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LA CAPITANATA TRA LO STATUTO ALBERTINO E IL TRICOLORE

di: Rina Di Giorgio Cavaliere

Edizioni del Rosone

da: http://www.reciproca.foggia.it/Contributi/Di_Giorgio/lacapitanata.htm

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INTRODUZIONE

Condizioni Economiche

Condizioni Sanitarie e Amministrative

Condizioni Morali e Politiche

NOTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I N T R O D U Z I O N E

Le innovazioni correlate alla scoperta di tecnologie sempre più avanzate caratterizzano il processo di formazione del sapere nel XXI secolo, il rapido cambiamento dei paradigmi scientifici e quindi la cultura della complessità. Bisogna soffermarsi sulla ricchezza di un passato e di una tradizione, che costituiscono le radici e gli orizzonti della nostra vita, e "ascoltare" la memoria di questo lungo cammino di civiltà. Proprio la memoria e l'intelligenza, mentre si limitano a fare i conti con ciò che accade ora e con ciò che è accaduto più di un secolo fa, identificando snodi, scogli, aspetti positivi e negativi di quest'analisi temporale di cui è protagonista l'uomo, finiscono col ricomporre in sintesi unitaria l'antico, per la fattualità del presente e l'immaginazione del futuro. Non si tratta di riproporre avvenimenti lontani, ma di riconoscere che noi viviamo immersi nelle vestigia e nella sopravvivenza di un passato tanto remoto, quanto presente alla quotidiana esperienza in modo diffuso e prepotente. Non sono mancati, certo, segni forti nella nostra storia degli ultimi secoli, come i temi di rilevante valore culturale e civile, affrontati nelle due conferenze di quest'anno sociale dalla Delegazione Provinciale di Foggia e riportate nel presente volume: "Dallo Statuto Albertino alla Costituzione Repubblicana - Il Tricolore". La pubblicazione vuole affrontare alcuni aspetti e problemi della nostra esperienza storica, non certo per soddisfare un'esigenza di cultura in senso astratto, ma per parlare alle nuove generazioni, con capacità di presa e di coinvolgimento, e contribuire in maniera vitale alla formazione culturale del cittadino del nostro tempo, rendendolo consapevole della storia in cui vive e non retoricamente difensore di valori. Entrambi gli argomenti sono strettamente connessi al momento dell'Unità d'Italia, quando il soffio della nuova vita spirò per le nostre vie, e le moltitudini, sorgendo nel nome santo di Dio, chiesero la libertà. Lo Stato era unitario, come volevano i Mazziniani, monarchico come volevano i moderati; retto da un unico re (Vittorio Emanuele II di Savoia), un'unica Costituzione (lo Statuto emanato da Carlo Alberto nel 1848), un unico Parlamento, che aveva sede a Torino, la capitale del Regno. Il movimento italiano, rimasto riformista sino al 1848, era divenuto rivoluzionario anche in Capitanata, senza che i Borboni potessero più arginarlo. Le ribellioni dei contadini ebbero inizio prima che i Mille sbarcassero in Sicilia e che Francesco II concedesse nuovamente la Costituzione. Foggia si dibatteva fra la miseria e le epidemie, ma c'era un'estesa azione rivoluzionaria di uomini appartenenti ad ogni ceto sociale, che anelavano alla libertà. Sin dal 18 aprile 1848, cominciarono a riunirsi i nostri elettori nella chiesa di San Domenico, non essendovi altro locale adatto, mentre il libero tricolore sventolava per la prima volta in cima al campanile della Chiesa Maggiore. Nelle vicende storiche che seguirono, la città mantenne questa nobiltà di sentimenti patriottici sino al 1851, quando si riaprì il Consiglio provinciale. Successivamente, vi fu un periodo d'abbandono per vicende legate al territorio e per malattie. Quando nel 1860 il torrente della rivoluzione irruppe in tutto il Sud, anche Foggia partecipò al movimento e nacquero comitati liberali che si unirono al grido di "Italia una, con Vittorio Emanuele II, re costituzionale". Questa definitiva comunione fu suggellata l'otto agosto 1860 ai funerali di Gabriele Pepe nella chiesa dei Fiorentini. Finalmente anche a Foggia, nel settembre dello stesso anno, sventolava il tricolore, come emblema di vita nuova guadagnata con il sangue e i primi decreti dello Statuto Albertino giunsero l'11 settembre. L'Italia era già fatta e non rimaneva che la consacrazione ufficiale di tutte le province con il plebiscito, che fu fissato per il 1° ottobre (per le province continentali dell'Italia meridionale al 21 ottobre). Anche allora la Capitanata rispose con grande compattezza e adesione (1.302.064 voti affermativi e soli 10.312 negativi); Foggia esultò e manifestò questa sua intima e sincera soddisfazione con dimostrazioni pubbliche; il nostro popolo si mostrò sempre amico dell'ordine, ossequiente alle leggi del suo paese e ligio ai desideri del governo. Quando nel 1870 si realizzò il sogno, che sembrava follia sperare, di Roma capitale, la città, ancora una volta, mostrò di sentirsi all'unisono con le cento città d'Italia. Fu rinnovata la rappresentanza provinciale con una nuova circoscrizione della provincia e del comune. Il primo presidente del Consiglio provinciale di Capitanata fu il marchese Luigi De Luca e il primo sindaco Saverio Salerni. Purtroppo la città sotto il nuovo regime non ebbe quello slancio morale e materiale che ci si aspettava, come capoluogo di una provincia importante. In tutte le manifestazioni di progresso pubblico era rimasta in coda alle altre province, che si erano avvantaggiate sin dall'inizio delle libere istituzioni, come evidenziava bene il commendatore Giacinto Scelsi. Questi, avvocato siciliano, era uno degli uomini di quella ristretta classe dirigente, erede degli ideali liberali moderati di Cavour e fedele alla monarchia dei Savoia. Già prefetto della piccola provincia di Sondrio nel Lombardo Veneto, fu chiamato alla guida della provincia di Capitanata il 1° gennaio del 1866. Al palazzo della Dogana, centro della vita politica e amministrativa di Foggia, vi era stato un rapido succedersi di funzionari nel governo della cosa pubblica, dopo che il primo Governatore Gaetano Del Giudice fu collocato a riposo e dopo la parentesi delle funzioni tenute dal consigliere De Luca. Giacinto Scelsi era stato preceduto dal lombardo Giuseppe Gadda, che rimase al palazzo della Dogana quattordici mesi e si distinse nell'estate del 1865, quando la provincia fu colpita dal colera, per come si era prodigato con medici, con provvedimenti igienici preventivi e altri mezzi a presiedere la commissione sanitaria per ogni più lieve misura da adottare in favore di Foggia, vigilando su tutto e su tutti. L'anno di gestione del prefetto Scelsi fu legato a due avvenimenti importanti: il primo riferito al fatto che i contribuenti della Capitanata, avendo avuto un cattivo raccolto, e, non essendo in grado di corrispondere prontamente le somme di cui erano gravati, poterono fronteggiare al prestito nazionale imposto dal Governo, in maniera dilazionata; il secondo alla pubblicazione di un saggio monografico, compilato con anacoretica pazienza, chiarezza espositiva e profonda conoscenza della materia, sulle "Condizioni economiche, amministrative, morali e politiche della provincia di Capitanata" esposto al Consiglio provinciale nella sessione ordinaria del 1866, pubblicato a Milano coi Tipi di Giuseppe Bernardi - 1867, conservato nella Biblioteca Provinciale di Foggia. Al fine di approfondire e condividere le comuni radici culturali e sociali, dall'analisi di questo documento sulle condizioni generali del nostro territorio ai primordi dell'unità d'Italia, è scaturito un mio studio, riportato in Appendice: - La Capitanata nel 1866. Volendo affrontare il tema dello stato della provincia nella globalità di tutte le altre, è stato necessario un raffronto con la situazione generale del Regno d'Italia. Una valutazione fatta soprattutto di elementi misurabili oggettivi, che passano attraverso dati ed evidenze, che restano tali se valutati in modo comparativo: non sono importanti solo le conoscenze dichiarative (conoscere qualcosa), ma anche quelle procedurali (sapere come si arriva ai dati) e pragmatiche (controllare il processo). Questa pubblicazione, voluta dalla Delegazione Provinciale di Foggia, egregiamente coadiuvata da illustri uomini del mondo della cultura e della politica, vuole essere, in sintesi, un omaggio alla memoria storica della Capitanata e di Foggia, che è sempre risorta ed oggi è una bella e popolosa città; ha acquisito in questi ultimi tempi un'espansione che non ha precedenti, ma sente ancora la necessità di rimanere legata alla sua vera identità, pure nel susseguirsi di tanti mutamenti.

