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DOCUMENTI SUL BRIGANTAGGIO SAMMARCHESE

di Angelo Fuschetto da: "FORTORE SCONOSCIUTO" - Editrice Abbazia di Casamari (FR) - 1977

 

Dal 1860 S. Marco dei Cavoti venne funestata dal fenomeno del brigantaggio. Esso sorse e germogliò fra noi non in forma politica ma sanguinaria, feroce, saccheggiatrice, ricattatrice, spadroneggiante ovunque. I coloni esposti nell'aperta campagna alle gesta rapaci e sanguinarie di tanti malviventi, o fuggivano, lasciando abbandonati ed incolti i campi, o facevano i manutengoli rischiando la vita e i beni. Contro una tale piaga cruenta si cercò di porre qualche rimedio e si provvide alla meglio. Non potendosi tollerare più che andassero armati uomini d'ordine, farabutti e rapinatori insieme, si decretò il disarmo generale e il riordinamento della Guardia Nazionale (Circolare 28 agosto 1862). Furti e ricatti si succedevano gli uni agli altri per opera di alcune masnade di malviventi. Dai registri di corrispondenza comunale degli anni 1862-1863-1864-1865-1866-1867 ho rilevato vari movimenti di briganti nell'agro di S. Marco, deducendo che vi furono a volte falsi allarmi, denunce, controdenunce e persecuzioni in nome di una psicosi collettiva venutasi a determinare in seguito agli atti violenti e sanguinosi causati, in un primo momento, da gruppi reazionari del disciolto partito borbonico, che depredarono la provincia e, in seguito, da veri e propri borseggiatori. Dalla documentazione è stato agevole ricostruire anche un elenco di alcuni sammarchesi che si diedero alla macchia in quel contesto brigantesco: 1) Costanzo Pellegrino di Filippo; 2) Cocca Domenico di Luigi; 3) Carpinelli Emiddio di Carlo-Vincenzo; 4) Carpinelli Salvatore di Carlo-Vincenzo; 5) Ferraro Antonio fu Marco; 6) Tremonte Nunzio fu Giuseppe; 7) La Vista Antonio fu Michele; 8) Polvere Pellegrino di Diodoro, 9) Parletta Giovanni fu Angelo. Si tratta dell'elenco trasmesso il 4-10-1862 dal Comune di S. Marco alla Prefettura di Benevento. In esso non sono compresi i nomi di coloro che operavano con le bande di Diodoro Ricciardelli, Michele Caruso, Giambattista Varanelli, Pasquale Recchia, Giuseppe Schiavone e Francesco Basile nella VaIfortore ........ l'azione del Basile (detto "Pelorosso") fu più degna di memoria: entrando con una bandiera borbonica, a capo di folte schiere di fuoriusciti, assalì il Comune, incendiò e distrusse così ogni documento ed atto esistente. Anche il paese venne messo a ferro e fuoco ed alcuni cittadini furono massacrati, mentre non poche abitazioni subirono il saccheggio. Fu un itinerario di sangue: lungo la strada per Molinara e S. Giorgio si trovarono tracce di sangue e di rapina. Venne assassinato fra gli altri cittadini sammarchesi un certo Raffaele Ambrosiano, come risulta dagli Atti dello Stato Civile nel Registro degli Atti Diversi dell'anno 1864, quando il sindaco del tempo Michelantonio Valente riceveva dal Tribunale Circondariale della Provincia una delegazione in ordine alla omologazione contemplante l'avvenuta morte per opera di briganti dell'Ambrosiano, richiesta dalla sua consorte Iamarino Angela per convolare a nuove nozze. E nell'anno 1868 un certo Vincenzo Capozzi, non potendo rintracciare il titolo per la rendita del debito pubblico, poiché la sua abitazione era stata saccheggiata dagli stessi briganti, produceva reclamo al Comune con preghiera d'inoltrarlo al Sottoprefetto (confr. n. 34 del Memorandum delle lettere uscite dalla Segreteria del Comune di S. Marco dal 1868 al 1871, vol. 30). Per poter meglio illustrare e storicamente vagliare il fenomeno del