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COSIMO GIORDANO

di Abele De Blasio

da: "Brigantaggio tramontato" Napoli, 1908 in: "Storie di briganti" Capone Editore, 2001

Casa di Cosimo Giordano in Cerreto Sannita (BN)

Cosimo Giordano nacque in Cerreto Sannita il 15 ottobre 1839, da Generoso e dalla messinese Concetta Isaia. A causa della sua costituzione fisica non potette fare il contadino e per le sue facoltà intellettuali fu incapace di apprendere qualsiasi mestiere. Un barbiere del paese che gli fu maestro in lettere asserì che il Giordano, in due anni, non riuscì ad imparare a leggere e a fare la firma, poiché poche ore dopo la lezione già aveva totalmente dimenticato quanto sembrava avere appreso. In seguito a questo insuccesso letterario il padre di lui, Generoso, fece del figliuolo dapprima un guardiano di porci e poscia di armenti; però il proprietario delle pecore, dopo un pezzo, fu costretto a licenziarlo, perché un giorno lo vide che faceva all'amore colle... pecore; e ciò a noi non reca meraviglia perché tutti gl'imbecilli sono lascivi, impudichi e pervertiti sessualmente.

Quando il nostro protagonista contava sedici anni divenne omicida poiché in un atto impulsivo uccise chi gli aveva ammazzato il padre. Su tale uccisione ecco quello che ci è riuscito sapere. Verso l'annottare del 28 giugno 1855 mentre Generoso Giordano, col figliuolo Cosimo, se ne tornava in casa, s'imbatté in Baldini Giuseppe al quale il Giordano doveva dare pochi carlini. Il creditore, fattosi innanzi al debitore, lo copri di villanie, perché mostravasi sordo alle giuste sue richieste. Generoso gli disse che a causa della cattiva stagione non poteva, come avrebbe voluto, sdebitarsi e che, se avesse avuto un pò di pazienza, sarebbe stato soddisfatto l'anno appresso; ma quegli non volle sentir ragione e gli tirò sul capo un'accettata che lo rese all'istante cadavere. Alla vista del sangue paterno, Cosimo si lanciò sull'assassino e gli cavò, con una tremenda coltellata, il pacchetto intestinale. Commesso il misfatto, pallido come un cencio e cogli occhi dilatati dallo spavento, si andò a costituire in prigione. La Corte criminale di Napoli, considerando che quell'uccisione era stata provocata dal legittimo dolore di figlio e dalla istantanea brama di vendicare la morte del padre, lo assolse. Dopo l'assoluzione, temendo da parte dei parenti della sua vittima qualche vendetta, dette un addio ai monti, alle valli, alle boscaglie, ai porci e a madama pecora e si trasformò in stalliere. Nel 1857 entrò come garzone in casa del sig Liberantonio Ciaburri, il quale spesso lo incaricava di recarsi in Guardia Sanframondi per acquistare dei liquori da Salvatore Morone, ed era nel caffè di costui che il Giordano, per una mescolanza, si azzeccava dei grossi ceffoni destando così l'ilarità dei presenti. Giunto all'età di venti anni fu, per la sua alta taglia, incorporato fra i carabinieri a cavallo; ma perché inabile al servizio attivo, fu scelto come trabante dal tenente Cocozza. Il Giordano, nel 1881, confessò al Misasi che alla battaglia del Volturno fece prodezze di paladino e sul campo di battaglia fu nominato da Francesco II capitano di gendarmeria. "Come il capitano restò trabante non lo so, ma so che, trovandosi al quartiere dei Granili, portò via una valigia del capitano Cappellano contenente ottocento ducati. Qui noto che Cosimo Giordano voleva farsi credere un capitano di ventura del Borbone detronizzato e non faceva questione di politica sul denaro dei Borboni o dei carbonari, come chiamava i liberali. Per lui era tutt'uno: la politica lo separava, il denaro lo univa". Dopo la battaglia del Volturno, Cosimo Giordano visse per un pezzo in Cerreto, vilipeso, angariato e minacciato perché borbonico. Il sindaco di Cerreto, che in quell'epoca era il barone Vincenzo Magnati, asserì che il Giordano partì come richiamato due volte per Caserta e quel Comando Militare, dopo due o tre giorni, non sappiamo perché, lo rimandava a Cerreto. La terza volta non si presentò perché a Caserta veniva preso in dileggio dai Piemontesi; e fu, secondo alcuni, in seguito a tale mancanza, che contro di lui fu spiccato mandato di cattura; secondo altri, invece, perché Cosimo aveva due sorelle ed una cognata bellissima e qualcuno molto potente le ronzava intorno; ma Cosimo e il cognato di lui erano mastini troppo temuti e vigilanti. Onde perché le pecorelle rimanessero sole ed in balia dei lupi rapaci, Cosimo e al cognato si spiccò mandato di cattura, il che avvenne nel 10 maggio del 1861. Cosimo fuggì, vagò per poco solo per le campagne; poi perché audace, forte, valoroso e col doppio prestigio d'essere stato un prode del primo ottobre e d'aver guadagnato il grado di... capitano sul campo di battaglia fu il condottiero di una banda brigantesca. Al dire del brigante morconese Demetrio Peritano, che faceva parte della banda del Giordano e che venne arrestato il primo luglio 1861, i primi adepti di detto capobanda furono Francescantonio Basile, Errichiello Giordano, Vincenzo Ludovico alias Pilucchiello, Pasquale Mendillo, Liberantonio Ruzzo, Ferdinando Muccio, Giovanni Nigro, Saverio Finelli e Giuseppantonio Marazzi. Essi avevano fatto centro delle loro gesta il monte Matese dal quale il Giordano emanava gli ordini per sollevare le masse popolari contro l'attuale Governo e spingerle ai delitti. Una delle persone più influenti di Cerreto, l'avvocato Michele Ungaro, per togliere al suo paese nativo l'onta che lo faceva ritenere un covo di briganti, scrisse al Giordano, e al coadiutore di costui Pilucchiello, di costituirsi alle autorità, poiché essi non avevano commesso nessun delitto importante. Pilucchiello, dopo aver, con lettera, ringraziato il commendatore Ungaro dell'interessamento che si prendeva per essi, a nome suo e del Giordano lo fece consapevole che, se avessero ricevuto dal Governo sei mila ducati e il passaporto per l'estero, avrebbero fatto presentare tutti gli altri briganti, purché fossero stati lasciati liberi, e che essi si sarebbero recati all'estero per non tornare più in Italia. La lettera, che riferiva i fatti suddetti, fu fatta leggere dall'Ungaro al Sotto Prefetto di Cerreto Sannita, il quale incominciò a fare delle riserve per i seimila ducati, in modo che, quando si fece conoscere ai briganti che essi non potevano avere più di quindicimila lire, si ruppero le trattative. La banda, che già contava settanta persone dopo aver consumato i quattrini, che aveva ricevuto dai Borboni, per tirare innanzi la vita, incominciò a dedicarsi ai delitti di sangue; poiché per quelli che riguardavano la proprietà già aveva dato buona prova. Il primo delitto di sangue fu commesso il 29 maggio 1861. La vittima fu il pastore Parente Giuseppe di Cerreto, il quale, incontratosi in contrada Carapiello, che fa parte della montagna di Cerreto, con Giordano e Pilucchiello, loro rivolse un saluto. Pilucchiello lo guardò invece con disgusto e voltosi al Giordano gli disse: "Allontaniamoci perché quell'uomo mi fa salire il sangue alla testa", e il Giordano, per fare cosa grata al suo amico, sparò ed uccise il Parente. Intanto gli adepti del Giordano aumentavano di giorno in giorno ed allora l'ex trabante fu costretto dividere la sua banda in quattro brigate, delle quali la meno numerosa, ma la più feroce, tenne per sé; un'altra l'affidò al Pilucchiello, un'altra all'altro suo compaesano Errichiello e la quarta a Girolamo Civitillo di Cusano Mutri, il quale ha lasciato di sé triste memoria. Fra i tanti delitti commessi da questo delinquente nato è degno di essere ricordato il barbaro assassinio commesso in danno dei due carbonari Pasquale e Francesco Prece padre e figlio. A Pasquale tagliò il naso e le orecchie, gli cavò gli occhi e le budella, che poi sospese ad un albero per darle in pasto ai corvi. A Francesco tagliò il capo e tra i denti gli pose un pezzo di carta sul quale aveva scritto:

Si ammazzi questi birbandi

Per fare la spia ai signori briganti

Chi la spia vuolee fari

Questa morte faciarrà

La vita dello spiatore dura poco.

Al principio di agosto del 1861 la banda si arricchì di nuovi elementi provenienti da Morcone, Solopaca, Pietraroia e S. Lorenzo Maggiore, ed in tal caso, per far fronte alle spese di fornitura e di spionaggio, fu mestieri tentare delle estorsioni. In seguito a proposta del Giordano il tenente della banda, un certo Cimino, per il tramite di Vincenza Mazzarella, così scrisse alla signora Beatrice Pacelli superiora del convento delle monache di Cerreto:

Cara signora Abbatessa

Come avete circato il denaro per Caribaldo e condra la religione cosi vi precamo ammandarci docati mille docati dico (1000) (Mille) a noi altri sbandati di Frage secondo si volete essere rispettate li mandate tutte di domani sino mandate il denaro siete tutte quante abrusciate perché ancora mangiare li doccittoni perché sono assai che appresso che Francesco secondo si porta rapporto di questi denaro che avete cacciato io sono il tenente Cimirro in questo momento mi fate risposta ho di sì ho di nò li mandate per questa persona che vi porta questo biglietto.

Il Tenende Cimirro Sbandato

A mezzo della Mazzarella la signora Pacelli fece conoscere ai briganti che le monache erano povere e che di denaro non ne avevano. Contemporaneamente, per il giardiniere del convento, mandò la lettera ricevuta dai briganti al Sotto-Prefetto il quale ordinò che dieci soldati armati di tutto punto prendessero in custodia il convento. Il giorno appresso lo stesso sbandato fece pervenire alla badessa quest'altro scritto:

Mia cara S.r Abatessa.

tutto mi creteva che voi ieravate realista e voi tude tude calbonare hò mandato a cercare una somma di denari e voi avete fatte necative non credendomi che a questo Commendo che non c'erano denari vi gli ho mamdato a cercare sottoposto da Francesco 2: che quello e il detto che tenemo da Bosco e non evano tutto il denaro facevate una cosa per cascheduna pare gli facevate se non mandate questi denari lo cinvendo sarà Bruciato perché loco siete fatto il refuggio della robbo degli Carbonari e fatemi subito la risposta in questi momenti per questa persona che io vi mandi subito speditemi, sie del sì sie del no. Bomme genziate ci penzano.

Tenende Cimirro

La badessa, per ordine delle autorità cerretesi non diede neppure ascolto a questa seconda minaccia e fu allora che Cosimo Giordano e Pilucchiello, dietro consiglio del Civitillo, scrissero in termini più garbati alla Pacelli, anzi questa volta i briganti si mostrarono galanti scrivendo la lettera su carta migliore e che poi racchiusero in un altro pezzo di carta sul quale scrissero:

A Sua E Sacratissima Mani Maria Bicatrice Signora Batessa del Monastero di Cerreto

Dalla calligrafia si deduce che il gentile scrittore fu il Pilucchiello, e non il Giordano; poiché, come innanzi abbiamo detto, Cosimo non riuscì mai ad imparare a leggere e a scrivere.

La lettera diceva:

E. C. Signor M. B. batessa del monastero di Cerreto vi manda questa lettera il detto soldato sbandato Cosimo Giordano e Vincenzo Lodovico pilucchiello. Di quello sommo che voi Beni sapito vedete farlo per lo presto mili mandato per lo vostro Sacrestani vi ringraziami la vostra sacratissima Banda e pensate per noi e noi saremo quello che le vostra Compagni si Guarderanno solo noi siami Li Cari vi Baciami la vostra SS. M.