Foggia, aprile 2001

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PARTE PRIMA

Condizioni economiche

Nella tradizione culturale e politica dell'Italia unitaria, una questione sociale si è imposta su tutte le altre, destinata a diventare il problema fondamentale del paese, fino ai giorni nostri: la questione meridionale. Il Sud è stato sempre osservato sia dagli intellettuali settentrionali, che da quelli meridionali, come il punto debole della compagine nazionale. Di recente, diversi studi storici e sociali, hanno posto in discussione un'immagine così parziale e unidimensionale della realtà meridionale e del suo ruolo nella storia, dall'Italia dell'Unità a quella contemporanea. Studiato al di fuori degli schemi e delle polemiche, il Mezzogiorno appare come un ambito assai diversificato e articolato al suo interno, segnato da forti differenziazioni regionali e attraversato da evidenti e, sia pure peculiari, processi di sviluppo e di modernizzazione. Questa trattazione dello Scelsi sulle "Condizioni economiche, amministrative, morali e politiche della Capitanata" per la varietà di forme e di dati inerenti ad ogni settore della vita pubblica e privata, all'indomani del 17 marzo 1861, si rivela di principale importanza nella lettura della questione meridionale, circoscritta al nostro territorio. Presenta un taglio pluridisciplinare, di centrale importanza è la dimensione temporale, entro la quale il passato è organizzato, classificato e letto in funzione del presente. Così nella memoria della storia e nell'analisi della realtà contemporanea, trovano posto tutti gli avvenimenti con differenze e somiglianze, continuità e discontinuità per comprendere la realtà del tempo, attraverso forme di organizzazione connesse alle strutture economiche, sociali, culturali e politiche tra le altre regioni italiane e la nostra Capitanata. Questa, ex grande demanio fiscale del Mezzogiorno, era una landa estremamente arretrata e quasi deserta, ma proprio i grandi proprietari terrieri erano additati come i principali responsabili dei gravi fenomeni dell'assenteismo e dell'immobilismo agrario del Tavoliere. L'impatto emotivo con l'opera è rilevante, l'autore presentava, nella parte introduttiva, un pensiero di Giuseppe Rosati tratto da "Le industrie di Puglia": "E' uopo conoscere a fondo le ragione dell'attuale avvilimento, per indi ritrovarne i rimedi più valevoli", che costituiva la motivazione all'intero processo di riflessione sulle condizioni generali della nostra terra. Lo stimolo più efficace che induceva il prefetto Scelsi a pensare e ad operare per il bene della cospicua Provincia, all'accrescimento della vita intellettuale e delle forze economiche, perché i vincoli ond'essa è da lungo tempo legata alla mia terra natale, mi davano grata lusinga di poterne conoscere agevolmente l'indole, le condizioni, i bisogni, e per tal modo avere norme sicure nel dare opera a quei miglioramenti, che, reclamati dal paese e dalla ragione dei tempi, sono precipuo officio e formano la onesta ambizione di ogni funzionario che abbia coscienza dei suoi doveri e non ignori le vie del progresso. Cominciava così a delinearsi quell'unità di fatto della nostra nazione, resa possibile dalle norme dello statuto, che finalmente accomunavano i destini delle genti d'Italia, di questa patria ormai divenuta più estesa e quasi intera. Difatti, continuava: se la sorte delle armi non fu propriamente propizia alle grandi aspettative del paese ed al valore dell'esercito, il diritto nazionale, cui la coscienza delle genti civili attribuisce più nobile origine ed effetti più durevoli, ebbe completo trionfo, e ci condusse al termine delle nostre aspirazioni. Venezia, la regina dei mari, è con noi, e la via delle Alpi chiusa per sempre alla dominazione straniera. L'elemento più prezioso era racchiuso nell'espressione nazionale rinnovamento, rappresentato dallo Statuto base ferma e incrollabile dei destini d'Italia. Se si dovesse semplicemente dare una definizione dello Statuto in base alla sua natura e allo stato giuridico, quale gli derivano dai suoi 84 articoli, si potrebbe dire soltanto che ha conferito determinati requisiti giuridici, compiti ed attribuzioni nella sfera di azione di ogni settore pubblico e privato della vita del tempo: un'unica legislazione ed un'unica struttura amministrativa. La nostra provincia, che non era stata da sezzo per mirabile attitudine, fra le altre del Regno, anch'essa aveva validamente contribuito a tale processo di unificazione. Certamente la situazione territoriale era difficile, ma solo passando in rassegna ciò che si era fatto, si poteva avere la misura delle forze per conoscere quanto rimaneva a fare. Inoltre, quale fosse il metodo che meglio poteva dare vita e sviluppo a quella massa di elementi della pubblica ricchezza che, fino allora erano rimasti ignoti o trascurati o superficialmente sfruttati nella nostra provincia, cui la natura fu prodiga dei suoi doni, ma la mano dell'uomo non sempre larga di cure. Con queste parole: La Capitanata, dopo tante vicissitudini, or liete ed or funeste, si è riunita alla gran madre comune in istato di abbandono, lo Scelsi introduceva la prima parte del documento. Quindi, accennava brevemente alla storia della Capitanata: dai Greci ai Romani, dai Goti ai Longobardi, dai Normanni agli Angioini sino ai boriosi viceré di Spagna e ai Borboni che l'avevano impoverita, corrotta e immobilizzata, mentre altri popoli miravano operosi all'avvenire. Il territorio, spiegava, era diviso in tre zone distinte: la piana, la subappennina e la garganica, diverse fra loro per la configurazione, per il clima e per le colture, ma anche per gli usi e i costumi degli abitanti. Elogiava la vegetazione varia e le produzioni, la fortunata posizione geografica che in pochi anni l'avrebbero resa, per mezzo delle ferrovie, il centro dei traffici dal Mediterraneo all'Adriatico e dalle Alpi al porto di Brindisi. La Capitanata aveva innanzi a sé un lieto orizzonte, anche perché situata tra quattro estese province: Terra di Bari, Basilicata, Principato Ulteriore e Molise. Per estensione territoriale era la settima provincia del Regno (1). Il territorio coltivabile era di 6.854 chilometri quadrati e la rendita rustica ammontava alla soma di lire 14.035.175,17. Sotto quest'aspetto risultava la ventesima provincia italiana, ma era molto al di sotto del grado economico, che avrebbe potuto occupare. L'Italia era un paese povero e arretrato, lontanissimo dallo sviluppo industriale raggiunto da altri paesi europei: il reddito nazionale era un terzo di quello francese e un quarto di quello inglese. Questa povertà era aggravata da una cattiva distribuzione delle ricchezze, particolarmente nel Sud. Infatti, la provincia di Milano con un'estensione di 2.992,54 chilometri quadrati aveva una rendita di lire 42.202.476,03, cioè lire 14.105,56 per ciascun chilometro quadrato al contrario della nostra, che era di lire 1.834,27. La rendita di Foggia, quindi, stava a quella di Milano come uno a 7,67. La popolazione (352.000 abitanti) prima del 1861 viveva in 64 comuni; con la nuova circoscrizione amministrativa i comuni divennero 53 e la popolazione si ridusse a 312.885 abitanti (154.098 maschi e 158.787 femmine); le famiglie erano 70.282. Il comune medio della provincia includeva 5.903 abitanti, più di quello medio del Regno con 2.821 abitanti. Le famiglie risultavano composte in media nel Regno di 5,08 individui, nella Capitanata di 4,45; nel Regno le case erano abitate da 6,57 individui, presso di noi da 5,14. La vita media, calcolata dal 1861 al 1864 era di anni 31,77 per tutto il Regno, per la nostra provincia di 29,77 e, nel decennio successivo, risulterà la prima per numero di morti rispetto alla popolazione nazionale. La densità di popolazione, che nelle altre province del Regno era di 83,90 individui per chilometro quadrato, da noi era appena del 40,89 e di non più del 25 nella parte piana; per almeno un ventennio continuerà ad essere la provincia meno popolata dell'intera nazione. Da questi confronti, tutti sfavorevoli, le condizioni economiche e sanitarie risultavano inferiori a quelle del Regno. Il Governo si era adoperato per realizzare in tempi brevi anche un'unificazione economica, applicando al nuovo Stato la tariffa doganale del Regno sardo, sopprimendo le barriere doganali, che avevano tenuto divisi tra loro i vari Stati italiani e avviando il processo di formazione di un mercato nazionale con la lira, come unica moneta. Purtroppo, aveva finito col favorire i grandi proprietari terrieri, che, pagando poco i contadini, potevano vendere al Nord a basso prezzo derrate alimentari e comprare prodotti raffinati prima introvabili. I contadini avevano sperato che l'unità d'Italia li avrebbe aiutati a liberarsi dall'oppressione dei grandi proprietari, ma l'abolizione delle dogane inondò i mercati meridionali di merci prodotte nel settentrione o all'estero a prezzi più bassi. Moltissimi artigiani si trovarono senza lavoro, anche i contadini che arrotondavano i magri salari, fabbricando in casa articoli artigianali, si trovarono inaspettatamente impoveriti. Il costo della vita aumentò, crebbe in particolare il prezzo del pane; nel 1868 sarà introdotta la tassa sul macinato, che colpirà soprattutto i poveri. Mentre altre province si andavano evolvendo, da noi la situazione rimase immutata per anni e ciò si evince dal confronto dei dati dello Scelsi con quelli d'altri studi successivi. In rapporto allo stato civile, la Capitanata risultava la trentunesima provincia del Regno. La popolazione presentava 176.255 celibi, 110.164 coniugati, 26.466 vedovi; su ogni cento abitanti 49,25 erano maschi, 50,75 femmine, 56,33 celibi, 35,21 coniugati e 8,46 vedovi. Di fronte alla generalità del Regno il numero dei coniugati era minore, mentre era maggiore quello dei vedovi (da noi predominavano le femmine, essendo il padre di famiglia più esposto nelle campagne alle malattie e più soggetto alla morte). Il numero dei matrimoni era in aumento, infatti, nel 1865 aveva raggiunto la cifra di 3.089, mentre negli anni precedenti superava di poco i 2.000. La popolazione non cresceva perché il numero dei morti superava quello dei nati, causa predominante l'altissima mortalità infantile. Il regresso era essenzialmente economico accompagnato da pessime condizioni igieniche, diffusione di malaria e di colera, e cattiva alimentazione. Lo stato d'abbandono, in cui si trovavano i terreni, le sfavorevoli influenze atmosferiche e le monocolture incrementavano le emigrazioni (1.127 individui) e le immigrazioni da un territorio all'altro, di numero assai superiore. Questo fenomeno antico, dovuto allo disequilibrio tra la popolazione sovrabbondante e le risorse limitate dell'economia, era innanzi tutto stagionale. In Italia la percentuale media degli addetti all'agricoltura era del 70%, in Capitanata