brigantaggio nella storia di S. Marco, riporto le relative Corrispondenze che il Comune inviava al Capitano della Guardia Nazionale, al Prefetto, al Sottoprefetto, al Procuratore Reale della sez. penale, al Giudice Regio, al Delegato di S. Giorgio La Molara negli anni più oscuri del brigantaggio. Il 13 marzo 1863, n. 129, il Sindaco comunicava al Sotto-prefetto quanto segue: "Nel giorno 13 volgente una banda a cavallo di n. 60 Briganti si fermava in questo tenimento nella solita Contrada Montedoro presso le Masserie dei così detti Cocca, Costantini ed altri proprietari, scorazzando viveri foraggio ed altro e poiché nella masseria di don Giuseppe Costantini nulla avevano trovato disponibile, scalando le finestre della casina, entrarono nelle stanze superiori, vi sottrassero delle ghiande per darle ai cavalli, guastando contemporaneamente qualche mobile. Di poi scegliendosi quattro agnelli, li divoravano in poco tempo, ed indi si disponevano per l'incendio delle masserie dei Costantini. Epperò la Divina Provvidenza vegliando a favore degli oppressi faceva apparire il Maggiore della 45° Divisione, Mattioli, con 230 soldati di Fanteria, in vista dei quali la banda fuggiva subito verso Reino e Casaldeianni, tenimento di Circello. Con effetti della detta Impresa giungeva qui nella stessa sera dando le debite disposizioni a Colle e ai Bersaglieri verso Taverna di S. Giorgio nella supposizione che la Truppa di Colle tagliando la partita di Casaldeianni alla banda fosse costretta quest'ultima di retrocedere, ed essere battuta, ed attaccata dai Bersaglieri; ma disgraziatamente il pronostico veniva meno pel motivo che i Briganti si trattennero poco in Casaldeianni, proseguendo la marcia verso le piane di Morcone. Altro movimento è seguito oggi dislocate diverse Truppe in vari punti del tenimento di Molinara senza scontro di sorte ed invece un temporale diabolico ha costretto circa 300 uomini tra Fanteria e Bersaglieri di ricoverarsi in questo abitato, semivivi, verso le ore 22". Comunicazione al Prefetto in data 29 maggio 1863 - rapimento - "ieri il Regio Delegato Sindaco di Reino per mezzo di un espresso mi partecipava che la solita comitiva di 11 Briganti a cavallo trovavasi in quel tenimento alla Contrada Montedino. Appena giunto il corriere verso sera la Truppa qui distaccata accorse sopra luogo, perlustrando tutte le contrade limitrofe, non incontrava banda. Epperò da ulteriori investigazioni uno del Distaccamento trovavasi in quell'abitato verso le 21 allorché si seppe che i Briganti invece di stare a Montedino, per mezzo di due compagni avevano fatto catturare il massaro Diodoro Borrillo nel fondo rustico dei signori Zurlo sito in questo tenimento in Contrada Ciannavera imponendogli un ricatto di ducati 2000 e conducendolo seco loro nel limitrofo tenimento di Molinara alla Masseria Callista alla Contrada Gesina. Allo spontaneo movimento della Guardia Nazionale a tale notizia ed in quella direzione, i Briganti, dopo aver trucidato e seviziato il massaro Borrillo, fuggivano. Lo scrivente è stanco di segnalare i disastri che commettono i Briganti: ho posto in evidenza l'inefficacia degli attuali rimedi". Segue altra comunicazione al Prefetto e al Maggiore dei Bersaglieri il 29 giugno 1863 perché i Briganti minacciavano di entrare in Reino - "Mi giunge un espresso da Reino dal quale si rileva la situazione imperiosa ed infelice in cui trovasi quegli abitanti minacciati così da vicino da una banda di Briganti a cavallo di circa 100 uomini, che chiedono viveri, panni ed una giumenta da Francesco Autore, oltre quella che si hanno appropriato nella sua