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SAN LORENZO DEL VALLO

da: http://www.lacalabria.it/comuni_prov-cs/s.lorenzo%20web/cenni_storici.htm

San Lorenzo del Vallo, cittadina che si estende su due colline prospicienti, attraversate dal fiume Esaro, è stata abitato fin dall’età preistorica come si evince dai numerosi ritrovamenti di fibule e strumenti di caccia conservati al Museo di Crotone, ma è dell’età romana che restano diverse testimonianze archeologiche. Una Villa rustica nella frazione Fedula e resti di un’altra villa sono stati trovati al piano di strada dell’attuale castello, dove verosimilmente sorgeva, appunto una villa romana. Questo si può desumere da un ambiente (bagno) venuto alla luce durante i recenti restauri del maniero. Altre testimonianze importanti sono state il ritrovamento del cosiddetto Tesoretto di Spartacus, in contrada Carmelitani. Verosimilmente nel suo territorio sorgeva il "Castrum Laurentum", da cui potrebbe derivare l’attuale nome, visitato da Antonino Pio nel II° secolo d.c. e da Marco Aurelio. Testimonianze del periodo di dominazione bizantina sono riscontrabili nelle testimonianze della toponomastica e di alcuni termini di chiara derivazione greca, "catarrattu", "catuoiu." Dopo il dominio normanno il territorio divenne alla fine del 1200 feudo dei Caracciolo che dominavano anche Altomonte. Successivamente passò sotto il dominio dei Sanseverino. Durante il Medioevo vi furono costruiti due Monasteri, dei Carmelitani, la cui zona dove sorge va ancora viene denominata dei carmelitani, e un altro convento a circa un chilometro, probabilmente dominicano. Del monastero dei carmelitani non restano praticamente tracce se non un muro di contenimento del piano dove esso sorgeva, mentre dell’altro convento rimangono alcune mura e poco altro. Svetta, inoltre, su Jentilino un piccolo Maniero fortificato, identificato sulle carte medievali come "Castrum Jentilini", costruito da Roberto il Guiscardo durante l’occupazione della Calabria. Esso domina il passaggio fra la Media Valle Crati e la Piana di Sibari. Probabilmente faceva anche da punto di comunicazione con il Castello di S. Marco Argentano dove il Guiscardo aveva costruito una sua dimora. Nel 15° secolo un avvenimento al di là dell’Adriatico, la resistenza di Skanderberg ai Turchi, costrinse più di 20.000 albanesi ad attraversare il mare e trovare rifugio nel regno di Napoli, ed in particolare in Puglia e in Calabria. D’altronde questa popolazione serviva anche a ripopolare quelle contrade falcidiate dai terremoti e dalle guerre fra Angioini e Aragonesi. Furono costruiti diversi agglomerati urbani tra cui Spezzano Albanese che sorse su parte del casale di S. Lorenzo e di Terranova da Sibari. E’ di questo periodo il passaggio del feudo al casato degli Alarcon della Valle Mendoza. L’unione del feudo di Fedula con S. Lorenzo è dovuta a don Andrea Alarcon che nel 1623 comprò Fedula e Jentilino da Pietro Cosca, duca di S. Agata. Durante il suo dominio chiamò il beato Umile di Bisignano, monaco in auge di santità, presso il Convento dei Riformati. E’ presumibile che in questo periodo venne costruita la chiesa di S. Maria delle Grazie, successivamente abbandonata e trasformata in asilo infantile. A partire dal XIX° secolo venne aggiunto al nome S. Lorenzo, della Valle, poi trasformato in Vallo, forse in allusione al castello (vallum). Una nuova chiesa, di S. Vincenzo con annessa un campanile con orologio, venne costruita tra il 1740 ed il 1742. Essa probabilmente venne distrutta dal terremoto del 1783. Essa sorgeva al centro dell’attuale abitato e probabilmente era il punto di convergenza degli agglomerati sorti attorno al convento e al castello dei Mendoza. L'attuale chiesa con annesso campanile, sorgeva quasi all'inizio del paese, proveniente da Spezzano albanese. Durante il periodo della Repubblica Partenopea, molti aderirono ai sanfedisti e si misero al seguito del cardinale Patrizio Ruffo che organizzò schiere di briganti per combatterla. Di questo periodo è il famoso scontro fra sanfedisti e spezzanesi che vide la morte del capo banda dei sanfedisti al confine fra S. Lorenzo del Vallo e Spezzano Albanese. Con la caduta della Repubblica Partenopea la restaurazione dei Borboni ritornarono ad imperare i vecchi feudatari e i loro privilegi che si tradussero