Quando i briganti si avvidero che le monache si mantenevano sorde alle loro richieste, il 16 agosto di quello stesso anno, a mezzo di un

ragazzo, fecero pervenire al dottore Antonio Ricci di Cerreto Sannita il seguente biglietto

il. s. dontonio Ricce

vi sta precenne il caporale coseme Giordane che gli mandate secente docate e se non volete mare sopra isse che a da fare vestrugge per la Madonna e per vostro seguo vi pilerà il schizette.

il caporale Coseme giordaiio

Il collega Ricci ricevuto e letto il biglietto, si recò dai carabinieri e ad essi consegnò lo scritto minaccia. Quei bravi militi indussero il Ricci a non uscire più di casa. La calma intanto sembrava essere tornata all'egregio collega, quando la mattina del 25 dello stesso mese vide, di tutta corsa arrivare in sua casa Vincenzo Patagota, il quale a nome del Giordano gli consegnò una lettera che diceva:

Caro signoro d. Andonio Ricci.

vi manda cercanno il detto soldato Cosimi Gurdano e vincenzi Lodovico pilucchiello per uno summo di cento piastre per sostenere la compagnia noi vi mandammo a cerchiaro la summo assai ma mo vedete di si ci mandato questo per lo più possibile che potete sinò vi sarà dato no grammo dispiacere per vostra rovina mi li mandate per lo stesso porgitori e sono li vostri Cari Cosimo Guridano vincenzi Lodovico per lo presto sbricate.

Di queste continue minacce di estorsione il Ricci dovette risentirsene colla cognata del Giordano; poiché se così non fosse stato, il 29 agosto non avrebbe ricevuto dallo stesso brigante quest'altro esempio di bello scrivere, consegnatogli dalla sua colona Mariagiovanna Fermiere.

Coro signor Andon maudatemi la sommo del cente pizastre vi ringrazio del Bertinenze del mia cognata che vi preco di mandarle vende piastre. Voi sapete responeste che ti voleva fare un ricatte ma per tutta la giornata di oggi se non favorito la detta summo abbruceremo tutto puro la Gatta la vostra vita sara fernuta

Cosemo Giordano

Dalla masseria del Ricci si recarono i briganti a quella del canonico Pasquale Cofrancesco, e, al colono di costui, il Pilucchiello consegnò, pel suddetto canonico, un pezzo di carta sul quale era scritto:

Caro D. Pascale

vi preghiamo di mandare la carabina bersagliere con la dache e 6 mazzi di cartucci subito perché ci serve necessariamente e dite a don Filippetto Iuliano che mandasse le due paranze di pistole con i cartucci e carabina senza meno e prontamente e non altro e non avete paura e noi guardiamo di tutto e vi salutiamo tutti tutti la compagnia di duecento ottantasei

v. Cosmo Giordano

Il Cofrancesco mandò questa lettera al Sotto-Prefetto, il quale dal Pretore locale lo fece sottoporre ad un minuto interrogatorio. Il Pretore poscia raccomandò al canonico di non mandare ai briganti le armi richieste; caso contrario sarebbe stato arrestato. Dopo due giorni i briganti, non vedendosi contentati, rinnovarono a don Pasquale la preghiera a mezzo del seguente biglietto, che, per mancanza di penna fu dal Pilucchiello scritto a lapis:

Caro D. Pascale

questa e la seconda lettera che noi vi avemo mandato e tu sei arrogante e tosto noi volevamo la carabina bersagliere colle daga in fronte e dieci mazze di cartuccie e se non me li mandate subito appresso ci date più assai e vi arderemo tutto miche voi e la famiglia e dite a D. Filippetto che mi mandasse anche esso la carabina e la pistola e con quindici mazze di cartucci e se non li mandate subito nella entrata che si fara a Cerreto a voi brugiamo prima e poi tutte le robe e casa e masseria.

Coseme Giordane

In pari data lo stesso Giordano fece tenere al signor Tommaso Carrizzi il seguente biglietto:

Mio D. Tomaso

vi mande precenne il caporale Cosimo Giordano vi mandare i mille ducate che tenete a mente e si non volete maudare mandate subito la risposta che pensene loro che dovrebbero da fare ca vi torno a la via vi abruscemo di foco vi da segno.

