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IL BRIGANTAGGIO NELLE PROVINCE MERIDIONALI

da: www.carabinieri.it

 

Il brigantaggio nelle province meridionali fra il 1860 ed il '70 è un fenomeno storico ampiamente studiato nei suoi due aspetti, quello politico e quello della criminalità comune, ed interessa ovviamente anche la storia dell'Arma, che fu chiamata a combatterlo, con ingenti forze e per molti anni, in Campania, Abruzzo, Puglia, Lucania e Calabria. In tali operazioni i Carabinieri agirono sia con servizi appositamente compiuti dalle singole stazioni e dai comandi di ufficiale, nelle cui giurisdizioni i fatti delittuosi vennero perpetrati, sia insieme a reparti di altre Armi e con squadriglie e servizi appositamente creati. Il Governo, infatti, di fronte alla gravità della situazione, decise la adozione di severi provvedimenti repressivi, attraverso un piano operativo, che prevedeva l'impiego di ingenti forze dell'Esercito e della forza pubblica e la concessione di pieni poteri ai comandanti. Nel contempo dava vita ad un piano per il risanamento sociale dell'ambiente attraverso un miglioramento delle condizioni economiche delle popolazioni. Infiniti sono gli episodi e le figure che rientrano nell'aspetto politico di quel brigantaggio, che raggiunse proporzioni imponenti, fino a mettere in crisi il nuovo Stato unitario. Un piccolo esercito di ex borbonici e di briganti comuni, formato dall'ex colonnello pontificio de Lagrange, dall'ex ufficiale Luvarà e dal pregiudicato Giorgi, occupò Cittaducale ed Antrodoco, spingendosi fino alle porte de L'Aquila, dopo aver tentato di unirsi alle bande guidate dall'ex generale Scotti, napoletano, mosso dal Molise e "liberare" l’Abruzzo. Il tedesco Carlo Mayer operò nella zona di Formia, lasciandovi la vita. Lo spagnolo Josè Borjes sbarcò in Calabria con un manipolo di conterranei. Per il suo valoroso comportamento nella lotta contro il banditismo già nel 1856 il maresciallo Efisio Scaniglia aveva meritato l'Ordine Militare d’Italia., per tentare di restaurare i Borboni sul trono, ma, rimasto inascoltato dalle popolazioni, si unì al brigante Crocco, da cui venne rapinato e disarmato. Tuttavia non si diede per vinto e con altri banditi della Basilicata continuò a scorrazzare per la Campania e l'Abruzzo, fino a quando fu catturato e fucilato da una compagnia di bersaglieri. Lo spagnolo Rafael Tristany agì, per fini legittimisti, nel Molise e in Calabria, unendosi al brigante Chiavone, che fece fucilare quando si accorse che il bandito meditava di sopprimerlo per impossessarsi delle sue armi e del suo denaro. Ma molto più numerosi sono i fatti e le tipiche figure che rientrano nel secondo aspetto quello della delinquenza comune del grave fenomeno del brigantaggio meridionale nel decennio 1860 ed alcuni famigerati nomi di briganti, autori di crimini più efferati, sopravvissero per lunghi anni: Caruso, La Gala, Chiavone, Crocco, NincoNanco (alias Nicola Assumma), Cannone, Fuoco, Pizzichicchio, Sardullo, Argentieri, Coppa, De Lellis, Martone, Masini, Noce, Scarpino, Ciccone, Calamattei e Garofalo. Chiavone, ex guardaboschi e soldato borbonico, autonominatosi generale napoletano, mise insieme una banda armata, vestita di uniformi francesi, e scorrazzò per la Campania, commettendo gravi delitti, fino a quando venne fatto uccidere, nel 1863, dal Tristany. I fratelli La Gala, di Nola, evasi dal carcere, commisero con la loro banda crudeltà inaudite e continue rapine tra Avellino e Salerno. Sostennero anche vari scontri con le truppe che agivano nel territorio e, dopo una serie di drammatiche vicende, finirono dinanzi alla Corte d'Assise di S. Maria Capua Vetere. Carmine Donatello, detto Crocco, ex militare ed ex recluso, costituì una banda di