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CERRETO SANNITA

 

Cerreto nel Risorgimento [dopo il 1860]

di Vincenzo MAZZACANE

da: "Memorie storiche di Cerreto Sannita", Liguori Edizione, nuova edizione, 1990, Napoli

 

[...] Nel 1860 i liberali di Cerreto, come quelli di tutti i paesi vicini, si rannodarono ai liberali del distretto, che era Piedimonte di Alife. Ivi, per opera specialmente di Beniamino Caso, si era organizzato un sottocomitato distrettuale che raccoglieva denaro e ricercava armi e munizioni per allestire la Legione del Matese. Il comitato napoletano vi mandò Giuseppe De Blasiis, designato ad assumerne il comando. Non è il caso di rifare la storia di questa legione, che, unitasi ai volontari del Vitulanese, più tardi riconosciuti col nome prescelto di Cacciatori Irpini, capitanati da Giuseppe De Marco, entrò il 3 settembre 1860 in Benevento, insorta il giorno prima, e vi proclamò il governo provvisorio (1) . Ricorderò solo che di essa faceva parte come secondo tenente il cerretese Alessandro Guarino, che si segnalò per zelo e valore (2). Ne facevano parte pure come militi Flaviano Mastrobuoni, nativo di Cerreto ma residente in Alife, e i cerretesi Giovanni Giordano e Giovanni Venditti. La legione passò per Cerreto nella seconda metà del settembre e, a voler seguire il Rotondi, fervente borbonico, non vi avrebbe destato molto entusiasmo; anzi il popolaccio avrebbe rivolto ai legionari frizzi, villanie e imprecazioni (3). E ciò in verità non pare improbabile, specie nel basso ceto, devoto al vescovo Luigi Sodo, assai ligio alla dinastia, a differenza del precedessore Di Giacomo, vescovo di spiriti liberali (4). Narra il Rotondi che tra i legionari vi erano un monaco con un crocifisso a destra e una pistola a sinistra, mal ridotto in arnese, e due preti mingherlini. Quando fu chiesta la ragione della loro presenza tra i soldati, risposero: "andiamo spargendo il sangue per la fede e per la felicità dei figli vostri" (5). A Cerreto ebbe luogo in quello stesso settembre un tentativo di reazione che fortunatamente non ebbe serie conseguenze. Il 27 alcuni contrabbandieri, incoraggiati dalla voce che truppe regie marciavano per Amorosi verso San Salvatore, e sicuri che i garibaldini avessero abbandonato Piedimonte, sorpresero il posto della guardia nazionale dove si trovava solo Giacinto Ciaburri. Armatisi con i fucili che li si trovavano e con altri tolti a viva voce dalle case private, costrinsero il corpo musicale a seguirli ed eccitarono il popolo in piazza del duomo al grido di "viva il re". Indotti dal vescovo Sodo, affacciatosi alla finestra, a disperdersi, si recarono verso la casa di Giacinto Ciaburri per farsi consegnare un archibugio che egli aveva portato seco. Il Ciaburri commise l'imprudenza di tirare un colpo di fucile. La folla, eccitata, tentò di forzare il portone e poi vi dette fuoco. La strada S. Nicola si riempì di uomini armati di fucili, pistole, pugnali, scuri e spiedi. Il giudice Gabriele Mezzacapo, il sindaco Antonio Riccio, il barone Raffaele Magnati e altri gentiluomini indussero il vescovo ad intervenire, e difatti la presenza del prelato calmò l'ira popolare. Tuttavia si riaccese non appena si fu allontanato: abbattuto il portone, la folla penetrò nella casa e la saccheggiò. Gli abitanti si salvarono a stento fuggendo per il giardino. Si ritenne dai liberali che a quel tumulto, cui il Rotondi nega qualsiasi importanza, non fossero rimasti estranei il vescovo Sodo e il vicario Boccamazza, specie perché la plebaglia si condusse in massa davanti all'episcopio ad acclamarvi il vescovo. Il Rotondi insinua che la responsabilità del fatto venne addossata a monsignor Sodo dal Mezzacapo, per vendicarsi d'aver ricevuto da lui un severo ammonimento per la sua vita sregolata (6). Certo è che il vescovo fu costretto a fuggire essendosi spiccato mandato di cattura contro di lui, ed è del pari certo che al suo vicario Boccamazza, che non fece più ritorno a Cerreto, quando venne creato vescovo da Pio IX, fu negato l'exequatur dal governo italiano (7). Quanto al Sodo, il Petella scrive che fu arrestato a Napoli e detenuto nel carcere della Concordia, ma sulla notizia fa poi confusione (8). In realtà il Sodo fuggì a Napoli il 7 novembre 1860 poiché un ordine di arresto effettivamente vi fu. Tornò in paese il 15 giugno 1861, ma dopo due mesi fu nuovamente costretto a fuggire perché sospettato di favoreggiamento verso dei briganti. Il Carletti, che reggeva il circondano, e il capo della locale Pubblica Sicurezza pensavano di tenerlo in ostaggio contro di essi, ma il Rotondi, informatone da una spia, riuscì a farlo fuggire. A Napoli fu poi arrestato, ma non per il tentativo reazionario di Cerreto, sebbene per un tumulto popolare avvenuto a Santa Lucia il 3 gennaio 1863. Arrestato il 6, fu rinchiuso in S. Maria Apparente, ove il Rotondi lo visitò. Il 17 febbraio fu prosciolto e la notizia telegrafata al Rotondi in Cerreto suscitò manifestazioni di gioia (9), essendo il Sodo assai amato in paese per il suo spirito di carità. Con pronunziato di "non luogo" era del pari finito il precedente processo a suo carico per i fatti di Cerreto, trasmesso con nota 9 gennaio 1861 al procuratore generale di Terra di Lavoro. Il 29 dello stesso settembre 1860 si diffuse la voce che sarebbero venuti in paese i garibaldini. Il popolo si agitò, prese le armi per prepararsi a respingerli, mentre le campane a stormo chiamavano i cittadini dalla campagna. Il sindaco Antonio Riccio riuscì a calmare gli animi inviando il decurione Gennaro Mastracchio in Amorosi dal generale von Mekel, che vi era giunto il 27, a chiedere un presidio di milizie regie. Infatti venne un capitano festosamente accolto dai cittadini, che imbandierarono le finestre e i balconi con drappi bianchi (10). Anche di questo movimento fu incolpato il vescovo Sodo (11).