masseria in contrada Bosco del Monte, tenimento di detto Comune, poco discosta dall'abitato. Trattandosi di una pubblica calamità che da un momento all'altro può menare nella desolazione un piccolo comune qual è Reino, alle preghiere di quel Delegato, io scrivente aggiunge le sue, essendo certo che il valoroso squadrone di cavalleria e la Truppa dei Bersaglieri con quella di linea provveda efficacemente per la sicurezza dell'indicato Comune". Con nota del 31 agosto 1863, prot. 553 il Comune informava il Sottoprefetto che operava a S. Bartolomeo in Galdo che don Domenico Zuppa aveva dichiarato che il suo domestico, Angelo Tremonte, di Donato, gli aveva riferito che si era imbattuto in una masnada di circa 40 briganti che transitava nella contrada Franzese e che si dirigeva verso Fontecanale e che la stessa si era appropriata di circa dodici misure di biada, di una giumenta e di quattro misure di scaglio. Il 2 settembre 1863, il Sindaco relazionava al Giudice Regio che "I Briganti con viva forza hanno obbligato quasi tutti i massari di campo ed altri coloni di mettere a loro disposizione dei viveri e foraggi che tenevano nelle loro case di campagna per necessità dell'agricoltura e pastorizia. Hanno con la forza rubato giumente, cavalli, commettendo infinite altre grassazioni e furti, il tutto sotto pena della vita e degli incendi e con effetti parecchi atroci omicidi sono avverati e qualche incendio si è anche verificato. In vista di questo fatto lo scrivente giudica che niuno degli amministrati possa esser colpito nella categoria manutengolo dei briganti, poiché non si scorge la determinata volontà di favorirli e proteggerli ma invece stretti dall'infelice situazione di menare la vita nelle cose rustiche dei campi hanno dovuto rimanere vittime della forza brutale della selvaggia prepotenza. Ove per tratto precessivo potessi acquistare una convinzione contraria a quella di sopra espressa il sottoscritto non mancherà di riferirlo alla S. V.". Il 3 dicembre 1863 veniva inviato al Delegato di S. Giorgio La Molara con prot. 566 un elenco dei parenti prossimi del brigante Diodoro Ricciardelli di Giovanni di S. Marco dei Cavoti con la relativa età: "Essendosi i registri bruciati nella reazione del 6 agosto 1861, non si è potuto prima di questo tempo trasmetterli a lei, dovendomeli far rilasciare dal Parroco. Giova aggiungere che oltre di questi vi sono altri zii paterni e materni del Brigante: 1) - Diodoro Ricciardelli di Giovanni, nato il 19-8-1839; 2) - Giovanni Ricciardelli fu Antonio, nato il 22-10-1796; 3) - Maria Concetta Ricciardelli, nata l'8-10-1832; 4) - Colomba Ricciardelli, nata il 9-5-1828; 5 - Angela Ricciardelli, nata il 25-6-1819; 6) - Pellegrina Ricciardelli,. nata il 27-6-1826; 7) - Franco Saverio Valente, fu Ciriaco, nato. il 13-8-1816; 8) - Teresa Pietra fesa fu Vincenzo, nata il 24-5-1818; 9) - Domenico Liberato fu Michelangelo, nato il 13-6-1826". Nello stesso giorno con prot. 572, il Sindaco comunicava al Prefetto, al Sottoprefetto, alla Pretura di S. Giorgio, che un certo Antonio Zuppa aveva incontrato 7 briganti a cavallo ai quali si erano uniti altri 30 "all'Acqua partuta". Il 4 dicembre 1863, prot. 663, veniva comunicato al Generale Pallavicini che "Alle ore 11 precise una banda composta di 45 briganti a cavallo dalla Montagna di Molinara ha derubato Giuseppe... (indecifrabile) di Baselice della frutta, pane ed un fiasco di vino, una mula e la banda si è diretta verso Acqua Fredda". Il 5 dicembre 1863, prot. 671, veniva comunicato al Maggiore dei Bersaglieri che alcuni briganti alle ore 15 erano passati per il molino di