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DEPOSIZIONE DI FRANCESCO DE FIGLIO DI GINESTRA LA MONTAGNA

di: E. SPAGNUOLO - da: "Cospirazioni antisabaude e soldati sbandati nel circondario di Montefusco" , 2001

 

........ [...] ...... Per comprendere l'ampiezza e la pericolosità della cospirazione che si tentò di realizzare in quei mesi nel circondano di Montefusco risulta di fondamentale importanza la lunghissima deposizione di un tal Francesco De Figlio di Ginestra la Montagna [San Giorgio del Sannio], la cui veridicità risulta suffragata da molti altri elementi. In essa il testimone così si esprime: [...] in Ottobre ultimo [l860] ritornai in Ginestra la Montagna mia patria reduce dall'attacco d'Isernia al quale presi parte come soldato borbonico (1). Dopo qualche giorno fui avvicinato dal paesano D. Remigio Fucci (2) il quale mi premurò ad unirmi seco lui per far gente, e disarmare i diversi vicini Posti di Guardia Nazionale (3), e quindi divenirsi al sacco, e fuoco per favorire Francesco Secondo il quale se non tornava oggi, tornava dimane, mentre circa quaranta persone di Ginestra atte alle armi erano già pronte per l'oggetto tra le quali spiegò Francesco e Giuseppe Boniello, Emmanuele Boniello, Ferdinando Fucci, Michelangelo Fucci, Tommaso Chiavelli, Domenico Fonzo di Antonio, Domenico e Gaetano Taranto, ed Antonio Festa alias Pizzolone di Ginestra. Tale spiega d'individui mi venne fatta dal Fucci nei diversi discorsi con me tenuti sulla reazione a farsi [...]. Erano al par di me soldati borbonici sbandati Aquilante Fonzo di Giovanni di qui, e Francesco Senno alias Malomo di Sannazaro, coi quali per insinuazione del detto D. Remigio Fucci verso la fine di Ottobre predetto mi portai da D. Leopoldo Zampetti (4) di Montefusco realista borbonico per aver da costui danaro e quindi raccoglierci nel bosco di Prata con altri soldati borbonici come diceva specialmente Aquilante Fonzo che erasi ivi portato. Giunti in casa Zampetti questi alla nostra richiesta ci diè dodici carlini per allora, insinuandoci andare nel citato bosco di Prata per quindi riunirsi cogli altri soldati sbandati che si trovavano nel bosco di Montemiletto, e nell'altro di Vitulano, mentre dopo essersi tutti riuniti avrebbero ottenuto doppio premio, scrivendo egli il Zampetti, in Capua, e di là veniva il Generale Bosco a rilevarli con altra truppa per così ristabilirsi Francesco Secondo in Trono. Ci portammo perciò nel citato bosco di Prata, ove mi avvidi che circa cento di soldati sbandati erano dispersi per quei dintorni, ed Aquilante Fonzo discorse con cinque di essi a me ignoti, insinuandoli a raccogliersi, mentre egli conosceva gli altri di S. Giorgio la Montagna i quali si sarebbero egualmente prestati (5). Lo stesso Fonzo espresse che anche Felice Lardieri di qui soldato borbonico restava nel vicino comune di Torrioni dalla sua innamorata, pronto a seguirci (6). Ritornavamo a Montefusco dal detto Zampetti al quale Fonzo cercò danaro per gli altri che nel bosco restavano, ma Zampetti null'altro volle dare, e solo diceva che quando si sarebbero uniti tutti, allora avrebbe cacciato il danaro, mentre Francesco Secondo si poteva mettere in Trono per la sola opera dei soldati sbandati. Intanto Zampetti ci premurò portarsi dal cognato D. Domenico Soricelli di Sannazzaro a chieder danaro nella somma di trenta in quaranta ducati pel nostro sostentamento e degli altri che restavano nel bosco, perché facilmente li avremmo avuti. Giunti in Sannazzaro, mi portai solo dal Soricelli che nulla mi diè, perlocché ne parlai a' citati Fonzo, e Senno, e tutti e tre portammo la risposta negativa a Zampetti il quale scrisse che avrebbe lui scritto al Soricelli sull'oggetto (7). Questo passo della deposizione chiarisce il piano cospirativo che mirava ad una concentrazione di soldati sbandati ai vertici del triangolo territoriale costituito da Prata, Montemiletto