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BRIGANTAGGIO EUGUBINO

La scorreria a Fossato della banda di Zigo

Ricostruzione della vicenda, fatta dal ricercatore eugubino Fabrizio Croce in base agli atti della sentenza di rinvio a giudizio del 22 dicembre 1871

da: http://www.protadino.it/20030112/11bandazig.html

Nel 1862 facendosi in Fossato di Vico i lavori per mettere in assetto la ferrovia, era colà, appaltatore di quelli per la costruzione del tunnel, Carlo Risso genovese il quale abitava sul confine del Borgo in vocabolo "la Cupa". Nella sera del 16 ottobre il Risso si ristorava delle fatiche durate nel giorno in seno della propria famiglia. Sulle ore 7 pomeridiane, essendo nella cucina, vede il suo cane dar segni di avventarsi contro persone che salgono le scale; tuttavia egli non nutre sospetto, suppone che siano i lavoranti e chiama a se quel fido animale. Ma all'improvviso si presenta uno sconosciuto di alta statura, giallo di colorito, che spianandogli contro la doppietta gli intima "fermati o ti brucio!". Non si sgomenta il Risso, anzi facendosi animosamente contro costui lo afferra colla destra pel petto e lo stramazza a terra e con la sinistra devia le canne del fucile, i cui proiettili, esplodendosi, vanno a colpire una credenza. Il Risso ben si avvede essere pericoloso il restare in uno spazio chiuso; quindi vuole lanciarsi all'aperto e scende precipitosamente la scala. Questa è occupata da cinque o sei assassini armati: ma egli è sì forte e coraggioso da lottare con questi, respingerli a destra e a sinistra, e tramezzo ai medesimi aprirsi un varco fino alla strada. Nondimeno lungo la stessa scala non poté scansare una fucilata a palla, che, entrata nella coscia destra in vicinanza dell'inguine riuscì alla parte posteriore. Venuto all'aperto, mentre fuggiva, ebbe altre due fucilate a bruciapelo che lo colpirono al fianco destro. Cadde, ma tosto rialzatosi fuggiva di nuovo e chiamava aiuto, quando vide ardersi addosso i pantaloni e le mutande: ei se le strappa di dosso, le getta lungi da sé, e continua la sua corsa alla direzione di casa Micheletti. Senonché, percorso uno spazio di cento metri, pel dolore e pel sangue perduto, le forze gli vengono meno: soccorso da Ilario Guerrieri e da altri, è portato a peso di braccia nel letto. Intanto si desta un immenso rumore nel Borgo di Fossato, la campana suona a stormo; i masnadieri lanciate alcune fucilate si danno a precipitosa fuga. Tre furono le ferite per arma da fuoco riportate dal Risso, dalla coscia all'inguine destro; la loro gravità fu tale, che ne misero in forse la vita e dovette superare una malattia di oltre due mesi per sanarle. L'eroico coraggio fu compensato dall'aver salva la vita, ma certamente questo esito fortunato non fu nelle intenzioni dei malfattori, i quali per la qualità dei proiettili adoperati, per la distanza da cui ripetutamente esplosero le armi, per le parti del corpo prese di mira, nulla omisero per raggiungere questo scellerato intento. Solo la buona fortuna del Risso lo volle salvo. E similmente la resistenza incontrata, il suono della campana a stormo, il rumore destatosi e le genti che accorsero impedirono la depredazione: ma in quanto alle intenzioni degli assassini e per gli effetti legali, avendo essi attentato alla vita del Risso, vuolsi riguardare la grassazione come consumata. Nella furia di fuggire, i masnadieri abbandonarono due cappelli ed una cinghia da fucile - uno si rinvenne nella cucina e doveva appartenere all'assassinio che vi entrò colla doppietta - e l'altro e la cinghia furono trovati per le scale. Si ritenne da prima che questo audacissimo misfatto fosse opera della banda condotta da Nazzareno Guglielmi detto Cinicchia, che pure a quel tempo infestava questa Provincia e ne furono accusati esso ed altri soci caduti in potere della giustizia, certi Capoccia, Matteucci, Camaioli, Sellano e Stazi: ma il giudizio non corresse l'accusa, ed un verdetto del 17 agosto 1865 rimandò costoro assolti. Il Sante Granci si è dichiarato responsabile anche di