Calise dirigendosi verso Monteleone e di lì alla contrada Franzese. Al Prefetto di Benevento il 6 dicembre 1863 con n. d'ordine 679, il Sindaco comunicava che Rosario Ricciardelli, ritornando da Benevento, aveva incontrato il brigante Caruso, il quale prendendogli la bisaccia si vantava che il cavallo da lui montato apparteneva ad un tenente della cavalleria ma si doleva che aveva perduto tre compagni in un agguato tesogli da una truppa di Bersaglieri. Si seppe anche che il Caruso rifugiatosi presso la masseria di Antonio Papa a Reinello aveva con sé un compagno gravemente ferito ad una gamba. Il 7 dicembre 1863 il Sindaco così scriveva al Delegato di S. Giorgio La Molara: "Ieri sera alle otto ed un quarto l'amministrato Giuseppe Cocca fu Diodoro dichiarava quanto segue: reduce da Colle Sannita all'ora indicata in compagnia di Francesco Piacquadio e Luigi Cocca al sito del tenimento di detto Comune in contrada Reinello e propriamente poco distante dalle masserie dei Zuppa, il Brigante Baldassarre Ianziti di Molinara ci à fatto ordine di andare dal Sindaco ed assicurargli che il brigante Diodoro Ricciardelli dal 16 luglio ultimo si divise dalla loro compagnia unito a Schiavone e che da quell'epoca non si sa se è vivo o morto, tuttavia Baldassarre è convinto che il Ricciardelli è vivo. Di là il detto Ianziti, unito ad un altro compagno à seguito la comitiva diretta alla contrada Franzese, pure tenimento di detto Comune. Simile dichiarazione è stata comunicata al Maggiore dei Bersaglieri qui distaccato". Il 7 dicembre con n. d'ordine 682 - per la morte del brigante Cocca Pietrantonio Sammarchese - il Comune informava il Sottoprefetto che "da quanto riferivano Antonio Zuppa e Diodoro La Vista, il brigante di cui sopra era stato ucciso perché impedito di fuggire a causa del suo animale che non poteva camminare. Ciò era stato riferito ai succitati da un brigante di Baselice". L'11-12-1863 il Sindaco informava il Prefetto, il Sottoprefetto, il Delegato della Pretura di S. Giorgio che gli era stato riferito da fonti attendibili che anche Angelantonio Ialeggio fu Francesco Saverio si era aggregato alla banda Caruso: "Tale notizia fu data da Diodoro De Conno fu Matteo al quale l'era stata riferita da Angelo Ricciardelli fu Salvatore nella contrada Reinello. Nello stesso giorno il Sindaco così scriveva al Giudice di S. Giorgio La Molara: "L'assicuro che dal giorno 9 giugno ultimo in qua nessun altro cittadino si è unito all'orda del brigante comandata da Diodoro Ricciardelli per quanto è a mia conoscenza". Al Prefetto, il 16-2-1863, il Sindaco, come risposta all'ammissione del Caruso, prima di essere fucilato, che il Ricciardelli si trovava nella zona di 5. Marco, nascosto e ferito, rispondeva che nulla del Ricciardelli era stato reperito, dopo aver perquisito i luoghi sospetti, ma che si era proceduto all'arresto delle germane del bandito. Il 25 dicembre 1863 dalla Regia Prefettura di Benevento pervengono istruzioni dettagliate per la repressione del brigantaggio. Nello stesso giorno smobilitava da S. Marco la guarnigione dei Bersaglieri e veniva rimpiazzata dal 27° Regg. di Fanteria; al Capitano del Distaccamento veniva riferito che Giuseppe Tremonte di Vincenzo "nell'andare a Colle a vendere dei fichi, giunto alla contrada Reinello, ha incontrato circa 80 briganti a cavallo che si sono appropriati dei fichi e l'hanno obbligato subito a partire e la banda è rimasta nel luogo, dopo aver preso a calci nel culo il Tremonte". Viene comunicato al Prefetto, al Sottoprefetto, al Comando Reali Carabinieri di S. Giorgio, come dal n. d'ordine del registro di