del 96% (96.964 individui). Nel Nord l'agricoltura era prospera e andava modernizzandosi, nel Sud rimaneva arretrata e povera, perché ancora in mano ai latifondisti, che, favoriti da leggi protezionistiche, non avevano interesse a modernizzare le coltivazioni. Con l'avvio della politica doganale, al blocco di forze dominanti che avevano realizzato l'unità, nel Sud, si sostituì un blocco diverso del quale facevano parte gli industriali agrari e i proprietari assenteisti. Il protezionismo granario costituirà per molti anni un forte incentivo alla conservazione dei tradizionali ordinamenti e sistemi colturali e un serio ostacolo a qualsiasi processo di trasformazione, che peggiorerà ulteriormente lo stato dei braccianti (contadini senza terra), già gravato da pessime condizioni igieniche e altissima mortalità. Il resto della popolazione in Capitanata era addetto all'industria (29.901), al commercio (8.059), alle professioni liberali (4.985), al culto (2.523), al servizio delle pubbliche amministrazioni (1.196), alla sicurezza dello Stato (2.427), ai servizi domestici (3.884). Predominava, quindi, l'elemento agricolo con la coltura dei cereali che occupava ¼ dell'intera superficie. Le condizioni agricole miglioravano nella zona garganica e subappenninica, pur rimanendo al di sotto di qualsiasi stima positiva, perché il sistema predominante era quello della piccola coltura: ai buoni vini e oli in prossimità dell'Adriatico si aggiungevano gli agrumi, la liquirizia, la carruba, la resina, la pece. In pianura la coltivazione più estesa era quella del grano, rari gli alberi e i fabbricati rurali, ma la quantità del prodotto era assai inferiore rispetto a quella delle altre regioni d'Italia, così quella dell'orzo, delle patate, del granone e delle fave. I motivi erano diversi: la terra sfruttata con un solo prodotto, che rendeva pochissimo e talvolta neanche le spese, gli strumenti grezzi ed antichi, che costavano molto e assorbivano in gran parte il valore del prodotto, gli argini lungo i torrenti, che erano insufficienti tant'è che di frequente si allagavano vaste superfici. Per rimediare a tale disequilibrio, lo Scelsi proponeva alcuni interventi, tra cui la diffusione dell'istruzione pubblica e in particolare le regole di buona coltura, dovute al progresso della scienza e alla pratica di metodi migliori, tramite l'istituzione di una cattedra ambulante d'agricoltura. Con questa iniziativa, rivolta ai coltivatori agricoli e ai proprietari terrieri, non mirava a fare un corso completo di agronomia né a dettare pompose lezioni né a svolgere scientifiche teorie, ma a percorrere il territorio più volte nell'anno per studiare i diversi terreni, le pratiche e i sistemi seguiti, i pregiudizi che dominavano e gli errori che si commettevano (2). Concludeva evidenziando che il maggiore ostacolo allo sviluppo dell'agricoltura era la cattiva distribuzione della proprietà privata e dei demani comunali negli anni precedenti lo Statuto, che aveva creato un grado di prosperità e di civiltà inferiore a quello cui sarebbe chiamato il paese. Grazie al governo nazionale con la legge 26 febbraio 1865, era stato sciolto l'importante problema del Tavoliere (di questo, esteso per circa 300.000 ettari, la sola Capitanata ne occupava 200.000) secondo i principi di giustizia e di buona economia, sostituendo ai vincoli e alle restrizioni con cui l'avidità dei passati governi aveva abusato, il regime del diritto comune e della libertà. Purtroppo, i censuari (i possessori dei terreni tributari dello Stato) non avevano saputo approfittare dei benefici della legge e al termine dell'anno erano giunte solo 500 domande, mentre i possessori dei terreni erano 20.000. I censuari, regolarmente iscritti nei registri dell'amministrazione fiscale del Tavoliere, risultavano in tutto 1.060, ma il numero dei possessori delle terre dell'ex demanio era più elevato per i trasferimenti di possesso già avvenuti, senza che fossero stati variati i registri. Il nuovo Stato italiano aveva messo in vendita alcune terre demaniali e altre tolte alla Chiesa, ma, nella maggior parte dei casi, le terre erano finite nelle mani dei ricchi, gli unici che avessero il denaro per acquistarle e per farle coltivare. Così la vendita dei terreni non solo non intaccò il latifondo, ma lo rinforzò e, poiché le terre demaniali erano state vendute a privati, i contadini perdettero anche il diritto di andarvi a fare legna e di portarvi le bestie al pascolo. In Capitanata si formò buona parte della proprietà privata della terra con l'affrancazione dell'immenso demanio fiscale dell'ex Regno delle due Sicilie. Il Tavoliere di Puglia, che prima era stato della pastorizia transumantica e del fisco, contribuirà, con l'affrancazione, alla nascita di grandi proprietà e, quindi, di grosse aziende a bracciantato. A Foggia vi erano i terrazzani i quali, senza terra e senza lavoro, abitavano in monolocali e vivevano di quanto riuscivano a raccogliere nei campi; erano uomini rozzi e restii all'influenza della civiltà, ma d'indole buona. Anche per questi la legge per l'affrancazione del Tavoliere, doveva mettere a disposizione una parte delle terre dell'ex demanio statale. I demani comunali (120.000 ettari, ma ne erano stati quotizzati solo 60.000) rimanevano alla mercé d'ogni abuso, non producevano né registravano alcun progresso agricolo. Ne era stata saggiamente decretata l'abolizione sin dal 1806 dal governo borbonico, che, però, aveva lasciato tutto immutato, servendosene, in quegli anni, per minacciare i possidenti ogni qual volta si schieravano dalla parte dei liberali, lasciando larga eredità di pendenze demaniali in 35 comuni. Lo Scelsi, volendo sottolineare come lo Statuto era intervenuto efficacemente anche in questo settore, affermava che il nuovo governo aveva invece favorito questo ramo del pubblico servizio, formulando nuove istruzioni, nominando commissari e istituendo appositi uffici. Purtroppo c'erano molti ostacoli tra cui le malattie, i pregiudizi, gli intrighi, la mancanza di personale e innanzitutto il brigantaggio, che ritardavano la pratica applicazione della legge. Foggia, si era appena aperta alla libertà, che fu gettata in un solo colpo in un periodo di grandi sciagure, paure e miserie per l'apparizione nelle sue campagne del brigantaggio. Specialmente nei comuni della montagna e della collina, i movimenti per la terra contro amministratori comunali e altri usurpatori dei demani, già prima dell'Unità, avevano assunto dimensioni e contenuti particolari. Le rivolte contadine, sin dal 1861, furono più pregnanti e forti nel Subappenino e nel Gargano, dove le plebi rurali erano maggiormente consapevoli del loro diritto alla terra, data la presenza di vaste estensioni di terreni demaniali nei comuni non ancora ripartiti o addirittura usurpati. Qui, anche dopo la fine del brigantaggio, si continuerà a registrare il fenomeno dell'anarchismo politico. Tra il 1861 e il 1864, il motivo dominante dell'impetuoso sviluppo del brigantaggio fu proprio la protesta selvaggia e brutale della miseria contro antiche e secolari ingiustizie dei contadini poveri e dei braccianti, che chiedevano che le terre demaniali venissero concesse per i pascoli, la caccia e la raccolta del legname, anziché essere riservate ai latifondisti (3). Mentre in altre province i ceti di media borghesia rurale e professionale, numericamente consistenti e, perciò, anche politicamente attivi, conferivano alla lotta per un rivolgimento politico in senso liberale, una base più o meno solida, in Capitanata questi ceti erano molto deboli, e prevalsero le posizioni conservatrici. Ciononostante dal 1864 al 1866, oltre a varie ordinanze preparatorie, ne erano state emesse otto definitive per reintegra di terre usurpate, per quotizazzione di demani, per scioglimento di promiscuità e per fissazione di canone nell'interesse di sei comuni: Ischitella, Panni, Roseto, Deliceto, Torremaggiore, Volturino e altre erano in corso. Altro ostacolo allo sviluppo dell'agricoltura, oltre all'insufficienza di capitali e all'arretratezza dell'ambiente, era l'ingente debito ipotecario (4), anche se il Governo si era accollato il debito pubblico di tutti gli stati annessi. Il carico fiscale sui fondi rustici (lire 13,77 pro capite) era veramente eccessivo. Alcuni deputati pugliesi, sin dal 1861, avevano presentato alla Camera progetti di legge per l'affrancatura del Tavoliere entro dieci anni. Il problema, con alterne vicende, si concluderà solo nel 1892. I proprietari, inoltre, mancando di capitali e di crediti, erano costretti a vendere i prodotti della terra appena raccolti a prezzi bassi e a creditori non sempre onesti. Per uscire da questo circolo vizioso lo Scelsi proponeva l'istituzione del credito fondiario che aumentava i capitali in circolazione e sviluppava l'associazionismo. La scarsità delle acque, problema sempre attuale del nostro territorio, condizionava lo sviluppo dell'agricoltura, tanto che l'autore paragonava l'agricoltura a un'avventura di assai problematico successo. Anche in quell'anno la siccità aveva distrutto i raccolti, lasciando le famiglie dei proprietari nella desolazione e quelle dei coloni nella più grande miseria. Bisognava intervenire, fornendo la Puglia dell'acqua che le mancava, perché fosse in grado di introdurre colture alternative al grano, utilizzando le conquiste della moderna tecnica agraria: razionali rotazioni colturali, capaci di dare più fertilità ai terreni, per superare il secolare contrasto tra l'agricoltura e l'allevamento. Al contrario, i capitalisti agrari perpetrarono nella cerealicoltura la conservazione dell'antico sistema del riposo pluriennale dei terreni, con la rotazione del maggese nudo. Essi, che per lo più abitavano in città, non avevano interesse a migliorare i loro terreni né a creare nuove industrie, divenendo i veri responsabili dell'assenteismo e dell'immobilismo agrario del Tavoliere. Lo Scelsi proponeva un unico sistema d'irrigazione per tutta la provincia, utilizzando le sorgenti esistenti, incanalando le acque che rendevano paludosi i terreni, scavando pozzi o attingendo alle acque del Fortore, dell'Ofanto, del Calore, del Celone, del Carapella e del Cervaro. Il Ministero dell'Agricoltura, Industria e Commercio avrebbe messo a disposizione della Provincia i suoi ingegneri idraulici e gli strumenti necessari, oltre ad idonei sussidi in favore dei latifondisti, che avessero realizzato tali opere (5). Così era nato il grandioso canale di Cavour e gli altri che solcavano le campagne del Veneto e della Lombardia. Il progetto riguardava anche la bonifica dei terreni paludosi, che si estendevano per 6.619 ettari. Ne erano stati già bonificati 919, di cui 741 nel territorio di Manfredonia, coltivati a cotone con ottimi risultati. La pastorizia (sorella primogenita dell'industria agricola) si presentava in uno stato di