disertori, renitenti e pregiudicati (un migliaio di uomini con 300 cavalli) e, sovvenzionato dai Borboni, creò una situazione di estremo pericolo tra l'Ofanto, Avellino e Matera. Si unirono a lui, in posizione subordinata, altri feroci capibanda, quali Caruso, NincoNanco, Franco, Florio, Mancino; e non mancarono sanguinosi scontri con squadriglie dell'Arma e con altre forze. Nel 1863 Crocco si firmava "Comandante l'Armata Francescana"; nel 1864 dovettero intervenire le brigate di fanteria "Pisa" e "Cremona" a liberare la zona, ma Crocco riuscì sempre a sottrarsi alla cattura. E quando fu ridotto a mal partito, sconfinò nello Stato Pontificio, ove venne processato. Dopo il 1870, subì altro processo ad opera della giustizia italiana; la condanna a morte fu poi commutata nell'ergastolo. NincoNanco, crudele e spietato, ebbe per teatro dei suoi misfatti (fra cui l'uccisione di diversi carabinieri) la zona di Monticchio, Melfi e Lagopesole. Braccato da truppe e squadriglie dell'Arma, venne ucciso da una guardia nazionale durante un conflitto a fuoco. Una terribile banda fu quella dei briganti Fuoco, Cannone e Ciccone, che disponevano di molte armi e di cani ammaestrati. Nel 1864, in un accanito scontro nella zona di Cassino fra la banda ed un reparto misto di fanti e carabinieri, vi furono diversi militari morti, e fra essi lo stesso comandante, il tenente Pirzio Biroli. Mesi dopo Cannone attaccò una pattuglia di carabinieri, uccidendo il sottufficiale e facendo scempio del cadavere. Triste notorietà ebbero la banda Pizzichicchio, Trinchera, Maniglia, nel Barese, nel Tarantino e nel Salento; e la banda Ciarullo nel Principato Citeriore (Salernitano). Erano continui assalti alle fattorie, uccisioni, vendette, estorsioni, rapine e furti. Le popolazioni vivevano in uno stato miserando e di permanente allarme. La distruzione di tali bande fu merito di due ufficiali dell'Arma: il capitano Francesco Allisio, che, a capo di una colonna mobile mista, attaccò la banda Pizzichicchio a Martina Franca, sterminandola con una carica finale; ed il capitano Salvatore Frau, che attaccò la banda Ciarullo presso Campagnano e con un assalto alla baionetta riuscì a snidarla da alcune impervie grotte e distruggerla. Ai due ufficiali fu concessa la croce dell'Ordine Militare di Savoia. Tra il 1863 ed il 1864 il brigantaggio nelle province meridionali cominciò a perdere ogni carattere politico, assumendo sempre più forme esclusive di delinquenza comune. In tale periodo acquistarono triste notorietà, per il numero e la gravità dei delitti, anche alcune donne, moglie amiche di banditi, quali Filomena Soprano, la Pennacchio, la Oliviero, la Vitale, la Tito, Rosa Pezzigni, Anna Caltabellotta, la Casale, Maria Capitanio, Rosa Reginella ed altre. Contemporaneamente alle bande organizzate, numerose altre formazioni e migliaia di criminali (calcolati in circa 20.000) operarono in quegli anni nelle province dell'ex regno delle Due Sicilie. Nella campagna contro il brigantaggio, durata ben dieci anni, l'Arma subì la perdita di un centinaio di uomini, tra morti e feriti. Furono concesse 371 medaglie d'argento al valor militare, 478 di bronzo al v.m. ed un migliaio di encomi solenni. Oltre ai capitani Allisio e Frau, fu concesso l'Ordine Militare di Savoia anche al:

- luogotenente Stefano De Giovannini, per aver dato battaglia, il 13 gennaio 1867, per più di un'ora, con sei soli dipendenti, a circa 50 banditi, riuscendo a sgominarli ed a liberare 13 guardie nazionali prese in ostaggio;

- luogotenente Giacomo Acqua, per aver soccorso, il 16 dicembre 1861,un ufficiale e 22 lancieri accerchiati in un cascinale, dato alle fiamme da circa 200 banditi, liberandoli da sicura morte.

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