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I BRIGANTI A CAMPAGNANO DI ROMA

da: http://www.lcnet.it/reticiviche/campagnano/campagnano.html

 

La storia del Malandrinaggio nella Campagna Romana ha radici antichissime che risalgono al tempo dei romani i quali istituirono dei corpi di gendarmeria a protezione delle pubbliche vie.

Il feudalesimo vide una forte espansione delle pratiche di Malandrinaggio, tanto più che ad esso contribuì l'operato delle stesse guardie baronali al punto di essere definite anche "masnadieri". I baroni infatti sovente parteciparono in prima persona a codeste attività: tra essi rammentiamo Everso II degli Anguillara che riempì i suoi castelli di oggetti rubati, mentre nel contempo tiranneggiava i propri sudditi facendoli lavorare anche durante le festività domenicali, maltrattava moglie e figli, compresi i suoi e sembra addirittura che si adoperasse in opere incestuose. I figli Francesco e Deifobo, non furono da meno: da una parte assicuravano il sovrano pontefice di mantener sicure le strade mentre nella realtà erano i primi artefici nel turbarne la sicurezza al punto che Paolo III mosse loro guerra espropriandogli ben 13 castelli al cui interno furono ritrovati infelici in catene, nonché attrezzature per la riproduzione di monete pontificie.

Sotto il pontificato di Martino V, nell'anno 1423, furono giustiziati il brigante Tartaglia dello Avelto, capo di squadra, perché "derobava quando lo bestiame et quando le persone; et ancora" - fece morire - "tutti quelli latri che rubavano da Monterotonno a Campagnano"

Nel 1500 fa situazione degenerò al punto tale che furono armati "assassini contro assassini" sperando che si estinguessero a vicenda. Nel 1522 i due napoletani soprannominati Paternostro e Avemaria, furono squartati dal boia rei di aver ucciso centoundici persone.

Sisto V adottò provvedimenti decisivi per sconfiggere il brigantaggio. Abbasso la minorità delinquenziale al quattordicesimo anno e dichiarò responsabili le Comunità degli atti di brigantaggio prodotti dai propri membri.

Tra i briganti più famosi che imperversarono nelle nostre campagne ricordiamo: Sacripante, Bastinella, Marco Sciarra, che nel 1590, alla testa di 1500 uomini, dei quali 600 a cavallo, invase l'Abruzzo e il Lazio. Per sconfiggerlo occorse un'alleanza tra napoletani, toscani e le forze pontificie.

La lotta contro il brigantaggio nei secoli successivi divenne più cruenta. I briganti catturati venivano giustiziati sul posto, poi squartati. I "quarti" venivano appesi a pali o ad alberi se non ve n'erano, a monito dei malfattori e lasciati pasto per uccelli rapaci. Tale pratica fu così frequente che entrò nel linguaggio popolare conferendo a questi luoghi i toponimi di "Monte dell'Impiccato" o "Quarto dell'Impiccato". A testimonianza di ciò il colle che si affaccia sulla Via Cassia, al Km. 32, porta appunto il nome di Monte dell'Impiccato.

Oggetto degli agguati erano un pò tutti i viandanti, fossero essi mercanti, viaggiatori stranieri (allora Firenze era già un altro Stato), o personalità di rango. Di uno di questi cadde vittima il Petrarca, dopo la sua incoronazione nel 1341 a Roma: inseguito dai malandrini, dovette rifugiarsi a Roma e da lì riprendere il viaggio sotto scorta.

La via Cassia, tra le più transitate, era quella in cui più spesso avvenivano le rapine, i sequestri e gli assassinii. Il fenomeno in quel tempo era tanto esteso che i viaggiatori venivano saccheggiati sin sulle porte di Roma. A Campagnano il luogo degli agguati per antonomasia era Baccano.

Tra i tentativi più riusciti per combattere il malandrinaggio e il brigantaggio, rammentiamo l'opera di Cola di Rienzo, Sisto IV e soprattutto Sisto V che diede vita a metodi sistematici per debellare quella che al tempo era una vera e propria piaga sociale.

Nel corso del XVII e XVIII secolo; nella giornata del 29 agosto, si celebrava la "Festa degli Impiccati" in onore di S. Giovanni Battista (Santo Patrono di Campagnano) protettore dei giustiziati. Consisteva (oltre i consueti fuochi di stoppie e doghe, su cui erano soliti saltare i monelli), in una grande processione ove venivano messi alle fiamme i cordami utilizzati per le impiccagioni. Le ceneri degli stessi venivano disperse al vento per evitare che se ne facesse uso in pratiche cabalistiche.