decadenza, perché i proprietari volevano trarre migliori e più facili guadagni dalle terre dissodate e messe a coltura (dal 1836 il numero dell'intero bestiame era diminuito di un quinto). La soluzione che proponeva lo Scelsi era: nuovi pascoli, resi più abbonanti mediante l'irrigazione, buoni e comodi ovili, miglioramento delle razze e che i proprietari si recassero in Toscana o in Lombardia per apprendere buoni sistemi per la coltivazione dei campi e per la cura del bestiame. Parallelamente andava favorito l'antico fenomeno del transito delle greggi, che in quegli anni, pur essendo ancora molto estesi i pascoli naturali, risultava di un terzo inferiore a quello del 1836. La superficie boschiva di tutta la provincia si estendeva per 98.096,84 ettari; la metà appartenente ai privati era curata, mentre la rimanente, che apparteneva allo Stato, ai Comuni e ad altri Corpi morali, era esposta ad ogni abuso e al brigantaggio. Faceva eccezione il bosco del Gargano, dove crescevano pregiati alberi d'alto fusto oltre alla quercia e al cerro. Per salvare questo patrimonio boschivo dall'abbattimento, dal pascolo e da altre usurpazioni, sin dal 1860, furono applicate le leggi, che portarono in sei anni alla riduzione del 50% delle contravvenzioni forestali. Infatti, nell'interesse di questa economia, furono nominati tre ispettori forestali: uno risiedeva a Foggia con giurisdizione anche su Bari, uno a Castelnuovo e un altro a Monte S.Angelo. Il personale di custodia a spese dei comuni includeva complessivamente 84 guardaboschi; a ragione, l'autore riteneva fosse insufficiente in rapporto all'estensione boschiva e proponeva il passaggio di tutto il personale alle dipendenze del ramo forestale. In Italia, l'industria, ancora di modeste dimensioni, era presente quasi esclusivamente al Nord; basta dire che era per lo più sconosciuto l'uso del carbone e si utilizzava l'energia idraulica per azionare i macchinari, come nell'epoca precedente la rivoluzione industriale. Opportunamente lo Scelsi ricordava che le cure dell'agricoltura e della pastorizia, fonti principali della ricchezza pugliese, non dovevano prevalere sulle arti e sulle manifatture che, trasformando le materie prime, ne aumentavano il valore e creavano lavoro e benessere alla provincia. In 39 comuni si esercitava l'arte della tessitura con 2.426 telai, grezzamente costruiti ed altrettante erano le tessitrici, mentre un solo lanificio si trovava nel convento di S. Matteo, gestito dai frati Minori Osservanti. I 65 pastifici lavoravano grande quantità di pasta, in quanto che i grani duri risultavano pregiati, e commerciavano con le province limitrofe e con Trieste. La lavorazione della ceramica era praticata nei comuni di Lucera, Cerignola, San Severo, Torremaggiore, Serracapriola, Apricena ed Ascoli. I mulini a vapore erano solo quattro: due a Foggia, uno a Cerignola e l'altro a Saline; gli altri 890 erano 124 a motore idraulico e 766 a motore animale. Le reali saline fornivano 29 magazzini di vendita con una produzione media di 230.413.071 quintali di sale l'anno e rappresentavano l'industria più importante. Tutte le altre, che soddisfavano solo i bisogni locali, erano piccole industrie, che, se gestite bene, potevano divenire elemento di prosperità per i prodotti di cui abbondava la provincia: la lana, il lino, il cotone, le pelli d'animali, la liquirizia, la robbia, la manna, il legno, i marmi, gli alabastri, l'acqua minerale di Manfredonia (diuretica, purgativa e attenuante per i suoi eccessi d'idro-clorato di soda, di calce e di magnesia). Ciò che mancava era il vero elemento operaio, vita e forza della moderna civiltà; bisognava scuotere le classi più basse, emanciparle dalla schiavitù, dall'inerzia, dall'ignoranza, dalla miseria in cui vivevano e farne operai nel senso giusto della parola, ma anche creare una classe media, che funzionasse da anello di congiunzione tra gli imprenditori ed il popolo. A questo mirava l'apertura di scuole tecniche (vera università del popolo) nei principali centri della provincia e a Foggia presso l'orfanotrofio di Maria Cristina, da cui, nel giro di pochi anni, sarebbe uscita una generazione di: periti, agronomi, costruttori, contabili, agenti di commercio... (l'edificio sarà, poi, abbattuto unitamente alla chiesa di S. Maria della Croce per far posto alla costruzione dell'attuale palazzo degli Uffici Statali). Ugualmente utile risultava il progetto di un laboratorio meccanico ideato dalla Camera di commercio ed arti in Foggia per promuovere e perfezionare l'arte di fondere e lavorare i metalli, quella del tornitore, del carrozziere, del disegnatore, ecc. Il Tavoliere, già prima dell'unificazione, vantava una forte preponderanza della produzione di granaglie e di prodotti dell'allevamento per il mercato esterno, su quella destinata al consumo interno. Perciò, avviata l'azione per il trasferimento in proprietà di privati dell'immenso ex demanio fiscale, messe in esercizio le ferrovie Brindisi - Foggia - Ancona e Foggia - Napoli (1865), abbattuta ogni barriera doganale all'interno dell'Italia, la Capitanata da una parte vide schiudersi nuovi mercati ai suoi prodotti e dall'altra dovette fronteggiare, nei tradizionali mercati meridionali, la forte concorrenza di produzioni delle regioni centro - settentrionali e anche dei Paesi stranieri. Foggia aveva una stazione ferroviaria importantissima, una delle prime in Italia, essenzialmente dovuta alla sua posizione topografica e per un commercio più rapido dei grani, dei vini, dei formaggi e delle lane, poteva divenire il più colossale emporio di Puglia. Il primo tratto ferroviario fu inaugurato da Vittorio Emanuele II nel 1863, e nel 1866 vi fu la visita del principe ereditario Umberto I. La vita cittadina a Foggia fu sempre movimentata e raggiunse talvolta anche il brio delle metropoli, non solo negli antichi tempi, ma anche dopo l'Unità. Il commercio, prima molto limitato per i tanti vincoli imposti dal governo borbonico, si stava incrementando; il movimento postale e telegrafico diventava più ordinato e più celere, mentre quello bancario era assicurato dalla Banca Nazionale. Foggia ebbe la prima installazione di un ufficio telegrafico elettrico nel 1858 e una direzione compartimentale che le fu tolta nel 1863, perché un reale decreto dispose che passasse a Bari; perdette anche il Consiglio di Prefettura che si estendeva in sei province (quasi in rimpiazzo del Tribunale della Dogana, che fin dal 1820 Ferdinando II aveva istituito per gli affari contenziosi relativi al Tavoliere di Puglia), quindi il Tribunale di commercio (istituito nel 1817) e la Direzione delle gabelle. Tra i prodotti pregiati si esportavano formaggi (la famiglia Boccardi di Candela aveva ottenuto alcune medaglie all'Esposizione di Dublino per i formaggi e altri prodotti), agrumi, frutta secca, ecc. In 14 comuni della provincia si tenevano mercati periodici e in altri 31 fiere annuali concesse per regi decreti dal 1741 al 1851. La fiera di maggio a Foggia era ritenuta tra le principali del Regno, sin dal governo precedente; famosa quella del 1853 che riuscì affollatissima di venditori e compratori, perché si era in un periodo tranquillo. La fiera di settembre/novembre si chiamava anche fiera di Santa Caterina, perché il 25 settembre ricorreva il nome della santa. Molte regioni avevano ancora monete, pesi, misure differenti, che ostacolavano la creazione di un mercato nazionale. Ad agevolare i traffici delle merci in Italia era stato introdotto il sistema metrico decimale, già adottato dalle nazioni più civili, che rendeva difficile le frodi e armonizzava i mezzi di scambio; si era reso indispensabile per completare l'unificazione di tutte le province. Nei comuni della Capitanata si trovava già attuato e, particolarmente nel circondario di Bovino, dove da tre anni era scomparsa la vecchia moneta. Si contavano 33 fabbricanti di pesi e misure e gli strumenti metrici, sottoposti a verifica periodica, risultavano 22.122, gli utenti iscritti 6.563; solo per le misure degli aridi (terreni seminativi di grano e granaglie) si procedeva con grande lentezza. In tutta la nazione le comunicazioni erano difficili per la scarsità di strade, ponti, ferrovie. Lo Stato per costruirle aveva bisogno di soldi, tanto più che le guerre del Risorgimento erano costate care, ed il nuovo Regno aveva dovuto accollarsi anche i debiti degli Stati annessi. Perciò furono aumentate le tasse, il cui peso finì per ricadere soprattutto sui ceti più poveri. La Capitanata si poteva considerare più fortunata delle altre province meridionali perché aveva km 204,800 di ferrovie (138 dal Saccione all'Ofanto, 35,400 da Foggia a Bovino e 31,400 da Foggia a Candela), km 345,903 di strade rotabili (compreso il tronco nazionale da Foggia al ponte San Marco) e km 253,183 di strade comunali e consortili aperte al servizio. Il Governo sosteneva enormi spese per la manutenzione della rete viaria nazionale; non si poteva dire altrettanto dei comuni per la competenza delle loro strade. A questo scopo la Provincia aveva decretato di concedere un sussidio ai Comuni che costruivano le strade, purché dimostrassero d'avere fondi necessari alla manutenzione ordinaria delle stesse. Degno di lode risultava il Consorzio Garganico costituitosi per la costruzione di una rete di circa 200 km di strade rotabili. Altre strade consortili in corso di costruzione erano: quella tra Lucera e Pietra Montecorvino, quella del mandamento di Castelnuovo e Celenza, quella fra Deliceto, Accadia (AV) e Sant'Agata (6). Lo Scelsi riteneva si dovesse fare un serio bilancio delle condizioni finanziarie della provincia per non gravare troppo sui contribuenti, specialmente sui ceti più poveri, che corrispondevano già in media con lire 13,77 pro capite (somma di poco inferiore a quella europea di lire 15). Il gettito delle imposte dirette gravanti sui fondi rustici porterà la provincia al sesto posto fra quelle italiane, con una quota media per abitante di lire 5,58; il gettito complessivo delle sovrimposte provinciali resterà il più alto a Foggia, ove il reddito era più basso anche di Lecce e di Bari. Purtroppo le spese che il Governo sosteneva nella Provincia, che aveva una rendita di lire 28.414.256,88, per i diversi rami del pubblico servizio oltrepassavano la somma di lire otto milioni e mezzo all'anno, che neanche le imposte indirette riuscivano a coprire (lire 6.194.635,32). Occorrevano, quindi, altri sacrifici per consentire un generale progresso economico e civile, come aveva fatto il Piemonte. In 11 anni, alcune sue province, che erano fra le ultime della penisola, avevano raggiunto i primi posti a livello nazionale. La sola provincia di Torino aveva una rendita di lire 147.267.338,49; la popolazione contava il minor numero d'analfabeti; le campagne erano solcate da innumerevoli ferrovie e le condizioni igieniche erano eccellenti.