[...] Con decreto 25 ottobre 1860, firmato per il dittatore Garibaldi dal generale Giorgio Pallavicini, Benevento, da molti secoli soggetta alla S. Sede, insorta il 2 ottobre e liberata il giorno seguente dai volontari della Legione del Matese e dai Cacciatori Irpini, venne eretta in Provincia del regno. Con decreto luogotenenziale del 17 febbraio 1861 poi, Cerreto fu tolta al distretto di Piedimonte e aggregata alla provincia di Benevento come capoluogo di distretto. Frattanto, nei primi giorni di ottobre 1860 anche in Cerreto era stato proclamato il governo provvisorio, ma il partito clerico-borbonico non cessò di agitarsi. Il 25 il giudice regio comunicava al locale capo urbano una nota del governatore di Terra di Lavoro dell'8, nella quale si diceva che i proprietari di Cerreto si erano doluti della reazione del 27 settembre, provocata da soldati sbandati e da contrabbandieri, e lo incitava a mobilitare la guardia nazionale per l'arresto degli sbandati e la repressione di ogni nuova sommossa. Lo spirito pubblico non si calmò e fu necessario che la seconda compagnia della legione del Matese si recasse sul posto il 10 novembre. Il capitano Torti che la comandava si limitò ad ispirare un certo timore nei reazionari e a rianimare i liberali inalberando la bandiera tricolore sulla croce posta dinanzi alla cattedrale. Egli si trattenne poco in Cerreto, poiché il 6 dicembre vi arrivò da Caserta una compagnia di guardia nazionale, al comando del capitano Luigi Chianese, il che dimostra che le autorità comunali, per mantenere l'ordine e assicurare la tranquillità degli abitanti, furono costrette a richiedere da Caserta un soccorso di milizia civica (12). Il Chianese promosse una dimostrazione popolare: gente si adunò in piazza S. Martino e percorse le strade schiamazzando e costringendo alcuni preti a partecipare con le bandiere (13). In seguito venne mandato a Cerreto il primo tenente della legione del Matese, Felice Stocchetti, con mandato di arrestarvi il vescovo Sodo, il che non riuscì. Fu arrestato invece tre volte Cosimo Giordano, ex caporale regio e poi famoso brigante. Di questi arresti però non fa cenno il De Blasio (14), il quale ci informa invece che il mandato di cattura contro Giordano fu spiccato solo il 10 maggio 1861, mentre è certo che l'azione dello Stocchetti, come ufficiale della legione del Matese, non si spiegò oltre il febbraio di quell'anno (15). Anche il Rotondi scrive che a Felice Stocchetti non riuscì di catturare il Giordano, come non riuscì alle truppe regolari stanziate a Cerreto; ma il Petella ha chiarito che i tre arresti si riferiscono al primo periodo delle gesta del Giordano, quando, non ancora brigante, era solo un soldato sbandato, il che non può essere avvenuto che tra il dicembre del 1860 e il febbraio 1861. Il Rotondi allude invece alla campagna fatta dallo Stocchetti contro il brigantaggio, come capitano della guardia nazionale. La compagnia della legione del Matese eseguì così bene la sua missione, da riscuotere il plauso della rappresentanza municipale di Cerreto, che nella seduta dell'8 febbraio 1861, all'annunzio del suo prossimo scioglimento, deliberò ringraziamenti per ciascuno dei componenti e specie per lo Stocchetti, che aveva saputo ristabilire l'ordine e mantenere la tranquillità nel paese, dove il partito reazionario era ancora forte, senza disgustare uno solo degli abitanti e acquistandosi l'affetto universale, ed espresse un voto che la legione si trasformasse in guardia nazionale mobile (16).

