Gaetano Grasso

Ariano dall'Unità d'Italia alla Liberazione

da: http://www.edizionilaginestra.it

<<<INDIETRO | INDICE | HOME

Il brigantaggio

Come in tutto il resto del Mezzogiorno, anche ad Ariano e dintorni si sviluppò il brigantaggio. Molti storici hanno visto questo fenomeno come una grande rivolta contadina, un disperato movimento anarchico scaturito dalla mancata riforma agraria e alimentato dalla povertà, dalle condizioni disumane in cui erano costretti a vivere i contadini e i braccianti. La concentrazione della terra nelle mani di pochi proprietari che opprimevano i contadini poveri sviluppava una grande esigenza di modifiche dei rapporti sociali che, tuttavia, quei ceti deboli erano incapaci di trasformare in azione politica. Quella rivolta poteva dare il senso dell’instabilità del Governo nel Mezzogiorno e i borbonici, con l’aiuto del governo pontificio, non mancarono di alimentarla. Perciò bisognava stroncarla subito e con decisione. Ecco perché il Governo affrontò il brigantaggio con grande energia impiegando 120.000 uomini tra carabinieri, esercito e guardie nazionali e con metodi piuttosto "spicci". Il senso vero di questa energia e la spietatezza con cui fu portata avanti la lotta al brigantaggio la si comprende appieno proprio dall’esame dei fatti periferici. Ad Ariano e dintorni operarono varie bande: quelle di Rago, di Schiavone, di Petrozzi, di Caruso, di Foffa, di Romano. Agivano separatamente ma anche in concorso tra di loro: frequentissime le azioni criminose delle bande Schiavone e Caruso insieme. Arrivavano ad avere anche sessanta, settanta uomini per banda, per ridursi a poche unità a seconda delle azioni che dovevano compiere. Erano costituite da contadini e braccianti poveri ma anche da soldati sbandati ex borbonici, da evasi, da latitanti. Cercavano di accreditare alle loro azioni valori politici e religiosi. Era nota l’abitudine dei briganti di segnarsi prima di effettuare le loro azioni criminose e in particolare lo zelo che poneva Caruso nell’accendere lampade votive davanti ad ogni sacra effigie. I briganti che operavano presso Zungoli recavano sul petto la stella pontificia e l’atto di giuramento che imponeva loro il capo P. Romano: "Promettiamo e giuriamo di sempre difendere Iddio, il Sommo pontefice Pio IX, Francesco II re del Regno delle Due Sicilie. Così Iddio ci aiuterà e ci assisterà sempre contro i ribelli della Santa Chiesa" (79). Gli obiettivi più colpiti erano le case di campagna soprattutto delle zone del latifondo dove erano più isolate: Camporeale, Difesa, Frascineta, ecc. Il bottino era costituito quasi sempre da viveri, bovini, cavalli. I briganti spesso incendiavano i pagliai e le stesse abitazioni. Assalivano i viandanti, i "traìni" che viaggiavano sulla "consolare" Ariano-Foggia. Uccidevano senza pietà da veri e propri disperati. Numerosi i sequestri di persona e finanche di un bambino di 10 anni, Antonio De Gruttola, della contrada Montagna. Per liberarlo il brigante Schiavone chiese 6000 ducati e viveri. Ebbe i viveri ma solo 60 ducati e il bambino tornò a casa dopo qualche giorno. L’allarme da Ariano fu lanciato fin dall’agosto 1862 con un appello al Generale La Marmora e al Ministro Rattazzi per ottenere un contingente di cavalleria onde "avviare una guerra di sterminio alle orde di briganti che di momento in momento crescono di numero e di ardire". La descrizione di quello che commettevano è di grande drammaticità: "orrori, atrocità, scelleratezze senza fine. Stuprate le vergini trovate in campagna, contaminate le spose sotto gli occhi degli angosciati e semivivi mariti, uccisioni, devastazioni di paesi, incendi di vaste masserie, ruberie, sequestri di persone e minaccia di penetrare in città per metterla a sacco ed a fuoco" (80). Le misure preventive adottate dal Prefetto di Avellino, prima della legge Pica contro il brigantaggio, furono di grandissima severità: ordinò l’arresto di tutti i parenti dei latitanti fino al terzo grado civile a meno