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PARTE SECONDA

Condizioni sanitarie ed amministrative

Parlando della sanità pubblica, lo Scelsi individuava nell'aria malsana, nella mancanza di verde, nella topografia del suolo (paludi e stagni), nelle penose condizioni del proletariato e nella trascurata igiene personale le principali cause delle malattie (infiammatorie e contagiose) e dell'alta mortalità (particolarmente infantile). Il Regio Governo, attraverso i Comuni, si era molto adoperato per migliorare le condizioni della salute pubblica: buone leggi e regolamenti sanitari, studi per le acque, bonifiche, servizio vaccinico, istruzione continuata in materia di pulizia urbana ed igiene, istituti di beneficenza e istruzione pubblica. Il ministero sanitario veniva esercitato da 1.052 addetti (150 medici- chirurghi, 125 medici, 31 chirurghi, 334 flebotomi, 265 farmacisti, 13 veterinari e 134 levatrici) e da due comitati medici, uno in Foggia e uno in San Severo. Ogni comune aveva il medico condotto in ragione di uno per ogni 2.844 abitanti e spendeva annualmente la somma complessiva di lire 33.349,91 (in media lire 277,91 per abitante). La provincia di Capitanata, sin da quando faceva parte del Regno delle due Sicilie, per prima collocò lontano dai centri abitati i cimiteri. Questi, in tutto 55, si trovavano in condizioni igieniche soddisfacenti e non necessitavano di provvedimenti immediati. La vaccinazione di Jenner del 1798 (che combatteva il vaiolo), introdotta nella provincia dall'inglese Marshal nel 1801 e progredita per gli studi dei medici più rinomati di Napoli, presentava un servizio ben organizzato, elevando il numero dei vaccinati dal 60% all'88% (il 9% dei bambini moriva prima del periodo della vaccinazione). La città di Foggia allora versava in un condizioni pietose con strade malsane, sporche e prive di scolo, come ebbe a dichiarare in Consiglio comunale Lorenzo Scillitani, in qualità di sindaco; difatti saranno successivamente pavimentate alcune strade, tra cui il corso Vittorio Emanuele fino alla chiesa della Madonna della Croce, piantati gli alberi al largo Gesù e Maria (ora piazza Lanza), spazzate numerose casupole, eretto il monumento a Vincenzo Lanza, il teatro, un ospedale e il pio istituto di sostentamento e di educazione a favore delle fanciulle del popolo, orfane e diseredate (Opera Pia Scillitani). Trattando dell'amministrazione provinciale e comunale, l'autore lodava le egregie persone che ne facevano parte e che tanto si prodigavano per migliorare la macchina burocratica e tecnica a beneficio dei cittadini. In quell'anno, le spese obbligatorie e facoltative, ordinarie e straordinarie, stanziate nei preventivi di tutti i comuni, ammontavano a lire 3.394.721,34 (lire 10,849 per abitante contro lire 0,292 del 1863). Questo aumento evidenziava il migliore andamento del servizio delle segreterie comunali, che in tre anni avevano raddoppiato le spese dell'igiene pubblica, dell'istruzione pubblica (le scuole pubbliche da 166 erano passate a 215), dei lavori pubblici, della guardia nazionale e del culto. L'aumento principale si riscontrava nelle spese straordinarie (strade, edifici, arredamento delle scuole e degli uffici). Il patrimonio in livelli, censi, effetti pubblici e beni stabili risultava così distribuito: lire 6.018.180,96 al circondario di San Severo, lire 5.015.844,41 a quello di Foggia e lire 2.920.523,81 a quello di Bovino. In proporzione al numero degli abitanti risultavano più ricchi alcuni comuni come Celenza Valfortore, Cagnano Varano, Ascoli Satriano e Peschici; mentre per rendita (superiore alla media del 5,5%) altri come S. Agata di Puglia, Cagnano Varano, Ascoli Satriano e Sannicandro. I comuni, elevati a vita autonoma, andavano acquistando la coscienza delle proprie attribuzioni, straripando raramente dai limiti legali della definita competenza, tanto che solo 80 deliberazioni erano state annullate in quell'anno. Inoltre, per migliorare la scarsa preparazione del personale delle segreterie, fu emanata la legge 20 marzo 1866 che prevedeva l'istituzione di corsi, cui, però, solo alcuni giovani meritevoli avevano partecipato. Lo Scelsi, a conclusione di questa seconda parte, si soffermava sul movimento elettorale, sull'importanza del diritto politico, che evidenziava il livello di civiltà del popolo. In Italia il suffragio era stato allargato tanto da essere quasi universale: escluso il Veneto, gli elettori erano circa due milioni (in Francia, sotto la pretesa democratica costituzione di Luigi Filippo, non oltrepassavano i quattrocentomila, con una popolazione di oltre un terzo più della nostra). La legge elettorale del nuovo Regno riconosceva il diritto di voto ai soli cittadini maschi provvisti di un reddito elevato. Su circa 25 milioni di italiani gli elettori non erano più di 500.000, tutti proprietari terrieri, industriali, ricchi commercianti, professionisti, aristocratici, militari di alto grado. Questi uomini, fra cui venivano scelti i deputati al Parlamento, erano privi di legami con la grande maggioranza del popolo, che pure dovevano governare e amministrare. Anche se svolgevano il loro compito con serietà, non sempre conoscevano a fondo i problemi della popolazione o sapevano trovare i mezzi migliori per risolverli. Così si creò un distacco fra governanti e governati, e lo Stato apparve a molti italiani del Sud come un organismo estraneo e spesso nemico. Nel totale generale di tutte le elezioni amministrative avvenute nei diversi collegi della Provincia dal 1861 in poi, su 48.200 elettori avevano votato 23.861, il 46,39%. Per le politiche, invece, avevano votato i 2/3 degli elettori, con una media del 68,50%, perchè gli elettori politici, in numero più ristretto di quelli amministrativi, appartenevano alle classi più elevate e intelligenti della popolazione. In Capitanata mancavano partiti politici veri e propri, essendovi soltanto alcuni uomini ricchi e di cultura in lotta fra loro per la conquista dell'incarico o per l'appoggio ad un candidato politico, per lo più privi di vere convinzioni ideologiche e politiche. A questo servivano anche le società operaie e di mutuo soccorso, perché gli stessi potessero disporre di docili e fruttuosi strumenti clientelari. In base alla legge elettorale dello Statuto Albertino, aveva diritto a votare per il Parlamento meno del 2% degli italiani; molti, per sfiducia nel nuovo Stato, non votavano. Per lo Statuto Albertino, il primo ministro era nominato dal re e di nomina regia erano anche i senatori e gli amministratori dei comuni e delle province. Alcuni uomini politici avevano proposto di lasciare una certa autonomia alle Regioni, perché risolvessero direttamente i problemi locali, ma il timore di un nuovo frazionamento della penisola era molto forte, perciò il governo preferì accentrare tutti i poteri per mezzo dei prefetti e dei sindaci, anch'essi nominati dall'alto. Bisognerà attendere la riforma elettorale approvata nel 1882: l'età richiesta per votare si abbassò da 25 a 21 anni, il censo previsto fu ridotto della metà e, per votare, bastò che gli elettori sapessero leggere e scrivere. Il numero dei cittadini maschi che potevano partecipare alle votazioni salì a circa due milioni, passando dal 2% al 7%.

