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SOLOPACA E IL RISORGIMENTO

da: "SOLOPACA" di Alfredo ROMANO - edizioni A.S.M.V. Piedimonte Matese, 1998

Dopo le guerre napoleoniche, i rappresentanti degli Stati si incontrarono a Vienna, per deliberare le nuove sistemazioni di confini e di sovrani. ..... L'Europa uscì dalle deliberazioni del congresso di Vienna simile a quella che era stata prima delle guerre napoleoniche. Lo stesso può dirsi dell'Italia. Col nuovo assetto territoriale essa restò spezzettata in nove Stati: fra questi si ebbe il regno delle Due Sicilie, così denominato per l'unione dell'effettiva Sicilia con il regno di Napoli. Ivi venne restaurata la monarchia borbonica; Ferdinando, che già era stato re di Napoli col nome di Ferdinando IV, poi re di Sicilia col nome dì Ferdinando III, prendeva il titolo di re del regno delle Due Sicilie col nome di Ferdinando I. I solopachesi collaborarono attivamente. col nuovo monarca, fin dal tempo dello stesso congresso di Vienna. Il signor Vincenzo Canelli da Solopaca, d'accordo col sindaco Francesco Ferri, riuscì a formare una legione di uomini, al servizio del re borbonico, comprendente giovani volontari dai 18 ai 25 anni. Questi si unirono, presso la scafa del Volturno, nelle vicinanze di Castel Campagnano, il 20 maggio 1815, alla truppa di Ferdinando IV che scendeva da Piedimonte in direzione di Capua, Napoli e Gaeta, contro Gioacchino Murat. Il giorno seguente giunse la notizia da Napoli che la capitale del regno e Capua si erano arrese all'esercito borbonico. Grande fu l'esultanza della nostra popolazione; tutti i giovani festeggiarono il lieto avvenimento portando all'occhieflo una coccarda rossa. Le truppe del Murat erano state poste disordinatamente in fuga. Il 25 maggio fece ingresso a Napoli Francesco, figlio di Ferdinando I. Pochi giorni dopo, con grande tripudio dei Napoletani, entrò anche il re. Il nuovo regno delle Due Sicilie, nei primi tempi, si trovò ad affrontare non lievi difficoltà di carattere annonario. Anche Solopaca fu interessata alla loro soluzione. Il notaio Giovanni Maria Romanelli così annotava nel suo interessante "Diario", al giorno 3 ottobre 1817: "Ferdinando primo nostro re ha comprato, per mezzo del suo fattore, tomoli cento di grano per semenza da Pasquale Cutillo di Solopaca: li ha fatti trasportare in Napoli da 8 cammelli ponendo su ogni cammello tomoli 12 di detto grano, sebbene detti cammelli, giusta le parole del custode di essi, fossero capaci ciascuno di portare sul dorso sino a tomoli 15 di grano". Pochi anni erano passati dalla restaurazione delle monarchie assolute, decisa dal congresso di Vienna, e già si manifestavano le prime ribellioni. Quei regimi politici, che la Santa Alleanza additava come modelli di buon governo, trovavano opposizione, non soltanto in alcuni nostalgici dei tempi napoleonici, ma anche in molti altri, mossi da ardente passione patriottica o da fede liberale. A Napoli il 2 luglio 1820 scoppiò la rivoluzione e Ferdinando I fu costretto a concedere la Costituzione. I governi della Santa Alleanza dichiararono di intervenire a favore di quel sovrano, contro le rivendicazioni liberali, considerate nocive alla causa della pace e della religione. All'Austria fu affidato dalle altre potenze l'incarico di mandare un esercito a Napoli, per abolire la Costituzione. Il generale Pepe tentò, con le truppe carbonare, di far fronte al forte corpo d'armata austriaco, ma questo, guidato dal Frimont, ebbe la meglio ad Antrodoco ed entrò in Napoli il 23 marzo 1821. Ferdinando I, ritornato nella sua reggia, mutò governo e abrogò la Costituzione, mettendo in atto i tribunali di guerra, contro i maggiori responsabili della ribellione. Per tutto il regno furono emanate severe disposizioni, che proibivano in ogni paese qualsiasi formazione militare. Anche Solopaca, per ordine dell'intendente, fu completamente disarmata. Il sindaco curò personalmente la rigorosa esecuzione del provvedimento. Il 19 giugno 1824 il principe ereditario Francesco, accompagnato dall'Intendente sig. Marchese di S. Agapito, da quello di Campobasso e da vari cavalieri, proveniente dal Molise, passò con lo "scafone" fl fiume Calore presso Solopaca. La notizia del suo arrivo, come un lampo, si era già precedentemente diffusa in paese. Tutte le autorità, i galantuomini, il clero e una considerevole calca di popolo, fin dalle prime ore del mattino, si recarono, tripudianti, sul luogo designato, per assistere al passaggio dell'augusto personaggio. Alle ore 20, dopo una lunga attesa, preceduto da un drappello di soldati a cavallo, arrivò S. A. Reale il Principe, il quale volle a piedi portarsi sullo "scafone" e giungere, al di qua del fiume, sulla strada regia. La folla di solopachesi, ai quali si erano uniti molti altri abitanti dei paesi circonvicini, con scroscianti applausi e voci di gioia, salutò il giovane principe, che volentieri si fermò a parlare e ad ascoltare chiunque, trattenendosi per quasi un quarto d'ora. La carrozza reale ripartì alla volta di Napoli, fra le ovazioni generali. Stralciamo ora le altre notizie del tempo dal già citato "Diario" del notaio Romanelli:

"Addì 4 gennaio 1825: alle ore 7, il nostro re Ferdinando I di morte improvvisa, è passato a miglior vita; immediatamente è succeduto al trono suo figlio Francesco I. Costui, con nostra consolazione, ha nominato il suo unico germano, Leopoldo, tenente generale d'armata. Il nuovo sovrano ha ordinato due mesi di lutto".

"Addì 8 novembre 1830: Francesco I, re di Napoli, è passato a miglior vita, dopo diversi giorni di malattia".

"Addì 9 novembre 1830: Ferdinando II suo figlio ha preso la firma di re".

"Addì 30 novembre 1830: è morto Pio VIII".

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FERDINANDO II

da: "SOLOPACA" di Alfredo ROMANO - edizioni A.S.M.V. Piedimonte Matese, 1998

La figura di Ferdinando II è particolarmente legata alla storia della nostra Terra, in quanto sotto di lui fu realizzato, sul fiume Calore, il ponte pensile, che fu insignito del nome della sua consorte, la regina Maria Cristina di Savoia. Il monarca, salito al trono appena ventenne, nel 1830, a differenza dei suoi predecessori, anche se di scarsa cultura e un pò volgare di carattere, era energico, onesto e molto attivo. In politica interna dirigeva personalmente gli affari, portandosi con facilità da una parte all'altra del regno, per rendersi più direttamente conto dei problemi e delle condizioni della popolazione. La prima volta che i solopachesi ebbero l'occasione di vedere e di applaudire il giovane sovrano fu il 12 settembre 1832, quando, verso mezzogiorno, Ferdinando II, portandosi a Campobasso, passò per la strada regia (l'attuale via Bebiana). Il re fu sensibile alle ovazioni della numerosa folla, accorsa per la circostanza, e con piacere si trattenne in carrozza, con i galantuomini e la gente umile del paese, presso il ponte delle Caldaie. Un plotone di gendarmi a cavallo faceva la scorta all'augusto personaggio. ....... Una delle principali cure del sovrano fu quella rivolta all'esercito, nella cui salda efficienza erano riposte la sicurezza e la tranquillità dello Stato. Le frequenti esercitazioni dei soldati contribuivano alla solida organizzazione militare. Anche Solopaca non fu estranea a queste operazioni di addestramento. Il 5 ottobre 1844, nelle prime ore della sera, venne da Caserta a Solopaca in casa del sindaco don Carlo Abbamondi, il sig. Intendente di Terra di Lavoro, per prendere accordi circa la preparazione delle manovre militari che, per disposizione del re Ferdinando, dovevano svolgersi nella nostra zona. Per la circostanza l'Amministrazione Comunale dovette approntare cinque vacche da macellarsi per la truppa. Tutte le stanze a pian terreno delle case furono rese disponibili per l'alloggio dei soldati; il pavimento fu ricoperto di abbondanti foglie. Furono requisite anche cinque mete di paglia. Gli ufficiali vennero ospitati presso le famiglie più ragguardevoli. La sera del 7 ottobre giunsero in paese tremila uomini. La cavalleria si sistemò nelle varie osterie del tenimento. Oltre il contingente di militari, che stanziò a Solopaca, per la via regia passarono nei giorni seguenti altre truppe nella direzione di Guardia Sanfrarnondi, S. Lupo e Morcone. Anche nei comuni di Frasso Telesino e di Melizzano furono allogati numerosi soldati. Il re, anche se per breve tempo e in forma privata, ogni giorno, si portava da una località all'altra, rendendosi personalmente conto dello svolgimento delle varie operazioni militari. Giornata certamente memorabile per i solopachesi resterà quella dell'11 ottobre 1844. Alle ore 11,45, passò per la strada nuova donna Teresa Maria Cristina, augusta consorte di Ferdinando II, che da Napoli si recava a