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Edmondo Marra

Dedicris

BRIGANTI E NOTABILI

A VOLTURARA IRPINA

da: http://xoomer.virgilio.it/dedicris/brigant.Pagluc.htm

Scappa Nannì

Volturara Irpina

Don Vincenzo Luciani capitano della Guardia Nazionale

Filoborbonici contro Liberali, ma anche tutti con tutti e contro tutti

Il capitano si riscalda al discorso di don Salvatore

La caccia al disertore Ferdinando Raimo

Il futuro sembra incerto

La Piazza prende coraggio e parla

Il momento è grave

Carmela e Rosa

Ferdinando in fuga

Il brigante Cicco Cianco

Disgelo

E adesso che succede?

Il brigante Pagliuchella

Rosa

1 Aprile 1861

Arrivisti e liberali

L’ora dei lupi

La notte prima del 5 aprile

Scappa Nannì

- Scappa, Nannì, scappa che arrivano le guardie. E’ Carmela la sorella di Ferdinando che grida con voce soffocata, ansima, ha fatto di corsa i gradini dal portone alla camera del fratello, pochi attimi prima un’ombra amica ha dato due colpi secchi al portone, ha sussurrato un avvertimento, è sparita. Ferdinando si butta giù dal letto e arraffa i vestiti sparsi alla rinfusa sulla cassapanca. - Madonna mia ma che gli ho fatto, perché non mi lasciano in pace? Alla guerra non ci voglio tornare, non voglio morire per loro. Ferdinando parla da solo a voce alta ma guarda la sorella, come per cercare di capire cosa succede e giustificarsi allo stesso tempo. Adesso è già sulle scale mezzo nudo. Il freddo gennaio di Volturara Irpina lo colpisce come una frustata, ma la paura è tanta e lo spinge fuori. Intanto due guardie nazionali stanno risalendo via Campanaro alla sua casa, dai rumori soffocati e dal piccolo trambusto capiscono cosa succede, intravedono Ferdinando che sguscia fuori dal portone con poca voglia di dare spiegazioni. Le grida delle guardie coi fucili in mano, senza sparare, si sprecano: Altolà, altolà. Le guardie voglio mettere paura a Ferdinando ma pure annunziarsi, arriviamo ohé che arriviamo, non sia mai che si arrivasse a un scontro a fuoco, le finestre possono sparare da sole, senza poi parlare di una vendetta che può arrivare dopo anni. In fondo devono solo convincerlo ad andare al Posto di Guardia a firmare il foglio di partenza per il richiamo alle armi. Possono immaginare che come tanti non l’avrebbe accettato, Ferdinando è un giovane che da poche settimane é tornato a casa dalla guerra e la sua confusione mentale riescono a capirla, forse provano anche pena, ma il dovere è dovere e non si fermeranno certo a riflettere o ad andare contro gli ordini del Capitano. Non e’ la prima volta in quei giorni che vedono quella stessa scena; quasi tutti i giovani, tornati sbandati a casa dal disciolto esercito borbonico, e richiamati di nuovo alle armi dai Piemontesi, non hanno la benché minima voglia di tornare a combattere arruolati in un esercito straniero e poi contro i loro stessi compagni, asserragliati nella fortezza a Gaeta con il Re Francesco II a difendere le ultime disperate speranze dell’ormai ex- Regno delle Due Sicilie.

