cercò nuovi canali di investimento per il riciclaggio del denaro sporco.

La lotta alla mafia

Ma la sempre più scoperta e proterva sfida allo stato iniziò a generare una serie di contromisure: nel 1962 venne istituita la prima Commissione parlamentare d'inchiesta sulla mafia in Sicilia, nota anche come Commissione antimafia, che tuttavia non produsse risultati apprezzabili; per rendere più efficaci le misure di prevenzione furono varate nuove leggi che introdussero il reato di "associazione di stampo mafioso" e definirono giuridicamente il delitto di mafia (1982). Strumenti più efficaci vennero forniti alle forze dell'ordine e alla magistratura, come ad esempio la possibilità di sequestrare i patrimoni dei mafiosi e di sciogliere i consigli comunali e provinciali sospettati di collusione. Venne quindi esercitato un maggiore controllo sul riciclaggio del denaro e si procedette al rafforzamento degli apparati repressivi: nacque nel 1982 l'Alto commissariato per la lotta alla mafia e nel 1983 venne istituita una nuova Commissione parlamentare antimafia, che è tuttora in funzione. Tutte queste misure culminarono nel 1986 nel primo maxiprocesso istruito da Giovanni Falcone. Intanto, si era scatenata la violenta offensiva mafiosa contro rappresentanti del governo statale e locale, investigatori e agenti delle forze dell'ordine, giudici, comuni cittadini, chiunque ostacolasse le nuove alleanze politiche e mafiose: nel corso degli anni Ottanta e nei primi anni Novanta furono uccisi, tra gli altri, il deputato democristiano Piersanti Mattarella, il deputato comunista Pio La Torre, il prefetto di Palermo generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il giudice Rocco Chinnici, il giornalista Giuseppe Fava, il giudice Rosario Livatino; infine, con l'omicidio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (1992), i due giudici che con più successo avevano combattuto il fenomeno mafioso, la sfida delle cosche raggiunse il suo apice. Con il cambiamento del clima politico, la mafia inaugurò una serie di atti intimidatori anche nei confronti di rappresentanti del potere locale sospettati di collusione: gli omicidi "eccellenti" del deputato della Democrazia Cristiana Salvo Lima e degli esattori Nino e Ignazio Salvo confermarono quell'intreccio mafia-politica denunciato e indagato proprio da Falcone, la penetrazione cioè delle cosche nei gangli politici, economici, amministrativi, istituzionali non solo nel Mezzogiorno, ma su tutto il territorio nazionale. In seguito, una più stretta cooperazione a livello internazionale con gli organismi anticrimine degli altri paesi e la legislazione sui pentiti (poi sottoposta a revisione, dopo le aspre polemiche che aveva prodotto a livello politico) portarono a buoni risultati, sostenuti anche da una più convinta azione antirepressiva da parte dello stato, con l'istituzione nel 1991 di una Direzione investigativa antimafia (DIA) e di una Direzione nazionale antimafia (DNA), una sorta di superprocura diretta dal 1996 dal procuratore Pier Luigi Vigna. Altrettanto decisiva fu la forte reazione dell'opinione pubblica italiana, e soprattutto siciliana, all'indomani degli omicidi di Falcone e Borsellino. Le rivelazioni dei pentiti, o "collaboratori di giustizia" (tra cui di determinante portata furono quelle dell'ex boss Tommaso Buscetta), e la serrata azione investigativa e giudiziaria da parte di polizia e magistratura - coordinata dal procuratore di Palermo Giancarlo Caselli - hanno condotto negli ultimi anni all'arresto di famosi boss latitanti come Salvatore Riina e Nitto Santapaola. Il fenomeno del "pentitismo", tuttavia, è diventato oggetto di accese polemiche, soprattutto per il rischio di un suo possibile uso strumentale a fini politici. Vedi anche Camorra e 'Ndrangheta.

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