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PATERNOPOLI

DALLA COSTITUZIONE DEL 1848 AL REGNO UNITARIO

da: http://www.paternopolionline.it/storia/dirittoallastoria/s32.htm

Fu nell’anno 1846 che Giuseppe de Jorio fece progettare la costruzione di un nuovo mulino da realizzarsi presso il fiume Calore, a monte della foce del suo affluente Fredane, prevedendone la struttura in muratura tanto per la diga quanto per i canali di immissione e di scarico delle acque. Vi si oppose Carmine Modestino, proprietario del mulino sul Calore acquistato dalla famiglia Carafa, denunciando, in un ricorso indirizzato al ministero dell’Interno, la mancanza delle prescritte autorizzazioni e sostenendo che l’opera, per come era stata concepita, avrebbe alterato il deflusso delle acque, determinando l’erosione dell’alveo col conseguente pericolo di frane. Interessato della questione, il decurionato di Paterno, presieduto dal sindaco Alessandro Leone, nella seduta del 27 settembre 1846 stabilì che l’impianto, ben lungi dal poter essere causa dei danni prospettati, avrebbe costituito invece un beneficio non solo per il comune, ma anche per i paesi limitrofi. Inoltre il de jorio, ove avrà luogo la macchina idraulica in parola, ha promesso franchigia illimitata di molitura a tutti i poveri che macinano da tre misure in sotto. La polemica suscitò scarso interesse in paese. Un anelito di libertà percorreva l’Europa tutta, coinvolgendo stavolta le masse. In provincia una fitta rete di cospiratori teneva contatti col comitato supremo in Napoli di cui era a capo Francesco Paolo Bozzelli. Si annunciava imminente la concessione della costituzione. A Torella dei Lombardi i fratelli Michelantonio e Raffaele de Laurentiis affermavano che erano ormai maturi i tempi per ottenerla con la forza. A Castelfranci l’arciprete Clemente Celli predicava: Il Re non è più Re; ma tutto è popolo ... non più morti di fame. Carmine Modestino attendeva alla traduzione in prosa italiana del Giaurro del Byron, alla cui stampa, avvenuta nel 1848, premise una prefazione riboccante d’amor patrio e chiudentesi con un alato saluto all’indipendenza della Grecia. Ma fu in Sicilia, e nel Cilento, che nel gennaio del 1848 scoppiò la rivoluzione, così che, il 29 dello stesso mese, Ferdinando II si vide costretto a concedere la costituzione sul modello di quella francese del 1830. Il 29 febbraio successivo fu pubblicata la legge elettorale provvisoria che stabiliva l’elezione di un deputato per ogni 45.000 abitanti ed attribuiva il diritto di voto ai soli cittadini di sesso maschile, purché in possesso di rendita non inferiore ai 24 ducati, e limitava quello di eleggibilità ai titolari di rendita superiore ai 240 ducati. Ne conseguì che in numero di tre erano i deputati da eleggere nel distretto di Sant’Angelo dei Lombardi, in rappresentanza dei 109.617 abitanti. In provincia di Avellino fu istituito un unico seggio, ubicato nella chiesa di San Francesco Saverio, e le operazioni di voto vi si svolsero il 18 aprile 1848 in primo, ed il 2 maggio successivo in secondo scrutinio. Filippo de Jorio e Carmine Modestino, candidati per il collegio di Sant’An-gelo dei Lombardi, non risultarono eletti. All’atto dell’insediamento della Camera dei Deputati, il 15 maggio 1848, si verificarono dei tumulti di piazza che coinvolsero su opposti fronti elementi della guardia nazionale e truppe regolari. Ferdinando II sospese la costituzione, sciolse la Camera ed indisse nuove elezioni per il 16 giugno. Con lo stesso decreto, che recava la data del 17 maggio 1848, fu modificata la legge elettorale con l’abbassamento del limite minimo di reddito ed il conseguente aumento del numero degli elettori, a cui si fece obbligo di esprimere il voto esclusivamente per candidati della propria circoscrizione. Nonostante ciò fu scarsa l’affluenza alle urne, però, questa volta, per il distretto di Sant’Angelo dei Lombardi, risultarono eletti, unitamente a Federico Grella, sia Filippo de Jorio che Carmine Modestino. La sospensione dei diritti costituzionali aveva esacerbato gli animi favorendo il rapido diffondersi del radicalismo repubblicano. Il re, nel timore che la situazione potesse sfuggire al suo controllo, aveva richiamato in patria il generale Guglielmo Pepe che, nel mese di marzo, al comando di un contingente militare, era stato inviato a combattere al fianco dei Sardi contro gli Austriaci. Al seguito delle truppe napoletane prestava la propria opera di chirurgo il medico di Paterno Salvatore de Renzis. Dalle trame eversive in cui venne ad essere coinvolta quasi l’intera provincia si autoescluse Paterno, sostanzialmente soddisfatto di poter contare su due autorevoli rappresentanti alla Camera. Anzi, con tempestività e senso di opportunismo, ritenne fosse giunto il momento propizio per uscire dall’isolamento in cui l’assenza di strade adeguate lo aveva ridotto. Nella certezza che non sarebbero venuti a mancare gli indispensabili appoggi politici, il decurionato, presieduto dal nuovo sindaco Ciriacantonio Modestino, deliberò la realizzazione di una rotabile per Fontanarosa che avesse consentito il collegamento con la via consolare per la Puglia, conferendo l’incarico per i primi rilievi all’architetto Giovanni Buonabitacolo. Né si trascurò la cura dell’ordinaria amministrazione, meticolosa fino al punto di stabilire, nella seduta del 15 dicembre 1848, il prezzo dei vini distinto in grana ottanta il pajo per quelli buoni prodotti con uva proveniente da viti coltivate in zone sopraelevate, e grana settanta per quelli mediocri di luoghi bassi. Né era rimasto inoperoso il dinamico arciprete Don Ferdinando Famiglietti il quale si era fatto interprete delle istanze del popolo affinché la sacra immagine di Maria Santissima della Consolazione fosse convertita in preziosa statua, degna dell’ammirazione delle folle devote che