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Volturara Irpina

Volturara Irpina è poco più di un villaggio con mille o duemila anime, situato tra le montagne della profonda Irpinia tra la Puglia e la Calabria. D’inverno la neve e il gelo possono provocare un isolamento quasi totale dal resto del mondo. Tutto questo dovrebbe fare dei suoi abitanti una tribù compatta, pronta a soccorrersi l’un l’altro o a difendersi unita contro le intrusioni esterne, a seguire un’idea di prosperità e benessere. Ma ahimé, il volturarese ai tempi del nostro racconto cova odio e rancore verso chiunque gli abbia fatto un torto, mancato di rispetto o arrecato danno, sia questo anche il vicino o il consanguineo. E le occasioni non sono mancate. Il volturarese di questo tempo non si sente appartenere al suo villaggio ma alla sua parte, fatta della sua famiglia allargata, di alcuni amici e talora di soci in affari o ruberie, di affiliati a qualche setta o partito politico. La compattezza sociale è scarsa, il piccolo paese è diviso in caste. Ci risono i notabili, i piccoli possidenti, gli avvocati, i notari, il farmacista il medico e poi gli impiegati comunali, le guardie, i mezzadri , infine i braccianti analfabeti. L’odio e il rispetto si mischiano e si alternano in modo inestricabile e incomprensibile per chi non appartiene a questo piccolo mondo lontano. Per quanto sembri incredibile, la Rivoluzione Francese, l’ascesa e la caduta di Napoleone, i moti carbonari e liberali e la spedizione dei Mille di Garibaldi sono arrivati fin quassù a Volturara Ma invece di Illuminismo, libertà e uguaglianza hanno portato pretesti per scannarsi. I Borbone sono stati cacciati due volte e due volte sono tornati. Più volte i Borbone sono stai costretti a concessioni liberali e sempre se le sono rimangiate con l’aiuto esterno. Volturara ogni volta si è divisa tra vincitori e vinti, furbi e illusi, con vendette, fughe nei boschi ed epurazioni. Al tempo di Ferdinando Raimo, il protagonista del racconto, il regno dei Borbone è alla fine, ma le notizie arrivano incerte e in ritardo sulle montagne dell’Irpinia. I volturaresi sono scettici, altre volte i Borbone sono tornati.

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Don Vincenzo Luciani capitano della Guardia Nazionale

Correre appresso a quel giovane smilzo e veloce come una lepre é un’impresa impossibile ed i due gendarmi desistono quasi subito dall’inseguirlo. Il ritorno in Piazza per avviare una procedura ormai nota .Il capitano della II compagnia don Vincenzo Luciani li aspetta con l’aria di chi già si immagina tutto, d’altronde li aveva tenuti d’occhio dal Tiglio fino a quando avevano svoltato l’angolo per via Campanaro. Con fare sornione e soddisfatto della sua intuizione si avvia al Posto di Guardia seguito dai due e li fa entrare a preparare il rapporto mentre lui resta davanti alla porta ad osservare soprappensiero l’andirivieni della gente. Una fitta nebbia si alza rendendo la piazza spettrale con ombre che si muovono per gli impegni di prima mattina. L’orologio di fronte suona otto colpi gravi e due acuti, il capitano si rende conto dell’ora contando mentalmente ogni colpo, Il freddo umido delle mattine volturaresi penetra nelle ossa ed ingobbisce chi avanza dandogli la sensazione di avere un po’ di caldo. Dalla Pozzella arrivano tre persone nei loro mantelli a ventaglio, i tre sono il segretario comunale don Vincenzo Pennetti, l’impiegato comunale Mariano Santoro e Ferdinando De Cristofano tenente della Guardia Nazionale. I primi due avevano commesso l’errore di non aver firmato al Plebiscito di annessione all’Italia dell’ottobre precedente. Il terzo è sospettato di fare il doppio gioco insieme con il fratello Achille farmacista e di remare sotto sotto contro l’Unità d’Italia, ma in realtà il tenente ha capito che questa volta i Borbone sono fottuti senza ritorno e ha deciso di mostrarsi duro con reazionari e filoborbonici per rifarsi un’immagine e mantenersi in carriera. I tre confabulano sottovoce e fanno irrigidire il capitano rendendolo nervoso, li osserva mentre gli passano davanti salutandolo con rispetto e sicuramente con timore; risponde al saluto con distacco, quasi seccato. Dapprima torna ad osservare lontano nella nebbia, poi con gli occhi ritorna su di loro che varcano la soglia del Comune a destra del Campanile. Il Comune è un vecchio edificio ad un piano, coperto davanti da due tigli secolari, dei quali uno vuoto all’interno e tanto grande da servire come riparo spesso sia agli ubriachi, che sono tanti, sia a qualche giovane scappato di casa che non sa dove andare a dormire. Davanti ai tigli una grande fontana in pietra con tre cannoli cui si rifornisce tutta la popolazione con enormi recipienti che le donne portano in testa. - Idioti -, pensa ad alta voce il capitano rivolto ai tre ora passati .- Appena si saranno aggiustate le cose la pagheranno, ed in malo modo, questi tre imbecilli a cui il vecchio sistema borbonico stava bene, che hanno prosperato come hanno voluto sul Comune a riempirsi le loro casseforti, cascettoni e furbi. -

