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BRIGANTAGGIO A SAN LORENZO

da: "Limata e S. Lorenzo Maggiore" di Nicola Vigliotti - Istituto Anselmi - Margliano (NA) - 1977

 

...... [...] già nel 1600 ..... i briganti "deliziarono" il paese. Avevano il covo nel Convento. Le incertezze politiche, che caratterizzarono i primi anni dell'Ottocento, fecero rifiorire questo fenomeno. Le bande, formate da evasi dalle carceri e da disertori dell'esercito francese, divennero tanto pericolose che fu necessario istituire i ricordati Corpi di Guardia. Se ne ha eco in una delibera comunale del 31 agosto 1816 nella quale gli amministratori si lamentavano che "li Cittadini, non potevano più far fronte ad altre spese di fornitura pei distaccamento di Truppa di linea piazzata in S. Maria della Strada che ritenevano non momentaneo ma perpetuo per la custodia del confine del Distretto e della Provincia contro l'invasione delli briganti della limitrofa Provincia". Ma fu soprattutto dopo l'avvento del Regno d'Italia che il fenomeno divenne più preoccupante. Gli amministratori comunali dovettero provvedere subito a rinforzare i Corpi di Guardia e a migliorare il carcere locale che si trovava in Piazza, a fianco del palazzo municipale (21). Eludendo infatti i posti di blocco, stavano facendo ritorno in paese gli "sbandati" del disciolto esercito borbonico, i quali tentavano di fare proseliti per la causa lealista contro "l'usurpazione dei Piemontesi" e di organizzare attacchi contro le Guardie Nazionali, trasformandosi quasi sempre in briganti. Il centro abitato e il territorio di S. Lorenzo furono sotto il tiro di due bande: quella di Giuseppe detto "O Pagliaccio" (22) e soprattutto quella capitanata dal più famigerato Cosimo Giordano, alias Capraccosimo, di Cerreto Sannita (23). Cosimo fermò, il 13 settembre 1862, lungo la rotabile Guardia-Cerreto in contrada Cervillo, il calesse di Pasquale Assini sul quale viaggiavano Giuseppe Brizio di S. Lorenzo M., il sindaco di Guardia avv. Giovanni Pingue e il capitano della Guardia Nazionale Raffaele Pigna. Alla secca intimazione di Capraccosimo: "Fermati, per la Madonna della Libera, altrimenti ti uccido il cavallo!", il capitano, balzando giù, rispose ordinando di aprire il fuoco alle quattro guardie che seguivano di scorta. Nel seguito conflitto a fuoco rimasero sul terreno Giuseppe Brizio e il brigante Luigi De Simone che furono poi sepolti nella Congrega di S. Maria in Guardia (24). Ma il "caso Pasquale Melchiorre" fu certo il più agghiacciante. Capraccosimo lo fece prelevare nella tarda sera, davanti al caffè del paese. Si trattava di una resa di conti. Pare infatti che il benestante Melchiorre avesse "recato offesa..." ad una ragazza cerretese che aspettava Cosimo in un pagliaio alle falde di Valle Marina (25). Frattanto il bandito aveva anche sequestrato, presso la Taverna delle Starze in territorio di Solopaca, i fratelli Lorenzo e Carlo Brizio, pure di S. Lorenzo, che tornavano in calesse dalla loro tenuta agricola (26). In realtà Cosimo era stato precedentemente in buoni rapporti con i Brizio che lo avevano spesso ospitato e nascosto, insieme alla banda, nella loro tenuta agricola. Lo facevano del resto anche altri magnati locali. La rottura avvenne, secondo la tradizione popolare, in seguito ad un banale incidente. Un giorno Cosimo, ben satollato, volle fare il giocherellone: invitò Lorenzo Brizio ad una gara di forza. Lorenzo, con mossa improvvisa, mise a tappeto il bandito che se la legò al dito e, dopo tempo, si vendicò col sequestro. Le mogli dei rapiti si misero subito in contatto con Cosimo. Ma per il Melchiorre non ci fu nulla da fare. Il bandito non volle neppure intavolare trattative con la moglie disposta ad offrire la grossa somma di 4.000 ducati. " Pasquale aveva fatto lo sgarro e doveva morire". I banditi, dopo avergli tagliato le orecchie, la punta del naso, i genitali - che inviarono alla moglie - lo torturarono con i pugnali e poi lo bruciarono ancora semivivo. I Brizio invece furono rilasciati dietro il riscatto di 1.000 ducati, più una "provvisione di armi e vettovaglie" che avevano presso il "Casone", in zona Marraioli. Anche successivamente i banditi sparsero il terrore in S. Lorenzo dando spesso man forte, da veri mafiosi, a potenti locali dei quali favorirono le appropriazioni indebite di terre e diritti demaniali, minacciando le autorità locali che tentavano di opporsi ai soprusi. Se ne ha eco negli atti della ricordata causa per la sorgente della fontana Sopra l'Ilci. Ferdinando De Libero, sindaco funzionante nel 1862, dichiarò infatti, ma solo dopo anni, al giudice Bartolomeo Ansalone del Tribunale civile di Benevento che "essendosi portato a fare una verifica dei Canali Marco e Pagnotto, aveva chiaramente notato essere stata praticata illegalmente una apertura bislunga nel canale, da cui fuoriusciva acqua destinata ad influire nella vasca di un signore locale, ma aveva evitato di far chiudere il foro, nella convinzione che i numerosi briganti scorazzanti per la campagna gli avredbbero fatto pagare caro il suo zelo". .....

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