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IL BRIGANTAGGIO

"zona del Gargano"

Stiamo come asini in mezzo ai suoni

da: tomaiuolopasquale@tiscali.it

 

Prima di passare ad analizzare il brigantaggio soffermiamo un attimo la nostra attenzione sulle condizioni delle popolazioni garganiche nel periodo post-unitario. Incisivo è il ritratto che ci fa il liberale Tardio: "In tre classi si divide il nostro popolo: in quella del cozzismo, che comprende i nove decimi della popolazione, ed è fatta di persone ignoranti, addette alla pastorizia e alla coltura delle terre; le altre due classi sono composte da Preti e da Galantuomini, i quali per l’alta influenza che godono sulla massa la dominano fino alla tirannia. La prima, mi giova ripeterlo, non è capace di fare cosa da sé, perché le mancano i due principali elementi per agire, intiera coscienza di ciò che fa e scopo dell’azione". Da questo semplice quadro si può capire che la popolazione era soggetta a facili influenze da parte di chiunque avesse una certa cultura come ad esempio i preti che parteciparono alle rivolte, ma come spesso avviene, grazie alle loro amicizie evitarono il peggio. La prima reazione avviene nel 1860 ovvero quando si sparge la voce che un diavolo ed eretico (così lo definivano i preti) di nome Garibaldi sbarcava in Sicilia. La rivolta partì da Vico e fu guidata dagli esponenti più in vista come il sindaco, i preti e i galantuomini. Ma non porta nulla di concreto perché in poco tempo si ristabilisce la calma. Già in questa prima sommossa si nota una sottovalutazione del problema da parte del governo, l’incapacità delle Guardie Nazionali, ma soprattutto una prima presa di coscienza di classe e del proprio miserabile stato da parte dei poveri contadini. Intanto si avvicinava la fatidica data del 21 ottobre, giorno del plebiscito. Quando si riuscì a votare lo si fece sotto lo sguardo vigile di esponenti filo-governativi. Per cui l’esito finale lo si può già immaginare. Solo per la cronaca: 54.256 a favore dell’unità d’Italia; 996 contrari. Dopo gli scontri del plebiscito l’inverno passò tra riunioni in casa di esponenti di spicco. Tra i tanti c’è il Veneziani che anche con l’aiuto di soldati sbandati organizzò, per il giorno dopo la Pasqua del ‘61 una rivolta. L’obiettivo del Veneziani era quello di sollevare tutto il Gargano, avendo avuto contatti con fidati esponenti di Monte S. Angelo, Rodi, Ischitella. I rivoltosi partirono dalla chiesa dei cappuccini alla volta di Vico inneggiando a Francesco II. La reazione riuscì e l’occupazione durò per ben una settimana, ma non ci furono saccheggi. La notizia della rivolta si sparse subito nel Gargano senza provocare agitazioni. Infatti il governatore mandò rinforzi a Monte S. Angelo e negli altri comuni. Dopo tante richieste arrivò la guardia nazionale a ristabilire la calma, imprigionando tanta gente per la più innocente. Quelli che riuscirono a fuggire si rifugiarono nei boschi vicini e dai loro covi mandavano biglietti con cui minacciavano i proprietari di bruciare le loro proprietà se non portavano cibo, armi e soldi. È utile riportare un frammento significativo di un biglietto minatorio fatto recapitare a un latifondista di Vieste:

"Gendelissima Donna Chilina Nobile, noi ti fammo conoscere che ci avite mantare mille e due cento ducati subito domani matina alle ore doteci, e se voi non le mantate questi Denare sarete ammassagrate tutta la masseria delle vacche, e tutto ciò che tinite per la campagnia e mantate anco la spesa per due cento uomini, quartro barile di vine, dieci pare di casecavalli quartre tomoli di pane tre rotoli di tabacco, una dozzina di carta,e cinque baccotti di sicarii, e mantatelo per la stessa persona che vi porta la llettera e fate lo riscotto di tutto ciò che mantate e non altro da dirvi e sono il sig. Maggiore della Cavalleria Luigi Palumbo"

Poi iniziarono ad occupare i vari comuni. Iniziarono da Vico in cui costrinsero i liberali ad abbandonare il paese e saccheggiarono molte case. In questa azione ebbe un ruolo di spicco Luigi Palumbo alias il "Principe" che entrò in città acclamato da tutti; fece liberare tutti quelli rinchiusi in galera; creò una nuova amministrazione. Poi toccò a Vieste che fu saccheggiata. Ma un cruccio del "Principe" era quello di invadere Monte S. Angelo; tentò il Sabato Santo ma fu respinto. Non ci riuscirà mai. I briganti continuavano a stare arroccati nelle montagne, ma anche per loro si prospettavano giorni difficili. Infatti il popolo si riuniva in leghe contro questi e lo stato d’assedio gli riduceva i viveri. Per cui, anche con l’aiuto dei preti, molti si consegnavano per avere salva la vita. Ma non tutti lo fecero. Infatti Pietro Iacovelangelo alias il "Pezzente" fu ucciso e impiccato. La madre fu costretta a mangiare sotto il corpo del figlio impiccato. Stessa sorte toccò a Michele Caruso preso e fucilato. Non va dimenticata l’inchiesta parlamentare con la conseguente legge Pica-Peruzzi. Questa prevedeva l’istituzione dei tribunali militari; la fucilazione dei colpevoli; diminuzione della pena per chi si consegnava. Furono messe anche taglie sulle teste dei briganti. Restava in libertà, come ultimo baluardo, solo Palumbo. Trovandosi in una casa in località "piano dell’Incudine" nel bosco Quarto, su segnalazione del sig. Raimondi si appostarono due uomini della guardia nazionale, lo colpirono alla testa con una scure e tramortito lo portarono in paese. Con la caduta di Palumbo il brigantaggio nel Gargano era sconfitto. L’unità d’Italia si doveva fare, non importava a spese di chi. Il brigantaggio va condannato, però lo si può giustificare se pensiamo che Francesco II era solo una scusa, e che quindi i poveri contadini volevano solo giustizia, dignità e soprattutto cibo. Il nuovo governo ha pensato solo a reprimere il brigantaggio, non ad estirparlo, eliminando quindi i motivi di fondo. Per cui alla fine di questo "fenomeno" al governo restava da risolvere la "questione meridionale" poiché mentre al nord "il treno economia già marciava, qui, ancora in condizioni feudali, si doveva ancora costruire", e l’aiuto del governo fu solo un mare di parole. Cosa positiva di questi fatti è l’inserimento, seppur in modo violento, di questa "plebe", quasi sempre emarginata, ma vero motore di tutto, nella storia d’Italia

Fonte: Borbonici, Liberali e Briganti di Gennaro Scaramuzzi

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