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Filoborbonici contro Liberali, ma anche tutti con tutti e contro tutti

Da via del Campanaro scende don Salvatore Sarno, liberale e nemico dei Borboni da sempre. Si avvicina alla fontana pubblica posta davanti al Comune e beve soddisfatto al primo dei tre cannuoli, poi aiuta una donna a mettersi in testa la secchia piena d’acqua e vedendo il capitano si avvia al posto di guardia per scambiare con lui due chiacchiere. L’incontro e’ cordiale come sempre,d’altronde sono in sintonia per idee e propositi, don .Salvatore vede nel giovane carattere,intelligenza e determinazione ed anche un pizzico di cattiveria che denota personalità. - Ciao Vincenzo, come sta tuo padre don Giuseppe? - Così,così, non esce mai perché ha troppo affanno e si stanca facilmente. - Peccato, uno come tuo padre ci voleva in questi frangenti difficili. Avrebbe fatto rigare diritto chiunque volesse creare turbative. Oggi é diventata una babilonia, non si capisce più niente. Quello che mi fa rabbia è che ci abbiamo messo quarant’anni, dai moti del ’21, per giungere a questo momento, e come al solito quando tutto sembra andare per il verso giusto abbiamo la capacità di distruggere il filato per il gusto di farlo. Quante sofferenze, quante paure e quante mortificazioni per servire un Governo, quello dei Borboni, dispotico e ingiusto che abbiamo sempre odiato. Però ricordati che non dobbiamo avere paura di nessuno, dobbiamo perseverare nelle nostre idee e distruggere chiunque vuole il ritorno del vecchio ordine di cose ormai superato. Dobbiamo stare attenti anche a quelli che sembrano stare dalla nostra parte. Per esempio il Sindaco don Gennaro Vecchi e i suoi amici Masucci mi sembrano troppo morbidi, a volte paurosi e tolleranti, invece bisogna usare il pugno di ferro. Non si deve più tornare indietro, la nuova Italia é un’occasione unica e ci porterà tanti benefici economici e politici. Al Nord sono ricchi e più avanti di noi, potremo finalmente progredire e far scomparire questa ignoranza che é la madre di tutti i nostri problemi.

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Il capitano si riscalda al discorso di don Salvatore

- Don Salvatore voi parlate troppo bene, ma parlate agli asini. Questi devono capire che siamo noi a comandare e che vogliano o non vogliano devono seguirci. Il prossimo Sindaco dovete essere voi,perché avete già dimostrato di saperlo fare in tempi bui,e se permettete io come avvocato, oltre che capitano della guardia, vi posso dare una mano, perché conosco le leggi e so anche essere duro con questi ignoranti cascettoni. Don Salvatore capisce che dietro l’irruenza del giovane capitano si nascondono ansie e paura del futuro, lo rassicura. Anzi va oltre la cacciata finale dei Borbone, pensa al momento in cui si faranno i conti tra amici e non ci sarà posto per tutti. - Caro Vincenzo, se tutto va bene in autunno vinceremo le elezioni e sarai il mio segretario comunale al posto di quel Pennetti che non capisce proprio niente e che non porta mai un bilancio o un resoconto in Consiglio comunale. Piuttosto dobbiamo guardarci dai tre fratelli Masucci. Sto già preparando un piano per toglierceli di torno su al Comune. Ho parlato con don. Serafino Soldi ad Avellino e mi ha promesso che nel Consiglio Provinciale che hanno creato ci metteranno il notaio Leonardo, agli altri ci penseremo con calma. Quanto a Gennaro Vecchi lo fermeranno gli stessi sua amici,vedrai che se liberano alla prima occasione, senza i Masucci non e’ nessuno, e loro pensano che non sia la persona giusta a difenderne gli interessi nella nuova realtà in arrivo. Se poi Gennaro Vecchi pensa che lo aiuteranno i suoi amici preti si sbaglia di grosso, perché stanno tutti sotto tiro e lo stesso nostro parroco don Angelo Marino rischia grosso ad appoggiare ancora i Borbone, i preti non conteranno niente dopo che hanno scomunicato Vittorio Emanuele.