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PARTE TERZA

Condizioni morali e politiche

Il maggiore problema, che l'Italia dovette affrontare nel suo costituirsi a Stato moderno, fu quello di creare un'unità nazionale operante nella coscienza dei cittadini e tale compito, che nel Sud si presentava più arduo, fu affidato dalla classe dirigente alla scuola. Lo studio, quindi, risulta ancor più pregevole nell'ultima parte che concerne l'istruzione pubblica, in cui maggiormente stava lo scioglimento del problema sociale e dell'arretratezza del nostro territorio. Dopo di avere demolito l'edificio innalzato dai governi dispotici e da un fariseismo corruttore, noi siamo chiamati dall'irresistibile forza dei tempi a fondarne un altro sulle sue rovine col genio della civiltà moderna. Solo lo sviluppo dell'istruzione (primaria, secondaria e tecnica, scuole per adulti serali e domenicali, scuole normali, istituti agrari, asili infantili) avrebbe potuto svegliare in tutti i cittadini la coscienza dei diritti e dei doveri, quindi del proprio decoro. Nel 1861, su 25.000.000 di italiani solo 600.000, cioè il 2% della popolazione, sapeva parlare l'italiano, che era una lingua letteraria usata solo dagli scrittori e dalle poche persone colte, mentre gli altri parlavano il dialetto e la media nazionale dell'analfabetismo era dell'80% (al Nord del 57%). Alla fine del secolo, gli analfabeti risulteranno ancora il 40% della popolazione. L'istruzione si diffuse molto lentamente, infatti, in molte zone, soprattutto nelle campagne e nel Mezzogiorno, gli edifici scolastici mancavano o erano privi di tutte le suppellettili. I maestri erano pochi e scarsamente preparati; moltissimi bambini non andavano a scuola o frequentavano irregolarmente, perché le famiglie avevano bisogno del loro aiuto. Per di più, diversi uomini politici non ritenevano opportuno diffondere l'insegnamento scolastico, perché convinti che l'istruzione potesse spingere il popolo a pericolose rivendicazioni e rivolte. La situazione linguistica dell'Italia appena unificata, rappresentava perfettamente le profonde differenze che nel corso dei secoli si erano create, non solo tra regione e regione, ma anche tra le diverse classi sociali. La nostra provincia risultava la quarantunesima del Regno, con 901 analfabeti su 1.000. Si contava un liceo a Lucera, frequentato da 73 allievi. Questa era stata anche, prima di Foggia, sede di un Tribunale civile, di commercio, della corte di giustizia civile e criminale, della corte di Assise e di un giudice istruttore distrettuale, anche se per legge tali istituzioni dovevano risiedere nelle capitali delle province e per la Capitanata a Foggia, ma Lucera ebbe sempre forti protettori. Anche per il vescovado, Foggia ottenne una diocesi a sé indipendente da Troia solo nel 1854; nel 1856 ebbe il primo vescovo nella persona di Bernardino Maria Frascolla, canonico della chiesa cattedrale di Andria. Questi, con il prestigio dell'autorità episcopale, migliorò le condizioni dell'insegnamento nel seminario diocesano, chiamando insigni uomini di cultura. A riparazione del fatto che il collegio dei Gesuiti di Lucera fu elevato a liceo, nel marzo del 1859 furono accordate a Foggia quattro cattedre universitarie presso il Collegio delle scuole pie. Lo Scelsi parlava di una scuola laicale istituita nel seminario di Bovino e di una sorta di ginnasio tenuto dai Padri Scolopi in Foggia presso il real Collegio delle scuole pie, che solo successivamente sarà elevato a liceo e dedicato all'illustre patriota Vincenzo Lanza (primo preside Ambrogio Marcangelo da Troia). Il precedente Governo preferiva dare contributi agli ordini religiosi, perché si occupassero dell'istruzione a tutti i livelli per le famiglie abbienti. Nel 1861 solo sei italiani su 10.000 frequentavano la scuola secondaria e non più di tre su 10.000 giungevano all'Università. Di regola, erano i figli maschi delle famiglie ricche che potevano permettersi il lusso di istruirsi. L'istruzione elementare per i figli del popolo era considerata una forma di beneficenza. Seguendo gli insegnamenti liberali di Cavour (7), la Destra Storica, contraria ad ogni ingerenza della Chiesa nei problemi dello Stato, soppresse alcuni ordini religiosi, e i beni di questi furono incamerati dallo Stato o venduti a ricchi proprietari terrieri. Sin dal 1861, a norma del decreto del 17 febbraio, era cominciata a Foggia una forma di persecuzione nei confronti degli ordini religiosi. Nel 1862 furono cacciati i frati cappuccini e le monache dell'Annunziata, nel 1863 i frati minori osservanti, nel 1866 le monache chiariste. Solo le monache del Salvatore (monastero fondato nell'anno 1700 dall'illustre napoletana suor Maria Crostarosa) furono restituite nella libera amministrazione delle loro rendite, perché riconosciute con apposito decreto (1862) come appartenenti all'Ordine salesiano. Diversi i comuni, tra cui Ascoli e Sant'Agata, volevano attuare presto delle scuole secondarie. A tal proposito il relatore evidenziava ancora una volta l'importanza degli studi tecnici, rivolti al maggior numero dei giovani che, studiando le arti, le industrie e altro, concorrevano maggiormente al benessere sociale. Difatti, a Foggia il 1° dicembre 1866 fu aperto l'istituto delle scuole tecniche nella sede dell'Orfanotrofio provinciale. Prima dell'Unità, in Capitanata le scuole pubbliche (poche e male organizzate) erano 58 (36 maschili e 22 femminili), in media 1,07 per comune e 0,18 per ogni mille abitanti; solo 1.290 allievi le frequentavano e la spesa impiegata dai comuni per il mantenimento della pubblica istruzione ammontava a lire 14.700. Fu il Regno di Sardegna il primo a prendere provvedimenti radicali nel 1859, con l'approvazione della legge Casati (dal nome del senatore milanese che ne fu il promotore). Essa si proponeva di mettere ordine nella confusione e nella precarietà della scuola e, successivamente, fu estesa a tutta la nazione. Tale legge prevedeva l'istituzione della scuola elementare (obbligatoria per i primi tre anni, solo grazie alla legge Coppino del 1877 si prolungherà d'altri due anni), della secondaria, di quella tecnica e dell'insegnamento universitario. L'istruzione veniva impartita a meno del 20% dei bambini fra i sei e i dieci anni e quella post elementare al 9% dei ragazzi fra gli undici e i diciotto. Nel 1866, la situazione in Capitanata era già migliorata. Le scuole risultavano 215 (147 maschili e 68 femminili), in media 3,98 per ogni comune e 0,69 per ogni mille abitanti; gli allievi 9.574 e la spesa ammontava a lire 131.056. A Foggia aumentarono le scuole elementari e si persero quelle universitarie, che erano state per i giovani di Capitanata una grande palestra. C'era una scuola magistrale maschile inaugurata nel 1861, cui seguirono nel 1862 le scuole per le maestre delle fanciulle, frequentate da numerose e brave allieve. Mancava una scuola magistrale maschile con convitto, per formare un numero considerevole di bravi insegnanti. Lo Scelsi chiese aiuto ai Comuni della Provincia perché concorressero all'impianto di tale scuola come da progetto da lui già presentato (8). Riteneva importate che fosse istituita in ciascun comune della provincia una biblioteca di istruzione e di educazione ad uso degli insegnanti e degli alunni delle scuole serali e festive con il sussidio del Governo, dei municipi e dei privati cittadini (9), e una biblioteca popolare circolante. A Foggia, dall'evacuazione definitiva dei frati dai conventi, trasse vantaggio proprio la biblioteca comunale già esistente, che si avvalse dei volumi delle ricche librerie delle corporazioni religiose locali. Nel 1867, dalle poche stanze del palazzo municipale si trasferirà nel monastero di San Gaetano, cioè l'antico Collegio delle scuole pie. Nel 1871, con la sovvenzione di parecchi proprietari, fu aperta al pubblico anche una biblioteca serale per istruire i figli del popolo, dopo le fatiche dell'intera giornata. Gli asili d'infanzia con oltre 500 bambini risultavano così distribuiti: 2 in Foggia (di cui uno aperto nel 1862 al palazzo Civitella), 1 a San Severo, 1 a Lucera e 1 a Bovino. Ne avevano deliberato l'istituzione Cerignola, Vieste, Ascoli, Candela e S. Agata, e lo Scelsi si augurava che ogni comune della provincia avrebbe provveduto in quanto la istruzione elementare non potrà mai essere feconda di solidi e larghi risultati, se non venga convenevolmente preceduta da una educazione preparatoria. Pesava negativamente nella realtà economica del territorio la mancanza di capitali. Alla fine del regno borbonico le possibilità in campo creditizio non registravano miglioramenti. Per aiutare le classi meno abbienti erano già sorte a Foggia, Cerignola, Ascoli, Candela e San Severo alcune società operaie di mutuo soccorso, dove artigiani, esercenti, coltivatori e altri cittadini potevano incontrarsi per discutere (successivamente diventeranno dei circoli