in nuove tasse e imposizioni. Il brigantaggio rinacque, ma questa volta contro i feudatari. Durante la campagna d’Italia, anche S. Lorenzo venne occupato dai francesi che uccisero diverse persone che avevano parteggiato con i sanfedisti. Ma l’arrivo dei francesi portò anche l’applicazione delle leggi eversive della feudalità, leggi che abolivano i privilegi e gli arbitrii dei feudatari locali e la nascita dei Comuni. Furono ridate le terre usurpate dagli Alarcon al Comune e pertanto ai suoi cittadini. Fu combattuto il brigantaggio, retaggio del Ruffo ed alimentato dai Borboni che taglieggiava e imperversava nelle campagne e sui monti della Calabria. Nel castello di S. Lorenzo vi fu rinchiuso per un breve periodo il famoso brigante Benincasa. Con la sconfitta di Napoleone a Waterloo, dopo il famoso Congresso di Vienna del 1815, venne riposto sul trono del Regno delle due Sicilie Ferdinando I° di Borbone che pur riconoscendo la validità delle leggi eversive della feudalità, anche per evitare di dare troppo potere ai feudatari locali, ripristinò i vecchi notabilati che ben prestò ritornarono alle vecchie angherie e soprusi. Le amministrazioni locali finirono per essere dominate da essi e anche a S. Lorenzo si riaccese la questione sull’uso civico delle terre demaniali di Fedula-Jentilino e Macchia dell’Orto, di fatto nella potestà degli Alarcon della Valle Mendoza. Dopo la caduta di Napoleone si diffuse la carboneria anche nel mezzogiorno d’Italia e certamente essa operò a S. Lorenzo. Furono anni difficili durante i quali vi furono raccolti magri e le condizioni della popolazione peggiorò notevolmente. A questo stato di cose si aggiunse una violenta scossa di terremoto nel 1932 che portò morte e distruzione. Anche la chiesa di S. Maria delle Grazie fu danneggiata e pertanto dal 1842 fu sostituita come luogo di culto dalla chiesa dedicata a S. Maria della Neve, l’attuale S. Lorenzo Martire. In quegli anni un altro importante avvenimento interessò la cittadina. L’acquisto dei possedimenti della Marchese della Valle da parte di Luigi Longo che insieme ai possedimenti comprò anche l’universum jus del feudo. Luigi Longo senior costruì Congio Peschiera, identificato anche come Congio Longo. Esso era una fabbrica di liquirizia i cui resti Roberta Morelli classifica come archeologia industriale. Lo stabilimento occupava centinaia di persone ed intere famiglie, anche di paesi lontani, stagionalmente venivano occupate nella estrazione e lavorazione della liquirizia. I suoi prodotti venivano venduti in tutto il mondo dall’Inghilterra alla Russia. A seguito delle leggi napoleoniche del 1828 sull’obbligatorietà di costruire cimiteri fuori il perimetro urbano, nel 1847, a quasi vent’anni dalla sua emanazione, venne costruito il cimitero comunale. Ma dovettero passare ancora molti anni perché i cittadini abbandonassero l’uso di seppellire i propri congiunti dentro la vecchia chiesa parrocchiale oppure fra i resti del convento dei Ritrovati. S. Lorenzo partecipò anche ai moti del 1848 che infiammarono l’intera Europa e il regno di Napoli. Artefici e dirigenti di tali moti furono i carbonari, ed anche la sezione sanlorenzana, capeggiata da don Francesco Staffa. Il re Ferdinando II concesse la famosa Costituzione sotto l’incalzare della folla. Ma appena ebbe rinforzi militari dalla Francia, represse nel sangue la rivolta e revocò la Costituzione. Le truppe borboniche calarono in Calabria per reprimere i moti rivoluzionari. A Spezzano Albanese, paese confinante ad appena un chilometro vi era il quartiere generale sotto il comando del generale Ribotti e a S. Lorenzo era accampato il battaglione albanese (ovvero dei paesi di origine albanese) di cui facevano parte anche i volontari sanlorenzani, capeggiati dallo Staffa. Lo scontro con i borbonici avvenne presso lo scalo ferroviario di Spezzano Albanese. Dopo mezza giornata di battaglia i borbonici si ritirarono lasciando sul campo dieci morti. I rivoluzionari li inseguirono nell aloro ritirata mentre i fratelli Mauro con le loro schiere di rivoltosi tentavano di sbarrare il passaggio al generale Lanza, accorso da Napoli a dare manforte. Come sappiamo i moti furono schiacciati nel sangue e così l’anno successivo i borbonici riuscirono a sconfiggere i rivoltosi calabresi. Molti fra gli elementi più attivi della rivolta