[...] Del Giordano, nato in Cerreto il 15 ottobre 1839 da Generoso e dalla messinese Concetta Isaia, sono note le tristissime gesta e l'avventurosa vita a Roma e all'estero, che ebbe epilogo con la condanna ai lavori forzati, pronunziata dalle Assise di Benevento il 25 agosto 1884 (17). Presa stanza alle falde del Matese, mentre all'opposto lato, nell'alta valle del Volturno, era apparso il celebre Centrillo, divenne il terrore di queste contrade, nelle quali compì misfatti d'ogni sorta, riuscendo sempre a eludere le ricerche delle autorità militari e civili. Omicida per vendetta a sedici anni (uccise nel 1855 Giuseppe Baldini, che gli aveva ammazzato il padre), rimesso in libertà, fu guardiano di armenti, poi garzone (18). A vent'anni, arruolato nei carabinieri a cavallo, prese parte alla battaglia del Volturno, dopo la quale visse vilipeso in Cerreto, perché borbonico, fino a quando, essendo stato spiccato contro di lui un mandato di cattura per ragioni che sfuggono (19), prese la campagna, facendo centro delle sue gesta il Matese. Finiti i danari avuti dai Borboni, si diede ai delitti, il primo dei quali fu consumato il 29 maggio 1861 in persona di Giuseppe Parente, di Cerreto, che venne ucciso da lui per far cosa grata a Pilucchiello (Vincenzo Ludovico di Cerreto). Aumentato il numero dei suoi seguaci, divise la banda in quattro brigate: la più numerosa tenne per sé, affidò la seconda a Pilucchiello, la terza all'altro compaesano Errichiello (Vincenzo Guarino) e la quarta a Girolamo Civitillo di Cusano. Dopo altri delitti e vari ricatti (20), dopo aver tenuto dal maggio al novembre 1861 il dominio del Beneventano, all'approssimarsi dell'inverno le bande si dileguarono. Il Giordano e Pilucchiello svernarono a Roma, dove trovarono asilo con altri capibanda e dove il Giordano prese parte alle baldorie del carnevale del 1861, indirizzando galanterie alla contessa Laurenzana, la quale dal suo balcone sulla cantonata di via di Pietra vide un giovane tra il buttero e il fattore gettarle fiori e confetti (21). Riapparvero nel giugno del 1862, ricattarono Giovanni Mastrobuoni e il giudice De Gennaro, commisero altri efferati delitti e scomparvero nuovamente verso la fine del 1863. Preoccupato per le continue circolari che eccitavano alla repressione del brigantaggio, il Giordano, abilmente truccato da cantastorie, da matto, da venditore ambulante, da guardia nazionale, vagò per vari paesi e fece il commerciante di maiali in Villa Latina. Tornò in Cerreto nel luglio 1865 e compì nuovi ricatti. Nel principio dell'anno successivo fu notata la sua presenza a Roma, dove girava ben vestito e frequentava personaggi devoti ai Borboni. Nel luglio del 1866 si annunziò a Cerreto con nuovi delitti e verso la fine dell'anno tornò a Roma, donde passò a Londra, poi di nuovo a Roma dopo tre mesi. Qui fu arrestato per omicidio, ma riconosciuto innocente, fu messo in libertà. Si recò allora a Marsiglia col nome di Giuseppe Pollice e di là tornò in Italia dopo l'inverno del 1866. Le autorità, preoccupate per la sua audacia, emanarono disposizioni severissime, ma il Giordano il 24 settembre poté passare indisturbato nelle terre già napoletane e pontificie, e di lì all'estero, lasciando in loro balia pochi compagni. Ricomparve nel nostro circondano il 24 giugno 1880, dopo circa sedici anni di assenza, per procurarsi danaro dai suoi manutengoli, ai quali ne aveva affidato tra il 1860 e il 1866. Nella sola Cerreto in tre giorni racimolò sedicimila lire. Della ricomparsa del Giordano e di un suo nuovo ricatto, quello a Libero Della Penna di Morcone, s'impossessò la stampa (22). Stimò allora prudente ritornare in Francia e stabilirsi a Lione, dove tenne un negozio di frutta e liquori. Vi sarebbe vissuto indisturbato, se il parroco del quartiere Croix Rouge non avesse iniziato alcune pratiche per avere un certificato di stato libero dell'amante che egli si era deciso a sposare. Il governo italiano venne così a conoscere la sua dimora ed inviò un funzionario, che seppe stringere amicizia con lui e riuscì a farsi accompagnare in Italia, dov'era costretto a tornare - diceva - per affari commerciali. Il 12 agosto 1882 venne arrestato a Genova (23). Due anni dopo, il 25 agosto 1884, Cosimo Giordano fu condannato dalla corte di Assise di Benevento ai lavori forzati a vita (24).