Capurale Cosimo Giordano

Non creda il lettore che i briganti suddetti abbiano scritto lettere di ricatto e di estorsioni solo alle monache, al Ricci, al Cofrancesco, al Iuliani e al Carrizzi, poiché Pilucchiello di simili lettere ne scriveva non meno di dieci al giorno e molti dei minacciati per vivere tranquillamente, mandavano alla banda armi e denaro. Il pretore di Cerreto venne intanto a conoscenza che molti manutengoli si facevano inviare dai briganti lettere fittizie di estorsione e facevano ciò per non attirare su di loro l'attenzione delle autorità di pubblica sicurezza. Per ora lasciamo questo terreno sdrucciolevole; poiché, in uno studio separato metteremo a nudo la putrida piaga del manutengolismo che fioriva durante la carriera brigantesca del Giordano, e, con documenti, dimostreremo come quei Tizi i e quei Cai da pezzenti sono diventati ricchi e... possenti col prezzo di estorsioni e di sangue umano. Nel primo settembre 1861 mentre il signor Annibale Piccirillo col fratello Filippo si recava da Guardia Sanframondi alla fiera di Cerreto, giunto che fu ad uno svolto, che trovasi dove attualmente è la proprietà del dottore Girolamo Altieri, fu circondato da due brutti ceffi vestiti alla calabrese uno dei quali afferrò per la cavezza il cavallo e voltosi al signor Annibale gli disse: "Voi chi siete?", "Sono D. Annibale Piccirillo ricevitore del registro e bollo di Guardia Sanframondi". Lo sconosciuto ordinò alla gente che si era accalcata di allontanarsi e spianò contro il suddetto cavaliere il fucile; il colpo andò a vuoto. L'altro assassino retrocedette di alcuni passi, tirò alla sua volta. Don Annibale emise un grido, rovesciò in dietro la testa e cadde da cavallo. I due assassini gli furono addosso e lo finirono a colpi di pistola e di pugnale, ed infine, come se nulla avessero commesso, se ne tornarono indisturbati, per dove erano venuti. Allontanatisi i briganti vi fu un grande tumulto fra gli astanti; tutti si erano affrettati ad accorrere, ma don Filippo Piccirillo si era già abbracciato al fratello divenuto cadavere e piangeva affannosamente. Annunziatosi tale assassinio dal pubblico clamore, il giudice di Cerreto si recò sopra luogo e, dopo la identificazione dell'ucciso, fu trasportato il cadavere in Cerreto. Dall'autopsia si dedusse che la morte fu l'effetto di otto ferite, quattro d'arma da fuoco e quattro da punta e taglio. La specifica in sul bel principio presentavasi sotto un aspetto equivoco poiché uno dei fratelli dell'ucciso, Filippo, diceva che l'omicidio doveva addebitarsi ai legittimi rimproveri che il defunto aveva fatto a vani suoi compaesani dopo i delittuosi fatti di Pontelandolfo e Casalduni, che egli aspramente criticava mentre qualcuno ne recitava l'elogio. L'altro fratello, Federico, invece, sosteneva che mandatario era stato il brigante Pellegrino Senaca, il quale si era presentato ad istanza dell'ucciso Piccirillo e che vedendosi trattenuto, in carcere, mentre era sicuro di essere liberato, avesse dato incarico ai suoi compaesani di uccidere chi fu causa della sua presentazione. Ed ora una domanda: chi furono i due assassini che uccisero il Piccirillo? Andrea Cappella fece sul riguardo la seguente deposizione: "Lavoravo in un fondo 30 o 10 passi distante dal luogo ove fu ucciso D. Annibale Piccirillo, vidi tutta la scena, quando i due briganti se ne andarono, molti accorsero intorno al morto. Io mi chiusi nella masseria e tanta fu la paura che non confidai l'accaduto nemmeno a mio padre. Poi dovetti recarmi alla Madonna della libera e giunsi colà verso due ore di giorno. Trovai il brigante Francesco di Crosta di Cerreto con altri suoi compagni, i quali mi dissero che quel giorno si erano divisi da Cosimo e Pilucchiello. Dopo un poco questi sopraggiunsero tutti sudati ed io confidai al Di Crosta che da quei due avevo visto uccidere il Piccirillo". Raffaele Cofrancesco riferì al giudice istruttore che "dopo 4 giorni l'uccisione del Piccirillo certa Vincenza Cappella, massara, gli disse che era molto in collera con Cosimo Giordano, il quale era andato a commettere quell'assassinio presso la masseria di lei e che il giorno più appresso avendo incontrato la Cappella, proprio sul luogo del delitto, dissegli: Non sai? quel bel giovane di Cosimo Giordano mi ha mandato a salutare; io gli feci rispondere che aveva fatto male ad uccidere presso la mia masseria D. Annibale Piccirillo, perché questo fatto mi avrebbe compromessa con la giustizia se tacevo, e se parlavo avrei sopra di me attirato l'odio suo. Egli mi fece dire che dove l'avevano trovato, là l'avevano ucciso". Alessio Sellaroli, che fu inteso come testimone a discarico, disse che Piccirillo aveva molti nemici per la sua indole riottosa e fraudolenta e perché, come ricevitore, vessava i contribuenti così un tale Garofalo, che aveva relazione coi briganti, indusse questi ad ucciderlo. A questa deposizione si uniformò pure Paolo Pingue. Dal maggio al novembre 1861 le orde brigantesche giunsero a tenere il dominio del beneventano. I reati di sangue, in quella regione, si succedevano spaventevolmente. I reati contro la proprietà non si contavano più, i pacifici cittadini, per non esporsi al bersaglio dei briganti assetati di sangue umano, non uscivano più di casa. Le amministrazioni comunali vivevano in un torpore micidiale, e, per non crearsi delle animosità, fingevano di non avere né occhi per vedere, né orecchie per sentire. In ogni comune, ove il sentimento della civiltà non è posposto a certe passioni, gli elementi nocivi si riferiscono a chi siede in alto. In quell'epoca tutto si lasciava in balia della mala vita, poiché tutti la temevano. A rompere tanto indifferentismo, il 27 novembre 1861 fu mandata dal Sotto-Prefetto di Cerreto ai sindaci di quel circondano la seguente circolare n° 4611. Coll'entrare dell'inverno dei briganti non si sentì più parlare; poiché Cosimo e Pilucchiello andarono, a spese del Borbone, a svernare a Roma e gli altri componenti la banda si ritirarono in seno alle loro famiglie. Al principio di giugno del 1862, il Giordano fece comprendere al suo coadiutore, Pilucchiello, che il seguitare a vivere alle spalle di Francesco II era cosa sommamente vergognosa e che il decoro gl'imponeva di procurarsi il pane quotidiano col sudore della... fronte. Dopo regolare appuntamento con Carmine Ciambielli si stabilì di ricattare Giovanni Mastrobuono, il quale, in Cerreto, godeva fama di possedere non pochi quattrini. Per riuscire nella cosa il Giordano fece chiamare i più feroci dei suoi dipendenti e li armò di tutto punto, tanto più che un ufficiale dell'esercito pontificio aveva avvisato Silvio Spaventa della scomparsa del Giordano da Roma. Il ricatto meditato venne compiuto il 27 giugno e viene così narrato dallo stesso Mastrobuono : "Mentre la sera del 27 giugno mi ero allontanato, per poco, dalla masseria, per andare a bere, ad un tratto fui circondato da cinque o sei briganti sbucati all'improvviso, che m'imposero di tacere e di seguirli. Riconobbi tre compaesani, tra i quali Cosimo Giordano. Mi legarono fortemente e mi fecero salire la montagna, sulla quale trovammo altre sei persone armate e poscia mi condussero nel bosco chiamato Defensola. Colà, colle mie preghiere, ottenni che mi sciogliessero dai legami. Cosimo Giordano avvicinatosi mi disse: che doveva rendergli, con usura, le venti piastre delle quali mio fratello si era impadronito nella perquisizione fatta alla casa di lui; perciò, oltre alle venti piastre, voleva da me seimila ducati. Pregai, supplicai, per fare intendere che ero povero, e mi sarebbe stato impossibile pagare quella somma. Tanto ne dissi, che ridussero della metà le loro pretese; però le 20 piastre Cosimo Giordano le voleva come di diritto perciò da non calcolarsi coi ducati tremila. Nel discutere sul tanto e sul quanto si sentirono dei colpi di fucile. Legato di nuovo fui consegnato a due della banda con l'ordine di uccidermi se tentassi di fuggire, mi portarono sopra una montagnola, mentre la banda si preparava pel combattimento e da quell'altura vidi tutte le fasi del conflitto con la truppa. Poi gli altri briganti ci raggiunsero e si gloriavano d'aver costretto i soldati ad indietreggiare". Divulgatasi per Cerreto la nuova che il Mastrobuono trovavasi fra gli artigli dei briganti, quel Sotto-Prefetto ordinò a Vincenzo Gagliardi di recarsi sulla montagna, per ottenere dal Giordano la liberazione del ricattato. "Signor cavaliere - disse il Gagliardi - chiedetemi qualunque sacrifizio... magari la vita... ma andare solo sulla montagna, col pericolo di...". "Ma che pericolo e pericolo - rispose il Sotto-Prefetto, lasciando l'accento insinuante, per assumere quello burbero, che è proprio di certe autorità - io vi conosco pelo, e, se vi rifiutate, prenderò contro di voi dei severi provvedimenti". "In tal caso non mi resta che eseguire i vostri ordini", soggiunse il Gagliardi, e, dopo un rispettoso inchino, lasciò il Sotto-prefetto. Quando uscì il sole era già alto sull'orizzonte e la giornata mostravasi soffocante. Con passo celere percorse la via, che conduceva alla Madonna delle Grazie; poi voltò a sinistra e discese una stradicciuola a picco, circondata da colline aride, selvagge e con vegetazione incerta. Cammina, cammina, arrivò ad un riparo sotto roccia trasformato in capanna. Era la dimora di un pastore. Il Gagliardi vi entrò ed espose al pecoraro, che se ne stava sdraiato sopra un mucchio di paglia, la sua triste posizione. Antonio, così chiamavasi il pastore, senza perdere tempo, disse al Gagliardi: "La comitiva del Giordano si trova accampata a Mutri, e propriamente in contrada Difensola". Il Gagliardi vi si recò, e, dopo aver salutato il comandante, gli espresse il desiderio di vedere il ricattato. Cosimo Giordano ordinò ad Antonio Campochiaro di accompagnare il Gagliardi dal Mastrobuono. La grotta, che faceva da carcere, trovavasi in piena montagna, e vi si perveniva dopo aver attraversato un sentiero molto angusto, tortuoso, difficile. Il brigante guida, giunto presso la grotta, rallentò il passo e si sedette sopra un macigno. Un cerretese, che faceva la sentinella alla grotta, per non essere conosciuto dal Gagliardi, si abbassò sugli occhi la falda del cappello e scomparve dietro una roccia. In fondo alla grotta, e accanto al fuoco, che vi ardeva a permanenza stava coccoloni il Mastrobuono ed un certo don Antonio. che, con filosofica rassegnazione, cavava di tanto in tanto, da una vecchia pipa, delle ostentate sbuffate. Il Gagliardi corse diretto verso il Mastrobuono e lo abbracciò. Il ricattato, per l'emozione, non seppe rivolgere al nuovo venuto neppure una parola. Dopo un lungo silenzio sul volto del Mastrobuono incominciò a designarsi un'espressione di gioia, che si trasformò in terrore quando, fuori la grotta, si sentì un calpestio di cavallo. "Di che si tratta?", disse il Gagliardi. "É Pilucchiello che viene a visitarci", disse don Antonio. "Sii cauto quando parli con lui e dagli del capitano", disse il Mastrobuono al Gagliardi. Il Gagliardi infatti, non appena si trovò al cospetto di quel sanguinario masnadiere, si tolse il cappello e si pose sull'attenti come un vecchio militare. Pilucchiello restituì militarmente il saluto e fattosi venire innanzi il ricattato don Antonio gli disse: "Voi siete libero, poiché la vostra famiglia ci ha inviato il prezzo del riscatto". Il Gagliardi col liberato rifece, a passo celere, parte del viale già percorso, e, dopo aver indicato a D. Antonio la strada, che conduceva a Piedimonte d'Alife, s'incamminò per una mulattiera, che metteva in comunicazione la montagna di Mutri con Civitella. Lungo questa via, incontrò Giuseppe Mazzarella, che, per disposizione della famiglia Mastrobuono, si recava dal Giordano per ottenere una riduzione alla somma domandata. Pilucchiello, nel vedere Mazzarella, disse: "Caro Peppe, sarai compiacente di riferire ai Mastrobuono che noi non possiamo stare qui più a lungo e che, se la cifra domandata pel riscatto non ci si farà pervenire fra due giorni, sarò, contro mia volontà, costretto a decapitare il ricattato. A te poi raccomando di non dire alle autorità di pubblica sicurezza dove ci troviamo; caso contrario ti trasformeremo in arrosto". Questa minaccia fu bastevole per far venire al Mazzarella una forte febbre. Il giorno seguente, a Giovanni Mazzarella, fratello di Giuseppe, furono consegnati dai Mastrobuono 2000 ducati: dei quali 1600 erano in argento 200 in oro e 200 in bronzo; oltre le 20 piastre per Cosimo. Pilucchiello, ricevuto il denaro, ordinò ai suoi di enumerarlo, e trovata esatta la cifra, dispose che il ricattato fosse posto in libertà. Il denaro ricevuto dalla famiglia Mastrobuono fu dai briganti consumato subito, poiché ben presto si accinsero a compiere altri ricatti. Questa volta la vittima non è un uomo volgare, ma un giudice, il signor De Gennaro, il quale così descrive la cosa: "Presi a nolo una carrozza per recarmi alla mia nuova residenza ed avevo con me la mia governante. Giunti che fummo in contrada Starsie, che trovasi in quel di Guardia Sanframondi, fermammo ad una taverna per far riposare i cavalli. Nel partire mi accorsi che un uomo era montato in serpe. Protestai col