quotidianamente, da paesi lontani, venivano a renderle omaggio. A tale scopo aveva preso contatto con Padre Cherubino da Paterno, frate in San Severo Maggiore, perché individuasse, in Napoli, un valente scultore a cui commissionare l’opera. Nonostante vi si fossero create le condizioni per una rapida ripresa, quell’anno non può essere considerato dei migliori per Paterno, in quanto si chiuse con un tragico bilancio di morte. La mancanza di igiene, le malattie endemiche e l’alimentazione inadeguata concorsero a causare i 129 decessi fra i bambini, di cui 71 nel solo periodo compreso fra settembre e dicembre, ed i 102 fra gli adulti5, che resero pressoché saturo il cimitero in località Piano. Fu agli inizi del nuovo anno che Padre Cherubino da Paterno, secondo le istruzioni di Don Ferdinando Famiglietti, conferì l’incarico di realizzare la statua di Maria Santissima della Consolazione allo scultore Camillo de Falco. Stimatis.o Signor Arciprete, egli scrisse, Giacché si è risoluto fare effettuare la statua di Maria SS.ma della Consolazione dallo scultore de Falco, sarà mia cura avere al più presto possibile dallo stesso la minuta del contratto che subito spedirò a Voi, perché facciate vostre osservazioni e dietro vostro avviso si darà principio al lavoro. Son sicuro che l’opera avrà felice esito, poicché assi a contrattare con persona dabbene. Di lì a qualche giorno lo scultore napoletano, su carta legale da grana sei, rilasciò formale impegno di esecuzione dell’opera: L’anno mille ottocento quarantanove Addì venti gennaio. Dichiaro io qui sottoscritto di aver fatto il seguente contratto col Padre Cherubino da Paterno dimorante in S. Severo Maggiore, cioè di costruire una statua rappresentante Maria SS: sotto il titolo della consolazione con testa, mani, e piedi di legno di tiglia e col busto di stoppa sensibile e dante quelle mosse che rappresenta la figura (quadro). La sua altezza della d. (detta) statua deve essere di palmi sei, esclusa la base. Dippiù mi obbligo a costruire un Bambino ignudo corrispondente alla altezza della Immagine e due teste di cherubini, un piccolo nuvellato tutto dell’istesso legno. Mi obbligo di fare una base di legno con cornice intorno indorata a palco su cui poggerà la statua e di quella larghezza da potersi mettere sopra la seggiola che farà lavorare (realizzare) il d.o Padre da Paterno, dandone io il modello. Mi obbligo mettere tutto lo impegno perché la detta opera venga a quella perfezione che giudica l’arte. Dichiaro di avere stabilito il prezzo di d.i (ducati) sessanta, da doversisi dare in tre somme, cioè nel principio del lavoro, nella metà, e nella consegna della statua. Dichiaro già di aver ricevuto doc. (ducati) venti. Mi obbligo di assoggettarmi a tutte quelle pene inflitte dalla legge, mancando a qualche parte di questo contratto. A cautela, Napoli 1849 - Camillo de Falco. La notizia della stipula del contratto fu accolta con somma gioia dalla popolazione di Paterno. 250 famiglie si affrettarono a versare contributi volontari a copertura delle spese. Fu realizzata la somma di ducati 228,41. In giugno la statua giunse in Paterno. Padre Cherubino esultò nell’apprenderlo. Egli scrisse a Don Ferdinando Famiglietti: Stimatis.o Sig. Arciprete. L’Animo mio non trovava riposo per conoscere l’arrivo della statua della Vergine. Appena saputo che Larotonda era tornato in questa Capitale mi recai in sua Casa per averne contezza. Immaginatevi di quanto gaudio restai ripieno sentendo da Lui come fu accolta da codesti fervorosi fedeli. E vieppiù mi sono racconsolato quest’oggi nel leggere dal vostro foglio che abbia incontrata la comune approvazione. Questo solo mi attendevo dalle mie fatighe. Ora sì sono appieno contento a dispetto di qualunque dispiacimento abbia io ricevuto. Le generose offerte dei fedeli, oltre a coprire le spese per Veste e manto giusta il disegno prescelto dalla Signora Marotta, consentirono pure l’acquisto di preziosi ornamenti. Inoltre, Una penitente del d.o Padre Cherubino dona alla Vergine il merletto di cotone fino forastiero, che è posto al collo ed alle punte delle maniche della veste. Nel maggio del 1849 re Ferdinando II aveva represso con decisione una sommossa popolare scoppiata in Sicilia ed aveva dato inizio, ovunque nel regno, ad una dura reazione contro il movimento rivoluzionario repubblicano che aveva portato in carcere, fra gli altri, i fratelli de Laurentiis di Torella dei Lombardi e l’arciprete di Castelfranci Clemente Celli. Prudentemente in Paterno era stata accantonata ogni rivendicazione politica per concentrare tutte le energie nella soluzione dei non pochi problemi strutturali originati dalla lunga stasi economica. Il 7 novembre 1849 il decurionato avanzò richiesta di autorizzazione ad istituire due nuovi capitoli di bilancio, il primo per la costruzione di un ossario, ove debbono riporsi le ossa ... perché è necessario divenirsi alla desumazione degli antichi cadaveri per riporvi i nuovi, essendo il cimitero prossimo alla saturazione, rimanendovi appena qualche solco, il quale si troverà certamente riempito per i principi dell’entrante anno; il secondo per le riparazioni più urgenti di cui necessitava la chiesa maggiore, tra quelle segnate pel campanile e l’orologio. Le previsioni si rivelarono ben presto realistiche. Già nei primi mesi dell’anno successivo  la necessità di reperire spazi per le nuove tumulazioni rendeva indilazionabile il disseppellimento dei trapassati di più vecchia data. Nell’impossibilità di realizzare in tempi brevi l’ossario in cui custodire i resti dei corpi esumati, su proposta del sindaco Ciriacantonio Modestino, il 12 marzo 1850, fu chiesta l’autorizzazione all’intendente di Principato Ultra di far riporre queste ossa in un cimitero di fabbricato recente ma non terminato perché sospeso quando pervennero gli ordini della costruzione del