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IL BRIGANTAGGIO E LA QUESTIONE MERIDIONALE

GLI ANARCHICI E LA QUESTIONE MERIDIONALE 1876/77

di: http://www.geocities.com/emayit/anarchismo/

Nell'inverno 1876/77, maturò un nuovo grande progetto insurrezionale. L'idea di una nuova iniziativa insurrezionale era nata fra gli uomini dell'Internazionale presso il Congresso di Berna. In quell'occasione, Cafiero e Malatesta avevano solennemente e pubblicamente dichiarato che: la Federazione italiana crede che il fatto insurrezionale, destinato ad affermare con delle azioni il principio socialista, sia il mezzo di propaganda più efficace ed il solo che, senza ingannare e corrompere le masse, possa penetrare nei più profondi strati sociali ed attrarre le forze vive dell'umanità nella lotta che l'Internazionale sostiene". In questa breve dichiarazione era in effetti teorizzata la cosiddetta "propaganda del fatto", cioè una tecnica che si proponeva di diffondere i principi anarchici non solo attraverso la stampa e la predicazione o il proselitismo spicciolo, ma anche e soprattutto grazie a gesti clamorosi, che per la loro gravità o drammaticità, avessero ripercussioni nell'opinione pubblica attraverso la grande stampa d'informazione e i dibattiti parlamentari, attirassero l'attenzione del grosso pubblico verso gli uomini e le idee dell'Internazionale e svegliassero dal torpore le masse popolari. Questa idea o propaganda a mezzo del fatto, era già apparsa nel Risorgimento italiano, grazie a Mazzini e a Pisacane.

Carlo Pisacane (Napoli 1818 - Sapri 1857) - un giacobino, un socialista, un rivoluzionario, per taluni aspetti un anarchico. Vuole la libertà concreta ed effettiva, dove a ciascuno sono assicurati i mezzi per la sussistenza. La libertà può essere solo socialista e può ottenersi solo con il socialismo. Sostanzialmente, si rivolge soprattutto a Proudhon, nel suo rifiuto dell'autoritarismo e della proprietà privata e nella sua costruzione di una società fondata sull'associazionismo e sulla libertà. Il socialismo di Pisacane è rivoluzionario, non solo, è anarchico. Si dichiara ripetutamente contro il principio di autorità, contro il governo; esige l'abolizione di ogni scala gerarchica fra gli individui, l'eliminazione di ogni diseguaglianza. Il principio di autorità deve essere distrutto, con tutte le sue derivazioni. L'unica prospettiva per il futuro è l'anarchia, e l'umanità troverà in essa la soluzione dei propri problemi, la libertà, il benessere. Viene spontaneo il collegamento fra Pisacane e Bakunin, di cui il primo può considerarsi un precursore. Per Pisacane, come per Bakunin, non è il popolo "più dotto ed incivilito" ma quello più oppresso che darà il segnale della battaglia, e quindi della rivoluzione: cioè l'arretrata popolazione italiana e, in essa, i contadini poverissimi, specie quelli dell'Italia meridionale.