cocchiere, perché la carrozza doveva essere tutta per me. Mi rispose che i posti di dentro sì, ma quei di fuori no. Io sonnecchiavo, sonnecchiava anche quella donna. Era il 15 luglio, si soffocava. Poi la carrozza si fermò. "Che è stato? Scendete", grida una voce. Dagli sportelli vidi rilucere le canne dei fucili. Sporsi il capo. La carrozza era circondata da circa 14 persone, dagli abiti alla brigantesca, rilucenti di piastre bucate. Scesi e fui trattenuto in disparte, mentre quei mascalzoni rompevano la mia valigia e si dividevano le mutande, le camicie, i fazzoletti, la roba mia e quella della mia governante. Anzi ci era un filo di corallo che si presero pure. Poi mi dissero: "Andiamo!" e mi spinsero a calci, qualcuno mi strappò i peli dei baffi. Innanzi a me erano altri due signori anche essi ricattati. Compresi pur troppo che ero capitato in brutte mani e cercai farmi credere indigente. Avevo nel portamonete dieci marenghi e in tasca due fedi di credito. Destramente, mentre camminavo, li lasciai cadere. Volevano farmi cavalcare una giumenta, ma non volli, e continuai a camminare, mentre di tanto in tanto provavo la dolcezza di un calcio alla schiena e di una tiratina di baffi. Quando fummo sul Taburno, in mezzo ad un bosco, mi spogliarono, mi tolsero la camicia e mi vestirono di certi cenci e di una camicia logora. Intanto un brigante aveva letto le carte trovate nella valigia e cosi seppero chi io fossi. "Conoscete un tale Emilio De Gennaro?" mi domandò un brigante. Io gli risposi che era mio fratello. "Mi ha fatto un gran bene, quando ero sergente, cercherò di salvarti". Cosimo Giordano intanto, col fucile in mano, dettava ad uno degli altri ricattati un biglietto per la famiglia; e poiché il giovane esitava: "Se non scrivi - gli disse - ti giuro che ti scanno". Risolvettero di mandarmi sulle montagne dove regnavano i feroci Cimmino e Cecchino che io avevo perseguitato. Accompagnato da due briganti e legato come un Cristo, camminammo per circa due ore. Giunti sopra una montagna priva di alberi, essendo stanchi ci sedemmo. Ivi, con belle maniere, ottenni che mi sciogliessero, e quando fui libero dalla catena mi detti a studiare il modo come andar via. Uno dei briganti si addormentò e il suo fucile era fra me e lui. Intavolai con l'altro una questione sul suo fucile, ed egli, per farmene ammirare la bontà, me lo porse. Afferrai i due fucili. Essi, i briganti, restarono come sbalorditi... e così mi salvai, dandomi a precipitosa fuga e battendo la via designata da un sentieruolo, che menava a Solopaca. Di tanto in tanto mi voltavo temendo di essere inseguito dai due disarmati, i quali credettero più prudente, forse per non assaporare il piombo dei loro fucili, di non inseguirmi. Giunsi alla mia nuova residenza dopo 4 giorni, dove trovai la mia cameriera, la quale, quando fui ricattato fu dai briganti fatta risalire in carrozza, perché creduta mia moglie e che per conseguenza, per vedermi libero, avrebbe dovuto raccogliere il prezzo pel mio riscatto". Il Giordano, mentre svernava a Roma, ebbe occasione di conoscere Pilone e da costui apprese che i capi-banda allora acquistano nome quando ai sequestri e alle ruberie intercalano qualche fatterello di sangue. Pilucchiello trovò la cosa esatta e, ritornato col Giordano nel beneventano, pensò di mettere in attuazione il consiglio del Pilone. L'occasione propizia si presentò ai nostri masnadieri il 13 settembre 1862. In quel giorno Giuseppe Brizio di S. Lorenzo Maggiore, il Sindaco di Guardia Sanframondi avvocato Giovanni Pingue, e il capitano di quella Guardia Nazionale signor Raffaele Pigna, con quattro suoi dipendenti, si trovarono a convegno nel caffè Morone, in quel di Guardia, a scopo di recarsi a Cerreto Sannità e conferire con quel Sotto-Prefetto. Per giungere a destinazione più presto presero a nolo il calesse di Pasquale Assini. Costui, per dar prova dell'abilità del suo cavallo lo pose a tutto trotto. Giunti in contrada Cervillo, il cocchiere calò dal veicolo, per stringere i freni, e fu in questo mentre che alcuni briganti comparvero sul limitare di una siepe. Il Brizio, nel vedere quel gruppo di assassini, si voltò al capitano e gli disse: "Non ci moviamo, poiché solo così non avranno occasione di minacciarci". "Accidenti - disse il capitano - sono in otto e fra essi vi scorgo il Giordano e il Pilucchiello". "Zitti! Zitti! - disse il Sindaco - non vedete che vengono verso di noi? Madonna salvaci! Santo Antonio aiutaci! e incominciò a recitare poternostri ed avemarie". Il cocchiere, montato di nuovo sul calesse, assestò al cavallo delle generose frustate ponendolo a tutta corsa. "Fermati, per la Madonna della Libera - gridò il Giordano al cocchiere - altrimenti ti uccido il cavallo". L'ordine fu eseguito. Il capitano ordinò a tutti di calare dal calesse, e, facendosi di questo scudo, disse ai suoi militi: "A voi, figliuoli, fate fuoco e mirate a Cosimo e a Pilucchiello". "E voi - disse il Giordano ai briganti - tirate al capitano". In seguito agli ordini dati si sentirono varie scariche di fucili intercalate da "Madonna aiutami!, Son morto!, Aiutatemi!". A guerriglia finita rimasero sul terreno Giuseppe Brizio e il brigante Luigi De Simone. Caduto il De Simone. i briganti si dettero a precipitosa fuga; le guardie col Sindaco e col loro comandante salirono sul calesse e fecero ritorno in Guardia. Il cadavere del brigante e quello del Brizio furono trasportati in Guardia e deposti nella congrega di S. Maria. La notte, che seguì a quelle uccisioni, i briganti si recarono in Guardia dal sacrestano Vincenzo Tacinelli e gli chiesero la chiave della chiesa, perché volevano vedere, per l'ultima volta, il loro valoroso compagno; ma quando seppero che la chiave era custodita dai Carabinieri, allora cercarono, ma non riuscirono, assalire il posto della Guardia Nazionale. Il brigante De Simone portava al collo un nastrino, al quale stavano sospese dodici borsette contenenti figure di madonne e santi, ai quali l'assassino si raccomandava per riuscire nelle imprese brigantesche. Al principio del 1863 il Governo per distruggere il brigantaggio, che andava di giorno in giorno sempre più aumentando, ordinò al luogotenente Ponza di S. Martino e al generale Durando di far perlustrare da migliaia di soldati le contrade invase dai briganti. Il risultato, a quanto pare, fu negativo; poiché fu appunto nel 1863 che gli assassinii, le grassazioni a mano armata, i ricatti, gli stupri e gl'incendii si contavano a dozzine al giorno. Erano spettacoli ritenuti come un'ingiuria alla civiltà del secolo. Dicesi che in detto periodo bande di famelici giravano i paesi per domandare l'obolo della carità. Le campagne più non si coltivavano; perché quando la messe era matura veniva da questo o da quell'altro brigante data alle fiamme. All'avemaria ognuno si chiudeva in casa. Il commercio era finito e la desolazione regnava per ogni dove. Scorrendo le pagine dei processi del brigantaggio si trovano dovunque segni indelebili della vasta indole criminale e della sua potenza analitica nel commettere delitti. Per sopperire alla miseria dei danneggiati dal brigantaggio, il Ministero dell'Interno ordinò di potersi, per questi, fare delle collette. A tanta manifestazione di pietà concorse tanto il ricco che il povero. tanto il nobile che il plebeo, tanto il Nord che il Sud. Infatti il Cav. Ruffo, Sotto Prefetto di Cerreto Sannita spediva ai sindaci del suo circondano la circolare n° 207 del 15 gennaio 1863. La giunta municipale del comune di Guardia Sanframondi fu una delle prime a riunirsi, e, con deliberazione del 23 gennaio,1863, determinò contribuire per lire cento. Si formò pure per la bisogna una commissione composta dal sacerdote Gaetano Tessitore, dal giudice del mandamento Nicola Rossi, dal sindaco Giovanni Pingue e dai signori Domenico Piccirilli e Nicola Foschini. La pubblica sottoscrizione fruttò lire 137,87 per opere dei collettori: Silvestro Nonno, Luigi Foschini, Francesco Maiorano, Giuseppe Foschini di Filippo, Pietro De Blasio, Raffaele De Blasio, Luigi Tessitore, Tommaso Del Vecchio, Domenico Tessitore e Domenico Assini. Torniamo a Cosimo Giordano. Verso le 7 a. m. del 22 febbraio 1863, mentre il sacerdote Antonino Pigna di Guardia Sanframondi, tutto intabarrato, a passo celere, semicurvo e col naso arricciato, quasi volesse, con quella posa, sfidare la forte tramontana che da un'ora e più spirava, si recava a S. Lupo, per andarvi a celebrare la messa, s'imbatté in contrada Campopiano col notaro Antonio Rinaldi. Dapprima parlarono dell'incostanza del tempo, e poscia s'intrattennero sull'insipienza del Governo per non saper debellare il brigantaggio. In prossimità della fornace di Orlando, che trovasi a mezza via fra Guardia e S. Lupo, una gettata di vento più forte li rese incerti se proseguire o retrocedere. Fu durante tale incertezza che una grossa voce accompagnata da una grossa bestemmia indusse i due a non muoversi. Era il famigerato brigante Cosimo Giordano, che, con venticinque dei suoi più audaci malfattori, aspettava al varco quelle due pecorelle. Il capo-banda, senza molte cerimonie, invitò i due malcapitati a seguirlo, e perché il Rinaldi era corpulento e non abituato a camminare sopra terreno incerto, due briganti, che fra gli altri si distinguevano per la faccia torva e se ne stavano in disparte silenziosi, diritti, e riflessivi, furono invitati di andare a rubare, in una vicina masseria, un asinello, sul quale fecero montare il notaro. Don Antonino invece, che godeva pel circondano fama di cacciatore, non s'ebbe la cosa tanto a male e sembrava camminare come un baldanzoso. Abbiamo detto sembrava, poiché aveva gli occhi dilatati dallo spavento, il viso pallidissimo e dalle sue labbra tremule sfuggivano invocazioni per santi e madonne, promettendo a queste e a quelli voti di argento e di cera se fosse ritornato incolume in casa. Del ricatto del Pigna e del Rinaldi subito si sparse per Guardia la voce, e, in men che lo si dica, quella Guardia Nazionale, che, per coraggio, portava nel beneventano il primato fu dal tamburino chiamata a raccolta e si pose sulle tracce dei suddetti malfattori. I briganti, dopo disastrose marcie, attraversarono la montagna di Cerreto, scomparendo e comparendo fra una serie di colline e finalmente giunsero sulla montagna di Pietraroia, dove un manutengolo del luogo aveva preparato alla comitiva la colazione. Dopo ristorati, fu data al Rinaldi un'altra cavalcatura: un grosso mulo, abituato a camminare per discese rovinose. Per ordine di Pilucchiello quella bestia fu guidata a mano da un brigante di Cusano. Presso Civitella il mulo scivolò investendo il cavaliere, che si rialzò tutto malconcio. Da Civitella a Cerreto, Giordano si mostrò più guardingo; poiché si fece precedere di un centinaio di metri da due vigili sentinelle col mandato di esplorare i dirupi e di far fuoco sui soldati e le guardie nazionali. Artraversarono, senza incontrare anima viva, il territorio di Cerreto, di Guardia e di Solopaca. Fecero alt in contrada Sette-Serre che fa parte della montagna di Vitulano, dove due componenti la banda di Gennaro Pulzella fecero ai loro colleghi della comitiva Giordano, gli onori della... montagna offrendo a tutti pane, vino, salami e cacio fresco All'alba, Pilucchiello consegnò ai due ricattati carta, calamaio e penna e ad essi dettò il prezzo del loro riscatto. Verso le ore tre del sei marzo, mentre i briganti stavano nel più fitto del bosco a gozzovigliare, il Pigna, che col Rinaldi stava custodito in una grotta, riuscì a sciogliersi dei lacci e accostatosi al Rinaldi gli disse: "Non vi movete, perché sarò di ritorno non appena avrò soddisfatto un bisogno corporale". Quando il furbacchione del prete si avvide che la sentinella, pel troppo vino, russava al non plus ultra, si mise a strisciare adagio adagio cercando di tenersi sotto le piante più folte per potersi nascondere più facilmente in caso di pericolo, guardandosi sovente alle spalle per tema di essere inseguito da qualche brigante, avendo ormai compreso che la sua libertà era sospesa ad un filo. Quando si fu allontanato di un centinaio di passi, gli venne in mente quel canone della fisica che dice: "I suoni si trasmettono mediante i corpi solidi meglio che per l'aria" ed ecco che don Antonino si curvò verso terra ascoltando per alcuni secondi, poi rassicurato dal silenzio, che regnava nel bosco, si dette a correre inciampando fra i cespugli e facendo di tanto in tanto dei capitomboli. Giunse in Vitulano in casa dei suoi parenti Rivellini alle 5 del mattino. Il Rinaldi, dopo 13 giorni di sofferenze, fu lasciato libero. Prima di andar via fu obbligato di gridare: "Viva Francesco II!, Viva Pio IX!, Viva il generale Cosimo Giordano!". Pilicchiello, nello stringere la mano al Rinaldi, gli dice: "Signor notaro, nel ritornare a Guardia, direte al prete Antonino Pigna che, se sarà nuovamente ricattato, gli mozzeremo il capo tanto più che è fratello al capitano Pigna, che l'anno passato con una schioppettata uccise Luigi de Simone, uno dei più valorosi nostri compagni". Il Sotto-Prefetto di Cerreto, per dare continua ed accanita caccia al Giordano, diresse ai sindaci la Circolare n. 2172 del 3ottobre 1863:

Signore,

di quanto interesse sia la formazione di una squadriglia di volontarii, non v'ha chi non vegga bene e prima che fosse venuta l'approvazione, questo ufficio aveva a lei raccomandato di avere dei volontarii".

Il buon esempio fu dato dal Comune di Fojano e ciò rilevasi dalla circolare diretta dal reggente la Prefettura ai Sotto-Prefetti e Sindaci n° 878 del 17 ottobre 1863. Nel dì 6 novembre si presentarono a Cerreto, quali volontari, alla formazione della squadriglia del mandamento di Guardia Sanframondi, Pigna Filippo, Foschini Luigi, Foschini Gabriele, Marotta Giuseppe, Caiola Pasquale. Caiola Vincenzo, Parente Angelo, Turco Giuseppe fu Luigi, Romano Ferdinando, Parente Luigi, Brigida Filippo Luigi, Virgilio Alfonso, Civitillo Gaetano, Rinaldi Andrea, Linfante Florindo, Negro Domenicantonio, Lintante Eziario, Meglio Raffaele, Cesare Antonio, Venditti Filippo, Negro Francesco, Rinaldi Giuseppe, Lintante Francesco e Turco Giuseppe fu Giovanni di anni 18. Quale risultato dettero le squadriglie di volontarii non lo sappiamo; è certo però che nello stesso mese pervenne ai Sindaci e Capitani delle guardie nazionali la circolare n° 1427 del 10 novembre 1863. I fittaioli intanto, togliendo a pretesto i pericoli del brigantaggio, abbandonarono le case coloniche. I proprietari, vedendosi lesi negl'interessi, ricorsero alle Autorità di pubblica sicurezza, affinché regolassero meglio il servizio di perlustrazione. In seguito a questi reclami il Reggente la Prefettura di Benevento fece tenere ai capi delle amministrazioni comunali la circolare n° 1724 del 25 novembre 1863. A questa circolare, dopo pochi giorni, tenne dietro la n° 1812 del 4 dicembre 1863. Fra i delitti di sangue, consumati da Giordano nel 1863, va annoverato quello dei d'Andrea padre e figlio. Alle tre di notte del 10 gennaio 1863, mentre pioveva dirottamente, Cosimo Giordano si recò alla masseria di Antonio d'Andrea, e, visto che l'uscio stava chiuso, bussò ripetutamente. La nuora del d'Andrea, Grazia Balzano, prima di aprire, domandò: "Chi è?". Alla risposta: "Amici!" fu spalancato l'uscio ed entrò il Giordano con altri otto briganti. Il capo di quella piccola masnada, senza far motto, si avventò contro il marito della Balzano, e con un colpo di pugnale, cercò scannarlo. Il minacciato si riparò sotto il letto, dove fu ucciso a colpi di fucile. Antonio d'Andrea, invece, se la dette a gambe, ma fu atterrato mentre scavalcava una siepe. L'omicida fece, sul riguardo, alla Corte di Assise di Benevento, la seguente dichiarazione: "Il d'Andrea padre mi faceva l'amico, mi dava vitto e ricovero, quando avevo bisogno d'asilo, ma era un Giuda, che covava il tradimento. Egli aveva una casetta solitaria sulla montagna, una sera, mentre passavo con la banda per quei luoghi, sentimmo abbaiare un cane. Poi vidi schiudersi l'uscio della casetta e far capolino un uomo in camicia; ci vide e rinchiuse la porta d'entrata. Noi movemmo verso una collinetta vicina e ci accampammo sul sommo di essa. Io vigilavo con l'occhio fisso alla strada, che mena a Cerreto, quando vidi un uomo, che, con la giacca sulla spalla, camminava verso Cerreto. Era, come seppi dopo, d'Andrea, che andava a denunciarci. Non ci movemmo da quel luogo aspettando l'alba, però eravamo sicuri, non supponendo che nell'ombra si tramasse il tradimento. Quando scorgemmo avanzar guardingo e minaccioso un drappello di soldati: "I nemici, i nemici!" gridai, e ci alzammo per fuggire; ma un altro drappello si avanzava dalla parte opposta al primo. Facemmo diversione a destra, ma altri soldati ci chiudevano il passo; insomma eravam chiusi in un cerchio di ferro. Mi slanciai, chiesi in aiuto la forza e l'agilità degli anni giovanili, quando m'inerpicavo correndo per le balze e i burroni, e così lasciai di cento passi indietro i miei compagni, che fuggivano anch'essi. Intanto ci si grida: "Ferma ferma" e le prime schioppettate rimbombano. Fo fuoco anch'io. Caporal Cosimo, gridavano i miei compagni, siamo perduti! Non ancora, grido io. Mi svesto degli abiti, resto in mutande e camicia, impugno la carabina, giro innanzi la cartucciera, assicuro la rivoltella e col pugnale tra i denti mi precipito sul nemico, seguitemi, grido, non cessando dal far fuoco. Così mi vien fatto di spezzare quel cerchio e di far scampare i miei. Io, inseguito, mi precipito in un pozzo; così feci perdere al nemico le mie tracce". A questa lunga cicalata il Presidente della corte soggiunse: "Sì, sì, ma tutto questo non c'importa". Siete o non siete l'uccisore dei due d'Andrea. "Ecco, disse il Giordano. La spia era stata il D'Andrea, che mi giurava amicizia; era lui il Giuda, onde giurai vendicarmi. Con otto persone, tra le quali il mio compagno Pilucchiello, andai verso le ore dieci di sera alla casetta del d'Andrea, col proposito non di ucciderlo, ma di punirlo con cinquanta legnate sulla schiena. Spinsi la porta ed entrai. "Buona sera, caro amico", gli dissi. Egli, che era seduto presso il focolare, si alza, e, al primo riconoscermi, si avventa ad una scure e grida al figlio, che era ivi con lui, di armarsi, e con un soffio spegne il lume. "Accendete una candela" - grido io - temendo in quelle tenebre di ferirci scambievolmente. In quel parapiglia non fui ubbidito. Pilucchiello però s'incontra col d'Andrea padre; si afferrano; il mio compagno, più forte, lo trascina fuori. Io, con tre altri, rimasi nella casetta alle prese col d'Andrea figlio, il quale si nascose sotto il letto, e di là fa fuoco tre volte. Al lampo delle schioppettate mi do conto del luogo, e spianammo i fucili verso quella parte donde venivano i colpi. Aspetto un altro lampo e tiro coi miei compagni. Chi fu di noi, signor Presidente, che uccise il giovane d'Andrea? Chi lo sa! Il d'Andrea padre fu ucciso dal Pilucchiello". La vera causale di questo doppio omicidio è questa: confinante con la masseria dei d'Andrea, vi era un fondo di un certo Mausillo la cui figliuola, Maria, faceva all'amore col Giordano. Fra le due famiglie erano, per certi contini, sorte delle questioni riguardanti il diritto di passaggio. Il Giordano, per dare alla sua bella una prova di affetto, uccise chi era causa di disturbo della sua famiglia. Fu pure nel 1863 che Cosimo, a mezzo di un suo fido, mandò ad Antonio Vaccarella un biglietto nel quale gli chiedeva del denaro. Nel biglietto-minaccia era scritto anche che se si fosse mostrato restio a tale richiesta sarebbe stato ucciso. Il Vaccarella non uscì di casa, ed allora il Giordano ordinò ai suoi di uccidergli le pecore, che ascendevano a trecentocinquanta. Il Giordano, benché avesse nel beneventano spie ed amici in gran numero, si preoccupò non poco delle continue circolari, che riguardavano la repressione del brigantaggio, e, con parte del denaro riscosso, a base di ricatto, si procurò un passaporto. Quali miracoli non sa fare il denaro? La giustizia, scriveva il Mastriani, si dipinge con una bilancia nella mano. Gettate un pugno d'oro nella coppa della penalità e farete sparire la differenza di peso. Qui è acconcio far altresì notare che il Giordano, "novello Proteo" pigliava sembianze diverse, sapeva, per così dire, truccarsi con tanta abilità da superare i più abili dei nostri trasformisti. Infatti ora pigliava l'aspetto di un cantastorie, ora di un cretino, ora, con tanto di pancia lo si vedeva, per le fiere, vendere baccalà. Certe altre volte, con finta barba canuta, rappresentava la parte di un mazziniano intransigente spolverizzatore di monarchie e di troni e non mancarono dei casi in cui vestito da carabiniere o da guardia nazionale, entrava nei caffè ricevendo sigari da quegli stessi militi, che gli avrebbero dovuto dare la caccia". Nelle vicinanze di S. Germano, Cosimo sotto il falso nome di Nicola Caracciolo, esercitò presso un tal Fusco l'industria di venditore di cipolle; poscia ricordandosi del mestiere che esercitava giovanissimo si trasformò in guardiano di maiali e, in Villa Latina divenne addirittura negoziante di porci. Nel 20 luglio 1865 ritornò in Cerreto, quivi colla cooperazione dei suoi parenti ed amici, sequestrò, nel 26 di detto mese, Giosuè Santillo e Lorenzo Cappella, e, il giorno 28, Francesco Paolo del Re, Francesco Ponte e Pellegrino della Penna. Tutti questi, per aver salva la vita, dovettero sborsare nelle mani del Giordano non pochi quattrini Nel principio del 1866 lo si vedeva, ben vestito, girare per Roma e si permetteva ricevere in sua casa non pochi personaggi politici affezionati ai Borboni. Nel 12 luglio 1866, in contrada Cervillo, che trovaii in quel di Guardia Sanframondi, Cosimo Giordano, Vincenzo Ludovico, alias Pilucchiello, e Vincenzo Petroli uccisero mio padre. Il Giordano non volle addebitarsi tale delitto. Il Giordano, prima di dare un arrivederci al beneventano, sequestrò Fabio Bolognese e Pietro Mazzarella. Il sequestro Bolognese-Mazzarella è così raccontato dagli stessi ricattati. Il 28 luglio 1866, il Bolognese disse: "Verso un'ora di notte mentre tornavo dai bagni con Pietro Mazzarella, scendendo a cavallo per un sentieruolo della montagna ci fu imposto da alcune persone vestite da carabinieri di fermarci. Quando vidi che mettevano fuori le corde per legarci, mi accorsi con chi avevo da fare e ne fui certo quando al berretto dei carabinieri sostituirono il cappello a punta dei briganti. Ci portarono sulla montagna Monaco di Gioia, e colà giunti Cosimo Giordano m'impose di scrivere alla mia famiglia per chiedere dodicimila ducati. Io scrissi ed egli firmò col suo nome il biglietto. Stemmo coi briganti dal 28 luglio all'8 settembre, o vagando per i boschi o dormendo in una caverna, nella quale si entrava per un buco. Mi liberarono dopo aver pagato 1500 ducati". Pietro Mazzarella uniforme in tutto alla deposizione del Bolognese aggiunse che fu liberato prima del compagno per poter far giungere ai briganti il denaro richiesto. Il Giordano, dopo i ripetuti ricatti, ritornò in Roma e da qui passò nella capitale inglese dove, per passatempo, si esercitava ad ammaestrare i pappagalli. Dopo tre mesi lasciò Londra e ritornò a Roma, dove venne accusato di omicidio; arrestato fu ritenuto in carcere per sei mesi, ma risultato innocente fu rimesso in libertà. Dopo ripetuti incontri con gli amici della famiglia Borbone pensò il nostro masnadiero di andarsene a Marsiglia, dove vi pervenne col nome di Giuseppe Pollice. Passato l'inverno del 1868, il Giordano stabilì di ritornare in Italia e vi pervenne per via di mare. Sbarcato a Napoli, passò per Caserta e Piedimonte d'Alife e da qui, col solo Pilucchiello si recò nel comune di Morcone per eseguire qualche ricatto. Infatti, una sera, due sconosciuti armati di due colpi e vestiti con lunghe giacche bluastre, cappelli neri e lunghi stivali, sequestrarono al luogo detto Cappella, distante da Morcone poco più di un chilometro, Polzella Luigi del fu Nicola che condussero seco loro alla volta delle montagne di detto comune. Per via incontrarono un altro individuo vestito alla stessa maniera, il quale nell'atto del sequestro erasi voluto tenere in disparte. A sera fatta il pastore Francesco Valletta di Morcone, che trovavasi sulla montagna a pascolare le pecore fu invitato dai briganti a portare alla moglie del ricattato, Angiolina Marino, il seguente biglietto.

Caro moglie

io mi trovo seguestroto dai briganti, se mi tenete caro mandatemi subbito subbito cingue mila ducati se no guaie per me.

Il Polzella rifiutò di apporvi la propria firma; ciò nonostante fu dal Pilucchiello, mandato a destinazione. Il Valletta, quando ritornò, disse ai briganti che la moglie del ricattato non credeva al sequestro del marito; perché il biglietto non era stato da lui firmato. Al che il Pilucchiello: "Ritorna da quella puttana di Angelina e dille che se non manda subito il denaro sarà guaio pel ricattato e che se vuole qualche segnale del marito, fra due giorni, riceverà o una gamba o un braccio". A questa intima, il viso del Polzella si bagnò di sudore freddo e i suoi occhi grandi e neri si coprirono di ombre tristi. La pubblica sicurezza, venuta a conoscenza del sequestro del Polzella, si mise sulle tracce dei malfattori; ed il Pilucchiello, per non venir meno alla parola data al Valletta e per non capitare nelle mani della giustizia, ordinò a Brino Angelo e a Cusano Mariano, che si erano uniti dopo il sequestro del Polzella, alla banda, di uccidere il ricattato. L'assassinio fu commesso in contrada Colle Scipione, in tenimento di Cerreto e sotto la nuca dell'ucciso fu posto un pezzo di carta sul quale Pilucchiello aveva scritto: "Queste uomo morto perché non a voluto mandare il denare ai briganti". Il Governo, preoccupato dell'ardire della coppia Giordano-Pilucchiello, pensò una buona volta di affidare la distruzione del brigantaggio al giovane generale Pallavicini, cosa che deduciamo dalle circolari della sottoprefettura di Cerreto Sannita n° 616 del 3 luglio 1868 e n° 735 del 18 agosto 1868. Dietro parere del Generale Pallavicini, il Govemo, per dare l'ultimo colpo al brigantaggio, pensò bene di accordare premii in danaro a quelli che avessero fatto catturare i briganti, che ancora scorrazzavano per il beneventano e province limitrofe. E ciò deducesi dalla circolare n° 788 del 5 settembre 1868. Il giorno 24 settembre Cosimo Giordano e il suo collega Pilucchiello, vestiti da caprai, rientrarono indisturbati nello Stato Pontificio, lasciando in balia di loro stessi pochi altri manigoldi dei quali alcuni furono imprigionati durante il 1868 ed altri emigrarono per la Francia e per le Americhe. Nelle ore vespertine del 24 giugno 1880, dopo un'assenza di circa 16 anni, ricomparve, nel circondano di Cerreto Sannita, il famigerato brigante Cosimo Giordano. Era calato dalla Francia col suo collega Albanese, non perché affetto da nostalgia, ma per tastare il polso ai suoi ex manutengoli, i quali, da un pezzo, si mostravano sordi alle sue richieste di denaro. Il 10 giugno, i due banditi s'imbarcarono a Marsiglia, per la volta di Genova e da qui, a mezzo ferrovia, giunsero a Cerreto, dove restarono alcuni giorni. Durante questo periodo, fece il Giordano il piano per visitare quel massaro o quel negoziantuccio, che si erano fatti grandi col denaro ricevuto da lui e non col sudore della fronte come volevano far credere ai minchioni. A quanto pare il risultato fu positivo; poiché, nella sola città di Cerreto, in tre giorni, racimolò sedicimila lire. Per mettere poi il brivido addosso a quei manutengoli, che lo credevano addirittura morto, volle, per un poco, ritornare brigante ed ecco come. A mezzo di suo padrigno Vincenzo Colella mandò a chiamare in Guardiaregia, Nicolangelo Gasbarra, col quale era stato in relazione di amicizia fin da quando il beneventano trovavasi in balia dei briganti. Il Gasbarra, dietro tale invito, non si fece, come suol dirsi, ripetere la cosa due volte, e, all'ora indicata, si trovò in casa Colella, dove non trovò il Giordano; perché costui, essendo affetto da reumatismo ed essendo abituato in Francia ad una vita comoda, pensò godere la ospitalità, che gli volle offrire un suo compare. Colella quindi fu costretto, per vedere il Giordano e l'Albanese, recarsi in casa del generoso... compare! A quel che seppi l'incontro fra il Giordano, l'Albanese e il Gasbarra fu commoventissimo; gli abbracci e i baci non si contavano più e il vecchio Colella, non potendo più resistere a tale straziante scena, incominciò a piangere convulsivamente. Dopo gli abbracci, i baci e le lagrime di gioia, il Giordano mandò a comprare vino, pane e salame. Dopo che quella piccola comitiva ebbe fatto onore a Bacco, Cosimo fece comprendere al suo invitato di voler fare qualche ricatto, non per vero bisogno, perché a Lione di quattrini ne aveva; ma piuttosto per dimostrare ai beneventani, che era ancor vivo e non morto come quasi tutti lo ritenevano. In questa credenza, diceva il Giordano, io trovo un'offesa. Il mio amor proprio è calpestato e perché non sono avvezzo a subire insulti di sorta così è mestiere che faccia nota la mia esistenza con un fatto qualsiasi. È quistione d'onore e per l'onore adunque io non posso transigere. Il Colella nel vedere la ciera sconvolta del figliastro gli disse: "Non alterarti di più, poiché noi ti saremo fidi compagni". Nicolangelo Gasbarra gli domandò se la pubblica sicurezza fosse a giorno del suo ritorno in Italia. Non solo la pubblica sicurezza non sa niente, rispose Cosimo Giordano, ma, dopo il ricatto, ritornerò con Albanese in Francia, essendo ambedue provvisti di regolare passaporto. "E a chi avete pensato di ricattare?", dissegli il Gasbarra. "Su questo non posso ancora dirti nulla" - soggiunse il Giordano - perché la spia mi porterà la risposta domani: in ogni modo tu all'una, dopo la mezza notte, ti farai trovare dietro la chiesa della Madonna della Libera". "E per le armi come farò?", disse il Gasbarra. "A tutto sarà provveduto - rispose il Giordano - anzi il mio fucile l'ho portato dalla Francia". Il giorno dopo Cosimo Giordano, il padrigno, il nipote e l'Albanese si recarono al luogo di convegno dove trovarono il Gasbarra, al quale, dopo che fu consegnato un fucile, due pacchetti di cartucce e un pugnale si avviarono alla volta di Morcone. Per via incontrarono un pastore, il quale disse al Giordano: "Andate sicuri perché Libero della Penna sta con alcune donne raccogliendo il fieno". "Va bene", rispose il Giordano e fece cadere nelle mani del pastore alcune lirette. A questo atto di generosità la spia rispose con un "Grazie". "Ma che grazie e grazie", soggiunse il Giordano. "Se le cose andranno bene, tu avrai altro denaro. Domani poi recati in Cerreto da mio padrigno e gli andrai a riferire ciò che dirà la voce pubblica in Morcone del ricatto Della Penna e possibilmente le ricerche che vuoi fare di noi la pubblica sicurezza". Durante questo dialogo il Colella raccontò al Gasbarra le accoglienze che Francesco II aveva fatto al figliastro e poi concluse che, se il Borbone fosse stato restaurato sul trono, il Giordano sarebbe diventato generale, cosa che avrebbe arrecato onore alla famiglia e a Cerreto, che gli aveva dato i natali, mentre per questi, mangiapolenta (Piemontesi) deve starsene lontano da noi. Il Giordano si accomiatò dalla spia e riprese con gli altri il cammino. Giunti sopra una collina la discesero; poi fecero un buon tratto di via fra una gola di monti e da qui giunsero in una pianura che attraversarono per un buon pezzo; poscia voltarono a destra e fecero sosta in contrada Piscina, dove il ricco massaro Libero Della Penna riordinava il fieno, che alcune donne gli portavano. Il Della Penna, nel vedere quella piccola comitiva, dapprima credette che fossero gli acquirenti del bosco Costa-Alonzo e voltosi ad uno di essi, che poi seppe essere Cosimo Giordano, gli domandò se avesse bisogno di qualche cosa e avendo visto che con un fazzoletto si tergeva dalla fronte il sudore, gli offrì un bicchiere di vino. "Non vincomodate, perché io non ho bisogno di vino; ma della vostra persona. Io sono Nerone, ossia Cosimo Giordano in carne ed ossa che alcuni ritenevano per morto; altri lo credevano emigrato in America ed altri ancora in Egitto. Io son venuto in Italia per far denaro e perché già siamo alle ore venti è mestieri metterci in cammino". Libero Della Penna, dopo questa imposizione, dapprima pregò, poi scongiurò ed infine disse: "Sono a voi". Il Giordano affidò il ricattato all'Albanese ed al Gasbarra; perché il Colella e l'altro Giordano fecero per altra via ritorno in Cerreto. Il capo-banda invece seguiva il ricattato ad una rispettiva distanza. Dopo aver attraversato alcune valli, certi burroni e non pochi monti giunsero a Mutri, dove Libero Della Penna fu rinchiuso in una grotta. All'indomani Cosimo Giordano fece dalla grotta uscire il ricattato e gli dettò la seguente lettera:

"Se tenete cara la mia vita mandate subito 5000 piastre. questa somma mandatela per Parciasepe al luogo che vi indica chi vi porta questo biglietto" Libero Della Penna.

Questo biglietto fu consegnato alla famiglia del ricattato dal capraio Pietro Pallotta, il quale in Guardiaregia era tenuto come manutengolo e all'epoca del ricatto del Della Penna, fornì alla banda il vino; mentre Michelangelo Serio mandava il pane. Il Pallotta, eseguito l'incarico, ritornò alla grotta di Mutri col Parciasepe, il quale consegnò al Giordano una prima somma; in seguito lo stesso Parciasepe portò altro denaro; in tutto L. 5800. Il ricattato stette nella grotta quattro giorni e fu tenuto d'occhio dal solo Michelangelo Gasbarra. Il Giordano dalla somma ricevuta ne prelevò lire 800, che le suddivise fra i suoi aiuti. La sera del primo luglio ripartì per la Francia. Della ricomparsa del Giordano e dell'eseguito ricatto di Libero Della Penna se ne impossessò la stampa. Infatti nella Gazzetta di Napoli del 28 giugno 1880 leggo: "Da Benevento ci giunge una grave notizia, che speriamo venga subito smentita. Si vuole che sui monti di Cerreto Sannita sia comparsa una banda di briganti capitanata dal famigerato Cosimo Giordano, che nel 1861 e 1862 fu il terrore del beneventano devastando le campagne, ricattando i proprietarii, svaligiando le case e seviziando quanti gli capitavano nelle mani. Fu impossibile catturano; ma un bel dì liberò spontaneamente della sua presenza quei luoghi ed emigrò in America. Pare che adesso, annoiato della vita del nuovo mondo, sia ritornato nel vecchio e proprio nel campo che tenne per sue gesta. Questo masnadiere, come molti altri del suo tempo, ha inspirato anche uno scrittore, il signor Pasquale Villani, che ne fece il protagonista di un suo romanzo a grandi tratti "Cosimo Giordano e i saccheggiatori di Cerreto". Ecco ora quanto ci scrivono da Cusano Mutri: "Nella notte del 21 al 25 cadente alla distanza di un solo chilometro dall'abitato di Morcone quattro briganti si presentarono nella masseria del signor Libero Della Penna e lo catturarono. Ora pel riscatto si domandano lire 17000. Queste contrade sono allarmate per tale avvenimento, massime perché i briganti sono capitanati da Cosimo Giordano. Noi, che non facciamo appello all'autorità essendo nota la insipienza del Prefetto Giorgetti, ci rivolgiamo alla stampa perché voglia levarsi in favore di questa provincia resa desolata per lo sgoverno che dura da più anni. Queste sono le conseguenze del sistema Giorgetti e suo segretario Colmayer, che lungi dal pensare a veder migliorate le condizioni generali della provincia, vogliono fare la politica nei consigli comunali, fino ad armare persone, che sono state negli scanni delle assisie". Il primo luglio 1880 fu dal prefetto di Benevento trasmessa ai sindaci la seguente circolare:

Essendo apparsa nel Circondano di Cerreto Sannita una banda di malfattori capitanata dall'ex brigante Cosimo Giordano, il sottoscritto comunica alle SS. LL. come S.E. il Ministro dell'Interno ha promesso un premio di lire quattromila a chi arresterà o farà arrestare il brigante Cosimo Giordano ed una conveniente gratificazione.

Il Prefetto Giorgetti

Questa circolare, annunziante il premio di lire quattromila, non dette nessun frutto, benché fosse stata affissa al pubblico e annunziata al popolo dai banditori a suon di tromba, né il risultato potea essere diverso, poiché il Giordano, fornito di passaporto, già trovavasi in Francia. Ciò non pertanto il Governo credendo che il Giordano fosse ancora in Italia da quattro portò a lire ottomila il premio da darsi a chi arrestasse o facesse arrestare il tanto temuto uomo; e perché i vari municipii avevano versato anche un contributo, così la somma salì a lire undicimila. Questa circolare è del Sotto-Prefetto di Cerreto, porta la data del 17 luglio 1880 ed è distinta col n. 971. La giunta municipale di Guardia Sauframondi, stabilì di versare lire cinquanta per la cattura di Cosimo Giordano. Il Sotto-Prefetto di Cerreto, in data del 5 luglio 1880 n. 2874 ritornò al sindaco di Guardia, signor Ernesto Foschini, la deliberazione a scopo di ottenere una somma maggiore. E sempre per quella tale credenza, che il Giordano fosse ancora nel beneventano, il 25 agosto il Sotto-Prefetto con suo ufficio (n. 971-3), stabilì, per ordine del Ministero dell'Interno, che mezza compagnia di soldati fosse mandata a Cerreto, trenta uomini a Pietraroia e mezzo squadrone di cavalleria a Telese. Furono, con altri carabinieri, rinforzate le stazioni di pubblica sicurezza di Morcone, Cusano, Guardia e Solopaca La calma ritornò nel circondano di Cerreto Sannita quando il Giordano fece pervenire ad una delle autorità beneventane una lettera nella quale l'avvisava di ritirare la forza dai vari comuni, poiché egli (il Giordano) si trovava sano e salvo in altro Stato. Vediamo intanto come il Governo venne a giorno della presenza del Giordano in Italia e quali furono le disposizioni per farlo catturare. Il Prefetto Giorgetti in data del 26 giugno 1880 cosi scriveva al Procuratore del Re di Benevento:

….. Come V.S. Illustrissima avrà saputo a mezzo del signor Pretore di Morcone, nella sera del 24 andante 5 individui armati catturarono nel tenimento del predetto Comune tal Della Penna Libero, conducendolo seco loro per ignota direzione. Nel riferirle questo lamentevole tatto da parte mia mi pregio parteciparle le disposizioni date per la scoperta ed arresto dei malfattori, ed un cenno del risultato delle indagini eseguite nel fine di conoscere di quali elementi si componga la banda armata, che catturava il Della Penna. Appena ricevuto l'avviso, che nelle ore p. m. del 24 volgente in contrada Scorpi della Cicala, tenimento di Morcone, a tre chilometri dall'abitato, era stato catturato da cinque individui armati di tutto punto, e vestiti civilmente, il sopraindicato individuo possidente del luogo, diede le seguenti disposizioni. Telegrafai al signor Sotto-Prefetto di Cerreto di valersi di ogni mezzo, spiegando la maggiore energia per scoprire la direzione presa dai malfattori, e lo avvertii d'aver fatto partire a quella volta Funzionarii con truppa, perché, appena giunti in Cerreto, operassero a sua dipendenza nei luoghi in cui potessero aggirarsi i malfattori. Nel medesimo tempo aggiunsi, per lettera, categoriche e precise istruzioni alla stessa autorità, affinché, colla forza messa a sua disposizione e con la cooperazione dei Funzionarii dipendenti, si ottenesse principalmente di raggiungere i malfattori liberando il catturato Della Penna e quindi con accennate investigazioni stabilire se in realtà a capo della comitiva, vi fosse, come vociferasi, il famigerato brigante Cosimo Giordano. Infine posi sullavviso i signori Prefetti di Caserta e Campobasso dell'avvenuto ricatto ad opera di cinque individui armati, nel caso che i malandrini abbiano potuto prendere la direzione delle montagne del Matese, che si estendono nelle dette province. E siccome mi risultava ancora da notizie ricevute che i malfattori, col ricavato, avessero potuto dirigersi verso il Taburno, spedii altra forza di carabinieri, con apposite istruzioni, affinché tutte le stazioni limitrofe sorvegliassero le falde, le adiacenze e tutte le vie che conducono al monte indicato onde sorprenderli e liberare il ricattato. Ad opportuna intelligenza poi della S.V. Illustrissima non ometto informarla, che essendosi sparsa la voce in Cerreto, fin dal 2 I corrente, che I'ex brigante Cosimo Giordano era apparso in quel territorio seguito da due compagni, disposi l'esecuzione di accurate indagini nel fine di accertare ciò che di vero poteva esservi stilla divulgata notizia, e dalle stesse si ottennero i seguenti risultati. Che nel mattino del 22 andante certo Petrullo Battista fu Andrea di anni 41 contadino di Cerreto. uomo probo ma scemo di mente per sofferta malattia, si presentò al signor Sotto-Prefetto di quel Circondano e gli narrò che verso le ore 8 p.m. del giorno 21 trovandosi egli in un suo piccolo podere sito in luogo detto Chioglia (Cerreto), gli si erano presentati cinque individui armati di fucile a due colpi, dai connotati di uno di essi dedusse trattarsi di Cosimo Giordano fu Generoso di anni 34 da Cerreto Sannita, scomparso da quel territorio da circa 20 anni. Che questi, al dire del Petrullo. gli richiese le sue generalità, le quali egli diede, ma sotto il nome di Giordano Giuseppe fu Nicola, per tema che declinando il proprio nome avesse potuto incorrere in qualche male; poiché quando Cosimo Giordano faceva il brigante egli, il Petrullo, aveva cercato più volte di farlo arrestare. Che soddisfatto della risposta ricevuta, il supposto Cosimo Giordano si era allontanato ingiungendogli di far silenzio pena la vita. A questa voce sparsa in Cerreto dal Petrullo si aggiunse l'altra messa in giro da certa Olimpia Giordano di anni 25 contadina del luogo, figlia di tal Giuseppe Giordano (di cui precisamente il Petrullo aveva declinato il nome ai presunti malfattori invece del suo) che cioè essa, mentre attendeva a far pascolare una vacca in contrada Madonna della Libertà (Cerreto) nella sera del 15 volgente, aveva visto tre individui di sinistro aspetto e armati di fucili e pugnali. In seguito a ciò fu eseguita un'accurata perlustrazione dall'Arma dei Carabinieri nello stesso giorno 22, in tutto il territorio di Cerreto, per rintracciare i tre individui sopra cennati, ma dalle praticate indagini verun risultato si ottenne, giacché nessuna delle persone abitanti in quelle campagne, opportunamente interrogate, furono al caso di dare notizie intorno agli individui di sinistro aspetto ed armati. Richiamata la Giordano Olimpia e nuovamente interrogata modificava la sua prima dichiarazione, affermando che gl'individui da essa visti le erano parsi cattivi, e, per convalidare il suo asserto, mostrò lire due e centesimi cinquanta in argento che disse d'aver ricevuto in compenso del suo silenzio da colui che faceva da capo ai supposti malandrini. Interrogata la Giordano sulla diversità delle sue dichiarazioni rispondeva che con la prima non aveva detto la verità per paura di essere catturata. Ora mentre la forza pubblica ed i funzionarii tutti sono in movimento per rintraccio ed arresto dei malfattori che catturarono il Della Penna si proseguono le investigazioni dirette a stabilire tutte le circostanze relative alla voluta banda e se veramente stia a capo della stessa il famigerato Cosimo Giordano.