camposanto, quale cimitero che trovasi alquanto discosto dall’abitato offre due lamioni sotterranei che han bisogno di poca spesa per utilizzarli, ed in cui già trovansi le antiche ossa del vecchio cimitero, e che può assai bene prestarsi a questo uso. La lunga stagione invernale aveva aggravato le condizioni della chiesa madre. Infiltrazioni di acque piovane rendevano pericolante il campanile ed il 4 giugno l’Intendenza fu sollecitata a concedere l’autorizzazione ad eseguire quei lavori di restauro a cui il clero non poteva far fronte in quanto non ha alcuna dote ... Il Parroco non ha alcuna congrua, ed ha la cura di circa 2500 anime. Era stato intanto accantonato il progetto della rotabile in direzione di Fontanarosa per privilegiare il vecchio disegno di una strada ampia ed agevole che fosse alternativa all’antico tracciato dell’ormai impraticabile via Napoletana. Lo aveva riportato di attualità la strada di collegamento fra Castelvetere ed il capoluogo di provincia, in corso di realizzazione. Su progetto dell’architetto Abbondati si dette così inizio ai lavori di picchettamento del nuovo tratto rotabile, della larghezza di 40 palmi, che sostanzialmente ricalcava la mulattiera che attraverso le contrade Chiarino e Serroni conduceva al guado del Fredane, per snodarsi quindi lungo il corso del Calore fra San Mango e Luogosano ed immettersi alfine, oltre il comune di Chiusano, sulla traversa per Castelvetere. Dissentì dalla decisione quella parte della cittadinanza che, capeggiata dai de Jorio e con il sostegno dei de Martino, dei Famiglietti, dei de Renzis, dei Beneventano e di altre influenti famiglie, si opponeva all’amministrazione in carica. Costoro costituirono un comitato che, a partire dal 23 maggio 1850, si autotassò, dichiarando: Noi qui sottoscritti considerando la somma utilità che una traversa rotabile può recare a questo comune di Paterno, specialmente alle infime classi della popolazione, da congiungersi all’altra del limitrofo comune di Fontanarosa, o altri luoghi, ci obblighiamo di corrispondere gratuitamente, e senza rivaluta alcuna le somme appresso segnate. Alla data del 18 settembre 1853 il comitato aveva realizzato la considerevole cifra di ducati 3.756,804. La lotta politica dunque, a parte le controversie personali, si risolveva in un impegno sociale in cui venne ad essere coinvolto anche il clero. Il sacerdote Don Ferdinando Famiglietti, raccogliendo offerte volontarie in grano, si rese interprete delle esigenze della popolazione con l’istituzione del secondo montefrumentario, a dotazione della festività in onore di Maria Santissima della Consolazione. Non fiaccò entusiasmo e determinazione il terremoto di Melfi del 14 agosto 1851, che pure devastò numerosi centri dell’alta Irpinia ma non causò danni in Paterno. Nel 1852 si verificò un sostanziale ricambio degli uomini alla guida del paese ed il nuovo sindaco, Nicola d’Amato, si propose di rilanciare l’economia favorendo le attività commerciali. Nella seduta del 24 gennaio 1853, unanimemente concorde il decurionato, chiese di poter istituire il mercato settimanale, da tenersi ogni venerdì, giorno quasi festivo per la somma divozione che questo Comune rende alla Beatissima Vergine della Consolazione in memoria del primo miracolo avvenuto in detto giorno. L’autorizzazione fu concessa con decreto reale, previo parere favorevole del Ministero dell’Interno. In una diversa ottica dei rapporti intercomunali, finalizzata ad incrementare gli sbocchi naturali del fiorente mercato artigianale, mutarono pure le scelte di fondo che avevano caratterizzato la precedente amministrazione. L’anno 1853, il giorno 18 maggio in Paterno. Riunito il Decurionato nel solito locale delle sue deliberazioni, composto dai Signori: D. Nicola de Martino, D. Felice de Renzi, D. Crescenzo Beneventano, Antonio Balestra, Giovanni d’Amato, Gerardo Strafezza, Carmine Antonio, Alessandro Pasquino e Pietro Cuoco, sotto la presidenza del Sig. D. Nicola d’Amato Sindaco, considerato che nel 1850 l’Intendente di Principato Ultra aveva concesso il benestare alla costruzione di una strada che congiungesse Paterno con la traversa per Castelvetere, con delibera numero 31 stabilì che sarebbe stato più opportuno realizzare un tracciato per Fontanarosa, da cui proseguire per Sant’Angelo all’Esca, comune prossimo ad essere collegato con Taurasi. Ciò avrebbe consentito di immettersi sulla consolare in località Ponte Calore, con notevoli vantaggi per i commerci già sufficientemente sviluppati con i paesi serviti da questa antica strada. A tal fine fu immediatamente resa disponibile la somma raccolta dal comitato costituito per iniziativa dei de Jorio. L’incarico del progetto fu affidato all’ingegnere Raffaele Petrilli che già in ottobre provvide a delineare un tracciolino, coincidente con l’attuale tratto della "statale 164", che dalla piazza del paese raggiungeva, immettendovisi in località La Corneta, la vecchia strada per Fontanarosa. Nulla però era stato fatto per migliorare le condizioni igienico-sanitarie del paese. Il cosiddetto morbo asiatico vi trovò condizioni favorevoli per una rapida diffusione a partire dal secondo semestre del 1853. Inizialmente ne fu colpita prevalentemente la fascia infantile, elevandone a 70 il numero delle morti, mentre nel corso del 1854 interessò quasi esclusivamente persone adulte, i cui decessi ammontarono a 1013. La natalità si manteneva costante, intorno alle 90 unità annue, e le strade brulicavano di bambini, sporchi, laceri, per la quasi totalità della giornata abbandonati a se stessi. Non era stata ancora aperta la scuola primaria femminile. Il sindaco si provò ad accelerarne la pratica e, il 25 aprile 1854, dal sottintendente di Sant’Angelo dei Lombardi fu designata quale maestra pubblica la signora Maddalena Vovola che però rifiutò, adducendo a pretesto un cagionevole