[...] Il nome del Giordano, la cui figura si stacca dal fondo oscuro e sanguinoso del periodo del brigantaggio in Cerreto, è legato alle reazioni filo-borboniche di queste contrade, che fin dal luglio 1861 minacciavano la quiete di interi paesi (25) e culminarono nei tristissimi fatti di Pontelandolfo e Casalduni (7-14 agosto 1861) (26). L'intendente di Cerreto, Mario Carletti, scriveva al governatore di Benevento il 24 luglio 1861: "I briganti scorrazzanti per il Matese, corona di aspre e intrattabili montagne poste a cavaliere di queste contrade, sono entrati nello ardito intento di scendere e di aggredire l'abitato" (27). Poco affidamento dava la guardia nazionale e ben poco ne dava lo spirito della popolazione, "in gran parte non ancora orientata verso la causa nazionale" (28). Era diffusa la voce tra i contadini e la plebe che presto sarebbe ritornato Francesco II, mentre bande di reazionari scorazzavano per i monti. Una di esse, composta di briganti, soldati sbandati e montanari, dalla fine di luglio minacciava Pontelandolfo. Il 7 agosto, essendosi allontanata la colonna mobile di guardie nazionali comandata dal tenente colonnello Giuseppe De Marco, piombò sul paese con a capo Cosimo Giordano (29). Vi furono saccheggi, massacri, incendi; fu proclamato un governo provvisorio e issata sulla vecchia torre feudale la bandiera bianca. Alla popolazione di Pontelandolfo si associò buona parte di quella di Casalduni e Campolattaro; altri moti reazionari vi furono nei giorni seguenti a Guardia e Faicchio, dove fu innalzato lo stemma borbonico, e Cerreto finì per trovarsi in un pericoloso isolamento (30). Il colonnello del 36mo fanteria di stanza a Campobasso ordinò al luogotenente Cesare Augusto Bracci di compiere una ricognizione verso Pontelandolfo, e questi vi giunse con 40 soldati e quattro carabinieri l'11 agosto. Accortosi di un imminente attacco, invece di rimanere asserragliato nella torre, come pure gli si consigliava, preferì ritirarsi a San Lupo, ma fu assalito lungo la strada da un gran numero di contadini e briganti. Piegò allora verso Casalduni, dove fu fatto prigioniero dalla popolazione. Angelo Pica e i suoi ne decretarono la morte. Fu ucciso con i soldati a colpi di schioppi, di scuri, di falci, di zappe, di pietre (31). "Dopo tali avvenimenti - scrive il De Sivo - a Casalduni, per sicura nuova di soldati marcianti, niuno riposò, tutti fuggirono. Ma Pontelandolfo niente sapendo fu colto" (32). All'alba del 14 agosto, infatti, un battaglione di 50 bersaglieri al comando del colonnello Negri, che era a capo della colonna mobile piemontese di stanza a Benevento, avanzò verso il paese; le campane suonarono a stormo, la gente fuggiva. Il paese venne dato alle fiamme e i soldati si abbandonarono al saccheggio ed alle violenze; poi passarono a Casalduni. Il 15 agosto il Negri comunicava da Fragneto Monforte al governatore di Benevento: "Ieri mattina all'alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. Essi bruciano ancora. Il sergente del trentaseiesimo reggimento, il solo salvo dei quaranta (33), è con noi". Stessa sorte parve minacciare Cerreto. Il Rotondi narra che tale Abele Pingue di Guardia, impiegato in Cerreto, indusse l'intendente Carletti a riferire che in Cerreto erano frequentissime le reazioni. Una prima nota fu intercettata da Michele Ungaro, ma la seconda pervenne a destinazione e in seguito ad essa si ingiunse al Negri di marciare su Cerreto. Ma a lui - scrive il Rotondi - che si apprestava a incendiarlo, si fecero incontro la guardia nazionale col corpo musicale, tutte le autorità e i gentiluomini, e il paese fu salvo (34). Il rapporto del Carletti che sarebbe pervenuto a destinazione è forse quello riservato e pressante del 12 agosto 1861 al Segetario generale del Ministero dell'interno, col quale si dava notizia della strage di Casalduni. Scritto sotto l'impressione di orrore che essa aveva dovunque destato, è pervaso di sdegno, di preoccupazioni, di timori. "Lo spirito pubblico si era pronunziato, scrive il Carletti, nelle infime classi specialmente avverso al governo, e l'audacia crescente dei briganti si spingeva ad aggredire anche terre popolose, fra le quali il capoluogo, che più degli altri ha una plebe piena di mal talento e avida di saccheggio". Con espressioni ripetute ed energiche scongiurava che si inviassero il giorno stesso, al più tardi l'indomani, forze capaci non solo di ripristinare l'ordine, ma di distruggere il brigantaggio. "Io compio - concludeva - questo debito di cittadino e di pubblico funzionario con quella fidanza che ho nell'animo di vedere una volta secondate le mie premure, mentre continuandosi a persistere nel rifiuto dai Superiori, cui non è ignota la condizione di questi luoghi, è inevitabile veder consumati fatti di immane atrocità, per i quali a me resterà soltanto il dolore di esserne spettatore, ma non il rimorso di averli secondati col silenzio e con la indifferenza, quando li ho previsti e svelati, senza tema di amplificazioni, alle autorità da cui dipendo e che solo hanno poteri bastevoli per provvedere" (35).