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La caccia al disertore Ferdinando Raimo

Le parole dell’amico di famiglia rincuorano il capitano Luciani, ma il sorriso che fa capolino sul suo volto diventa una maschera dura quando vede che dall’interno del posto di guardia il sergente Giuseppe Di Meo lo chiama per firmare il verbale della fuga di Ferdinando Raimo, il giovane disertore. Egli saluta con garbo e riverenza il suo interlocutore e rientra. - Questo e’ il terzo caso di diserzione,- tuona rivolto alle guardie.- E deve essere l’ultimo. Non tollereremo d’ora in poi nessun benché minimo ammutinamento. La legge parla chiaro, chi non vuole accettare il richiamo nell’esercito italiano deve essere considerato un disertore e se non si costituisce deve essere abbattuto. Chiamate le guardie di servizio, organizzeremo una battuta a largo raggio fino ai boschi della Faieta, dobbiamo ritrovarlo vivo o morto per dare una dimostrazione di forza e di concretezza. La guardie si danno subito da fare e nello spazio di mezz’ora in mezzo alla Piazza, tra la curiosità e un po’ di timore dei volturaresi, sono schierati tre plotoni di guardie nazionali in assetto di guerra. Qualcuno si chiede il motivo di tutto quel movimento, altri si fanno il segno di croce, capiscono qualcosa di grave sta accadendo, il parlottio è continuo e si incomincia a vociferare che stanno cercando un ragazzo del Campanaro che non vuole partire per il fronte a Gaeta. A un tratto un silenzio innaturale scandito dagli ordini degli ufficiali cala sulla Piazza, si formano tre plotoni che partono in direzioni diverse per una manovra di accerchiamento destinata ad un sicuro successo nelle intenzioni del capitano. Il primo si dirige al Campanaro destinazione Acquamieroli, passando per la Serra,il secondo si dirige al Cotrazzulo attraversando il Freddano ed il Dragone, il terzo sale per il Candraone e passando per il vecchio molino si avvia "a monte Erano anni che non si vedeva una cosa del genere, qualche vecchio paesano torna con la memoria a inizio secolo, quando arrivarono i francesi e tanti scapparono sulle montagne, diventando "breanti", briganti che per sopravvivere rubavano e rapivano i signori, presi e rilasciati in poco tempo, dopo pagamento di riscatti spesso fatti di salsicce, olio, vino, farina e polvere da sparo. Negli anni attorno al 1810 i rastrellamenti feroci dei francesi, liberatori e occupanti, a caccia di disertori con l’aiuto delle guardie urbane, lasciavano quasi sempre sangue boschi. Si ricordano i nomi, Aniello Rinaldi, ucciso in un famoso rastrellamento il 10 ottobre 1809; Luigi Solito, cui gli urbani mozzarono il capo alla Costa nel Febbraio del 1814 solo perché non aveva voluto arruolarsi con i francesi; Giosué Raimo dei Trigna il nonno di don Marino, che poi divenne decorione comunale, e Giacinto Buonopane e tanti altri di cui si sono persi persino i nomi. Si ricordano i nomi dei rapiti tra i quali il fratello di don Bernardo Marra, Giovanni; e tanti viatecali presi e rilasciati in poco tempo, dopo pagamento di riscatto.