che non dessero utili indicazioni per l’arresto del congiunto. Impose ai contadini che quando uscivano dal paese fossero muniti di documenti di riconoscimento; che portassero il cibo necessario ad un solo pasto; che i cereali da seminare venissero preventivamente mischiati alla calce perché non fossero commestibili; che murassero le case di campagna e si ritirassero in paese; che portassero il bestiame in città o in prossimità di essa. Dispose che i danni arrecati da gruppi di briganti inferiori a 10 fossero ristorati dai Sindaci e dalle Guardie Nazionali quando avvenivano in prossimità del centro abitato o quando "non curassero di purgare il loro tenimento da un numero così breve di malfattori". Ordinò che fossero prese misure eccezionali contro i manutengoli e le spie dei briganti; che fossero vigilati tutti quelli ritenuti dalla voce pubblica manutengoli e spie ancorché non ci fossero prove; che la stessa vigilanza fosse riservata ai sacerdoti. Il Prefetto si rendeva conto che queste misure potevano "essere tenute come mal consentite dalla civiltà de’ tempi e dalle attuali istituzioni" ma erano necessarie per "rendere sicure le comunicazioni e far prosperare le industrie e il commercio" (81). Su un territorio vastissimo come quello di Ariano l’abbandono delle masserie e il ritorno dalla campagna in città ogni sera era impossibile da realizzare. La circolare del prefetto perciò mise in serie difficoltà gli amministratori che adottarono una insolita e strana decisione: quella di incaricare un "valente avvocato di Napoli" di patrocinare "presso il Generale La Marmora la causa di tutta la città per le disposizioni date dal Sig.Prefetto della Provincia nella circolare degli 11 ottobre" e di stanziare "la somma di ducati 24 da consegnarsi al Sig. Luigi Anzani il quale à assunto l’impegno di recarla a quel tale avvocato che deve presentarsi al prelodato generale La Marmora" (82). Si deve ritenere che il Consiglio volesse affidare all’innominato avvocato napoletano, conosciuto da Luigi Anzani e titolare di credito negli ambienti militari, il compito di illustrare a La Marmora la situazione arianese e concordare con lui altri sistemi di difesa. Questo avvenimento segna il reingresso nella politica del più giovane degli Anzani: Luigi, che quattro anni più tardi sarebbe stato eletto consigliere comunale. Molti agricoltori delle zone più lontane dal paese costruirono vere e proprie torrette in muratura con feritoie per poter contrastare l’assalto dei briganti. Nella lotta contro il brigantaggio si distinsero Raffaele Mainieri, all’epoca Maggiore della Guardia Nazionale e i fratelli Filippantonio e Leopoldo De Paola, ambedue sergenti della G.N. Fu opera loro l’eliminazione di Rago. Con l’aiuto di un reparto di fanteria e dei "militi cittadini" braccarono la banda di Rago in località Frascineta. De Paola sparò un colpo di fucile contro il capobanda che ferito cadde dal cavallo; il capitano di fanteria lo finì tagliandogli la gola con la sciabola. Altri due briganti restarono uccisi nel conflitto e uno fu catturato e fucilato il giorno dopo ad Ariano. I briganti catturati con le armi in pugno, infatti, venivano fucilati senza processo, a volte sul posto a volte dopo essere stati portati in giro per il paese di provenienza. Così accadde per un capobanda chiamato Pio Nono (Raffaele Di Carlo) di Greci, il cui cadavere, lasciato in piazza a monito per la cittadinanza, fu trovato, la mattina successiva, mutilato della testa e delle gambe e si pensò alla vendetta di un familiare di un ragazzo ucciso dal brigante qualche giorno prima. Scarsissimi i segni della presenza delle brigantesse in Ariano e nella zona. Una di esse, intercettata con una banda presso Melito, scappando a cavallo agitava una bandiera rossa e impensierì il sottoprefetto che non sapeva "veramente che significato vi si possa attribuire se debba intendersi per colore borbonico o di guerra" (83). Con l’uccisione di Michele Albanese Foffa e Otangelo