[...] L'opera di repressione non si arrestò all'incendio di Pontelandolfo. Verso la fine di agosto e il principio di settembre del 1861 vennero destinati a Cerreto due ufficiali superiori per distruggere i covi di reazione e liberare dai briganti la montagna, ma essi raccolsero poco frutto. Il 19 agosto una banda di Civitella, capitanata da Gabriele Varrone di Pietraroia, tenne il paese in suo potere; il primo settembre, in prossimità di Cerreto, otto persone armate di fucili attaccarono la guardia nazionale; la notte fra il 6 e 7 settembre tre briganti spararono di nuovo contro il posto della guardia nazionale, fuori Cerreto (36). Fu incaricato allora della repressione il maggiore Zittirri, il quale giunse in Cerreto il 12 settembre con molti soldati, ma la sua opera fu oggetto di severi giudizi, e la tradizione è concorde nell'attribuirgli un vero e proprio massacro. Anche la stampa dell'epoca contribuì a circondare di terrore il suo nome, e nel giornale "La Domenica" del 3 ottobre 1861 comparve un articolo anonimo che lo accusava di enormità e di ingiuste fucilazioni. All'articolo rispose però Filippo Iuliani di Cerreto, con una lettera diretta al direttore del giornale nell'intento di scagionare lo Zittirri dalle accuse (37). Ignoro se essa sia stata spedita e pubblicata; certo costituisce un notevole documento, provenendo da un liberale per principi e per tradizioni di famiglia. A Cerreto, egli scrive, furono fucilati Enrico Giordano, detto Errichetto, e altri due cerretesi, soldati sbandati, colti con le armi in pugno sulla montagna. Inoltre abitanti di Pontelandolfo (38), di Casalduni e di luoghi vicini, quasi tutti soldati sbandati o agitatori, "giacché il fato ha voluto che questa nostra città, ove il partito avverso intendeva forse collocare il centro del movimento reazionario, fosse stata spettatrice del giusto castigo inflitto a coloro i quali altrove si erano contaminati di un orrendo misfatto". A suo avviso, però, il Consiglio di guerra procedeva con oculatezza, seguendo le informazioni scritte, ricevute dal signor Barbarini, tenente della guardia nazionale di Pontelandolfo, e dal delegato distrettuale Marchesiello, il quale le raccolse con ogni cura in Casalduni, ove si condusse col capitano Tavassi, 120 guardie nazionali e un drappello di carabinieri. A seguire le informazioni contenute nella lettera del Iuliani, dopo un mese dall'arrivo dello Zittirri era scomparso a Cerreto il timore nei cittadini costretti a stare in casa armati o a fuggire nella capitale: non più requisizioni di armi e di denari ai possedenti e alle stesse autorità; il sentimento dei liberali rinvigorito; i proprietari rincuorati a tornare a visitare le campagne; ben cento briganti e duecento sbandati costituitisi. "Dopo tutto ciò - si domanda Iuliani - chi dell'infermo corpo sociale oserà maledire a quella mano che con rigore salutare ne recise le membra imputridite?". Nel 1863 iniziarono in Cerreto le operazioni generali contro le bande che ancora infestavano la contrada e la vicina montagna del Taburno, dirette dal generale Pallavicini, del Comando generale della zona di Benevento. Questi il 22 novembre 1863 scrisse a Giuseppe De Marco per chiedergli di accompagnarlo nella missione che si accingeva a compiere: la conversazione avuta con lui il giorno precedente sul brigantaggio nel Cerretese lo aveva convinto che era la persona più adatta per conoscenza di luoghi e persone, oltre che per la stima di cui universalmente godeva e per i sentimenti di patrio amore di cui aveva dato prova nelle circostanze più critiche. Gli sviluppi della campagna del Pallavicini sono noti, come pure le vicende che chiusero il periodo sanguinoso del brigantaggio nel Cerretese, e non ne farò cenno (39). Un episodio della fine del 1863, che ancora si tramanda nella tradizione locale, è narrato in un racconto alquanto adornato di Silvio Marinoni (40). Esso riguarda la cattura del brigante Varrone, asserragliatosi con sei compagni nella grotta delle Fate, o Caccaviola, che si apre nel fianco del monte a strapiombo su cui sorge Pietraroia. Pare che la cattura avvenisse senza spargimento di sangue, grazie all'eroismo del capitano Diaz, introdottosi disarmato nella grotta per intimare ai banditi la resa, che essi accettarono, disorientati e ammirati per il suo coraggio. Alla scena assistette il generale Pallavicini; seguì un pranzo a Pietraroia, in casa del sindaco Andrea Amato. Terminava così per Cerreto il periodo più doloroso del banditismo e la fase difficile dell'unificazione. Come parte della provincia di Benevento, il paese entrava nella compagine nazionale e nella vita della "nuova Italia".