e Vitulano, e al successivo sopraggiungere di un ufficiale dell'esercito, al fine di guidare una reazione di vaste proporzioni. Quest'affare, al di là della sua effettiva consistenza, ha una notevole rilevanza, perché induce a ritenere che D. Domenico Zampetti voleva ricercare collegamenti con i fuoriusciti di Montemiletto. Ci spingiamo a congetturare che l'arresto di Zampetti nel mese di febbraio abbia eliminato un possibile collegamento tra i rivoltosi di Montemiletto e quelli di Prata, San Giorgio e forse Tufo. Se da un lato una tale collaborazione avrebbe potuto aprire una prospettiva di grande rilevanza, dall'altra è facile capire che proprio l'arresto del notabile di Montefusco impedì di coinvolgere i montemilettesi e soprattutto i montefalcionesi in un piano suggestivo, ma chiaramente velleitario (8). Nei fatti l'arresto di Zampetti trasferì definitivamente e completamente, in tutto il circondano, la direzione della cospirazione antisabauda a Montefalcione, troncando, forse, ogni possibilità di contatto tra i due schieramenti disseminati ad oriente e ad occidente di Montefusco. Gli "occidentali", tranne l'eccezione dei soldati sbandati accampati presso Tufo, non avrebbero combinato nulla di concreto, mentre gli "orientali", diretti da capi di grande prestigio, avrebbero fatto realmente tremare le istituzioni del capoluogo irpino. La vicenda nebulosa dei cospiratori del circondano di Montefusco è comunque di notevole interesse, perché dimostra come anche questo versante, sulla carta particolarmente sicuro per il potere sabaudo, avrebbe potuto offrire dei saldi punti di riferimento agli insorti di Montefalcione, se questi avessero avuto il tempo di proiettarsi verso Montefusco, come era nei loro piani (9). Ritornando a D. Leopoldo Zampetti, c'è infine il dubbio se questi avesse ricevuto un effettivo assenso da parte dì ufficiali dell'esercito borbonico al suo programma. Fatto sta che se la concentrazione di un notevole numero di soldati sbandati nelle campagne di Prata, Montemiletto e Vitulano è ampiamente documentata, non si hanno notizie di reparti o ufficiali dell'esercito accorsi a dare il loro appoggio al piano. Quanto poi a quel che accadde a Vitulano ci dà alcune illuminanti informazioni MARIO D'AGOSTINO: "In quegli stessi giorni, infine, a Vitulano si era radunato un gruppo di persone che, dopo aver atteso inutilmente, in un luogo prestabilito, l'arrivo di un non meglio specificato generale borbonico alla testa di molte centinaia di uomini, si era sciolto pacificamente senza provocare nessun incidente" (10). La corrispondenza tra questa notizia riportata dallo storico sannita e la deposizione di Francesco de Figlio è impressionante. D'altra parte il D'Agostino segnala il raduno a Vitulano agli inizi di agosto 1861, molti mesi dopo l'ideazione del piano. Appare dunque comprensibile il dissolversi della concentrazione di Vitulano dopo una così lunga, inutile attesa...... [...] Così continua Francesco De Figlio: "in esito di tutto ciò, e poiché noi tre ci eravamo presentati a nome di D. Remigio Fucci, esso Zampetti disse che il Fucci medesimo dovea scrivere una supplica per dimandare la carta bianca a Francesco Secondo in Capua, e che noi dovevamo colà portarla, e che poi nel ritorno si sarebbe operato. In effetti palesatosi il tutto al ridetto Fucci, costui nel giorno trentuno del ripetuto Ottobre nella propria casa, ed in presenza mia, e dei detti Fonzo, e Senno scrisse la supplica - carcata bona, e ben fàtta - colla quale si diceva a Francesco Borbone che questa popolazione era pronta per lui, che si voleva la carta bianca per la reazione, designandosi le famiglie dei Signori Bocchini (11), La Monica, di Paolo Cozza, Giovanni Lanzotti, e Riola di qui; quelle de' Signori Rainone, e Cerza di S.Martino A.G.P. [ave grazia plena] come liberali, e che si dovevano massacrare. In detta supplica si era scritto pure