stato di salute. Il decurionato esercitò pure pressioni presso il Consiglio degli Ospizi di Napoli perché fosse finalmente istituito l’orfanotrofio a cui era stato destinato il cospicuo lascito del defunto Ciro Mattia. Grazie a queste sollecitazioni, Federico Roca, ingegnere dell’Intendenza di Principato Ultra, fu incaricato di compiere un sopralluogo in Paterno per esaminare se alcuni ruderi di fabbrica cominciata per cimitero potevano addirsi ad orfanatrofio, e progettare uno stabilimento per tale uso utilizzandosi quelle fabbriche ancora. Stabilimento prescritto dal fu Ciro Mattia a spese della sua eredità. La visita però non avvenne in quanto l’ingegnere Roca fu scoraggiato dal compierla per il morbo asiatico che infettava questa provincia. Favorivano il diffondersi delle epidemie l’insufficienza e la pessima qualità delle acque. L’erogazione del fabbisogno idrico era assicurato quasi esclusivamente dalle fontane dei Franci e della Pescarella, ma entrambe mostravano i segni di una carenza di manutenzione, soprattutto l’ultima in cui più evidenti si rivelavano i cedimenti della vetusta struttura. D’urgenza se ne deliberarono le dovute riparazioni, perché di sommo utile al pubblico, e perché trascurandosi si andrebbero a perdere, tanto più che la lammia della Fontana Pescarella, per causa delle frane, si è aperta, e coll’andare del tempo potrebbe perdersi la sorgente. Permaneva, intanto, l’impegno per la realizzazione della strada per Fontanarosa. Con delibera del 5 novembre 1854 il decurionato stabilì che innanzitutto era da costruire un ponte sul fiume Fredane, sia perché di più vasta mole e maggior tempo richiedesi ..., sia perché necessario più di ogni altro lavoro al commercio. La previsione di spesa del manufatto assommava a ducati 1.700. Con nota numero 2337, in data 4 agosto 1855, il Ministero e Real Segreteria di Stato dell’Interno comunicò che il Consiglio degli Ingegneri di Ponti e Strade aveva espresso parere favorevole al progetto, e pertanto si autorizzava l’esazione delle offerte volontarie che avrebbero dovuto integrare la somma stanziata dal comune. Nell’aprile del 1855 l’ingegnere Federico Roca aveva effettuato l’esame della incompiuta struttura muraria presso la chiesa di Santa Maria di Costantinopoli e, approntato il progetto per la sua trasformazione in orfanotrofio, il 18 febbraio 1856 lo sottopose al vaglio delle autorità comunali. Da queste ritenuto di spesa eccessiva, se ne richiesero modifiche che comunque comportarono un aumento di prezzo tale da indurre a scartare definitivamente l’idea di una qualsiasi riutilizzazione del vecchio cimitero. Nel febbraio del 1856 il sottintendente di Sant’Angelo dei Lombardi segnalò il nominativo della signora Teresa Pergamo al fine di conferirle, dopo aver sostenuto il prescritto esame di idoneità, la nomina di maestra della scuola primaria femminile. Ma ancora una volta fu disattesa la decisione di tale organo superiore. Il 10 giugno 1856 il sindaco ed il parroco, congiuntamente, sostennero che la donna, già sottoposta ad analogo esame nell’anno 1841, aveva in seguito rinunciato all’incarico. In realtà era la scarsa disponibilità finanziaria a suggerire di soprassedere all’apertura della scuola, mentre problemi ritenuti di prioritaria importanza polarizzavano l’attenzione degli amministratori. Dietro segnalazione dell’Intendente di Principato Ultra fu conferito all’architetto Eduardo Cirillo l’incarico per la progettazione del ponte sul fiume Fredane6, e l’architetto Francesco Mastelloni fu chiamato ad indicare i provvedimenti da adottare per il consolidamento del terrapieno che costituiva l’attuale piazza XXIV Maggio in quanto, a causa delle acque piovane che lo restringono a pochi palmi, si reca grave danno non solo al pubblico, ma anche ai privati proprietari e specialmente alla casa soprastante del signor Barone Rossi7 che può andare a crollare. L’architetto Mastelloni, in data 27 settembre 1856, illustrò in una relazione i lavori da effettuarsi, il cui costo complessivo fu preventivato in 159 ducati. In particolare si imponeva la costruzione di un muro di contenimento, dell’altezza di palmi otto, che avrebbe delimitato una strada, quella ai giorni nostri detta "sotto l’inferriata", della larghezza di 23 palmi, antistante il palazzo Antonellis. A completamento della rete viaria, peraltro in massima parte ancora allo stato embrionale, il 12 ottobre 1856 si deliberò l’ampliamento del tratto che tuttora collega il centro suburbano allora detto Taverne alla rotabile che discende da piazza XXIV Maggio. L’opera fu realizzata due anni più tardi, per un costo complessivo di ducati 293,366, su progetto approvato dall’Intendente di Principato Ultra in data 9 marzo 1858. Il 14 dicembre si chiudeva un anno di intensa attività con la richiesta del decurionato di ripristinare, in quanto sospesa da tempo, la fiera annuale istituita con decreto reale del 17 giugno 1782, da tenersi dal giorno della Pentecoste alla domenica successiva. Era stato encomiabile l’impegno profuso, dal 1852 al 1856, dal consiglio comunale, guidato dal sindaco Nicola d’Amato, nel tentativo di restituire dignità e vigore ad una popolazione che, falcidiata dalle epidemie ed economicamente repressa per lo stato di isolamento in cui era venuta a trovarsi, si era ridotta a soli 2.004 abitanti5. Ma non poteva bastare la sola determinazione al coronamento di un sì ambizioso progetto. Naufragò il sogno di agevoli sbocchi commerciali allorché, il 17 maggio 1857, l’architetto Eduardo Cirillo sottopose al decurionato il progetto relativo al ponte sul Fredane. Il costo risultò elevato, o comunque tale da non consentirne l’auspicata rapida realizzazione. Tornò di attualità, sebbene il problema fosse scarsamente sentito, la questione dell’inse-gnamento primario. L’occasione fu offerta dalla elezione ad arciprete del