politici elettorali). Queste con le contribuzioni mensili provvedevano alla raccolta di capitali da utilizzare al bisogno. Mancavano le casse di risparmio che, oltre a moralizzare e a finanziare gli operai, li salvavano dagli usurai. Lo Scelsi, ritenendo che fosse necessaria la loro istituzione, si era interessato e aveva ottenuto dalla Direzione del Banco di Napoli l'apertura di cinque Casse di Risparmio con sede a Foggia, San Severo, Lucera, Cerignola e Bovino. Esisteva in Foggia sin dal 1861 uno sportello della Banca Nazionale, ma a causa del brigantaggio, di fatto cominciò ad operare solo nel 1864. In tutta la provincia nel 1865 si era giocata al Lotto la cospicua somma di lire 813.902; le vincite erano state la metà con una perdita di capitali che, come precisava il relatore con rammarico, avrebbe potuto provvedere ai bisogni di centinaia di famiglie. Su tutto il territorio provinciale esistevano 374 istituti di opere pie (13 ospedali, 11 orfanotrofi (tra cui il conservatorio dell'Addolorata per le ragazze orfane a Foggia), 21 monti di dote a povere zitelle, 10 di pegni, 5 pecuniari, 47 monti frumentari e una cassa di prestanza, 262 confraternite e 5 altre istituzioni, con un patrimonio complessivo di lire 7.730.399. I monti frumentari, i monti pecuniari e quelli dei pegni, mentre contribuivano alla beneficenza, contrastavano le migliori istituzioni come le associazioni di mutuo soccorso, le casse di risparmio e le cooperative, le quali erogavano il credito, creavano un capitale proprio e consentivano la partecipazione agli utili. A Foggia era nato, sin dal 1853, un monte frumentario sulle generose elargizioni di molti proprietari locali, la cassa di prestanza per i bisogni dei coloni (1859) e un Monte dei pegni, voluto dal marchese Giambattista Filiasi, che nel 1797 unì i diversi Monti di pegni esistenti con il più antico, fondato con seimila ducati nel 1588 sul patrimonio di Maria Rosa del Vento. Il comizio agrario (derivante dalla Società agraria) s'installò a Foggia nel 1868 con l'intervento di tutti i comuni della provincia per istruire le masse nella coltivazione della terra con la Società economica di Capitanata, che ebbe vita breve. Foggia, con la sua provincia, nel 1867, fu in grado di mandare oggetti di manifattura e d'arte all'esposizione di Parigi. Bisognava riformare gli orfanotrofi femminili perché uscissero donne istruite e perfezionate nei diversi rami dell'industria femminile, elevando il livello generale d'educazione della classe operaia (legge 3 agosto 1862). Fra gli orfanotrofi il relatore menzionava quello provinciale di Maria Cristina (costruito nel 1835 dov'era il vecchio convento dei padri di Gesù e Maria) con l'insegnamento delle lettere e della musica, perché, con l'apertura delle scuole tecniche, con lo stabilimento tipografico e con l'istituto industriale e professionale, sarebbe diventato veramente scuola di buone operaie. Gli ospedali principali si trovavano a Foggia (quello civile, l'asilo di mendicità annesso alla casa di San Giovanni di Dio, l'ospedale delle donne) e a Lucera. Apprestavano le cure ogni anno a oltre duemila malati, ma mancava un ricovero per i mendici inabili al lavoro proficuo, onde evitare l'accattonaggio. All'uopo era stata scelta una Commissione, e la Deputazione provinciale aveva già stanziato per l'esercizio 1867 la cifra che riteneva bastevole alla realizzazione (10). Altro grave fenomeno era quello dei trovatelli, spesso di paternità legittima, abbandonati in strada per povertà e cresciuti all'ombra della colpa. Nel decennio 1855/65 per allevarli era stata spesa la somma di lire 764.783, ma, grazie al progresso morale, se nel primo anno erano 1.872, nel 1865 non oltrepassavano i 1.054. Il numero maggiore si rilevava nel circondario di Foggia, perché nella parte piana della provincia il movimento del commercio e l'affluenza dei forestieri erano considerevoli, inoltre la moralità era meno castigata che nella regione garganica e subappenninica. Con la legge 20 marzo 1866, il mantenimento dei trovatelli spettava per metà alla provincia e per il restante ai comuni. Il relatore proponeva, per rimuovere il problema, che i comuni si assumessero l'obbligo di fare allevare "a proprie spese" in una casa di maternità i lattanti, cui mancasse il latte della madre, o sussidiare le madri poverissime durante il tempo dell'allattamento. Era altresì importante che ogni Comune avesse una ruota, ove potessero essere abbandonati i bambini per impedire che fossero uccisi o che morissero per vari motivi. Aiutandoli a crescere sani e robusti potevano divenire buoni soldati, perché, tra l'altro, i trovatelli fornivano alla leva il maggior contingente, non avendo diritto ad alcuna esenzione. Dal 1857 al 1865, alla Provincia fu assegnato un contingente per il servizio di leva di 7.339 giovani. Di questi 6.325 furono dichiarati abili, 1.023 furono riformati per diverse imperfezioni (bassa statura, infermità e deformità). Altri ottennero esenzioni e dispense a norma della legge in vigore; i renitenti risultarono 1.578 (1,68% rispetto alla media nazionale del 5%). Il servizio militare obbligatorio, della durata di tre anni, era mal visto, perché sottraeva le braccia dei giovani al lavoro dei campi, contribuendo all'impoverimento delle famiglie contadine. La Guardia nazionale, presente nella nostra provincia con 10 battaglioni, una brillante legione in Foggia, e uno squadrone di cavalleria a Cerignola, rappresentando una delle prime guarentigie del regime nazionale, aveva il compito di tutelare il libero esercizio del diritto. Era, perciò, degna d'ogni attenzione e lode (in particolare, si distinguevano le Guardie nazionali dei comuni del Gargano). Lo Scelsi si augurava che fosse coordinata sotto un unico indirizzo, che ne controllasse e curasse tecnicamente l'organizzazione, perché solo così avrebbe potuto raggiungere migliori risultati. La Provincia, perciò, aveva destinato sin dal 1864 un cospicuo fondo per un ispettorato. La Guardia nazionale si costituì per la prima volta in seguito alla promulgazione dello Statuto di Ferdinando II il 28 febbraio 1848. Con la Gendarmeria reale e le Guardie d'Onore di tutta la Capitanata, giurò al largo di Gesù e Maria; poi fu soppressa. Giurerà nuovamente il 26 settembre 1860 a Vittorio Emanuele II e sarà definitivamente sciolta nel 1869. Sul tema della pubblica sicurezza lo Scelsi non esprimeva grandi preoccupazioni, anche se molti renitenti e disertori in alcuni comuni del Gargano ne avrebbe potuto compromettere la tranquillità. I reati di ordine pubblico erano diminuiti dal 1863, non così quelli contro la proprietà privata, su cui influiva il disequilibrio economico, la natura, la grand'estensione del territorio poco abitato e la pastorizia. Questo grave stato di sociale disordine e di conseguente miseria si rifletteva sul valore dei terreni, anche di quelli a pascolo. Era aumentato il numero delle risse, perché il principio della libertà personale era meglio garantito dalle leggi vigenti di procedura penale. Infatti, il popolano, sicuro di non essere arrestato in flagranza, se non in casi molto gravi, si mostrava più collerico e portato alle vie di fatto. Erano stati assicurati alla giustizia 5.133 malfattori dall'arma dei Reali Carabinieri e dal personale civile della pubblica sicurezza, coadiuvato dal servizio carcerario. Nelle 29 carceri della Provincia, a differenza dei tempi passati, si riscontrava maggiore pulizia e assistenza. Inoltre, in base al regio decreto del 27 gennaio 1861, i detenuti, oltre a lavorare, potevano studiare, essendovi scuole in cui s'insegnava a leggere, scrivere e far di conto. Grazie all'attiva amministrazione della giustizia e alle migliorate condizioni morali, il numero dei detenuti era sensibilmente diminuito. Lo Scelsi, parlando dello spirito pubblico e dei valorosi, di cui la provincia non era priva, lodava l'ordine ed il rispetto dimostrati anche in tempo di guerra dai cittadini, tra i quali 57 avevano meritato la menzione onorevole, 5 la medaglia al valore civile e 13 quella al valore militare. Il carro trionfale di Italia, superando col suo incesso maestoso tutte le difficoltà e gli ostacoli, è vicino alla meta, scriveva lo Scelsi a conclusione del suo studio. Così anche la Capitanata, godendo i benefici di un'amministrazione libera, superando ogni impedimento allo sviluppo dell'economia e dell'amministrazione pubblica con tutti gli aspetti morali e politici connessi, poteva serenamente avviarsi ai grandi destini a cui era chiamata. Affrettiamone, o Signori, il compimento con la nostra opera, e facciamo che la mano riparatrice del Governo, già molto innanzi nella via delle riforme e dell'immegliamento, trovi appoggio e concorso efficace nei mezzi e nelle amministrazioni locali. Così appagheremo noi pure i magnanimi desiderii del Re Vittorio Emanuele II, restauratore d'Italia, nel cui nome dichiaro aperta la sessione.