corrispondenza dell'anno 1863, che nella notte del 29 dicembre furono arrestati e il giorno dopo verso mezzogiorno furono tradotti a Benevento, per connivenza con i briganti, questi individui: 1) Pietro Carpinelli; 2) Vincenzo Cocca di Luigi; 3) Lucia Cocca di Luigi; 4) Antonio Cocca di Diodoro; 5) Diodoro Liberatore di Vincenzo; 6) Domenico Liberatore fu Michelarcangelo; 7) Donato Polvere di Diodoro; 8) Antonio Ialeggio fu Michele; 9) Domenico Ialeggio di Antonio; 10) Francesco Saverio Restucci fu Nicola; 11) Francesco Valente fu Ciriaco. Al Registro di corrispondenza comunale del 1864 al n. d'ordine 223, risulta che il Sindaco informava il Capitano della Guardia Nazionale ed il Sottoprefetto di S. Bartolomeo della comparsa di briganti nell'agro Sanimarchese; infatti il guardaboschi Giovanni De Leonardis il 31-8-1864 nel bosco Difesa aveva scorto persone armate. Nella copia delle lettere spedite dall'Ufficio Comunale di S. Marco dei Cavoti alle diverse autorità della provincia nell'ultimo quadrimestre del 1861 e negli anni 1862-1868-1864 appare sovente il nome del capo-brigante Michele Caruso e come risulta nel comunicato prefettizio del 25 dicembre 1863 sulle misure per la repressione del brigantaggio "la banda Caruso consta di circa 40 briganti ed opera nei punti di montagna di S. Giorgio, di Molinara, di S. Marco, Colle, Circello, Reino, Montefalcone, Sepino? Cercemaggiore". Meno organizzate erano le bande di Francesco Sabatino, alias "Sementa", il quale riuscì ad evadere dal carcere di S. Croce, ove scontava una pena per furto, e la banda di Titta Varanelli. Il Sabatino durante le sue scorrerie non arrecò gravi danni, né alle proprietà, né alle persone. La banda di Varanelli, poi, non si rese così famigerata come quella del Caruso di cui si è detto nel capitolo precedente. Dal Memorandum delle lettere uscite dalla Segreteria del comune di S. Marco dei Cavoti del 1867 al n. 695 risulta che il Sindaco Ianziti nel rispondere alla richiesta 3209 del Procuratore della sez. penale di Benevento così scriveva "mi dispiace non poterle rimettere la fede di morte di Diodoro Ricciardelli di Giovanni, poiché il medesimo nel 1861 si diede al brigantaggio e dalla presa del capo-banda Caruso, in questo comune non si è avuta piu' notizia di lui, di conseguenza s'ignora se sia vivo o morto. Corre voce fosse morto nella Valle di Bovino verso la metà di luglio del 1865 nell'attacco tenuto fra la truppa e i briganti, ma la notizia non è certa". Dagli Atti attestanti proprietà e condotta, rilasciati dal Sindaco dall'anno 1866 al 1876 risulta quanto segue: - brigante Abbenante Pellegrino di Pasquale - "Si certifica da questo Sindaco che Abbenante Pellegrino di Pasquale nel 1861 prese parte alla reazione e poscia si diede al brigantaggio. Certifica pure che il medesimo dalla detta epoca manca da questo comune e che per voce pubblica si ritiene che lo stesso sia trapassato in Alessandria d'Egitto, ove erasi rifugiato sotto altro nome e cognome. Rilasciato a richiesta del Comandante questa stazione dei Reali Carabinieri - 6 marzo 1876". Inoltre per il capo-brigante Ricciardelli Diodoro fu Giovanni - "Il Sindaco certificà che Ricciardelli Diodoro del fu Giovanni, nativo di questo Comune prese parte alla reazione nel 6 agosto 1861, indi si diede al brigantaggio e perciò da quell'epoca manca da questo Comune ed ignorasi la sua sorte, cioè se sia vivo o morto - 6 marzo 1876". Dal - registro di corrispondenza del 1.867, il 30 marzo al n. 149, al Pretore che chiedeva spiegazioni per fatti briganteschi veniva risposto come segue: "Il conflitto avvenuto fra la Truppa Italiana