finirono in prigione, tra lo Staffa che venne condannato a sette anni. Ma i moti pur spenti così violentemente trovarono nuovi adepti e nuovi capi. Diversi furono i mazziniani, il nuovo movimento nazionale promosso e capeggiato da Giuseppe Mazzini, tra cui Gennaro Mortati di Spezzano Albanese, dirigente zonale del movimento. I moti insurrezionali trovarono nell’unità d’Italia il nuovo obbiettivo e ancor prima dello sbarco di Garibaldi in Sicilia, i nuovi ceti professionali si riconoscevano nel nuovo ceto dirigente nazionale: i Savoia. Così redigeva un atto in S. Lorenzo del Vallo il notaio Beniamino Tarsia: "… In nome dell’Italia, di Vittorio Emanuele, del Regno delle due Sicilie, l’anno 1859, il giorno 28 maggio, a richiesta fattaci da parte di …..". Dunque ben un anno prima dell’Unità di Italia, apertamente si invocava e si riconosceva l’autorità del re d’Italia. Dopo lo sbarco a Marsala di Garibaldi, nella zona del Castrovillarese si ricostruì il battaglione volontario sconfitto dieci anni prima dai Borboni. Fra i suoi capi spiccano Vincenzo Luci di Spezzano Albanese, Giuseppe Paci di Caastrovillari, Domenico Dramis di Trebisacce. All’appello del Luci del 10 giugno 1860 risposero anche Giulio Luciano Longo e Francesco Staffa di S. Lorenzo del Vallo. Tra il 3 e 4 agosto sulla collina di S. Salvatore i rovoltosi costituirono il loro campo per proteggere l’importante arteria che congiunge il nord con Cosenza. Il 1 settembre Garibaldi giunse a Spezzano Albanese per proseguire per Castrovillari. Le camicie rosse garibaldine forse si accamparono nella piazza antistante il castello del Longo, piazza ribattezzata Garibaldi. Giulio Longo ed altri rivoltosi si unirono ai garibaldi per continuare la marcia verso Napoli. Come sappiamo l’impresa garibaldina aveva acceso speranze anche nei ceti più umili. Speranze che Garibaldi, nominato dittatore del regno delle due Sicilie, deluse e sacrificò alla necessità dell’unità d’Italia. Intanto i Borboni ritentarono, forti anche del malcontento serpeggiante fra i ceti popolari, la rivolta contro i Savoia, come fecero con il cardinale Ruffo anni prima. Mandarono José Borjés a raccogliere uomini e a fomentare le rivolte. Esso passò anche da S. Lorenzo, ma ebbe ben scarse adesioni. Anzi furono organizzate delle squadre per intercettarlo ed annientarlo, tant’è che esso, nel suo giornale descrisse le popolazioni della zona come cattive e ostili a lui ed ai borboni. L’unità d’Italia non dette risposte al mezzogiorno che rivendicava giustizia sociale. Anzi i nuovi regnanti: i Savoia preferirono appoggiarsi al vecchio ceto dominante che fiutata l’aria avevano riparato sotto le sue ali, come vedemmo sopra, trovando fra i seguaci di Garibaldi un rampollo dei Longo che dominavano il loro feudo imponendo vecchi privilegi ed angherie. I cittadini di S. Lorenzo rivendicarono l’Ischie-vote e il fondo Patriarca, come terre comunali, ma Maria Gaetana Gallo, vedova di Luigi Longo e amministratrice dei suoi beni, nel 1861 si impadronì di tali fondi rivendicando l’esecuzione di una dubbia ordinanza del 1841. In realtà il suo obiettivo era quello di preservare il feudo ed evitare la nascita di un ceto proprietario che poteva rivendicare anche il potere politico locale. Le nuove autorità, il Prefetto di Cosenza intervenne nella questione facendo addivenire i contendenti: il Comune di S. Lorenzo del Vallo a nome dei suoi cittadini, e la vedova Longo ad una composizione bonaria della vertenza, con la quale la vedova "concedeva", "volendosi mostrare generosa e benefica a pro dei cittadini …" i due fondi al demanio comunale. I Longo temporaneamente soccombenti ritorneranno alla carica nel rivendicare i quasi cento ettari di fertile terreno in questione. La fine del XIX e l‘inizio del XX secolo furono caratterizzati da una forte emigrazione transeoceanica, soprattutto negli Stati Uniti e Argentina. Anche a S. Lorenzo non c’era famiglia che non avesse un congiunto oltre oceano. E grazie alle rimesse i contadini poterono comprare piccoli appezzamenti di terreno, soprattutto vicino al paese, ma non dei terreni del Longo che non intendeva smembrare il suo latifondo. L’Italia e anche il mezzogiorno entra nell’età moderna, con il prevalere delle città, grandi e piccole, sulle campagne.

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