questa grassazione; ed è al seguito delle sue rivelazioni che ora ne sono noti coloro che concorsero a commetterla. Secondo quello che il Granci espose nei suoi interrogatori la grassazione fu progettata da Eugenio Ortolani, da Antonio Frillici allora caporale di lavoranti al servizio del Risso, confidente di questo e consapevole dei capitali che possedeva e del dove e come li custodisse. Ne riferì l'Ortolani al Granci e lo indusse ad abboccarsi con lo stesso Frillici. Dopo questo abboccamento, che ebbe luogo nel molino dell'Ortolani alla Zangolo, l'Ortolani, designando il Frillici come quegli che avrebbe fatto da guida, fissò il giorno della spedizione e scelse i compagni che vi dovevano prender parte nelle persone di Brunetti Fortunato, Domenico Ceccarelli, Ubaldo Angeloni, Francesco Fiorucci detto Giggiarone, Settimio Tosti - Pandolfini e Giovanni Cecchini; e poiché non sembrarono bastanti alla impresa, fu convenuto che il Granci avrebbe chiamato altresì Valentini Giovanni detto Cotto, Domenico Burani, Agostino Bartolini e Giovanni Battista Capoccioni, i quali accettarono l'invito Nella notte determinata la comitiva si raccolse sulla via "del Bottaccione" e di là, tutti armati di schioppo si mossero alla volta della fornace "di Corraduccio" nei cui dintorni abitava Ubaldo Passeri cognato dell'Ortolani, presso del quale doveva il Frillici ritrovarsi. Giunti ad un fosso nelle vicinanze della fornace di Corraduccio, vi si nascosero e l'Ortolani si dirigeva alla casa del Passeri per attingere notizie sulla sicurezza di quel nascondiglio e per attendere il Frillici. Poco dopo il Passeri si conduceva a quel fosso per avvertire i masnadieri che ivi potevano rimanere sicuri perché quella località non era frequentata da pastori né da altra gente, evi ritornava portando ai medesimi del vino e della torta di grano. Trattenutisi colà nascosti per tutta la giornata, si mossero quando fu sera. Poco oltre la fornace si riunirono all'Ortolani associato col Frillici e tutti insieme, meno il Passeri, si diressero a Fossato dove pervennero, guidati dal Frillici sino alla distanza di un tiro di fucile dalla casa abitata dal Risso. Sempre secondo le rivelazioni del Granci, furono esso ed il Brunetti che entrarono i primi in quella casa e ne ascesero le scale per irrompere nella cucina dove trovavasi il Risso; e fu egli medesimo che per primo si spinse contro il Risso mentre stava frenando il cane, che ebbe a lottare col Risso ed esserne stramazzato esplodendoglisi nella caduta il fucile. Vide intanto fuggire il Risso giù per le scale e gettarsi all'aperto; intese che dal di fuori furono esplose più fucilate e rialzatosi dalla caduta e precipitatosi anch'esso fuori di quella casa, trovò che i compagni si erano dispersi fuggendo per opposte direzioni: solo poté per la via precedentemente battuta riannodarsi col Fiorucci, col Tosti-Pandolfini e col Bartolini e seppe poi che tutti alla udita esplosione si erano dati alla fuga. Soggiunse altresì che nella casa del Risso aveva perduto il cappello e la cinghia del fucile; ed infatti in una ricognizione giudiziale dichiarò appartenergli la cinghia da fucile ed uno dei due cappelli abbandonati in quella casa dai malandrini. La precisione di queste dichiarazioni; la perfetta loro consonanza colle circostanze del fatto; la perseveranza colla quale dal Granci furono mantenute ne confronti che ebbe a sostenere cogli altri prevenuti da lui designati ed ai quali ricordò la parte avuta in quella criminosa azione, la mancanza di cagioni che potessero eccitarlo a calunniare altrui; la malaqualità di tutti li accusati e la accertata loro associazione in fatti congeneri; tutto questo convince della sincerità delle rivelazioni del Granci e ne autorizza a prestargli fede. Finalmente, per quanto fu detto fin qui, non è certo a dubitare che l'operato del Frillici e del Passeri si risolvesse in una complicità di primo grado, essendo a considerare che senza la loro cooperazione il misfatto non sarebbe avvenuto.

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