ed i briganti nel giorno 16 luglio del 1863 in questo tenimento alla contrada Zenna non ebbe luogo la sera ma verso le ore 15 di detto giorno; non si disse affatto essere stato ucciso nel conflitto un Ufficiale Comandante quel Distaccamento e molto meno che gli era stata tolta la sciabola col fiocco d'oro dal brigante Angelo Fandette detto Zelluso perché ignoravasi da quali individui veniva composta la banda brigantesca. Posso assicurarle però che nel conflitto stesso disgraziatamente furono. uccisi tre cavalleggieri e ferito un sergente, mentre i primi furono inumati nella stessa contrada Zenna vicino alla cappella di S. Alfonso ed il sergente venne trasportato in questo tenimento e non guarito perfettamente restò storpio in un braccio. Posso contestare approssimativamente l'accaduto gli individui segnati nella sua nota del 24 che originalmente le restituisco". Encomio del Sindaco ai Reali Carabinieri di S. Marco il 1 aprile 1867, tramite il Luogotenente dei Carabinieri di S. Bartolomeo per l'arresto dei componenti la banda del capobrigante D'Aloia Angelantonio, quest'ultimo deceduto nel Bagno Penale di Orbetello - il 29-10-1877: "Tanto nel proprio nome quanto in quello di questi Amministrati sento il dovere di esternare alla S.V. Ill.ma il generale compiacimento per rendere i piu' sentiti applausi ed un tributo di lode verso questi buoni Carabinieri Reali e dell'ottimo loro Comandante Capolongo Vincenzo per aver con infaticabile zelo, attività ed energia per scoprire ed assicurare alla Giustizia i compagni del capo-ladro D'Aloia Angelantonio per furto di oggi commesso nel tenimento di Foiano, avendo perciò la predetta arma reso un gran servizio a questo Comune ed all'intera società per averla purgata da siffatti uomini tristi; fa mestiere che, a titolo di gratitudine e riconoscenza, encomi e centuplicati Evviva". Il 6 aprile del 1867 veniva portato a conoscenza del Sottoprefetto che "nella scorsa notte si è verificato un furto di circa L. 88:00 in danno del Cafettiere Angelo Carpinelli fu Giovanni. Il mezzo praticato dai briganti è stato quello della scalinazione di un picciol tetto immediato che attacca gli orti e la campagna lungo Ariella e quindi discesi nel caffé nel tiratoio senza chiave e stata prelevata la predetta somma di L. 88:00. I ladri sono ignoti ed il derubato non ha dato verun sospetto. Lo metto alla conoscenza della S.V. in discarico di mio dovere". Per concludere la trattazione sul brigantaggio, mi piace riportare qualche aneddoto che meglio esemplifica il mio assunto derivato dalla tradizione orale locale. Angelantonio Galasso (Bellugiovane) fu dai briganti costretto ad abbandonare la famiglia ed il lavoro di contadino alla giovane età di 15 anni. Per la sua prestanza fisica fu dai briganti rapito mentre si recava a lavorare in montagna. Essi si nascondevano in una masseria alla contrada Reinello. Allorché i briganti si allontanavano per le loro scorrerie erano . soliti lasciare di guardia un accolito. Capitò che uno di. questi, appartenente alla banda Ricciardelli, approfittasse della figlia del proprietario della cascina, il quale al ritorno del. capo-banda si lagnò per l'offesa gravissima ricevuta. Infatti la difesa dell'onore costituiva l'unica alternativa alla miseria. Il Ricciardelli il giorno dopo ordinò al colpevole di scavare una fossa e quando questa fu pronta gli intimò di calarvisi. Nello stesso istante il Ricciardelli lo uccideva infliggendo, così ,un castigo che servisse di esempio agli altri nel caso che si fossero comportati allo stesso modo [...]

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