Vi prego Sua Maestà

Mandate la carta bianca

Vui faciti da lloco

E nui facimmo da quà.

Terminata la supplica, a cura dello scrittore Fucci fu situata nella parte anteriore del gilè indossato da Aquilante Fonzo, e cucita in modo da essere impossibile sorprendersi. Nel mattino di Ognissanti, primo Novembre, ci partimmo tutti, e tre, cioè coi surriferiti Fonzo, e Senno per Capua, ma in quelle vicinanze si trovò il cordone delle truppe di Garibaldi, e non si poté passare oltre, anche perché si faceva gran fuoco. Costretti però a ritornare, riferimmo il tutto al Fucci, il quale dispiaciutosi del mal'esito della cosa, ritirandosi la supplica, ci avverti a nulla dire (12). Si fu allora che lo stesso Fucci pensò di formare la carta bianca su di una cinque grana in rame di Francesco Secondo per mostrarla al pubblico ond'essere seguito dalla popolazione nel giorno della reazione. Che allora portandosi da questi Monaci Riformati si avrebbero fatto dare del danaro, altrimenti sarebbero stati cacciati dal Monastero. Che altro danaro sarebbe stato richiesto alle Monache di qui, e che se Domenico Boniello di Ginestra non li avrebbe seguiti sarebbe stato anche ucciso (13) ..... [...] In altri posteriori discorsi da me tenuti col Fucci, costui non ha mancato dirmi, senza esservi altri presenti, che occorrendo danaro (14) si sarebbe sborsato da questo Vincenzo la Nunziante alias la Volpe, e Camillo Capozzi, e che costoro col ripetuto D. Leopoldo Zampetti, e Don Felice Brancario di S.Martino A.G.P., con lui ancora, erano i capi ella reazione, ed in effetti esso Fucci spesso si portava dallo Zampetti in Montefusco come io avea occasione di osservare, e lo stesso Fucci lo confessava. Per di costui intrico richiesi Giuseppe Fonzo di Ginestra per la reazione medesima, ma costui si negò (15). Essendo stato arrestato D. Leopoldo Zampetti, esso Fucci non ha mancato manifestarmi che si doveva dipendere da D. Felice Brancario di S.Martino, sul conto del quale però nulla conosco, mentre la bandiera si formava di un lenzuolo fino bianco con l'impresa in mezzo che subito si sarebbe fatta (16). ...... [...] Dopo la caduta di Capua, e Gaeta non si è mancato sperare nella stessa reazione restando uniti in confabulazione D. Remigio Fucci, Domenico Fonzo, Gaetano e Domenico Taranto, e Tommaso Chiavelli nella costui casa, tantochè giorni sono passando per dinanti la casa di Chiavelli fui fermato dai suddetti, e Fucci mi disse di non andare lavorando, ma riposarmi perché fra giorni sarebbe venuto Francesco Secondo (17). Il suddetto Camillo Capozzi di qui sempre, e quando mi ha scontrato mi ha detto - tu stai pronto? avimo ajutà Francesco secondo che ci è padre, perché chi ci vattea (battezza) ci è compare -. Nel mattino del Giovedì in Albis ultimo (quattro corrente aprile) mi portai nel mulino del soprannominato Frecchillo poco lungi questo abitato per sframentar cereali, e nel ritorno scontrai verso colà il Capozzi, e D. Remigio Fucci in segreto colloquio i quali mi fermarono, e nei ritenermi loro dipendente per la reazione, il Fucci mi premurò ad avisare per l'oggetto Emmanuele Boniello di Ginestra, ciò che non ho fatto. Fucci disse a Camillo Capozzi - ca a la Ginestra sono una quarantina che sanno maneggià l'arma, pensa tu pure loco mò -. Capozzi disse - pe quà me la vedo io - (18), e rivoltosi a me replicò - fatica, e statti pronto, e non t'allontanà a luongo, perché appena che mette pede Francisco ci riunimo -. Parlando poi essi Capozzi e Fucci dicevano che la riunione della gente dovea farsi nel vallone tra S. Giacomo, e S. Martino A.G.P. [vedere cartina]compartendosi la gente metà a S. Giorgio, e metà a S. Martino disarmando prima i posti di guardia di tali paesi, e poi andare in Sannazzaro pel sacco nelle case di D. Domenico Soricelli, ed Arciprete Conte uccidendoli. Che ciò dovea aver luogo a' venticinque di questo mese, mentre nella sera degli otto si dovea fare il conteggio della gente al detto luogo, ciò che poi non è avvenuto, e ne ignoro il perché. Dicevano pure che nel giorno ventisette Aprile tutto dovea esser terminato, venendo la truppa da Manfredonia (19), e che tale particolarità si sarebbe saputa dai trainanti che provvenivano di là passando per la strada nuova di Dentecane. Altro non dissero, ed io mi allontanai, restituendomi in casa ". .........