Da ricordare tra i briganti del secolo XVIII, Antonio D'Angelo, detto "Sciarretta", grassatore del suo curato e famoso per la sua resistenza agli ufficiali fatta in prigione con male parole, calci, morsi e percosse. "Stentò molto a convertirsi". Sfinito fu condotto al patibolo da due maschere da Pulcinella e due Traccagnini. "Stentò infinitamente a morire". Citiamo, per la grande fama acquisita, il brigante Michele Pezza detto Fra' Diavolo.

Agli inizi del secolo XIX venne alla ribalta il brigante Gasparone, catturato e recluso a Civitacastellana dove scontò 60 anni di pena. Nel 1878 fu liberato per l'eccellente condotta in carcere. Nella seconda metà del secolo scorso furono condannati in un solo lustro ben 700 briganti, tra i quali due bellissime donne: Elisa, detta la Regina della Montagna e Rosa Cedrone, uccisa da un granatiere pontificio mentre stava strangolando un militare a cui aveva finto di arrendersi.

La Via Cassia che l'attraversa, era un vero incubo per i viaggiatori. Area malarica per tutto il Medioevo fino al secolo XIX, era teatro di soventi aggressioni da parte di briganti che erano soliti poi rifugiarsi nelle selve di Montelupoli, più volte fatte incendiare da Sisto V e dalle truppe napoleoniche allo scopo di snidarli.

Un'idea di questa selva possiamo farcela osservando la famosa mappa del 1547 di Eufrosino della Volpaia. In essa lungo le vie consolari sono disegnate, oltre ai monumenti, anche le osterie ed, all'altezza del lago di Bracciano, si nota una casetta col tetto spiovente ed un'insegna a bandiera sporgente con la scritta "osterie". Questa era certamente la locanda che prese il posto del quattrocentesco albergo-posta "dello Lione", anch'esso succeduto alla "mansio" romana, che vide far sosta perfino papa Paolo II. Quindi a Baccano sostarono quasi tutti i viaggiatori, anche importanti prima di giungere a Roma.

Le prose e le poesie scritte dall'Aretino, dall'Alfieri, dal Baldini, D'Azeglio, Belli, Tomassetti, ecc., sono la testimonianza giunta fino ai giorni nostri dell'esperienza, spesso negativa, fatto nella locanda. Eccone alcuni assaggi:

Affacciandosi alla finestra di una stanzetta del primo piano della locanda della posta di Baccano si poteva vedere la diligenza arrivare da Monterosi e da Settevene. Era l'unico segno di vita dinamica in quel paesaggio in cui incominciavano "il deserto, ossia la campagna che circonda la metropoli del cristianesimo". "Il lago di Baccano, molto ridotto nelle sue dimensioni, ma non ancora prosciugato, contribuiva a rendere malsana l'aria del dintorno. Questa parte di cammino non offre nulla di bello, nè di pittoresco, niente annunzia la vicinanza di una città tanto ragguardevole quanto Roma. Ma tosto che si è giunti sopra un'altura, si scoprono le sette colline, le numerose cupole delle chiese, in mezzo alle quali domina quella di S. Pietro. (Artaria: guida per i viaggiatori)

"Il lago di Baccano fu abbassato in antichi tempi con più emissari, ma definitivamente prosciugato dai Chigi nel 1833, per mezzo di un canale, detto "fosso maestoso", presso l'osteria dell'Ellera, in cui si introduce anche l'acqua del torrente Mola. Lo circondavano orride selve, nidi di ladri e di assassini".
(Tomassetti: la campagna romana)

"Baccano non è un paese, ma un luogo disabitato e di aria malsana che fu già circondato da ville e da rustiche abitazioni. E' un nome lieto per il
ricordo del tempio sacro a Bacco, ma al presente orrido sito di desolazione."
(Tomassetti)

"Vuota insalubre region, che stato ti vai nomando, aridi campi incolti; squallidi oppressi estenuati volti di popol rio codardo e insaguinato." (V. Alferi)

"Due o tre casali o casacce di qua e di là della strada maestra, che cascano a pezzi, luride, affumicate: ecco tutto Baccano." (M. D'Azeglio)

"In legno da Monterosi a Baccano spenni poco e stai bene. Baccano è una fajola d'assassini". (G.G. Belli)

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