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NOTE

(1) Sulla Legione del Matese (25 agosto 1860-8 marzo 1861) v. PETELLA, La Legione del Matese, Città di Castello 1910. Del battaglione irpino ha tratteggiato lucidamente le vicende ZAZO, op. ult. cit., utilizzando documenti di casa De Marco, passati poi nell'Arch. Prov. di Benevento. V. inoltre MELLUSI, I giorni della rivoluzione, Benevento 1903; ID., Un cittadino beneventano, in "Riv. stor. del Sannio", 1924, n. 6; DI RIENZO, Nella rivoluzione del 1860 in Benevento, in "Riv. stor. del Sannio", 1923, n. 2; ACOCELLA, Calitri e la reazione del 1861, in "Atti Soc. stor. del Sannio", 1926, n. 3; FASANI, Il castello di Torrecuso e la lapide ai garibaldini del 1860, Benevento 1935. Sul De Marco (1821-1882), bella figura di liberale e di comandante militare, v. ZAZO, op. ult. cit.; e l'art. di GENTILE, nel Dizionario del Risorgimento nazionale, a c. di Rosi, vol. I, Milano 1930.

(2) Sul Guarino (1836-1861) v. PETELLA, op. cit. Una sua Relazione ms. 51 conserva nella Collezione Mazzacane.

(3) ROTONDI, ms. cit.