Mi riserbo d'informare la S.V. di ogni risultato.

il Prefetto GIORGETTI

La sera del 26 si sparse la voce che il Giordano, col ricattato, si aggirava pel territorio di Guardiaregia; e dopo le debite informazioni, il giorno 29 così il Procuratore del Re di Benevento telegrafò al Procuratore Generale della Corte di Appello di Napoli.

"Banda Giordano col ricattato Sabato 26 pernottò montagna di Guardiaregia. Nel momento giunge telegramma essersi veduta banda istessa, dicesi otto uomini tra Guardiaregia e Sepino, provincia Campobasso, Prefetto date disposizioni inseguimento suo collega Campobasso".

Il giorno 30 il Procuratore Generale riceveva dal Procuratore del Re di Benevento il seguente rapporto:

"Confermasi, come ieri telegrafai alla S.V. Ill.a, che la banda Giordano, col ricattato, si aggira attualmente tra Guardiaregia e Sepino, provincia di Molise e dalle notizie che pervengono a questa Prefettura sembra che ai tre primitivi si siano aggiunti altri cinque malfattori. Si vuole che colà attendono per ricattare un facoltoso proprietario di Guardiaregia".

Intanto il Prefetto della Provincia ha ottenuto una seconda compagnia di soldati, che li ha distribuiti in modo da formare una catena tra Gioia, Faicchio, S. Lorenzello, Cerreto, Cusano e Pietraroia. Nel tempo stesso che tre colonne volanti armeggiano in diverse direzioni nei boschi di questa Provincia e in quelli del Circondano di Piedimonte; e nel Molise intorno a Sepino e Guardiaregia, in Morcone si è stabilita una stretta sorveglianza per spiare la famiglia del ricattato onde mettersi sulle piste di qualche messo portatore di somme pel riscatto, poiché la famiglia per tema della vita del ricattato non conciderà mai quando ciò dovrà aver luogo. Il Pretore di Morcone mi assicura inoltre che in quel comune non vi sia altro manutengolo di briganti che Pasquale Parciasepe, il quale, per altro, dopo aver espiata una non lieve condanna avrebbe dato prova di buona condotta, ma che ciò nonostante si tiene strettamente sorvegliato. Teme poi quel pretore di procedere all'ammonizione del Parciasepe per non inasprire la famiglia di costui che è composta di vanii fratelli, che potrebbero fornire un contingente alla banda. Dalle indagini fatte a Cerreto risulta che il Giordano, nella sera del 17 spirante, un'ora doro l'avemaria, si presentò nella masseria abitata da Nunzio Juliani, che trovasi nei tenimento di Cerreto; masseria che, nel 1861, si teneva in fitto da Luigi di Crosta, antico suo manutengolo, e premurosamente si fece a domandare del Di Crosta, di Pasquale Mendillo, di Tommaso Giordano e di Pasquale Sanzari suoi colleghi di brigantaggio e attualmente in espiazione di pena; non che dei componenti della sua famiglia. Le indagini assodarono pure che la stessa sera del 17 lo stesso Giordano incontrò Vincenzo Parente e gli domandò dove era Luigi Di Crosta, e alla risposta che stava a Cerreto, prese la volta di quel paese. Che dopo due giorni, cioè il 19, ad un'ora di notte, lo stesso Giordano si presentò da suo padrigno e gli chiese del tabacco. Dal 19 in poi sembra che il Giordano avesse lasciato il tenimento di Cerreto per trasferirsi in quello di Morcone. Sembra altresì che con i componenti della sua famiglia non avesse avuto contatto; anzi la sorella, nel mattino del 20 mostrava desiderio di rivederla (quanta ingenuita!). Se non che le premure che il Giordano faceva per incontrarsi con Luigi Di Crosta, davano argomento a sospettare che avesse voluto rannodare con costui le antiche relazioni e forse servirsene di mezzano per consumare la estorsione alla famiglia Della Penna. Ignorasi se si fossero incontrati. Certo è però che Luigi Di Crosta non si è mosso da Cerreto e lo si tiene a vista dalla pubblica sicurezza. Mi consta finalmente che il Sotto-Prefetto denunzierà al Pretore di Cerreto, per l'ammonizione, tutti parenti del Giordano ed i sospetti manutengoli Da un altro rapporto, che porta la data del 13 luglio, si deduce che il Della Penna fu rilasciato dopo avere la famiglia di lui sborsato, in tre volte, lire 5800. Il ricattato si ebbe la confidenza dal Giordano che non sarebbe egli stato ricattato, se esso Giordano fosse riuscito a fare prima un buon tiro alla famiglia De Blasio di Guardia Sauframondi, ma che non era fuori di speranza di farlo e che dopo si sarebbe imbarcato in un porto delle Puglie. Il Prefetto intanto prese le opportune disposizioni per impedire il meditato ricatto e per arrestare il Giordano qualora tentasse imbarcarsi. L'autorità militare spedì a Guardia molti soldati e indusse il signor Pietro De Blasio del fu Geremia a non uscir di casa. Da un rapporto del delegato di P.S. di servizio a Morcone si deduce che Libero Della Penna fu rilasciato alle ore 1l a. m. del primo luglio. Il Della Penna riferì al delegato che la banda si componeva di tre malfattori armati, cioè del Giordano, che si faceva chiamare Nerone, uno sconosciuto dalla barba rossa che non trova riscontro nelle fattezze dell'ex brigante Pilucchiello ed un terzo, probabilmente di Guardiaregia. Costui era quasi scemo ed inabile al maneggio delle armi. Che nel momento del ricatto i malfattori erano cinque. Due di essi, un vecchio ed un giovane, che erano inermi, dal dialetto lasciavano scorgere essere di Cerreto. Questi due si staccarono dal Giordano dopo che il ricattato giunse nel tenimento di Pietraroia. Da quivi di notte tempo passarono nel bosco di Guardiaregia. Il 1 luglio in Benevento, tra il Giudice Istruttore cav. Nazzaro e l'ispettore di P.S. cav. De Donato fu tenuto un abboccamento e il De Donato espresse a quell'autorità giudiziaria di trovare, nei due briganti inermi, ricordati dal Della Penna, i connotati del padrigno e del nipote del Giordano, cioé di Vincenzo Colella e di Raffaele Giordano, che, il giorno innanzi, il Nazzaro aveva inteso, come testimoni in Cerreto. Ed intatti i dubbii accampati si trasformarono in realtà dopo che i suddetti parenti del Giordano furono arrestati. Essi infatti, abilmente interrogati, non seppero negare che il 24 giugno si erano uniti al Giordano e compagni, ed insieme erano stati in Morcone ad operare il sequestro di Libero Della Penna e che si erano divisi dal Giordano quando col ricattato erano giunti al bosco di Pietraroia. Dopo l'arresto del Colella e dei Giordano Raffaele, il Pretore di Cerreto, in data del 5 luglio così telegrafava al Procuratore Generale di Napoli:

"Liquidati ed arrestati i due che accompagnarono la banda Giordano momento ricatto Della Penna. Sono patrigno e nipote del Giordano. Dispongo traduzione medesimi Benevento".