Il terreno prescelto fu non la città ma la campagna e, in tal modo, entrava un elemento nuovo nel piano degli anarchici: i contadini. Pietro Cesare Ciccarelli, uno dei massimi internazionalisti italiani, scriveva ad Amilcare Cipriani: contro i contadini o anche senza i contadini, è possibile un cambiamento politico, ma non la rivoluzione sociale, massime in un paese come l'Italia, in cui l'elemento rurale è in grande maggioranza, ed in cui non esistono ancora che allo stato d'eccezione la grande industria e le grandi agglomerazioni operaie. Il tempo delle Jaqueries non è finito: invece è ora che cominci il tempo della grande Jaquerie dell'epoca moderna, jaquerie che questa volta sarà feconda di risultati perchè il socialismo è venuto a dare coscienza e lumi a questi grandi scoppi dell'ira popolare. Bakunin aveva messo in guardia i suoi amici italiani dall'errore di trascurare l'apporto determinante delle masse contadine, soprattutto meridionali, alla auspicata rivoluzione sociale. C'era poi nella recente storia del mezzogiorno il lungo e sanguinoso episodio del brigantaggio a segnalare quale profonda frattura esistesse ancora fra le plebi delle campagne meridionali e il nuovo stato unitario. Infatti, l'unificazione, anzichè alleviare la miseria e la servitù delle masse rurali meridionali, l'aveva appesantita ulteriormente con nuovo gravami, dalla tassa sul macinato alla leva militare, dalla meccanica estensione di inadeguati ordinamenti amministrativi alla calata dal nord di grossi sciami di funzionari, talvolta voraci o spietati. Del malcontento dei contadini, di cui certo non si facevano interpreti gli uomini della destra nè tantomeno quelli della sinistra, e neppure i seguaci di Mazzini, e che quindi esplodeva spesso in tumulti incoscienti e disordinati nei quali la reazione tentava di inserirsi, di questo malcontento gli anarchici italiani intendevano farsi portavoce con la loro nuova mossa insurrezionale. Non a caso, come zona d'operazione, fu scelto il massiccio del Matese, dove i più pericolosi capibanda del brigantaggio meridionale avevano dato, per anni, filo da torcere alle truppe governative e dove più vivo che altrove era il distacco e il risentimento delle popolazioni locali contro il governo di Roma. Fu il russo Sergio Kravcinskij ad addestrare gli uomini che avrebbero partecipato all'impresa. Fra essi, studenti, calzolai, muratori, sarti, provenienti da ogni dove, ma, soprattutto, Cafiero e Malatesta. Il momento dell'operazione era stato stabilito per la primavera del 1877. Tuttavia, grazie all'opera di un delatore, Salvatore Farina, la polizia era da tempo al corrente di tutto e lasciava fare, col proposito di sorprendere la banda al completo a San Lupo. Il ministro degli Interni Nicotera, al prefetto di Napoli, nel marzo 1877: "lasciare che il movimento si sviluppi senza alcuna difficoltà fino al momento dell'azione e intervenire solo un momento prima di questa, non solo per cogliere in flagranza di reato i cospiratori, ma soprattutto per colpirne il massimo numero e imbastire una speculazione politica sulla vicenda, a onore del governo e della abile quanto sollecita organizzazione di polizia". La prima operazione progettata dalla banda avrebbe dovuto svilupparsi proprio a San Lupo, ma l'intervento impulsivo ed imprudente dei carabinieri, costrinse i cospiratori a cambiare obbiettivo. La banda, capeggiata da Cafiero e Malatesta, si spostò, quindi, verso Letino, paese non ancora presidiato dalla forza pubblica. Letino fu, dunque, la prima sede dell'esperimento rivoluzionario ed entrò così nella storia dell'anarchismo. Il mattino dell'8 aprile, la banda entrò nel paese dispiegando una grande bandiera rossonera, indi si diresse verso il municipio. Qui era riunito il Consiglio comunale. Gli anarchici staccarono immediatamente il ritratto del re Vittorio Emanuele II dal muro, poi proclamarono decaduta la monarchia e la dinastia sabauda. Quindi passarono ad incendiare l'archivio comunale e in particolare i titoli di proprietà e i registri delle tasse. Il grande falò fu acceso sulla pubblica piazza nell'entusiasmo popolare. Cafiero, passò, poi, ad arringare la folla in dialetto: "non più soldati nè prefetti, non più proprietari. Non più servi nè padroni. Le terre in comune, il potere a tutti!". I contadini accolsero con grande entusiasmo le sue parole. Gli italiani erano arrivati con i codici, le tasse, la leva militare il macinato. Ora era arrivata l'Internazionale ed era la fine di tutti quei malanni e di tutti i guai! "Noi qui sottoscritti dichiariamo di aver occupato il municipio di Letino armata mano in nome della Rivoluzione Sociale, oggi 8 aprile 1877. Carlo Cafiero, Errico Malatesta, Pietro Cesare Ceccarelli", ecco la dichiarazione lasciata al segretario comunale. Da Letino, la banda si spostò dirigendosi verso il paese di Gallo, ove si ripeterono le stesse scene. Tuttavia, le truppe regie stringevano d'assedio tutto il massiccio del Matese. Dopo giorni di accerchiamenti e tentativi vani di fuga, il giorno 12, un reparto di bersaglieri e di artiglieri, sorprese la banda e ne catturò quasi tutti i componenti. Dopo la cattura della banda del Matese, ovunque si scatenò la "caccia all'internazionalista". La polizia perse completamente il controllo, compiendo ingiustificati arresti di massa, perquisizioni immotivate, sequestri, e i prefetti di varie città, decretarono lo scioglimento di tutte le sezioni internazionaliste. Il ministro Nicotera, rispondendo alle proteste in Parlamento dei deputati Cavallotti, Bovio e Bertani, definiva gli internazionalisti gente perduta che estorce alla povera gente qualche lira al mese per alimentare i propri vizi, si trincera nel segreto di stato per giustificare il proprio comportamento. Andrea Costa scriveva :"gli avvenimenti del beneventano hanno dato al governo il pretesto per sciogliere l'Internazionale. Dappertutto, dove i socialisti sono numerosi, vi è lo stato d'assedio, ammonizioni, arresti e condanne a domicilio coatto". Sciolta ufficialmente, l'Internazionale si ricostituì in segreto. Firenze ne fu la capitale. Qui si moltiplicarono manifestazioni di massa, tumulti, scontri con la polizia e con la malavita locale. La polizia riuscì, così, a trovare il pretesto per effettuare un vero e proprio arresto di massa, che coinvolse, fra gli altri, Anna Kuliscioff, appena giunta in città. Contro tutti gli arrestati venne imbastito un processo per cospirazione contro la sicurezza interna dello stato, sotto l'imputazione di aver preordinato un movimento rivoluzionario volto a distruggere lo stato e rovesciare il governo attuale per sostituirvi l'anarchia e giungere al comunismo.

IL PROCESSO DI BENEVENTO: Francesco Saverio Merlino

Dal 14 al 25 agosto 1878 si svolse davanti alla Corte d'assise di Benevento il processo contro la banda del Matese. Difendevano gli imputati gli avvocati MERLINO, Nardoneo, Barra e Barricelli. Particolare considerazione merita la presenza a questo processo del Merlino, il più giovane degli avvocato che si preparava a divenire il più strenuo difensore degli insorti. Dopo l'audizione dei testimoni, parlò proprio lui e la sua fu una arringa commossa, coraggiosa ed appassionata : Merlino era già una recluta dell'Internazionale e nelle sue parole si sentì il neofita, il compagno degli imputati. Il processo di Benevento si concluse con una assoluzione. Molte degli imputati assolti presero la via dell'esilio.

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