sacerdote Don Ferdinando Famiglietti che fino ad allora aveva gestito una scuola privata maschile. Ne scaturì l’obbligo per il comune di provvedere alla nomina di un nuovo maestro da retribuire con fondi stanziati sul proprio bilancio e, il 18 maggio 1857, il decurionato formulò la prescritta terna nelle persone del sacerdote Don Saverio Pergamo, del proprietario don Antonio Martino Musachi e del possidente don Salvatore Pelosi. La Curia Vescovile di Avellino, l’8 luglio successivo, manifestò al sottintendente il proprio sostegno alla candidatura del sacerdote Don Saverio Pergamo. La sollecitazione sortì l’effetto voluto e, nel contempo, a ricoprire l’incarico di maestra della scuola femminile, fu segnalato dal competente ufficio di Sant’Angelo dei Lombardi il nominativo di Maddalena Leone, a cui però il decurionato decisamente si oppose, proponendo di rimando il solo nome di Dorotea Martino. I contrasti che impedivano l’apertura della scuola primaria femminile servivano di fatto a mascherare obiettive difficoltà di bilancio. Il comune, oberato delle spese per fitto dei locali ad uso dei vari uffici, quasi tutti ubicati nell’edificio di proprietà della famiglia de Jorio in quella che era stata via della Dogana, gravato dei costi per la manutenzione delle strade e delle pubbliche fontane oltre che di quelli per stipendi dovuti ad un nutrito stuolo di impiegati, si prefiggeva la realizzazione di importanti opere pubbliche che imponevano l’accanto-namento di risorse finanziarie. Un considerevole tributo richiedeva pure la gestione delle strutture e delle funzioni che ad esso competevano quale capoluogo di mandamento. Nel 1857, per il solo sostentamento dei 23 detenuti poveri rinchiusi nella locale prigione, erano occorsi 20 ducati e 9 grana, corrispondenti a 574 razioni giornaliere. Ne avevano beneficiato quattro reclusi di Paterno, cioè Carlo lo Vuolo, Francesco Esposito, Angelo Palermo e Lucia Nardone, ma la parte più cospicua era stata assorbita per l’alimentazione di un detenuto di Lapio, uno di Fontanarosa, due di Sant’Angelo all’Esca, due di Luogosano, tre di Castelfranci e ben dieci di San Mango. Il primo marzo 1858 il sacerdote Don Saverio Pergamo prestò giuramento e la scuola maschile potette essere riattivata. Negativamente si era invece espressa la sottintendenza di Sant’Angelo dei Lombardi nei confronti di Dorotea Martino, ritenuta in età avanzata e pertanto inidonea ad esercitare la funzione di maestra. La farsa della scuola primaria femminile si sarebbe protratta ancora a lungo se un gruppo di cittadini non avesse manifestato il proprio disappunto levando vibrate proteste. Da troppo tempo si disattendeva la legge sull’alfabetizzazione obbligatoria. Prevalse il buonsenso e la sottintendenza, superando l’ostacolo del limite di età, concesse alfine il nulla osta. L’11 aprile 1859 Dorotea Martino prestò giuramento alla presenza del sindaco Rosario Sara. Morì nel 1859, all’età di 59 anni, Filippo de Jorio, il quale fu eccellente traduttore del greco Anacreonte, versione la quale nella biblioteca poetica meritò di stare a canto delle poesie del Monti, del Bellotti, del Mezzanotte. In quell’anno morì pure Ferdinando II e ne ereditò il trono delle Due Sicilie il figlio Francesco II. Avvertiva il nuovo re la precarietà del proprio regno, minato dalle idee liberali che erano venute maturando presso i vari circoli e comitati che da tempo erano in relazione col Mazzini. Gli eventi precipitarono già l’anno successivo con la rivolta popolare di Palermo. Garibaldi ne colse l’occasione e, il 5 maggio 1860, con 1.089 volontari si imbarcò alla volta dell’isola. L’11 maggio fu a Marsala. Francesco II tentò inutilmente di trattare con il Piemonte ed il 23 giugno concesse una tardiva costituzione. Il 20 luglio, con la vittoria di Milazzo, Garibaldi completò la liberazione della Sicilia ed attraversò lo stretto. Si mobilitarono i liberali irpini. Fu stabilito che dovessero convergere tutti in Sant’Angelo dei Lombardi da dove muovere verso la Basilicata, ma il 25 agosto venne il contrordine: le forze del Principato Ultra dovevano congiungersi ai contingenti del Molise in località Mosti, in territorio beneventano. Da ogni dove vi confluirono gli Irpini, armati di solo giovanile entusiasmo. Provvidenzialmente pervenne l’informazione che seicento fucili, inviati da Napoli alla guardia nazionale di Capitanata, erano in transito lungo la consolare per la Puglia. Nella notte fra il 25 ed il 26 agosto un contingente di liberali comandati dal Demarco tese un agguato al convoglio in Grottaminarda, impadronendosi delle armi che furono immediatamente trasportate a Mosti. Il 4 settembre 1860 i Cacciatori Irpini raggiunsero Ariano per insediarvi il governo provvisorio della provincia, ma la popolazione, sobillata, insorse contro di loro inneggiando a Francesco II. Si combattette duramente fino al giorno successivo quando i liberali furono costretti a ripiegare, lasciando numerosi morti sul campo. Due giorni dopo, il 7 settembre, Garibaldi entrò trionfalmente in Napoli. Francesco II era fuggito a Gaeta ove organizzava le forze residue da impiegare in un estremo quanto disperato tentativo di resistenza. Il 21 ottobre Napoli chiese l’annessione al regno d’Italia ed il 7 novembre Vittorio Emanuele fece il suo ingresso in città. Ma non era del tutto estinto il sentimento filoborbonico. In novembre, in Mirabella, si ebbero dimostrazioni a favore del deposto monarca e, a Grottaminarda, un gruppo di carabinieri manifestò l’intenzione di recarsi in Puglia per porsi al servizio del generale Bosco che raccoglieva uomini per contrastare l’avanzata piemontese. Episodi sporadici e scarsamente significativi che non impedirono i referendum nei comuni per la formale annessione al regno d’Italia. Nel febbraio 1861 Francesco II abbandonò definitivamente Gaeta per rifugiarsi a Roma.