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Il futuro sembra incerto

- Quando cambia governo succede sempre la stessa cosa, i furbi vincono ed i fessi vanno al massacro, c’e’ gente che ha il fiuto e che non sbaglia mai da che parte schierarsi, altri per seguire le loro idee restano fuori e ne prendono di santa ragione. Stavolta succederà la stessa cosa, ne vedremo delle belle. Sono voci della gente ancora riunita in Piazza dopo la partenza delle guardie. - Stavolta la situazione la vedo abbastanza grave, i Borbone non rinunceranno mai al Regno, ritorneranno come sempre e più avvelenati di prima. Non dimenticatevi del 1820 e del 1848 quando la repressione che instaurarono durò anni ed anni e ne fecero le spese tutti coloro che avevano osato ribellarsi. Ve lo ricordate don Domenico Benevento morto otto anni fa? era avvocato non riuscì mai a diventare notaio. Fu controllato in tutti i suoi movimenti per venti anni esatti fino al 1840. Voleva fare il Sindaco, e lo meritava pure, ma non ci riuscì mai. Dovette accontentarsi di mettere il cugino don. Carmine Benevento, il dottore, a capo del paese, ma solo dopo molte e molte sofferenze. Mi ricordo che nel 1834,avevo cinque anni e me lo raccontava mio padre, don Carmine stava già per diventare Sindaco, era nella Terna dei candidati, ma un ricorso anonimo che lo accusava dei trascorsi carbonari lo bruciò senza pietà e dovette aspettare il 1840 per coronare il suo sogno. Fu, mi ricordo, un buon periodo per Volturara, con qualche accenno di miglioramento sociale e meno intrallazzi del solito. Lo stesso don Nunzio Pasquale, il farmacista a sinistra della Chiesa Matrice, é stato sorvegliato dalla polizia fino all’anno scorso, per essere stato troppo liberale nel ‘48, quando era Sindaco. Questo discorso fatto da don Gerardo Pennetti, l’avvocato, é seguito in attento silenzio, e l’oratore vedendo che lo ascoltano continua a raccontare del passato in un clima di generale attenzione. - Uomini valorosi e degni, che hanno dato la vita per questo disgraziato di paese, in cui nessuno parla mai bene di un altro e dove tutti pensano solo ai tornaconti personali. Un paese dove chi fa bene é maltrattato e chi è fetente e maligno viene rispettato ed ossequiato. Man mano che parla si infervora e scava nei meandri dei ricordi. Una ventina di persone forse interessate forse per passare il tempo lo ascoltano. Si guarda attorno per leggere gli occhi e quando si avvede della presenza di un paio di spie, gli "sciacquini", che facendo finta di guardare altrove stanno con le orecchie tese e non perdono una virgola del discorso si eccita ancora di più: sa che entro mezz’ora al massimo chi deve sapere saprà, ma non ha paura delle conseguenze. Ormai ha deciso di andarsene a lavorare al Tribunale di Ariano e vuole svergognarli tutti pubblicamente. - Ce ne sono stati tanti che hanno cercato di fare qualcosa, ma sono sempre tutti stati ammosciati e di brutto. Ce ne sono stati tanti altri che hanno pensato solo a loro stessi, e si sono trovati sempre bene. La politica ha arricchito molti, ma molte famiglie si sono distrutte a causa delle idee professate. Hanno pagato i liberali onesti e hanno pagato anche le famiglie che si mantennero fedeli ai Borbone quando arrivarono i Francesi di napoleone Non voglio andare indietro di molto, tutta sanno la storia della famiglia Rinaldi, una storia uguale a quella i tante altre famiglie. Mio padre che ha fatto il medico per quarant’anni non faceva che raccontarmi la loro disgrazia. Prima del ’99 i Rinaldi erano gente importante, amministravano, facevano carriera nel clero. Ma vennero i Francesi di Napoleone e loro si misero coi Borbone. Formarono una delle tante bande di briganti che non davano tregua all’esercito francese e fecero la loro parte per ricacciarlo. Ma i Francesi tornarono e la famiglia Rinaldi fu distrutta. Giovanni Rinaldi oggi fa il calzolaio. E tanti altri ve ne potrei dire.. I Bottigliero, il cui nonno don.Giacomo fu Sindaco nel 1813 e ‘14, e segretario comunale per molti anni, oggi vivono di stenti e sono destinati a scomparire. I Benevento ed i Picone si stanno avviando a fare la stessa fine, pagano gli uni di essere stati liberali, gli altri di essere filoborbonici. La stessa fine, se permettete, la sta facendo la mia famiglia. Non vi racconto la sua storia che é grande e luminosa, ma per essere fedeli alla nostro Regno dei Borbone, rischiamo di essere annullati dai fautori del cosiddetto nuovo ordine. Detto questo si allontana lasciando gli astanti pensierosi e perplessi. Ormai un freddo sole fa capolino tra la nebbia e nell’aspettare gli sviluppi della spedizione i soliti perditempo continuano a chiacchierare e a ricordare il passato. Ognuno vuole dire qualcosa, la piazza è il coro dei ricordi.