 

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NOTE

(1) Molto probabilmente si riferisce all'occupazione di Isernia del 5 ottobre da parte "di una forte colonna di regolari borbonici, fiancheggiata da migliaia di contadini in armi".

(2) D. Remigio Fucci, sottocapo urbano del passato governo, "era oltremodo ligio al medesimo" (Archivio di Stato di Avellino).

(3) già il precedente 21 luglio la Guardia Nazionale di San Giorgio la Montagna era stata assalita da una folla tumultante (cfr. A. SALADINO, Il tramonto di una capitale: Napoli e la Campania nella crisi finale della monarchia borbonica, in Archivio storico per le province napoletane, 1961).

(4) Nel mese di febbraio 1861 fu scoperta a Pietradefusi una cospirazione che, secondo tutte le testimonianze raccolte facevano capo ad un proprietario di Montefusco D. Leopoldo Zampetti. ..... Sul suo conto si raccolsero una serie notevole di deposizioni tutte sostanzialmente convergenti ..... sull'attività cospirativa i liberali del luogo non seppero dir nulla di positivo. .... il 5 settembre 1860 D. leopoldo Zampetti si era fatto notare per aver donato il suo cavallo bardato alla colonna dei settari che passò per le campagne di Montefusco, diretto ad Ariano. Dopo il 7 settembre Zampetti diede aperte dimostrazioni di adesione al nuovo governo, votando al plebiscito e partecipando a tutte le manifestazioni dei sabaudi...... Il suo curriculum vitae ed il tenore di tutte le deposizioni inducono a ritenere che D. Leopoldo fu indotto a cospirare contro il regime sabaudo dall'ambizione, mortificata dalla nuova cricca di potere, piuttosto che da convincimenti politici o morali. Anche nel 1849, d'altra parte, si era piegato a favore del governo con una scelta opportunistica. Durante la sua funzione di capo urbano ebbe però l'accortezza di non inimicarsi i suoi vecchi amici di setta. Agli albori del nuovo governo tentò, infine, di accreditarsi platealmente come favorevole alla dittatura di Garibaldi. Vistosi però escluso dalla nuova cerchia di potere che si era stabilita a Montefusco tentò allora la carta della cospirazione politica filoborbonica, nella convinzione, in caso di buon esito, di raccoglierne grossi vantaggi. Questa scelta di campo comportava comunque dei gravi rischi; se un personaggio come Zampetti, che, a quanto pare, mirava solo a perseguire interessi personali, si era spinto a tanto vuol dire che in quei primi mesi di vita il nuovo governo non godeva certo di grande credibilità.