Sterili tentativi di ripresa

L’unità d’Italia si era compiuta, una nuova era iniziava. Con eccessivo ottimismo si ritenne in Paterno che si fossero finalmente spalancate le porte su un futuro di progresso, di civiltà e di giustizia sociale. Il "nuovo" che si irradiava dal mitico Piemonte, una sorta di indefinita panacea per cui era stato pagato un elevato prezzo in persecuzioni ed in sangue, stimolava gli amministratori. Indilazionabile si poneva la soluzione del problema dell’approvvigionamento idrico, per cui le prime attenzioni del governo locale furono per l’ormai diruta fontana dell’Acquara Vecchia. Una lapide ivi posta ricorda: NELL’ANNO MDCCCLX \ PRIMO DEL REGNO D’ITALIA \ QUANDO IN PATERNO LA CIVILE AMMINISTRAZIONE \ GIUSEPPE DE JORIO REGGEVA \ QUESTO PUBBLICO FONTE \ RICOSTRUIVASI. In data 10 dicembre 1860 poi, il decurionato dispose la perizia per la demolizione del campanile fino all’altezza di palmi 20 dall’arcatrave della porta in sopra, allo scopo di ricostruirlo con archi, cupola e sostegni in ferro per le campane. Il costo fu previsto in ducati 608,93, che in parte potevano essere reperiti mediante pubblica sottoscrizione (2). Il 23 dello stesso mese, nella convinzione di poter recuperare al paese l’antico, prestigioso ruolo di centro di transito e di commerci, fu inoltrata istanza all’Intendenza di Principato Ultra perché assumesse l’onere del completamento di una strada, nel cui tracciato il comune aveva già investito duemila ducati, che risalendo il corso del Fredane avrebbe dovuto collegare Paterno con Torella. La richiesta si giustificava con l’importanza che avrebbe assunto l’arteria quale utile diramazione della consolare delle Puglie in direzione della Lucania. In alternativa al contributo si chiedeva la concessione di un prestito di settemila ducati che avrebbe consentito al comune il completamento dell’opera. Un mese più tardi, sul progetto dell’architetto Eduardo Cirillo, si dette inizio alla costruzione del ponte sul Fredane mediante impiego di manodopera locale, allo scopo di contenerne i costi, e pure in economia, per una spesa preventivata in 120,19 ducati, il 3 aprile 1861 il decurionato deliberò il riattamento della pubblica fontana dell’Acquara, in conformità di un progetto già approvato il 15 giugno 1858. Il nuovo clima di fiducia che si era instaurato influenzò positivamente pure l’andamento demografico. Si ebbe un incremento della popolazione, registrandosi 2.177 abitanti5, ma già nel corso del 1861, a fronte di 89 nascite, i decessi complessivi ammontarono a 1196, sicché, anche per effetto di emigrazioni, al primo gennaio 1862 Paterno contava 2.151 nativi residenti, suddivisi in 1.014 maschi e 1.137 femmine. Alla stessa data risultavano 1.025 gli abitanti di Luogosano, 1.752 quelli di San Mango, 2.285 quelli di Castelfranci e 2.645 quelli di Fontanarosa. A partire dall’anno 1862, per iniziativa dell’arciprete Don Ferdinando Famiglietti, si provvide a segnare in un solo libro tutti quei che passano a miglior vita ... qualsiasi la loro età. Paradossalmente fu questo l’unico reale cambiamento che conobbe il paese: il permanere di sfavorevoli condizioni ambientali vanificava ogni tentativo di un suo rilancio economico; la crescita demografica si riportò a livello zero per cui le 90 nascite che si verificarono nell’anno, per l’incidenza del flusso emigratorio, non compensarono gli 84 decessi; tornarono alla ribalta uomini e metodi che ci si era illusi di aver sconfitto per sempre. Gli ambigui personaggi che si erano ritagliati fette di potere professando fede borbonica avevano dato prova di duttilità politica col riproporsi nel ruolo di convinti assertori del nuovo regime. L’indignazione e il disgusto generati da tale spregiudicato trasformismo ispirarono l’anonimo autore di un manifesto che, affisso nottetempo, comparve in piazza il 27 settembre 1862: Il mondo non è che reità. Cadde la famiglia Borbonica e rinalzossi coloro che beneficavano la patria. Ora cari miei son tornati i poteri nelle mani degli assassini e vegghiamo di bel nuovo nelle mani di un borbonico canaglia gli altri poteri, ma rallegramoci però, e siammo pur condenti che non siamo appartenenti a quel repropo numero, e se espulsi siam è perché mai ebbimo la fortuna di essere reputati come ladri. Non sempre, fidatevi, la sede degli infami regnerà, ma breve la sua durata. Deposeit potentes de sede, et exaltavit umiles - Da un Italiano. Lo sfogo accorato dell’illetterato cittadino coincise con l’arrivo del tenente Pallone, inviato da Frigento col compito di riorganizzare la Guardia Nazionale di Paterno. Lo stesso giorno l’ufficiale emise un comunicato col quale si faceva divieto di affissione di qualsiasi scritto che non recasse la propria firma, pena l’arresto. Le disposizioni ricevute dal tenente Pallone erano di ridurre la Guardia Nazionale, dalle due che erano state, ad un’unica compagnia di 150 militi, essendo il numero dei residenti in Paterno calato a circa 2.500 persone. Egli seppe assolvere il proprio compito con solerzia e professionalità tali che, già il 13 ottobre 1862, fu possibile presentare la lista dei coscritti. Con Regio Decreto del 21 aprile 1863 San Mango fu autorizzato a specificare la propria posizione geografica, completandosi con la locuzione "sul Calore". Analoga istanza produsse Paterno, al fine di essere autorizzato ad integrare la propria denominazione con l’aggiunzione del suffisso "poli", cioè "città", adducendo a giustificazione la necessità di distinguersi dai numerosi comuni e casali che rispondevano a tal nome. A parte questo atto, frutto di un patetico rigurgito di orgoglio, spenti gli entusiasmi iniziali, al consiglio comunale non rimaneva che amministrare il quotidiano, destreggiandosi negli alvei angusti di un modesto bilancio. In sostituzione dell’anziana Dorotea Martino fu nominata maestra della scuola primaria femminile Maddalena Leone e, in settembre, fu conferito l’incarico di maestro della scuola maschile al sacerdote Don Battista Chiadini. In risposta alle sollecitazioni che imponevano la trasformazione della Milizia Cittadina in Battaglione Mandamentale, il consiglio comunale assunse in tal senso impegno formale nella seduta del 7 novembre, senza tuttavia operare cambiamento alcuno6. La complessità dell’operazione e soprattutto i costi per i quali non era stata prevista la dovuta copertura impedivano di fatto la fusione sotto un unico comando delle singole formazioni di Guardia Nazionale, costituite dai 159 militi di Paterno, dai 109 di Luogosano, dai 121 di San Mango sul Calore e dagli 80 di Sant’Angelo all’Esca. Un altro provvedimento, ritenuto utile ed opportuno, fu invece possibile in quanto non comportava oneri finanziari. Il consiglio comunale, presieduto dal sindaco Giuseppe de Jorio, nella seduta del 7 dicembre deliberò il trasferimento del mercato settimanale dal venerdì alla domenica per maggiore comodità dei cittadini. Fu emesso il 13 dicembre 1863 il Regio Decreto che autorizzava Paterno ad assumere la denominazione di Paternopoli e, con tale nome, il successivo giorno 30, il consiglio comunale confermò la validità, in attesa che ne venisse definito uno più rispondente alle esigenze dei nuovi tempi, del vecchio statuto di polizia urbana e rurale, adottato il 20 maggio 1846. Nel predisporre il bilancio per l’anno 1864, si ebbe l’opportunità di accantonare una modesta somma da utilizzare per la ricostruzione del campanile della chiesa madre. Il clero, che da tempo sollecitava un intervento in tal senso, si affrettò ad integrarla con un cospicuo contributo ed il consiglio comunale, riunitosi il 29 febbraio in seduta straordinaria, concesse in appalto i lavori al Capo d’opera Michele Volpe di Paternopoli. Si procedeva, intanto, alla stesura del nuovo statuto interno di polizia che, ultimato, fu sottoposto all’approvazione del consiglio comunale in data 13 maggio 1864. Il documento era costituito da due distinti regolamenti: il primo, di polizia urbana, che in 148 articoli esprimeva le regole in ordine alla sicurezza, all’igiene, alle strade, agli edifici sia pubblici che privati, all’annona con i criteri di determinazione delle tariffe da applicarsi per i generi di prima necessità, alle locazioni; il secondo, di polizia rurale, in cui i 64 articoli dettavano norme in merito al rispetto delle altrui proprietà, alla regolamentazione del deflusso delle acque, ai fondi rustici e loro dipendenze, ai fitti, al commercio dei cereali. Nella stessa seduta si dovette ammettere che, persistendo l’indisponibilità finanziaria, non si era in condizioni di procedere alla trasformazione della milizia cittadina in Battaglione Mandamentale, e pertanto si avanzò richiesta al Prefetto di poterne rinviare l’attuazione al successivo 1865. Se l’amministrazione comunale era costretta alla paralisi da gravi deficienze di bilancio, ben diverse erano le condizioni in cui operava la Congregazione della Carità, di recente istituzione, a cui erano demandati compiti di carattere assistenziale. Con la soppressone del Consiglio degli Ospizi di borbonica memoria, questo ente ne aveva ereditato le funzioni a livello locale, unitamente all’amministrazione di ingenti beni, fra cui l’eredità di Ciro Mattia. In ottemperanza alle disposizioni ministeriali del 10 maggio 1864, presieduta da Giuseppe de Jorio, la Congregazione della Carità, in data 8 giugno, propose la risoluzione delle Opere di Culto e la loro trasformazione in Opere Pie Umanitarie, da concretizzarsi nella fondazione di un istituto elimosiniere, e di una cassa di prestanze (prestito), diretti il primo a soccorrere la miseria, l’altro a bandire l’usura, e ciò perché le istituzioni locali per opere di culto non offrono più l’utilità della loro origine, ed i loro redditi lungi dal soccorrere i poveri e gl’infelici, vanno sciupati in riti e feste. Comunque, quale impegno prioritario, la Congregazione della Carità si era riproposta l’apertura dell’orfanotrofio a cui Ciro Mattia aveva voluto legare la propria memoria, e ne aveva individuato la possibile sede in un edificio in muratura, di proprietà di Luigi Marrelli, prospiciente l’antica torre aragonese. Addirittura era già stata inoltrata alla Deputazione Provinciale, completa di planimetria e di costi, la richiesta di autorizzazione all’acquisto dello stabile e, da assicurazioni ricevute in via informale, si sapeva che non vi sarebbero stati impedimenti. Il problema, però, non poteva essere considerato completamente risolto. L’ingegnere Federico Roca che aveva progettato, mediante gli opportuni adattamenti, la collocazione dell’orfanotrofio entro la struttura dell’incompiuto cimitero, non era mai stato compensato per le sue prestazioni. La sua parcella di lire 230,20, a suo tempo esibita, era stata giudicata esosa dal Consiglio degli Ospizi che si era rimesso al giudizio dell’Ingegnere per le Opere Pubbliche, il cui ufficio