Gli arrestati tradotti in Benevento furono dal Procuratore del Re sottoposti ad un nuovo interrogatorio, per scoprire gli altri complici e manutengoli; il risultato fu negativo, perché non seppero, o non vollero né aggiungere né togliere alla deposizione fatta a Cerreto. Della banda non si avevano, fino al giorno 9 luglio, nuove precise. Secondo le voci che correvano, si trovava dappertutto. Infatti alcuni dicevano che dal 3 al 4 la banda erasi fatta vedere nel territorio di Solopaca e propriamente verso il ponte Cristina però il viandante, che l'aveva incontrata, non aveva saputo dare i connotati di nessuno dei componenti, quantunque due di questi avessero voluto sapere da lui se a Telese eravi truppa. Nel giorno 4 un tal Domenico Cesene si presentava al comandante la stazione di Airola annunziando che in quel mattino, in contrada Manticelli, tenimento di Moiano, aveva veduto cinque briganti dei quali quattro erano armati di fucile. Questa denunzia fu dagli stessi Carabinieri liquidati per falsa e perciò il Cesene fu arrestato. Nell'istesso giorno un tale Pantaleone Giordano dolevasi come quattro individui, due armati di schioppi e due di mazze, uno con barba corta, un'altro con i soli baffi e due imberbi lo avevano depredato di lire 71,3 e di un pantalone rattoppato, nel mentre egli passava per la strada e propriamente al luogo detto Cresco, che fa parte del comune di Solopaca. Siffatta denunzia fu sospettata falsa; perché il Pantaleone, trovandosi possessore di quella somma, ricevuta da un tal Andrea Napolitano per pagare gli operai, avendo saputo che furono vedute quattro persone armate, simulò la grassazione per appropriarsi di questa somma. Fu scritto nei giornali che una giovane di S. Croce del Sannio fosse stata rapita dalla banda Giordano. Fu vero che il 18 giugno la giovanetta Addolorata Zeoli scomparve dalla masseria sita in Contrada fredda che trovasi nel tenimento di Cerce Maggiore; però il padre e la madre della scomparsa attribuivano il mancato ritorno dell'Addolorata alla caduta in qualche pozzo d'acqua e quivi morta e non ad un rapimento eseguito dai briganti. Infatti il 4 luglio fu rinvenuto in un pozzo il cadavere della Zeoli. Fu detto ed accettato per vero che un tal Nicola De Lucia di Limatola giunse fino al punto di spacciare nel paese che un tale Stefano Petti di Frasso Telesino era stato catturato e rilasciato mediante il pagamento di lire 2.00. Cosa del tutto falsa. Naturalmente durante questo periodo d'incertezze, non mancarono dei bricconi, che a scopo criminoso facevano pervenire a questo e a quel tal altro delle lettere minatorie firmate col nome del Giordano. Infatti, per dirne una, nel mattino del 6 luglio pervenne, a mezzo della posta, una lettera minatoria al proprietario di Cerreto, Isidoro Mastracchio, sottoscritta dal caporal Cosimo Giordano, colla quale gli si chiedeva la somma di ducati 2000 indicandovi colla medesima il sito dove doveva tal somma depositarsi. Saputosi ciò dalle guardie forestali, nel dì seguente appiattatesi in prossimità del luogo indicato nella lettera riuscirono ad arrestare Alfonso Fappiano di S. Lorenzello, che interrogato poscia dal Pretore, confessò di essere stato egli l'autore del biglietto e di essersi spinto a ciò fare perché vinto dalla fame, nella lusinga che col nome del Giordano sarebbe riuscito a far denaro. Nel mattino del 5 luglio l'ispettore Di Donato partì per Morcone a scopo di assicurare alla giustizia Pasquale Parciasepe, colui che aveva recato il denaro pel riscatto di Libero Della Penna. A confessione del Parciasepe seppe il Di Donato che il capraio Pietro Pallotta fu Michelangelo da Guardiaregia fu il portatore del biglietto alla famiglia Della Penna. Arrestato, il Pallotta confessò al Di Donato che l'individuo dalla barba rossa era Libero Albanese suo compaesano, vecchio masnadiere, che aveva fatto parte delle orde brigantesche dal 1860 in poi e che, al par del Giordano, era scomparso da 12 anni. Il terzo, quello dalle cioce non fu, da esso capraio, veduto e ciò trova riscontro nella dichiarazione del ricattato Libero Della Penna il quale diceva che questo terzo si nascondeva ogni qualvolta compariva il capraio. Il che lasciava luogo a sospettaire che fosse qualcuno di Guardiaregia. Il Pallotta aggiunse che quando ebbe l'incarico, la sera del 27 giugno di portare il biglietto in casa Della Penna, seppe dall'Albanese che il Giordano aveva stabilito di ricattare l'arciprete di Guardiaregia e che egli, il Pallotta, il mattino seguente avvertì della cosa l'arciprete, il segretario comunale e l'assessore, che funzionava da Sindaco. La banda Giordano stette nel territorio di Guardiaregia dal 27 giugno al 1 luglio, però durante questo periodo di tempo non cessavano le voci che detti briganti si vedessero in altri comuni. Infatti un tal Nicola De Lucia di Limatola, giunse fino al punto di propalare, in Solopaca, che un tale Stefano Rotti di Frasso Telesino era stato catturato e che per essere rilasciato si domandavano dal Giordano duemila lire. Né cessavano biglietti di ricatto da parte di burloni e uno di questi fu mandato a Pasquale Masera di S. Agata dei Goti. Si assodò anche che la giovane Addolorata Zeoli, che i giornali dicevano rapita dal Giordano, si trovò annegata in un pozzo, nei quale andò a gettarsi; perché affetta da mania ereditaria. I due amici, Giordano ed Albanese, si mantennero nascosti, per molti altri giorni, senza essere molestati, nelle campagne di Campolattaro. Quando di ciò ebbero sentore le autorità di P.S. subito disposero, in quelle campagne, un movimento concentrico di truppa per arrestare detti briganti; ma fatto sta che nello stesso giorno, che le truppe da diversi punti si avanzavano a quella volta, Cosimo e l'Albanese si dileguarono. Le indagini praticate dall'ispettore Di Donato posero in luce che i due masnadieri, coadiuvati dai manutengoli di Campolattaro, erano riusciti a nascondersi in contrada Cesine, che trovasi in quel di Cerreto. Fu detto che Cosimo Giordano, dopo la fiera dell'otto settembre, avendo intascato buona parte del denaro, che aveva dal 1860 al 1866 consegnata ai suoi manutengoli, e per tema che non venisse da qualcuno di questi tradito insieme con Albanese, lasciavano le campagne di Cerreto, e, a mezzo ferrovia, si recarono a Napoli, dove s'imbarcarono per Marsiglia. Ciò non è esatto poiché i due briganti lasciarono l'Italia, come abbiamo detto, la sera del primo luglio. È certo però, che quando i due malfattori giunsero a Marsiglia, si separarono; poiché l'Albanese continuò il viaggio per l'America del Nord e il Giordano si diresse a Lione dove teneva un negozio di frutta e di liquori. La moglie del Giordano, che era una donna sommamente superstiziosa, disse al marito che era oramai tempo di sposarla. Cosimo annuì ed allora il parroco del quartiere della Croix-Rousse, dove dimoravano i coniugi Pollice, si pose in relazione coll'arciprete del paese di Madame la napolitaine per avere il certificato di stato libero. Durante queste trattative ecclesiastiche il governo d'Italia venne a conoscere della dimora del Giordano. Non mi è riuscito sapere se tra le nostre autorità e quelle di Francia siano state intavolate le trattative per la estradizione del nostro famigerato brigante; però non cade dubbio, che, per tema che il Giordano fosse calato nuovamente in Italia, il Ministro dell'Interno mandò sopra luogo un abile delegato di P.S., il quale seppe stringere tale amicizia col Giordano, da indurlo, il 23 agosto 1882, a farsi accompagnare in Italia, dove diceva recarsi per affari commerciali. Di tanta decisione il delegato ne tenne a giorno le superiori autorità italiane, le quali disposero che nel porto di Genova si fosse trovata, pel giorno 25, una barcaccia trasformata a trattoria. Quando il piroscafo, che portava i due amici, si fermò, il delegato espresse al Giordano il desiderio di voler far colazione su quella barca: "Verrò anch'io, disse il Giordano", e, dopo che quest'ultimo ebbe bevuto del vino e mangiato un pezzo di arrosto, fu circondato da alcune guardie in borghese e dichiarato in arresto. Fu tradotto nelle carceri di Benevento dopo alquanti giorni ed ivi sottoposto ad un minuto interrogatorio. È inutile dire che mentì le proprie generalità; poiché disse chiamarsi Giuseppe Pollice fu Pasquale e fu Lucia Barbaro, di anni 45 da Napoli, da dove era assente dal 1859 e che era venuto in Italia per recarsi in Atina e dare delle commissioni al signor Dragonetti sindaco di quel paese e al deputato Visocchi. Dopo circa due anni, cioè nel 6 agosto 1884, Cosimo Giordano fu condotto nelle assisie di Benevento per essere giudicato. Durante il dibattimento avvennero vari incidenti, tra i quali è da annoverarsi quello del ritiro della difesa [collegio di difesa costituito dagli Avvocati: Michele Ungaro e Giuseppe D'Andrea da Cerreto, Enrico Corrado da Montesarchio e Antonio Mellusi da Torrecuso].. Delle bravure commesse da questo delinquente ci siamo in parte occupati. Col seguente brano, che togliamo dalla memoria dell'amico nostro carissimo Egildo Gentile "Il Castello e la Terra di Pontelandolfo" diamo un'idea della reazione di Pontelandolfo: "Mentre i rivolgimenti italiani preparavano il nuovo Regno, alcuni cittadini di Pontelandolfo si arruolarono tra i volontarii dell'esercito meridionale, altri organizzarono la milizia della guardia nazionale per la repressione dei faziosi, che infestavano la regione. Una banda di briganti, di paesi diversi, comandata da Cosimo Giordano, aveva preso stanza alle falde del Matese. Sui primi del mese di agosto 1861 le voci su quell'orda brigantesca erano minacciose. Molti di Pontelandolfo se ne spaventarono e fuggirono lontano dal paese, ricoverandosi nelle città; pochi restarono a guardare le case. Erano le ore del vespro del 7 agosto. Il popolo, seguendo la croce e il clero, usciva dall'abitato per recarsi alla cappella di S. Donato (di cui quel dì ricorreva la festa) ad assistere ai salmi del vespro. Dopo un'ora, mentre si aspettava in paese il ritorno dei divoti dalla chiesetta, si vide tornare la croce seguita da un vessillo e da parecchi rivoltosi, che schiamazzando accompagnarono il clero in chiesa e l'obbligarono a cantare il Te Deum in rendimento di grazie per la restaurazione del governo borbonico che asserivano compiuta. Chiesta così la benedizione a Dio, corsero pel paese, incendiarono gli archivi del Giudicato e del Municipio, depredarono le case dei cittadini, che erano fuggiti, ed assassinarono l'esattore di fondiaria, un negoziante e un altro pacifico cittadino. Il giorno 9, Cosimo Giordano, svaligiata la carrozza postale, entrò in Pontelandolfo. Un tal Libero d'Occhio, corriero segreto dei garibaldini, preso dagli affiliati del Giordano, venne da questi ucciso. Ma "scene molto piò luttuose e feroci di quelle perpetrate nel comune di Pontelandolfo si avverarono in Casalduni". A me tocca narrarne la più luttuosa come quella che ha stretta relazione coi fatti, che poi si svolsero a Pontelandolfo. Il giorno 11 agosto, per sedare i disordini, fu da Campobasso inviato un drappello di 45 soldati del 36° di linea col tenente Luigi Augusto Bracci e i carabinieri. Di due soldati rimasti indietro, perché stanchi, uno fu ucciso, l'altro gravemente ferito; i restanti, avute munizioni dal vice sindaco di Pontelandolfo, si chiusero nella torre baronale. Provocati dai briganti, tentarono subito una sortita e s'incamminarono verso Casalduni; ma ivi una banda numerosa, comandata da Angelo Pica, li costrinse a darsi prigionieri. Giunto intanto l'annunzio dell'arrivo di altri soldati il brigante ordinò che i prigionieri fossero uccisi. Qualcuno riuscì a salvarsi, gli altri vennero uccisi. "Dopo tali avvenimenti a Casalduni per sicura nuova di soldati marcianti niuno riposò; tutti fuggirono. Ma Pontelandolfo, niente sapendo, fu colto". Sull'alba del 14 agosto un battaglione di 500 bersaglieri, comandati dal tenente colonnello Negri, si avanzava verso il paese; le campane suonavano a stormo, la gente smarrita fuggiva dall'abitato. Il dì seguente un dispaccio da Fragneto Monforte annunziava laconicamente nei giornali ufficiali: "Ieri mattina all'alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. Il sergente del 36°, il solo salvo dei 40, è colla nostra truppa, che fu oggi divisa in due colonne mobili". Per la terza volta nello spazio di otto secoli circa, Pontelandolfo era stato fatalmente incendiato. Fin dalle 10 del mattino del 25 agosto, ultimo giorno della causa, una gran folla si assiepava nell'aula di giustizia. Le autorità avevano, per la bisogna, disposto un servizio straordinario di forza, Giordano arrivò nella solita carrozza cellulare e venne rinchiuso nel gabbione dei rei. Sulla tribuna non mancavano le solite donne avide di emozione. Il Pubblico Ministero chiese alla Corte l'ordine e il modo delle questioni. I capi d'accusa furono: 1. Furto qualificato in danno di Cappellano Francesco, ottobre 1860. 2. Estorsione violenta in danno di Giambattista Mastrobuono 27 giugno 1862. 3. Omicidio volontario in persona di Giuseppe Parente, 27 maggio 1861. 4. Omicidio volontario in persona di Annibale Piccirillo, 1 settembre 1861. 5. Mancata estorsione di ducati 1000 con minacce d'incendio e biglietto a danno del monastero di Cerreto. 6. Mancata estorsione di ducati 120, con minaccia di morte e biglietti a danno del dott. Antonio Riccio. 7. Altra mancata estorsione di denaro con minaccia di morte in danno dello stesso. 8. Mancata estorsione con minacce in danno del canonico Pasquale Cofrancesco e Filippo Juliani. 9. Come capo-banda di malfattori non minore di 5. 10. Grassazione commessa con violenze e minacce e sequestro di persona. 11. Omicidio volontario a colpi di armi bianche in persona di Vincenzo D'Andrea 10 gennaio 1863. 12. Mancata estorsione violenta e sequestro di persone in danno di Giosué Santillo e Lorenzo Cappella, 26 luglio 1865. 13. Estorsione violenta con sequestro di persone di Francesco Paolo Del Re, Francesco Ponte e Pellegrino Della Penna, 23 luglio 1865. 14. Mancata estorsione violenta con uccisione di bestiame ad Antonio Vaccarella, ottobre 1863. 15. Omicidio volontario in persona di Raffaele De Blasio a colpi di fucile e di arma bianca in Guardia Sanframondi, 12 luglio 1866. 16. Estorsione con sequestro di persone di Fabio Bolognese e Pasquale Mazzarella in Caiazzo, 26 luglio 1866, nonché di estorsione consumata di L. 15800 per mezzo di minacce di morte e sequestro di persone di Libero Della Penna giugno 1880. Tenimento Morcone. 17. Di reità di più reati. Il Presidente, alle 11 precise, dichiarò chiuso il dibattimento e cominciò il riassunto con parola facile e spassionata. Alle 12 precise i signori giurati Assini Giuseppe, De Leonardis Nicola, Cecere Paolantonio, Guadagno Tommaso, Romano Luigi, Iannetta Giacomo, Iandoli Francesco, De Longis Vincenzo, Palladino Alfredo, Gubitosi Antonio, Del Giudice Luigi e Vastalegno Bernardo, entrarono nel la camera delle deliberazioni. Restarono nell'aula i giurati supplenti signor Luigi Maria Piccirilli e Biagio Farina. Alle 3 i giurati uscirono. Un profondo silenzio si fece nell'aula. Il capo dei giurati, signor Giuseppe Assini, lesse il verdetto. Rientrò, per ordine del Presidente, l'imputato. Il Cancelliere rilesse il verdetto, che il Giordano ascoltò con calma. Alle 5 rientrò la Corte; il pubblico fece silenzio. Il Presidente lesse la sentenza e Cosimo Giordano fu condannato alla pena dei lavori forzati a vita, alla perdita dei diritti politici ed alla interdizione patrimoniale. Dopo la lettura di questa sentenza, tra la folla, così scriveva il Misasi, una donna scoppiò in pianto. Era Mariantonia, la sorella del Giordano, alta, nervosa, robusta, che aveva la figura di un uomo, ma che rivelava in quel pianto la tenerezza della donna. Il giudicato, impassibile, muto scese dallo stallo, affidò i suoi polsi ai carabinieri e circondato da guardie e carabinieri uscì dall'aula. La folla man mano si allontanava; solo in un canto dell'aula, restò quella donna, che, appoggiata alla parete, piangeva col capo tra le mani. Il dramma finì, il sipario calò su quel colpevole pel quale il 25 agosto 1884, incominciò la espiazione, su quella donna che pianse sul fratello che vide nascere e che vide da giudici inflessibili condannare, per sempre, alla sepoltura dei viventi.

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