(5) Della permanenza dei tre nei pressi di Prata abbiamo una diretta testimonianza. Una tal Gelsomina De Vito, residente in una campagna del tenimento di Tufo depose: "[...] nel mese di Settembre ultimo, se mal non ricordo, si presentarono in mia casa tre individui che si annunziarono per Aquilante Fonzo e certo Felice di qui, e Francesco Senno di Sannazzaro che mi chiesero del pane essendo soldati borbonici sbandati perlocché andavano fuggiaschi [...] diedi loro del pane e del pane e del formaggio [...]. I precisati individui tornarono per altri cinque o sei volte dicendo che pernottavano nel bosco di Tufo [...]. In una delle venute vollero un mio piccolo caldaio per cuocersi della pasta manifatturata, e nella sera me lo restituirono, ignorando io ove fossero restati, ma a quanto mi parve si portarono verso Torrioni, ove il suddetto Felice diceva restare la sua innamorata. Essi individui andavano spesso nell'abitato di Tufo e dicevano andarvi per procurarsi da mangiare [...]. Nel frattempo essendomi io portata nell'abitato di Tufo, e precisamente in casa di D.Pasquale De Marzo la costui moglie D.Luigia [...] mi disse che delle persone, i cui nomi non spiegò, le avevano cercato denaro e pane, ed essa avea dato cinque piastre, pane, e formaggio" (Archivio di Stato di Avellino). Commovente, nella sua semplicità, questo particolare narrato dalla donna: "[...] in un giorno del citato mese si portarono in mia casa la sorella e il padre di Fonzo portandomi de' maccheroni impegnandomi a divenir commadre di una figlia della citata sorella Fonzo per le buone azioni a costui usate". Successivamente Francesco De Figlio depose che i suoi due compagni presso l'abitazione di Gelsomina De Vito "aveano ricevuto del formaggio, e del denaro da D. Andrea Popoli di Tufo per essere fedeli al Borbone".

(6) Felice Lardieri, di San Giorgio la Montagna, che aveva fatto parte del 20 battaglione cacciatori, avrebbe partecipato alla rivolta di Tufo del successivo mese di luglio, risultando poi tra gli incriminati.

(7) Archivio di Stato di Avellino, deposizione Francesco De Figlio. Su questo tentativo andato a vuoto abbiamo la diretta testimonianza di D. Domenico Soricelli, che era di sentimenti liberali: "[...] nello scorso mese di settembre erasi da lui presentato un congedato, il quale aveva chiesto ad esso Soricelli a nome del detto Zampetti sei in settecento ducati, e gli diceva che tale somma era intendimento del Zampetti di spenderla affine di congregare borbonici, e così consumare una reazione" (ivi). D. Domenico Soricelli, inoltre, "faceva aperto di avere de' sospetti che il canonico D. Fedele Recine di qui fosse stato d'accordo con Zampetti nel voler promuovere una reazione, ed esternava ancora simiglianti sospetti contra un individuo di San Nazzaro soprannominato Perillo". Sulla vicenda abbiamo anche la colorita testimonianza di un tal Giovanni Spagnuolo: "[...] stando dinanti la casa di abitazione di D. Domenico Soricelli [..-] vide provvenire dalla strada di Montefusco il nominato Francesco [...] e richiesto dove andava, disse dover parlare al detto Soricelli ed in effetti entrò nel costui portone. Dopo brevissimo tempo ne uscì portandosi per una via vicinale che mena in Cucciano, e il testimone volendo vigilare le mosse del citato individuo come soldato borbonico, lo seguì in certa distanza [...]. Poco lungi da questo abitato [...] il detto Francesco si fermò a discorrere con altri due soldati sbandati borbonici, cioè Francesco Senno [...] e il figlio di Giovanni Fonzo di S.Giorgio la Montagna. Fonzo diceva al compagno Francesco "tu i danari te li devi far dare" e Senno diceva "ci bisognano perché siamo assai gente". Il testimone che si era nascosto dietro una siepe poco lungi uscì di là accostandosi a quelli che avedutosene fu tacciato di spia [...]. Da tal fatto Senno si pose in latitanza facendosi rare volte vedere nello spazio di sette otto giorni, e quindi è scomparso totalmente e se ne ignora la dimora [...]".