aveva ridotto l’importo a 182 lire. Lo scioglimento dell’ente centrale aveva trasferito l’obbligo di pagamento all’ente locale subentrante, ed il 21 agosto 1863 la Congregazione della Carità di Paternopoli, presieduta dal sindaco Costantino Modestino, si era dichiarata disposta a corrispondere la somma di 60 ducati2, corrispondenti a 264 lire. L’ingegnere Roca si era dichiarato insoddisfatto dell’offerta che escludeva in larga misura gli interessi legali maturati e, il 20 agosto 1864, citò in giudizio la Congregazione. La vertenza, comunque, in nessun modo avrebbe potuto impedire l’apertura dell’orfanotrofio che si prevedeva dovesse avvenire entro il 1865, sicché, fino a quella data, nella seduta del 9 novembre 1864, il consiglio comunale confermò Maddalena Leone nell’incarico di maestra. Languiva l’attività amministrativa. Si era spento ogni entusiasmo per gli ambiziosi progetti intesi a restituire al paese centralità nei traffici commerciali e ci si limitava ormai a contrastare i piccoli abusi quotidianamente consumati. Da anni, al disotto della pizza, i fratelli Francesco e don Vincenzo de Renzi avevano arbitrariamente stabilito un collegamento fra l’abitazione e la farmacia di loro proprietà, ubicata nell’ambiente che, a piano terra, tuttora fa da estremo divisorio alle due strade provenienti dalla chiesetta di San Sebastiano. L’antica via ne era risultata occlusa, non senza disagio per i cittadini, sicché, nel dicembre del 1864, il consiglio comunale dispose la rimozione dell’ostacolo. Consapevoli di non poter accampare diritto alcuno, e nel contempo non disposti a rinunciare ai vantaggi derivanti dall’unicità dello stabile, i due fratelli de Renzi offrirono al comune la somma di lire 127,50 in cambio della concessione della licenza per la costruzione di un arco su cui realizzare un passaggio soprelevato fra l’abitazione ed il vano sovrastante la farmacia. L’offerta fu accolta favorevolmente e quindi fu sottoposta al parere della Deputazione Provinciale che fu però negativo, con la motivazione che la struttura muraria avrebbe ridotto la carreggiata, con grave pregiudizio per il transito. Difficoltà si incontravano pure a mantenere il passo coi rapidi mutamenti in atto, protesi alla modernizzazione del giovane regno. L’amministrazione comunale aveva avanzato richiesta per l’apertura di un ufficio postale, proponendovi quale addetto alla gestione il signor Luigi Marriello. La Direzione Compartimentale di Napoli ne aveva però subordinato la concessione all’esito delle informazioni da assumersi sulla persona indicata, ed il 22 dicembre 1864, dalla Regia Prefettura di Principato Ultra, fu risposto che il signor Luigi Mussiello era da considerare persona idonea in quanto onesto, probo, e di ottima condotta politica e morale. Il giudizio fu ritenuto non esauriente e chiaramente espresso con superficialità per cui, in seguito ad ulteriore e più approfondita indagine, il 10 marzo 1865, il Prefetto dovette rettificarlo comunicando al Direttore Compartimentale delle Poste Italiane che Marriello Luigi, e non Mussiello, non solo non ha sufficiente entità per covrire il posto di titolare dell’Ufficio Postale da impiantare in quel Comune, ma è anche di cattiva condotta politica e morale. Egli ha moglie e figli, non esercita arte o industria, e vive con la rendita imponibile di lire 1000. Dovendosi dotare l’ufficio postale di facoltà di trasmissione di vaglia, la situazione patrimoniale della persona proposta non offriva garanzie sufficienti a tutelare l’Ammi-nistrazione delle poste contro l’eventualità di ammanchi. Non si potette procedere neppure alla trasformazione della Guardia Nazionale in Battaglione Mandamentale. In questo senso operò per primo il comune di Luogosano2 ed il consiglio comunale di Paternopoli, temendo che le proprie inadempienze potessero riflettersi negativamente sul ruolo di cui era investito, riunitosi il 25 aprile 1865 sotto la presidenza del sindaco Giuseppe de Jorio, deliberò di inoltrare istanza al Governo del Re affinché il Mandamento fosse ampliato o, nell’impossibilità, ne fosse preservata la consistenza territoriale. L’11 luglio 1865 il Ministero dell’Interno comunicò di aver trasmesso la richiesta, per competenza, al Ministero di Grazia e Giustizia. In data 2 giugno, intanto, era stata concessa l’autorizzazione prefettizia al trasferimento del mercato settimanale dal venerdì alla domenica4, ed il 17 dello stesso mese la Deputazione Provinciale aveva accordato il proprio benestare all’acquisto, da parte della Congregazione della Carità, del palazzo Marrelli5. Senza ulteriori indugi se ne perfezionò l’atto. Il prezzo che ne fu pagato, deliberato sin dal 6 marzo 1865, fu di ducati 2.030,67, pari a lire 8.630,35, di cui solo lire 7.650 corrisposte al signor Luigi Marrelli in quanto la differenza, come da accordo, fu devoluta a beneficio dei suoi creditori6. L’istituto iniziò la propria attività nel 1866 sicché, due anni più tardi, Giuseppe de Jorio potette affermare: Esistono nel comune un orfanatrofio che ha preso nome dal suo fondatore Ciro Mattia, con annesso convitto di civili donzelle, ed un asilo rurale d’infanzia sotto la direzione delle Suore della Carità d’Ivrea. Tali stabilimenti di educazione son surti da due anni per le cure di egregio cittadino che richiamava alla propria destinazione non pochi redditi tenuti ammortizzati per circa 14 lustri.

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