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La Piazza prende coraggio e parla

- Ve lo ricordate era il 1827 quando fu ucciso sulla Maroia dai briganti disertori il Capourbano responsabile dell’ordine pubblico di Volturara ,chi non lo ricorda. Pagò con una schioppettata il troppo zelo messo nel suo lavoro. Quella volta erano disertori dall’esercito borbonico. - Era terribile quell’uomo, me lo vedo davanti ancora oggi. Un paio di mustacchi e sugli occhi cervoni sopracciglia sempre inarcate. .Insieme a suo cognato il Sindaco erano i padroni di Volturara in quel periodo. Un clima di guerra e di paura dopo il ritorno dei Borbone nel 1821. La repressione fu dura e lunga. Gente rispettabile, perfino un medico condotto e taluni sacerdoti furono perseguitati e maltrattati con durezza. Maestri di scuola furono licenziati dal lavoro, altri andarono in esilio, altri ancora tenuti sotto controllo asfissiante. Criminalizzati i migliori di Volturara, un passo indietro nel progresso delle idee in un paese già arretrato. Prevalse la forza sull’intelligenza. I vincitori del momento erano duri, troppo spesso cattivi, o stavi con loro o contro di loro ed erano guai, guai grossi. - Dopo l’omicidio di quel Capourbano, ne fu fatto un’altro ricordato per la sua ferocia. Un fatto che è diventato leggenda e che scatenò un guerra contro i briganti rei della morte del padre e gli anziani ricordano ancora oggi che fumò nella sua pipa i capelli di un brigante ammazzato per la rabbia ed il rancore. Se questi sono tempi tristi, quelli erano bui. Adesso parla don Achille De Cristofano, il farmacista. Le spie della Guardia Nazionale non lo perdono mai di vista. Si sa che nello sgabuzzino prepara polverine e complotti a favore di Franceschiello. - Non vi crediate che i mesi a venire saranno tanto calmi. Sto notando un diffuso malessere e continui borbottii sottovoce; qua la maggior parte delle persone non vuole accettare l’annessione al Piemonte. Si parla di nuove tasse, sempre più salate. Sembra di tornare al 1848, quando nel giro di vite il Re Bomba Ferdinando II si inventò il Prestito Nazionale e tassarono tutti dai preti alle Congreghe, dai possidenti ai Comuni.. Ditemi voi se la situazione non e’ esplosiva. - L’unico vero liberale convinto, - gli fa eco don Ferdinando Sarno,- e’ don Nunzio Pasquale, il farmacista, ma e’ troppo bravo per avere qualche possibilità di rientrare nel gioco. Poi con tutti i guai che ha passato dal ‘50 in poi non penso proprio che abbia la forza di rimettersi in mezzo alla politica che gli ha rovinato la salute e la proprietà. Lo hanno controllato per dieci anni senza pietà per le sue idee libertarie e ha dovuto subire tante offese tante mortificazioni .Oggi doveva essere il suo momento, ma Volturara come al solito premia i furbi e i marpioni non certo le brave persone. Suo figlio don Vincenzo é troppo giovane e deve pensare a laurearsi per continuare il lavoro paterno. Un certo movimento di guardie nazionali che salgono e scendono dal Comune e vanno nelle case vicine fanno capire a tutti che quelli che controllano il paese, i caporioni come si diceva, si stanno movendo. Infatti dopo poco quasi all’unisono dai rispettivi portoni escono i fratelli Masucci con aria seria ed a loro si uniscono il Sindaco con suo fratello il dottore, il farmacista don Michele e altri. La Piazza è diventata silenziosa, il Sindaco e gli altri con lui sono salutati con riverenza da quelli che prima se ne stavano ad ascoltare i comizi improvvisati e adesso si devono prendere il rimprovero del farmacista che li invita a pensare di andare a lavorare invece di stare in piazza a perdere tempo in chiacchiere che potrebbero rivelarsi anche pericolose per loro. L’invito viene raccolto immediatamente, quando comincia la seduta del consiglio comunale la piazza è vuota.