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NOTE

(1) Chilometri quadrati 7.652,18, dei quali 4.119 sensibilmente in pianura, 1.551 in collina, 1.574,18 in montagna, 408 sommersi o acquitrinosi.

(2) Fu proposto dal Prefetto il seguente schema di deliberazione: Il Consiglio Provinciale delibera: Art. 1. E' istituita nella provincia di Capitanata una scuola ambulante di agricoltura per il corso di tre anni. Art. 2. E' stanziata nel bilancio provinciale la somma annua di lire 2.400 per stipendio ed indennità di trasferta da assegnarsi al Professore insegnante. Questo schema di deliberazione fu dal Consiglio votato, nella seduta del 23 novembre, alla unanimità.

(3) La protesta assunse forme violente, si formarono le bande armate anche con ex garibaldini; il movimento fu strumentato da agenti dell'ex re di Napoli Francesco II e dal clero che considerava i Savoia una potenza ostile. La repressione si concluse nel 1865 e numerosi furono i briganti uccisi o condannati a pene detentive in Capitanata.

(4) Fonte di gravi difficoltà per lo sviluppo dell'agricoltura è anche l'ingente debito ipotecario che ascende a lire 178.966.396,36, e, qualora si voglia escludere il debito eventuale, a lire 129.536.283,68; cosicché, depurato da queste passività il valore dei fondi rustici ed urbani, che in complesso è di lire 369.542.620,40, rimane un capitale fondiario libero di lire 240.006.336,72, in ragione di lire 414,005 per ciascun abitante.

(5) Il progetto di deliberazione sulle irrigazioni e bonifiche, presentato al Consiglio Provinciale, è così concepito: Art. 1. Pe' lavori di bonificamneto e d'irrigazione che verranno eseguiti dal 1867 in poi nel territorio della Capitanata, sarà accordato dalla Provincia un sussidio fino alla concorrenza di lire 1.000.000. Art. 2. Avranno diritto a tale sussidio tanto i Comuni ed altri Corpi morali, quanto i privati che imprendessero a bonificare ed irrigare le proprie terre, o che assumessero, dietro regolari concessioni coi proprietari legittimi, l'impresa di simili lavori nei terreni altrui. Art. 3. La misura del sussidio è fissata nel modo seguente: A) Per il bonificamento ed irrigazione di ogni 10 ettari di terreno paludoso, lire 1.200. B) per la irrigazione di ogni 10 ettari di terreno non paludoso, mediante pozzi artesiani, lire 1.000. C) Per la irrigazione di ogni 10 ettari di terreno irrigato, mediante pozzi ordinari ed acque provenienti da fontane, torrenti o fiumi, lire 800. Art. 4. Il pagamento del sussidio sarà fatto a lavori compiuti e previa verifica tecnica che ne constati la regolarità ed il vantaggio permanente. Art. 5. E' autorizzata intanto la spesa di lire 20.000 da stanziarsi nel Bilancio dell'esercizio 1867 onde procedersi agli studi necessari per la compilazione di un progetto completo di bonificamento e d'irrigazione nell'intera Provincia. Questo progetto fu approvato dal Consiglio Provinciale, nella seduta del 27 novembre, a pienezza di voti.

(6) Il Consiglio Provinciale nella seduta del 3 dicembre votava la proposta così concepita: Art. 1. Pei lavori di strade rotabili che verranno eseguiti dal 1867 in poi, nel subappennino della Capitanata, sarà accordato dalla Provincia un sussidio fino alla concorrenza di lire 312.000, in ragione di 3.000 al chilometro, compreso in esse il sussidio accordato a tutti i Comuni della Provincia non riuniti in Consorzio, giusta l'antecedente deliberazione del Consiglio che rimane ferma. Art. 2. Avranno diritto a tale sussidio i Comuni che faranno parte del Consorzio Subappennino, e imprenderanno la costruzione di strade rotabili dietro regolare progetto approvato dalla Deputazione Provinciale. Gli stessi vantaggi godranno tutti gli altri Comuni subappennini che vorranno costituire altri gruppi consortili, non esclusi quelli di Serracapriola e Chieuti, ed il Comune di Torremaggiore, se vuole unirsi in Consorzio al Mandamento di Castelnuovo, ed ogni altro possibile consorzio. Art. 3. Il pagamento del sussidio sarà fatto a lavori compiuti, non minori di due chilometri, e previa verifica tecnica che ne constati la regolarità e la solidità. Art. 4. E' fatta facoltà alla Deputazione Provinciale di promuovere i Consorzi per la linea del subappennino superiore, e con la Provincia di Molise per quella da Casalnuovo al Fortore, in direzione di Collotorto, ed altri Consorzi come all'art. 2. Art. 5. E' autorizzata intanto la spesa di lire 3.000, da stanziarsi nel bilancio del 1867, onde provvedersi agli studi necessari per la compilazione del progetto circa il prolungamento della linea di Casalnuovo e per la costruzione del Ponte sul Fortore, da eseguirsi a spese della Provincia di Capitanata in concorso con quella di Molise.

(7) Cavour aveva sperato che la Chiesa cattolica e lo stato liberale potessero convivere senza contrasti e in reciproca autonomia. La sua speranza si esprimeva nella formula, che era un programma, "libera Chiesa in libero Stato". Dopo la presa di Roma, il parlamento italiano approvò la cosiddetta legge delle guarentigie (cioè delle garanzie) che in parte si ispirava alla formula di Cavour. Con questa legge lo stato riconosceva l'inviolabilità e la libertà del papa, assegnava al pontefice i palazzi del Vaticano e di Castel Gandolfo e si impegnava a versargli una ragguardevole somma annua a titolo di risarcimento. Pio IX rifiutò ogni cosa e si rinchiuse in Vaticano, considerandosi prigioniero di un governo illegale.

(8) La proposta del Prefetto era così concepita: Art. 1. E' istituita nel Capoluogo della Provincia una scuola magistrale con convitto pel corso di tre anni. Art. 2. E' autorizzata la spesa straordinaria di lire 1.714,46 per mobilio e materiale scolastico, giusta il preventivo fatto dal Regio Ispettore della istruzione primaria, e la perizia dell'ufficio tecnico provinciale. Art. 3. E' autorizzata pure la spesa ordinaria di annue lire 3.300 a titolo di stipendio e retribuzione al personale direttivo, insegnante e inserviente da addirsi al novello istituto. Nella seduta del 22 novembre tale proposta fu dal Consiglio Provinciale deliberata a pienezza di voti.

(9) Fu presentato al Consiglio il seguente schema di deliberazione: Articolo unico. E' autorizzato l'acquisto di libri pedagogici da distribuirsi a cura della Deputazione Provinciale, a tutti i Comuni della Provincia, stanziando nel bilancio la cifra di lire 3.000. Il Consiglio Provinciale delibera, nella seduta del 26 novembre, a voti unanimi.

(10) Il prefetto presentò il seguente schema di deliberazione per la fondazione di una casa di ricovero e di lavoro, ed il Consiglio Provinciale lo approvò nella seduta del 31 novembre a voti unanimi: Art. 1. E' istituita una casa di ricovero e di lavoro pei poveri del sesso maschile inabili al lavoro proficuo dai 12 anni in su, nati nella Provincia di Capitanata, o che abbiano in essa permanente domicilio almeno da due anni, purché non sieno affetti da demenza, o da malattie cutanee, sordide, contagiose o solamente croniche. Art. 2. Detta Casa dovrà contenere per lo meno cento ricoverati. Art. 3. Sessanta ricoverati saranno mantenuti a totale spesa dell'Amministrazione Provinciale, e scelti dalla Commissione di vigilanza fra i poveri di tutti i mandamenti della Capitanata, in ragione della popolazione. Art. 4. Per gli altri quaranta la Provincia sosterrà 2/3 della spesa, rimanendo un terzo di essa a carico dei Comuni, o delle Opere pie, che ne faranno lo invio allo stabilimento. Art. 5. La Commissione di vigilanza, composta di 5 membri, sarà nominata e rinnovata ogni anno dal Consiglio Provinciale colle norme prescritte dalla legge 3 agosto 1862 sulle Opere pie per le Congregzioni di carità. Art. 6. La nomina del personale direttivo, sanitario, ecclesiastico e di custodia, e l'approvazione del bilancio, e del conto dell'istituto appartengono alla Deputazione Provinciale, che ne riferisce al Consiglio. Art. 7. E' autorizzato lo stanziamento, nella parte ordinaria del bilancio Provinciale, dell'annua somma di L. 18.600 pel mantenimento dei ricoverati, e pel compenso dovuto al personale, di cui all'articolo precedente. Art. 8. E' autorizzato pure lo stanziamento, nella parte straordinaria del Bilancio della somma di L. 11.400 pei restauri, adattamenti, ed altro occorrenti all'ex-convento di S. Agostino, di ragione provinciale, per collocarvi l'anzidetto istituto.

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