Ciasullo il brigantaggio arianese si potette considerare "spento". L’azione fu guidata ancora una volta da Mainieri e dai fratelli De Paola. I due spietati briganti pochi giorni prima avevano ucciso, a sangue freddo e dopo che aveva accolto le loro richieste, un giovane di 27 anni, Francesco Miedico, nella masseria Mazza a Camporeale. Il 15 novembre 1863 furono intercettati in contrada Torre delle Ciavole, presso S. Regina e uccisi "e poscia, portati in paese con soddisfazione della generalità restarono per parecchie ore esposti nella pubblica piazza... Di tale felice risultamento delle mie misure energicamente sostenute dall’accorgimento e sagacia del ripetuto Maggiore dei Bersaglieri, mi gode l’animo darne parte alla S.V. e viamaggiormente perché con la morte del Foffa e del Ciasullo si è spento il brigantaggio indigeno di questo paese che assai à tormentato l’intera popolazione" così il Maggiore Raffaele Mainieri (84) che concludeva il suo rapporto al Prefetto raccomandando una ricompensa e un riconoscimento per i fratelli De Paola. La determinazione con cui fu combattuto il brigantaggio ad Ariano e l’onestà della stragrande maggioranza della popolazione e degli amministratori evitarono alla città le conseguenze nefande dell’inquinamento degli uffici pubblici che si verificò in altri comuni della provincia. In alcuni, come per esempio Cervinara, fu addirittura necessario sciogliere il Consiglio Comunale. Il Prefetto Antonio Binda, aprendo la sessione del Consiglio Provinciale, il 27 settembre 1875, si espresse così: "Mi venne fatto di constatare che tutti coloro che dalle rovine del brigantaggio uscirono incolumi e ricchi (e non sono pochi) dopo avervi preso parte, o come forze attive, o come manutengoli, hanno eccitato le invidie di molti tristi. Costoro, venute meno le cause che produssero questi effetti, inventarono nuove maniere di brigantaggio, più sicuro e per avventura di maggior lucro. "Studio loro supremo fu quello di essere inscritti nelle liste elettorali, adoperandosi ogni mezzo, per sortire quindi consiglieri, aiutati e protetti, il più delle volte da potenti influenze; e poiché si insinuarono nelle amministrazioni comunali non vi fu più nulla d’inviolato e sacro...Agenti attivissimi di codesto monopolio furono in molti comuni i Sindaci venuti su anch’essi con quelle arti, con quei mezzi, con quelle protezioni ora aperte e scandalose ora occulte e di sorpresa, funestissime sempre alla prosperità materiale e morale delle popolazioni. "Così dal brigantaggio e dal ladroneggio organizzato nelle amministrazioni dei comuni, é sorta in questa provincia una nuova classe di cittadini, una strana specie di terzo stato che tutto invade tutto padroneggia, che frequenta fiere e mercati, che tira a sé gli affari, nel cui trattamento sono violenti e facinorosi, siccome educati da lunga pezza alla impunità, e crescono in istato, e s’avviano alla ricchezza, con maraviglia e spesse fiate con invidia di quanti li conobbero pezzenti". Il brigantaggio accese la fantasia di tanti noti ed illustri scrittori. A quello arianese accenna Giovanni Verga nella novella "Certi argomenti": il Sig. Assanti inseguiva da Napoli la Sig.ra Dal Colle di cui si era invaghito. Ne ebbe notizia ad Ariano e la raggiunse a "due poste da Bovino" a notte inoltrata. Qui gli innamorati furono assaliti dai briganti. Si barricarono nella stazione di posta trovata vuota e l’amore ebbe il sopravvento sulla paura. Si interruppero solo all’arrivo dei carabinieri che li liberarono... dai briganti.

NOTE

(79) "Banditi Briganti e Brigantesse" in "Irpinia" rassegna di cultura, n.5-6, maggio 1981, p.301.

(80) Archivio Ariano - Delib. cons. com. 12.8.1862.

(81) ASA - Brigantaggio vol.I, fas.144 - Circolare del Prefetto dell’11.10.1862.

(82) Archivio Ariano - Delib. cons. com. 3.11.1862.

(83) ASA - Brigantaggio vol.2, fas.153 - Rapporto del Sottoprefetto al Prefetto 7.10.1863.

(84) ASA - Brigantaggio, vol.2, fas.208.

<<<INDIETRO | INDICE | HOME