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Il momento è grave

La sala è piccola e piena di gente. Il segretario prende i nomi dei presenti per iniziare la seduta di Giunta. A due angoli della stanza i due fratelli Masucci più grandi sono seduti in poltrona, il mento appoggiato al bastone e le gambe incrociate in avanti attendono lo svolgersi dei discorsi quasi assenti, con lo sguardo perso nel vuoto. Parlate, parlate che poi ci pensiamo noi a dirvi cosa dovete fare, pare che dicano i due. Il Sindaco appoggiato con le spalle al muro ha come un guizzo in avanti e con aria preoccupata chiede la parola e la ottiene. - Cari amici la situazione è seria e pericolosa. Non voglio essere uccello di malaugurio, ma le notizie che mi arrivano dalla provincia fanno capire che un’epidemia di colera sta serpeggiando dappertutto, l’esperienza di sette anni fa e quella del 1837 dovrebbe insegnarci che Volturara é a rischio. Troppa promiscuità tra uomini e bestie, qua nessuno si lava, puzzano tutti come capre. Per fortuna sembrano vaccinati dalle epidemie precedenti. Quelli che ci andranno di mezzo potremmo essere noi, perciò dobbiamo fare qualcosa per impedire il propagarsi del contagio, non voglio allarmarvi, ma ieri ho avuto la certezza di due casi in una famiglia alla Morece. Chiedete a mio cognato don Pasquale che segue i casi di epidemia di persona ed si tiene aggiornato ogni momento sulla situazione generale. - Quello che dice il Sindaco mio cognato è purtroppo una grave verità, Qui tra rivoltosi e malattia si preannunciano tempi duri. Se non manteniamo la calma sarà una catastrofe. A Carbonara in Alta Irpinia è successo il finimondo: bambini uccisi, notabili trucidati. Lo stesso Sindaco e’ stato malmenato brutalmente. Qui da noi nelle cantine e nei caffè si mormora in continuazione, i soliti prezzolati fanno capire che il re Franceschiello sta per tornare vincitore, non sanno che è assediato a Gaeta e sta per capitolare da un momento all’altro. Per la malattia non mi preoccupo tanto, sembra che ci sia solo qualche caso sporadico che possiamo tenere sotto controllo senza timori per la nostra salute. L’unica cosa da fare è trovare i soldi in bilancio per procurarci le medicine per i poveri in caso di necessità. Lo interrompe, don Michele, lo zio, responsabile della Guardia: - Scusami, Pasqualino, voglio intervenire anch’io, come responsabile dell’ordine pubblico e dire a questi signori che devono capire che stiamo in stato di guerra. Noi sappiamo che questo nuovo ordine di cose ormai, nolenti o volenti, dobbiamo accettarlo. E’ come un fiume che quando scende forte porta con se tutto: tronchi, rami e melma. L’unica cosa certa è che indietro non si può tornare .L’acqua non sale. Abbiamo l’obbligo morale di difendere le istituzioni ed il nostro ruolo. Se questa è la barca, senza storie dobbiamo metterci a remare per impedire l’affondamento. Oggi rappresentiamo il nuovo governo e dobbiamo impedire che i nostri nemici, con la scusa dei Borbone, ci tolgano di mezzo. Sarebbe l’anarchia, il ritorno al Medioevo! Alle parole di don Michele segue un silenzio che è riflessione, ma anche paura. E se con il suo intervento voleva sortire un effetto dirompente, si capisce subito che ha raggiunto lo scopo. La tensione e’ palpabile negli occhi di tutti i decorioni presenti nella stanza. Il Sindaco ha voglia di concludere la discussione con punti concreti all’ordine del giorno ed invita i presenti a vigilare e a denunziare le persone sospette di creare turbative sociali con discorsi o azioni facinorose: - Un giro di vite può servire da deterrente. Arresteremo chiunque crei casino. E voi don Michele controllate chi nella Guardia Nazionale rema contro, le notizie che ci arrivano dicono che un gruppo interno, che fa capo ad Alessandro Picone ed ai suoi fratelli, crea confusione, preme sugli indecisi, grida contro gli ufficiali. Da che gli è morto il padre due anni fa sembra voglia fare il capopopolo, se occorre dobbiamo fermarlo con la forza. Si fa forte dell’appoggio di Matteo Marino, il fratello del Parroco, un'altra testa calda da tenere a bada. I sacerdoti stanno zitti, in attesa, ma la presenza di mio fratello don Ferdinando e la stima di cui godo tra di loro dovrebbero tenerli a bada, in questa che qualcuno vuol far diventare una guerra santa contro lo Scomunicato Vittorio Emanuele, ma che e’ solo una scusa dovuta alla paura di perdere un potere che finora nessuno ha mai controllato. Da oggi ci aggiorneremo ogni giorno a quest’ora per fare il punto sulla situazione e prevenire ogni turbativa nel miglior modo possibile.