Campobasso. La carrozza della regina, alla cui sinistra sedeva suo figlio Roberto Luigi e di fronte c'erano il duca d'Ascoli e la moglie, si fermò davanti alla taverna del duca di Solopaca, per il cambio di quattro cavalli, che stavano ivi in attesa dall'alba. In quel luogo si erano portati anche il sig. Intendente di Terra di Lavoro, il sindaco e il regio giudice di Solopaca, molti galantuomini e una vasta. rappresentanza di cittadini. Alla gentile sovrana furono offerti rosoli, gelati e dolci, che aveva fatto espressamente preparare il sig. sindaco. La regina assaggiò soltanto un gelato; prese poi alcuni biscotti e li passò a suo figlio. Quattro donzelle, accompagnate dal giudice, si presentarono in costumi paesani e offrirono afla sovrana quattro mazzolini di fiori; esse furono Cristina e Angela Gaudino di Luigi, Martina Fasano di Michele e Maria Giuseppa Tammaro di Angelo. L'augusta signora gradì molto il gentile omaggio, si compiacque degli eleganti e caratteristici vestiti e si fece baciare la mano dalle fanciulle. Poi ascoltò con attenzione i brevissimi discorsi di occasione del sig. Intendente e del sindaco, i quali, alla fine, accompagnarono il regale personaggio per un buon tratto di strada, verso Guardia Sanframondi. Il fermento di idee, maturate nella prima metà del secolo XIX, e lo spirito attivo di ribellione, che la rivoluzione francese e l'epopea napoleonica avevano recato ai popoli, dovevano necessariamente produrre fatti eccezionali, destinati a dare un nuovo volto alla politica italiana e a quella europea. Nel 1846 era stato eletto papa il cardinale Giovanni Mastai Ferretti, che aveva assunto il nome di Pio IX. Il nuovo pontefice elargì un'amnistia ai prigionieri politici del suo Stato e fece predispone da nuovi ministri una serie di riforme. Si gridava in tutte le piazze d'italia: "Viva Pio IX", come se ciò equivalesse a "Viva l'italia", o addirittura a "Abbasso l'Austria". Una prima importante conseguenza dell'atteggiamento del papa fu che alcuni sovrani d'Italia si sentirono indotti a mutare la loro politica. Era ormai inevitabile arrivare al sistema costituzionale, onde incanalare la nuova situazione. A questo si giunse nel 1848 e l'iniziativa partì dall'Italia meridionale. Ferdinando II non aveva partecipato all'esaltazione per Pio IX ed aveva cercato d'appartarsi. Più profonda, per questo motivo, era diventata l'avversione al suo regime e alla dinastia ed era aumentato l'odio antiborbonico della Sicilia, che si considerava sottoposta a dominazione straniera. Il primo settembre 1847 insorse Messina; il moto ben presto si propagò sull'altra sponda. Ferdinando II represse sanguinosamente l'insurrezione, facendo bombardare la città dai forti e dalle navi. Il 30 gennaio le truppe borboniche furono però costrette ad allontanarsi dall'isola. Il 10 febbraio fu concessa la Costituzione sul modello di quella francese del 1830. Così il più reazionario dei sovrani d'Italia venne acclamato in tutta la penisola come il più liberale. Grande fu l'entusiasmo dei sudditi. Anche Solopaca volle festeggiare l'avvenimento. Il 20 febbraio di quell'anno tutti i galantuomini del paese presero parte, nella tarda serata, all'imponente corteo, preceduto dalla banda musicale e formato da una grande folla di cittadini, con nastrini costituzionali all'occhiello, i quali gridavano: "Viva il Re! Viva la Costituzione!". La mattina si era cantato solennemente, nella chiesa Ricettizia, il Te Deum, alla presenza del popolo e delle autorità locali. Interessante è la cronaca del giuramento del re a Napoli, che stralciamo dal "Diario" del notaio Romanelli:

"Addì 24 febbraio 1848: Il nostro re, celebrandosi la Messa cantata nella Chiesa di S. Francesco Di Paola in Napoli, sita dirimperto al Palazzo Reale, terminato il Vangelo, giurò la Costituzione. Prima che Ferdinando uscisse dal Palazzo Reale, per andare a prestare tale giuramento, si era altata la bandiera sul Palazzo Reale ed immediatamente aveva avuto seguito un nutrito sparo di cannoni dai vari castelli di Napoli e da molti legni sui mare. All'elevazione dell'Ostia, in detta Messa fu ripetuto lo stesso sparo, al ritorno del re alla reggia, dopo la funzione, ebbe luogo lo sparo per la terza volta. Avanti a Palazzo Reale, in quel giorno, si trovavano innumerevoli soldati Ussari e dell'esercito napoletano. Dopo che il re ebbe giurato, giurarono, sempre nella stessa Chiesa, anche i principi reali, i ministri e i generali... ".

Il rito del giuramento a Solopaea si svolse l'11 marzo 1848. L'aiutante Langellotti, che comandava la gendarmeria a cavallo del paese, radunati i suoi uomini, in numero di 16, li condusse avanti alla Chiesa Madre. Fattili disporre in due file, li fece giurare, in posizione di attenti, e gridare ad alta voce: "Viva il Re! Viva la Costituzione! Viva Solopaca!".

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STEFANO CUSANI UN ILLUSTRE SOLOPACHESE