(4) IANNACCHINO, op. cit., non mostra simpatia per il Di Giacomo che "provvidenzialmente", secondo lui, avrebbe prescelta la sede di Alife e che sarebbe morto "forse amareggiato dal rimorso". Il Di Giacomo ebbe invece cuore e dottrina (PETELLA, op. cit.). A Ferdinando, che gli domandava come potesse abolire la costituzione, rispose recisamente "non potersi in nessun caso ciò fare". Consacrato vescovo di Telese e di Alife nel dicembre 1848, prese possesso della diocesi ai primi del 1849, e rendendo vane molte denunzie, fu benemerito di quanti risultassero politicamente compromessi. Creato senatore nel 1863 da Vittorio Emanuele, ebbe da lui un piccolo appartamento nella reggia di Caserta quando nel 1874 lasciò il governo della diocesi a un coadiutore impostogli, pare, dalla Curia romana (DE CESARE, La fine di un regno, Città di Castello 1900). In Caserta morì il lo luglio 1878, povero e benedetto da quanti lo conobbero. Per più minute notizie su questo esimio prelato, oltre al PETELLA, op. cit., v. l'opuscolo della nipote: CIALENTE, Ritratto in profilo di Mons. Gennaro Di Giacomo, Napoli s.d. -

(5) ROTONDI, ms. cit.

(6) Ivi.

(7) GUARINO, Relazione cit.

(8) PETELLA, op. cit. Così pure il Guarino, al quale forse è dovuta la inesatta notizia del primo.

(9) ROTONDI, ms. cit.

(10) Il barone Vincenzo Piscitelli, con sua lettera 5 gennaio 1909, mi informava che in quella occasione si era adoperato per far venire le truppe borboniche e che Cerreto fu così salva dal saccheggio cui era stata condannata dai briganti della contrada.

(11) Il ROTONDI, ms. cit., scrive che il vescovo venne accusato di aver fatto eccitare la folla da Antonia Maietta, di anni 80, vedova del cursore Leone; aggiunge che l'accusa venne fatta oggetto di un "graziosissimo articolo" dell'"Osservatore Romano". Monsignor Luigi Sodo era nato in Napoli il 16 ottobre 1811 da Baldassarre e Marianna Riccio. Ordinato sacerdote nel 1834, preconizzato vescovo di Crotone nel 1852, venne a Cerreto nel 1853 e resse la diocesi sino al 30 luglio 1895, data della sua morte. Si segnalò per spirito di bontà e per opere di beneficenza. Tumulato nella cappella della famiglia Ungaro, la popolazione vi si recò per più giorni come a un santuario. Nel 1911, dovendosi provvedere alla traslazione dei resti nella cattedrale, il suo corpo fu trovato intatto. Benché del fenomeno venisse fornita da sanitari e professori dell'Università di Napoli una spiegazione scientifica, il popolo gridò al miracolo e accorse a visitare la salma del vescovo ("Il Mattino", Napoli 1911, n. 68-73). Fu poi avviato un processo di beatificazione.

(12) PETELLA, op. cit.

(13) ROTONDI, ms. cit., scrive che lo stesso Chianese chiamò "orgia" la festa.

(14) DE BLASIO, Brigantaggio tramontato, Napoli 1908.

(15) PETELLA, op. cit.

(16) PETELLA, op. cit., pubblica la delibera comunale. L'intendente di Piedimonte, nel trasmettere il giorno dopo il voto dei cerretesi al governatore di Terra di Lavoro, faceva conoscere in pari data al sindaco di Cerreto che all'accoglimento di esso ostava la legge.

(17) Più minute notizie in DE ELASIO, op. ult. cit., che le trae dal processo penale o da documenti ufficiali. Il Giordano commosse a segno la fantasia popolare, che le sue "storie" erano cantate pubblicamente nella villa comunale di Napoli. Ispirarono anche un romanzo del VILLANI, Cosimo Giordano, ovvero saccheggiatori di Cerreto nel 1860. Episodio del brigantaggio, Napoli 1864. Una rievocazione poetica del Giordano è poi nello scritto del MELLUSI, L'Odissea di un candidato, Benevento 1917.

(18) Il DE BLASIO, op. cit., scrive che per la sua costituzione fisica non potette fare il contadino e per le sue facoltà intellettuali fu incapace di apprendere qualsiasi mestiere; che si dimostrò nella prima età pervertito sessualmente. Altri però mette in evidenza la sua prestanza fisica e le sue doti di prontezza.

