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TRA SANTI E BRIGANTI

di: di Nicola Messina - CAVALLO MAGAZINE

da: http://cavalloweb.quotidiano.net/cavallomagazine/lazio.htm

In sella sul Sentiero dei Briganti.

A cavallo immersi nella natura che un tempo ha visto le scorribande di storici personaggi.

La prima parte di questo viaggio si può intitolare "Il sentiero dei Briganti" perché attraversa un territorio dove questi personaggi, odiati e ammirati al tempo stesso, hanno furoreggiato per lungo tempo e le cui gesta sono diventate quasi delle leggende. Sulla spiaggia di finissima sabbia, al centro di un padule che ricorda la Maremma di un tempo, i ruderi della Torraccia segnano l'inizio del Sentiero dei Briganti, quell'intreccio di macchia e passaggi segreti che faceva dei fuorilegge i veri padroni del territorio. Per una decina di chilometri verso Vulci seguire le loro tracce è possibile solo con l'immaginazione. La bonifica ha cambiato volto alla piana intorno a Montalto di Castro che Tiburzi e i suoi compagni, evasi dal bagno penale di Tarquinia, attraversarono al riparo della macchia che, oggi, è terreno spoglio. Si arriva agli archi di Pontecchio (dopo l'incrocio tra le strade per Canino e Tuscania). Qui Domenico Tiburzi e i suoi compagni (Domenico Annesi, detto L'Innamorato, e Antonio Nati, detto Toto) organizzarono le prime estorsioni ai danni dei possidenti della zona e poi si divisero. Toto fu riacciuffato dai carabinieri, L'Innamorato si diresse verso i monti Cimini e la Teverina. Tiburzi prese la strada di quella che sarebbe stata la capitale del suo regno per 25 anni: la Selva del Lamone. Subito dopo gli archi una strada segue le anse del fiume Fiora e attraversa un territorio ricco di minerali che fecero di Vulci, annunciata dai ruderi del Castellaccio medioevale che si affaccia dall'altura di Pian di Maggio, una città ricca e potente. Proprio un episodio successo a Pian di Maggio chiarisce il senso della tassa sul brigantaggio che i proprietari pagavano a Tiburzi. Un giorno i falciatori incrociarono le braccia, ma dopo qualche ora dalla macchia uscì Tiburzi che, appoggiato alla doppietta, con calma disse che non era giusto far mancare il pane: il lavoro riprese regolarmente. Spesso le sue apparizioni lasciavano un segno sanguinoso. Sempre a Pian di Maggio uccise davanti ai mietitori il fattore Raffaele Gabrielli, sospettato di aver aiutato i Carabinieri a tendergli un agguato. Nè fu meno spietato con Basilietto e Cenciarello, suoi compagni, uccisi a freddo quando ritenne che potessero compromettere la sua sicurezza. La resa dei conti avvenne dopo quasi 25 anni, il 23 ottobre 1896, al Casale delle Forane di Capalbio. Quella notte, essere Re del Lamone non valse a fermare i proiettili dei Carabinieri. Passati sotto il Castellaccio, dopo più di 2 ore di cammino si arriva alla "dogana" (così si chiamavano le strade principali) che va verso la Badia e continua in direzione di Torre Crognolo, poche case allineate lungo la strada, e del bosco di Musignano. La strada attraversa la macchia (circa 3 km.) e ne esce non lontano dal Fosso del Paternale dove Biscarini (allora capobanda), Tiburzi, Biagini e Pastorini furono sorpresi dai Carabinieri in una grotta. Lo scontro a fuoco fu fatale proprio al Biscarini e Tiburzi gli succedette nel comando della banda. Giunti su una larga strada si trova, a poca distanza, l'Azienda agrituristica Le Chiuse, possibile punto tappa. Altro punto tappa, l'azienda Castro, è circa 1,5 km più avanti, dopo la freccia che indica la strada per Romitorio di San Colombano. La seconda giornata di viaggio è quella che riserva i paesaggi più insoliti e le emozioni più forti. Tornati indietro di circa 1 km, uno stradello porta all'antica strada che univa Castro a Vulci dove si trova la grande e spettacolare tagliata - lunga alcune centinaia di metri e profonda anche 20-30 metri - in fondo alla quale c'è un ponte di cui è rimasto un pilone che permetteva di superare l'Olpeta e accedere a Castro, capitale del ducato dei Farnese. Traversare Castro è facile e agevole. Più difficile è distinguere i pochi resti che la macchia lascia solo intravedere. Arrivati alla chiesetta - l'unico edificio rimasto in piedi - si risale fino alla strada asfaltata Farnese-Pitigliano dove inizia la Selva del Lamone. L'attraversamento richiede, al passo, un'ora e mezzo (sono una decina di chilometri) per arrivare alla dogana Farnese - Pitigliano. Da qui parte uno sterrato che gira intorno alla cima di Monte Becco e poi scende verso la piana che circonda il lago di Mezzano. Una leggera salita porta al bosco e poi s'affaccia sulla piana. Sullo sfondo si vede Valentano e in pochi minuti si arriva all'Azienda agrituristica Frà Viaco, rustico e solitario posto tappa sul piccolo lago di Mezzano. L'ultima giornata di viaggio sul Sentiero dei Briganti inizia sulla strada battuta verso Latera, un piccolo borgo, feudo di un ramo dei Farnese (di cui rimane un palazzo-castello) che ha dato i natali a briganti di fama, come Giovanni Erpita, ucciso dai gendarmi a soli 25 anni, Clemente e Pietro Rossi e Brando Camilli. Poi si sale fino alla strada asfaltata Pitigliano - Montalto di Castro. Se ne percorrono pochi metri: quanto basta per ammirare il panorama che spazia dall'Amiata a Radicofani e fino a Monte Rufeno, oltre la piana di Acquapendente. Di qui, uno stradello scende verso Onano. Prima di arrivarci, una deviazione verso Grotte di Castro porta al posto tappa del Castello di S. Cristina, nel verde di una grande tenuta. Ai piedi del castello, la grande fattoria è stata trasformata in eleganti appartamentini destinati agli agrituristi. L'Azienda - che ha anche un piccolo centro ippico - ospita anche cavalli e cavalieri di passaggio ed è al centro di una rete di itinerari che permette di scegliere se passare per Onano e traversare la piana di Acquapendente fino al posto-tappa dell'Azienda agrituristica Buonumore dove il Sentiero dei Briganti si confonde con il Cammino dei Pellegrini, o riallacciarsi alla via Francigena nei pressi di S. Lorenzo Nuovo, già in vista del lago di Bolsena.

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