da: "SOLOPACA" di Alfredo ROMANO - edizioni A.S.M.V. Piedimonte Matese, 1998

Si impone a questo punto, prima di parlare dei fatti del 1860, in cui anche il nostro paese svolgerà il suo ruolo di attore, la necessità di rievocare, anche se sommariamente, in quanto la sua importanza merita di essere trattata a parte, sotto diverso aspetto e più ampiamente, la figura di un autentico figlio di Solopaca che, specie dopo il tempo della Restaurazione, ha dato il suo prezioso contributo alla causa della nuova e più grande Italia: Stefano Cusani. Il grande filosofo e letterato, nella sua breve esistenza (1815-1846), trascorse i suoi migliori anni appunto in Napoli, la grande metropoli della cultura e del liberalismo. Egli appartiene in maniera decisa, con i suoi numerosi scritti, pubblicati nelle più accreditate riviste del tempo, alla corrente filosofica dello Spiritualismo, che è la caratteristica del Romanticismo Italiano, Da giovanissimo, si iscrisse alla Giovine Italia e nella capitale del regno fu sempre il più ardente fra i patrioti. Insieme con altri studiosi del tempo, con l'Imbriani, il De Cesare, il Poerio, il De Sanctis, lo Spaventa, il Settembrini, ecc., preparò e cooperò con efficacia al movimento del 1848, che poi non poté vedere. Le loro dotte conversazioni, come quelle che in Firenze teneva Giampiero Vieusseux nel suo Gabinetto scientifico-letterario, erano delle vere "officine di guerra" ed avevano una tinta liberale. Nei frequenti incontri, che avvenivano ora in questa, ora in quella casa, i convenuti, dalle discussioni di carattere scientifico e letterario, passavano volentieri e facilmente a trattare argomenti politici, congiurando, facendo propaganda e organizzando la rivoluzione. Fu precisamente presso la famiglia De Cesare che don Stefano conobbe anche il bergamasco Giovanni Colleoni, scrittore tutto entusiasta delle glorie d'Italia, e incontrò Giuseppe Giusti, nell'aprile 1844, il Melloni, esule politico da Parma, e tanti altri personaggi illustri. Quello stare insieme era tutto di sapore ghibellino e di sapore italiano. In quel tempo ebbe luogo in Italia anche un vasto movimento culturale con interessanti manifestazioni in campo filosofico, storico, letterario, scientifico, artistico, attraverso i congressi degli scienziati italiani, ove accorrevano gli uomini colti da ogni parte d'Italia. In quei convegni, inoffensivi in apparenza, molti spiriti eletti italiani, insofferenti dell'assolutismo nei loro paesi, formavano una comunione spirituale contro lo smembramento d'Italia e il dispotismo dei sovrani. Il nostro eminente concittadino con entusiasmo aderì al settimo congresso che, nell'ottobre 1845, Napoli ebbe la ventura di ospitare nei locali della Regia Università. Il suo animo doveva certamente godere delle notturne adunanze segrete tra quegli uomini di alta cultura che avevano a cuore le sorti d'Italia e ne preparavano la sospirata riscossa. Nella sezione tecnologica, parlò un giorno con tanto calore, che da tutta la persona - riferisce il suo discepolo Giella - "grondava onorato sudore", che gli si asciugò addosso. Di qui gli venne la morte. Era il 5 gennaio 1846. Durante la prima e la seconda guerra di indipendenza non si riscontrano in Solopaca fatti degni di cronaca, in riferimento a quegli storici avvenimenti. La ragione si può facilmente intuire, in quanto lo Stato più direttamente interessato alla lotta contro l'Austria era quello di Sardegna, la cui politica era principalmente piemontese. Difatti Carlo Alberto era entrato in guerra il 23 marzo 1848, appena dopo le cinque giornate di Milano, senza consultare gli altri sovrani d'italia, mettendo anzi gli altri Principi di fronte al fatto compiuto. Questi d'altra parte, partecipando, temevano di fare il gioco del re sabaudo; cedendo però, in seguito, all'impeto popolare, lasciarono partecipare alla guerra solo corpi di volontari, senza alcun carattere di ufficialità. Il reame di Napoli e di Sicilia partecipò all'impresa con 15.000 uomini. Ma, a guerra già inoltrata, la situazione nell'Italia meridionale era peggiorata. Il 18 aprile 1848 il parlamento siciliano decretò la decadenza dei Borboni dal regno di Sicilia. Anche nel napoletano, promotori Silvio Spaventa e Luigi Settembrini, ebbero luogo violente manifestazioni antiborboniche. Il governo richiamò allora l'esercito dal Po, per far fronte alla grave situazione. Tale decisione, come quella del Papa, in seguito alla allocuzione del 29 aprile 1848, nocque però alla causa italiana. Infatti la guerra contro l'Austria si concluse con la clamorosa disfatta di Novara. Anche la II guerra di indipendenza, dopo il decennio di preparazione abilmente curato dal grande Cavour, che era riuscito ad ottenere l'alleanza di Napoleone III, ebbe il principale protagonista in Vittorio Emanuele II, re di Sardegna, i cui interessi dinastici coincidevano con quelli della causa nazionale. La politica del Cavour era prevalentemente piemontese. Addirittura nei patti di Plombières (1858) si era stabilito, fra l'esperto "tessitore" e l'imperatore dei francesi, che, a guerra finita, l'Italia settentrionale sarebbe stata posta sotto il dominio dei Savoia, Roma e Lazio sarebbero rimasti al Papa, l'Italia centrale sarebbe andata a Gerolamo Bonaparte e il regno delle Due Sicilie sarebbe passato a Luciano Murat, con la scacciata dei Borboni. Il Cavour, pur di estromettere l'Austria dal Lombardo-Veneto e facilitare l'espansione dello stato sabaudo, si era indotto ad accettare le condizioni dettate dalla Francia. Francesco II, successo sul trono di Napoli al padre Ferdinando II, doveva perciò sentirsi completamente estraneo, se non ostile, alla nuova impresa del re del Piemonte; anche le nostre popolazioni quindi risentivano di tale disinteresse. Solamente nel 1860 il regno delle Due Sicilie ritornò alla ribalta degli avvenimenti politici.

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Relazioni stralcio del Regio Giudice di Solopaca

(1852 - 1858)

da: "SOLOPACA" di Alfredo ROMANO - edizioni A.S.M.V. Piedimonte Matese, 1998

Riteniamo utile riportare, per la storia di questo periodo risorgimentale, le relazioni, inviate dal regio giudice di Solopaca al ministro di Polizia a Napoli, intorno all'atteggiamento morale e politico dei cittadini, nel circondario e in paese. In data 2 marzo 1852, il regio giudice Andrea De Leone, così scriveva:

"Signore. Sull'andamenro dello spirito pubblico negli scorsi giorni, ho avuto a notare: essere corse parecchie dicerie intorno alla pretesa modificazione del Ministero. Dicevasi prossimo a pubblicarsi un decreto che aboliva lo Statuto del 1848; sarebbesi la gendarmeria riorganizzata: e, costituito il Ministero, sarebbesi ottenuta una sovrana indulgenza per fatti politici. Queste voci, venute da Napoli, mi spinsero ad indagare qual effetto avessero prodotto, ed usando dei mezzi di polizia ho avuto ragione di notare che i compromessi desideravano le cose preconizzate, nella speranza che la loro condizione si fosse fatta migliore, con essere dalla sorveglianza francati. Del resto, nessuna osservazione, nessuna censura, che anzi tutti sonosi mostrati fiduciosi nell'animo benevolo del nostro adorato sovrano (D. G.), il cui nome non è stato profferito che per magnificarlo. La M.S. ebbe una ripruova specchiata dello spirito pubblico di questi miei amministrati, allorquando nel dì 9 p.p. mese, si degnò onorare di Sua Reale presenza il ruinato ponte Cristina. Fin dall'alba erano in quel punto assembrati quanti galantuomini ha Solopaca, i quali con me, col clero e con le autorità tutte, anelavano al momento di bearsi nella vista del loro sospirato Monarca. Alle tre pomeridiane giungeva la real carrozza e fu ricevuta col grido unanime di Viva il Re, grido che fu più volte ripetuto, specialmente quando la M.S. piegavasi con la sua rara benignità a permettere che le si fosse baciata la mano, che le si umiliassero suppliche e che gli indigenti (erano pochi e non di Solopaca) avessero fruito di Sua Reale munificenza. La carrozza partiva accompagnata da mille benedizioni e grida di gioia, e di tratto in tratto incontrava drappelli di guardia urbana allogati lungo la via, che facevano echeggiar l'aria del grido più volte ripetuto di "Viva il Re". Non è a dire poi, come fosse stata ricevuta in Solopaca la novella che la M.S. aveva ordinato ricostruirsi il ponte. Un paese, cui la clemenza sovrana ridonava la consolare da altri Comuni controvertita, doveva ripetere dalla M.S., direi quasi, la vita, e valutato l'immenso beneficio, unisono fu l'accordo degli animi nell'implorare sul capo dell'Augusto Monarca tutte le celesti benedizioni. Le altre categorie non han dato ad osservare".

Il 28 febbraio 1857, il regio giudice Federico Cinque comunicava:

"Lo spirito pubblico di questo circondano continua nel suo regolar corso e gli attendibili politici vivono rassegnati e silenziosi. Ma io non perciò rimetto di zelo e di sorveglianza, essendo persuaso che benché l'apparenza di questa mala genia sia di gatta morta, nell'interno serbano la mente torbida e l'animo pieno di male umore contro il governo; e sarebbero capaci di prorompere ed insorgere in ogni appiglio e in ogni occasione. Con ciò intendo parlare degli attendibili tutti in generale".

Il 31 maggio 1857, lo stesso giudice informava:

"Lo spirito pubblico di questo circondano continua regolarmente e gli attendibili politici vivono in silenzio cupo e riservato, e credo sempre più fervidi interessamenti nelle loro speranze ed utopie. Specchietto dei reati. Aprile: Misfatti, 2; delitti, 10; contravvenzioni, 2. Maggio: Misfatti, 1; delitti, 9; contravvenzioni, 2."

Il30 gennaio 1858, il Cinque riconfermava:

"Le trascrivo al solito il rapporto sullo spirito pubblico per questo spirante mese di gennaio: 1) Opinioni politiche: silenzio sempre, e questo silenzio secondo io penso è segno di mestizia e di crepacuore nei ribelli. E' il riposo di Etna della diabolica ed infernale demagogia che lavora instancabilmente nei suoi recessi del pensiero per tendere inosservatamente quando che sia gli strati, il veleno, la morte! 2) Condotta dei passati compromessi: silenziosi e mesti, ma è il silenzio dei vulcani. 3) Voci sull'andamento del governo: lo stesso silenzio. 4) Sentimenti preponderanti verso il Real Governo: tranne i settari che non parlano che col silenzio, i buoni ne vivono devoti e contenti".

Il 22 agosto 1858, ancora il giudice Cinque, a questo proposito:

"Apparentemente sono qui favorevoli al governo, ma chi può conoscere quello che ciascuno serba internamente?"

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