(19) Alcuni dicono perché non si presentò a Caserta, ove era stato richiamato alle armi, altri perché lo si volle allontanare dalla sorella o dalla cognata, intorno alle quali ronzava qualche pezzo grosso. Il MELLUSI, Odissea cit., scrive che un certo ufficiale aveva troppi vezzi diretti a una sorella di Cosimo: "era povera ma casta ancora e bella si sussurrò, si disse di libertini inganni - rise l'osceno pubblico non chi sofferse il danno - e allor? dei monti liberi rimangono le vette - dell'uom contro gli uomini rifugio alle vendette".

(20) Tagliò il naso e le orecchie a Pasquale Prece, al quale cavò anche gli occhi e le budella, che sospese a un albero. Tagliò poi il capo al figlio Francesco Prece e gli mise fra i denti un pezzo di carta con su scritto: "Si ammazzi questi birbanti per fare la spia ai signori briganti - chi la spia vuole fari - questa morte facciarà - la vista dello spiatore dura poco". Il DE BLASIO, op. cit., pubblica alcune lettere di ricatti fatte scrivere dal Giordano, notevoli per contenuto e per forma, e racconta l'assassinio di Annibale Piccirillo di Guardia, avvenuto il 10 settembre 1861. Alcuni suoi biglietti di ricatti sono anche nella Collezione Mazzacane, Cerreto.

(21) DE CESARE, Roma e lo Stato del Papa dal ritorno di Pio IX al XX settembre, Roma 1907; v. pure CARDINALI, I briganti e la Corte Pontificia, ossia la cospirazione clericoborbonica rivelata, Livorno 1862.

(22) "Gazzetta di Napoli", 28 giugno 1880.

(23) DE BLASIO, op. cit. L'on. Giuseppe D'Andrea, avvocato difensore, fornì una versione più favorevole dei fatti nella memoria presentata alla Cassazione il 5 maggio 1885. L'on. Mellusi, anch'egli avvocato difensore, addirittura narrò l'intera vicenda in versi intesi a commuovere (Odissea cit.).

(24) Del processo dette il resoconto nel "Corriere del Mattino" Nicola Misasi, il 28 agosto 1884.

(25) ASN, Alta polizia: Rapporto 8 luglio 1861 del governatore di Benevento a Silvio Spaventa, Segretario generale del Ministero degli interni e polizia.

(26) DE Sivo, Storia delle due Sicilie cit.; PERUGINI, Pontelandolfo cit.; ISERNIA, Storia della città di Benevento, ivi, 1895; MELLUSI, Origini cit.; GENTILE, Pontelandoifo cit.; VALLILLO, L'incendio di Pontelandolfo, in "Riv. stor. del Sannio", 1919, n. 6; MAZZACANE, I fatti di Pontelandolfo, ivi, 1923; ZAZO, Nuovi documenti sulla reazione di Pontelandolfo e Casalduni, in "Samnium", 1951. V. pure Atti del Parlamento, seduta del 2 dic. 1861; e "Giornale officiale di Napoli", 1860-1861.

(27) ASN, Alta polizia, fasc. 18.

(28) Ivi, Rapporto 9 agosto 1861.

(29) Ivi, Rapporto 18 sett. 1861 del sindaco di Pontelandolfo, Saverio Golino. Vedi ZAZO, Nuovi documenti cit.

(30) ZAZO, Nuovi documenti cit.

(31) MAZZACANE, I fatti di Pontelandolfo cit.

(32) DE SIVIO, op. ult. cit.

(33) All'eccidio era scampato anche un soldato.

(34) ROTONDI, ms. cit.

(35) Pubblicato dallo ZAZO, Nuovi documenti sulla reazione di Pontelandolfo e Casalduni (7-14 agosto 1861), in "Samnium", 1945, n. 3-4. Fatti più gravi avvenivano in quell'agosto del 1861 nel circondano di San Bartolomeo, dove la reazione sembrò trionfare: ZAZO, Gli avvenimenti del giugno-settembre 1861 nel Circondario di San Bartolomeo in Galdo, in "Samnium", 1952, n. 1.

(36) Rapporti del governatore di Benevento, agosto-settembre 1861, al luogotenente generale del dicastero di polizia di Napoli (ASN, Alta polizia, fasc. 180), riassunti dallo ZAZO Nuovi documenti cit.

(37) Cerreto, Collezione Mazzacane, Lettere notevoli.

(38) Il 29 settembre ne vennero fucilati 12: MAZZACANE, op. ult. cit.

(39) V. in generale LUCARELLI, op. cit.

(40) MARINONI, Episodio della grotta delle fate, Foligno 1900.

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