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EMIGRAZIONE NEL CILENTO

Archivio Emigrazione Cilento di Alfonso Toscano

da: http://web.rdn.it/nofla/AEC-1.htm

Verso la fine del 1800 l’emigrazione cilentana si sviluppò verso Brasile e Argentina, ed a cavallo del secolo la tendenza si invertì favorendo gli Stati Uniti e successivamente il Canada. La maggior massa si recava in Brasile (specialmente nella parte meridionale, a causa delle proibitive condizioni di vita della parte settentrionale del paese), una buona parte in Uruguay (Montevideo) e la minor parte in Argentina. Il sud America, rispetto all’America del nord, attirava maggiormente quei cilentani che sognavano la proprietà terriera e trovavano in questo l’interesse degli stati del sud, che favorivano la colonizzazione degli immensi territori disponibili. L’abolizione definitiva della schiavitù (1850-1888) nell’America del Sud favorì e incrementò l’emigrazione verso queste terre, caratterizzate dai latifondi e quindi bisognose di grandi masse di mano d’opera. All’arrivo gli emigranti venivano sistemati in grandi capannoni (fino a 10.000 persone per ogni capannone) dove le condizioni di vita erano facilmente immaginabili, qui avveniva la selezione tra quanti chiedevano in assegnazione lotti di terreno da quanti preferivano il lavoro di salariati nelle fazendas. Da notare che, contrariamente a quanto avveniva per l’emigrazione verso gli USA, verso il Sud America si spostarono interi gruppi familiari, compresi donne e bambini. Chi non trovava lavoro nei campi si spostava in città e se aveva la fortuna di saper esercitare un mestiere, poteva industriarsi e fare fortuna, per chi non aveva questa fortuna la vita diventava davvero misera. Quelli che avevano scelto la soluzione dei campi, erano attesi da una vita di sacrifici, a volte sovrumani, di stenti e di durissimo lavoro. Discorso diverso merita l’emigrazione verso l’Uruguay, che, sebbene sia il meno esteso dei paesi dell’America del sud, ha il vantaggio di aver un miglior clima, un terreno fertile e soprattutto bisognoso di mano d’opera a causa della grande industria della carne conservata prima e delle pecore a partire dalla seconda metà dell’800. Dal Cilento partirono in tanti alla volta dell’Uruguay, sia gente di umile origine sia professionisti, di cui c’era grande richiesta a causa dell’espansione della città di Montevideo, capitale del paese. Ma forse il paese che accolse il maggior numero di emigranti italiani fu l’Argentina, che non solo fu un grande produttore di carne, prima conservata sotto sale e poi congelata ma, per le notevoli estensioni del territorio, un grande paese agricolo fortemente bisognoso di mano d’opera, anzi l’incremento che il paese ebbe in questo campo fu per la maggior parete merito degli emigranti. I Cilentani si diressero soprattutto verso Buenos Aires. C’è da segnalare il fenomeno cosiddetto delle "golondrinas": gruppi organizzati di Cilentani partivano alla volta del Sud America, generalmente a marzo e novembre, quando c’era maggiormente bisogno di braccia in questi paesi e facevano ritorno ai paesi d’origine dopo aver espletato il loro lavoro. L’emigrazione dal Cilento al Venezuela iniziò solo verso la seconda metà dell’800, partirono soprattutto da Camerata e Moio della Civitella. Cosa li spinse? Due fattori contribuirono: la vastità del territorio e l’esiguo numero di indigeni che potessero sfruttare questo immenso territorio e la scoperta del petrolio. I Cilentani contribuirono non poco a far uscire il paese dall’arretratezza, fornendo non solo braccia, ma tutta una serie di servizi e se è vero che molti fecero fortuna, è pur vero che non ebbero vita facile. Alla fine del XIX sec., mentre l’America del sud soffriva per una grave crisi economica, nel Nord America si verificava un grosso boom economico. Fu naturale che il flusso migratorio si dirigesse in questo paese dove più forte era la richiesta di braccia. Verso la fine del 1810 iniziò l’emigrazione cilentana negli USA, specie nella zona di New York. Le modalità dello sbarco in America non erano più umane di quelle usate in Sud America, Finchè il flusso si mantenne entro certi limiti, gli emigranti venivano raccolti al Castle Garden, quando essi aumentarono e la vecchia struttura si rivelò inadeguata i piroscafi sbarcarono gli emigranti ad Ellis Island, piccola isola nel porto di New York, divenuta simbolo dell'emigrazione. Qui si procedeva alle visite mediche: tutti coloro che risultavano malati erano rimpatriati. Chi superava la visita medica doveva dimostrare di avere tutti i requisiti per poter entrare nel nuovo paese. Per evitare la concorrenza sleale nei confronti dei lavoratori americani, si stabilì che gli emigranti non dovevano essere già in possesso di un contratto di lavoro, al momento della partenza. Non si dovevano avere malattie deturpanti o contagiose, si doveva essere in possesso di almeno 60 franchi, avere meno di 45 anni, essere sani di mente, non aver subito condanne nei paesi di origine. Le donne incinte non sposate venivano respinte. Queste regole subirono vari cambiamenti nel corso degli anni. A tutti coloro che, a causa della loro povertà, potevano gravare sull’assistenza pubblica, era vietato entrare negli USA. Tutti coloro che avevano i requisiti previsti dalla fiscale legge americana ricevono un cartellino di identificazione sul quale è stampato "admitted" ed autorizzati allo sbarco. Il loro destino dipendeva dai luoghi che avevano scelto dove stabilirsi: molti si fermavano a New York o lungo la costa Atlantica, altri preferirono spostarsi all’interno o lungo la costa del Pacifico. Le difficoltà furono enormi, sia per una realtà nuova alla quale essi andavano incontro, sia perché la gente del posto non li vedeva di buon occhio, ritenendoli capaci solo di lavori umili e faticosi. Per i nuovi arrivati si ponevano due problemi vitali: l’alloggio ed il lavoro. Essi si stabilivano essenzialmente nelle zone periferiche dove era più facile trovare gente che capisse la loro lingua e questo li emarginava ulteriormente: fu così che nacque la Little Italy. Il problema lavoro era risolto affidandosi alla figura del boss, sorta di intermediario a cui si rivolgevano le imprese per reclutare manodopera il più a buon mercato possibile. Le condizioni erano davvero difficili, molti rientrarono, molti altri caparbiamente restarono, convinti che con il lavoro sarebbero riusciti. Questa la situazione di chi si fermò a New York o nei paesi sulla costa atlantica. Per quelli che proseguirono il viaggio verso l’interno le cose andarono meglio. Cosa spingesse gli emigranti a continuare il viaggio non è dato sapere, ma questi furono senz’altro più fortunati: essi non dovettero sottostare a lavori degradanti e faticosi, ma si sistemarono come artigiani, negozianti, calzolai, barbieri, orologiai, ecc. Nei primi decenni del ‘900 si raggiunge la punta massima dell’emigrazione cilentana negli USA; in molti paesi rimasero solo donne, vecchi, bambini ed invalidi. Calza a pennello una strofa di Giuseppe De Vita: ".....'Ncasa nosta, a lu Ciliento, avìa fatto meno ranni la uerra".

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