(8) L'intrinseca debolezza di tutto il piano risiedeva nel fatto che i cospiratori, di per sè numerosi e, a quanto pare, animati da sincera buona volontà, non avevano capi cui affidarsi, ma riponevano piuttosto la propria fiducia in notabili incapaci di partecipare direttamente all'azione e disposti solo ad architettare a tavolino piani, che altri avrebbero dovuto realizzare.

(9) Alla luce di queste considerazioni si conferma ancora una volta che la sconfitta del governatore De Luca a Montefalcione, salvato solo all'ultimo momento dall'intervento della legione ungherese, avrebbe potuto avere per tutta la provincia conseguenze enormi (si veda E. SPAGNUOLO, op. cit.).

(10) M D'AGOSTINO, La reazione borbonica in provincia di Benevento, Napoli 1987.

(11) La famiglia Bocchino, grandi proprietari terrieri, costituirono nel circondano una colonna del regime sabaudo e, successivamente, del regime fascista.

(12) Questo viaggio a Capua dimostra, se mai ve ne fosse bisogno, l'ingenuità di taluni comportamenti, che furono alla base di quei sussulti di rivolta sorti spontaneamente in quei mesi nelle provincie meridionali, ma poi naufragati. Infatti le cospirazioni del tempo, che per loro natura avrebbero dovuto avvalersi della guida di persone esperte dei giochi di potere, spesso finirono invece con l'essere affidate a gente semplice e sprovveduta, la meno indicata per realizzare intrighi antigovernativi. D'altra parte la debolezza delle cospirazioni antisabaude fu dovuta al fatto che i notabili o si posero dalla parte del nuovo regime, o si astennero dal prendere posizione, o assunsero una posizione antigovernativa senza però esporsi in azioni dirette. Nei rari casi, invece, che dei notabili si esposero in prima persona, allora i successi delle reazioni, come avvenne ad esempio a Montefalcione e nel circondario melfese, furono clamorosi.

(13) Archivio di Stato di Avellino, loc. cit.. deposizione F. De Figlio.

(14) A tal proposito si pensò pure di "cercar danaro a questi Monaci, e Monache [di San Giorgio la Montagna] per pagarsi le persone istesse che si doveano riunire a favore di Francesco Borbone" (ivi, dep. Ferdinando Fucci).

(15) La circostanza è confermata dal Fonzo il quale depose: "[...] in un giorno di Febbraio ultimo [tredici o quattordici] si presentò in mia casa il paesano Francesco de Figlio [...] il quale voleva scrivermi in una nota, ove altri erano notati, il cui oggetto si era di aggredire questo Comune [...] Vincenzo Bocchino [...] disse che il de Figlio gli aveva cercate sette, od otto grana perché dovea andare in Napoli a prendere notizie per Francesco Secondo [...]". Il Bocchino in una sua deposizione affermò tra l'altro che tra la fine di dicembre e gli inizi di gennaio Francesco de Figlio era amareggiato "che qual soldato borbonico sbandato era minacciato di arresto per marciare al servizio militare" (ivi).

(16) Ibidem.

(17) È importante rilevare che la notizia della resa di Gaeta, che avrebbe dovuto

paralizzare ogni volontà di reazione, non scoraggiò, invece, atteggiamenti di rivolta in questo come in altri circondari.

(18) Camillo Capozzi risiedeva a San Giorgio la Montagna.

(19) Questa voce della truppa borbonica che doveva venire da Manfredonia era diffusa in un vastissimo territorio.

Firma autografa di Don Felice Brancario da Sammartino A.G.P. Galantuomo

 

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