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Carmela e Rosa

La madre di Rosa si è alzata presto come al solito. Riattizza il fuoco, ci aggiunge legna e ci mette sopra una piccola conca di rame piena d’acqua a bollire. Vede di mettere tutto a portata di mano per fare il caffè. Controlla che i biscotti fatti ieri siano ancora in alto nella credenza. Tira dentro dalla finestra il pentolino di latte fresco che le hanno portato pocanzi, la voce della ragazza che glie lo ha munto per il piacere di portarglielo è ancora nell’aria . - Comare, vi ho portato un poco di latte, scendete -. - Ma con questo freddo ti metti a fare e venire.- - E se non lo faccio per voi per chi lo devo fare?- Si ricorda che deve scendere nel pollaio a prendere le uova fresche. Sente tre colpi decisi e brevi al portone. E chi può essere a quest’ora. Apre una finestrella e si affaccia a vedere. E’ Carmela la sorella di Ferdinando Raimo. - Carmela che fai a quest’ora, che succede? -Carmela è mezza scarmigliata, si tiene stretti i capelli con una scialle. - Aprite, vi prego, presto. Scendete. Rumore di zoccoli di legno per la scala interna. Scatti metallici di paletti. Il portone si schiude. - Vieni dentro, fa troppo freddo. Vieni con me in cucina vicino al fuoco. Ma che è stato?- - Chiamate Rosa, devo parlare a Rosa subito. Rosa si è svegliata. Esce dalla sua camera con addosso solo la veste da notte lunga di cotone. - Carmela, sono qua, che succede? Ferdinando mi deve dire qualcosa ?- - Dovremo piangere più lacrime che quante anime ci sono in purgatorio, Carmela. Ferdinando è scappato. Le guardie nazionali lo volevano portare soldato coi Piemontesi contro Franceschiello.

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Ferdinando in fuga

Ferdinando, infilata la salita che porta fuori del paese ai boschi, correndo cerca di aggiustarsi addosso i panni che gli sfuggono dalle mani tremanti di paura e di freddo. Supera la Serra e attraverso l’Acqua delle Noci, si arrampica fino al bosco dell’Acqua Mieroli. Nella mente cerca di trovare una strada che lo porti lontano e l’unica possibile è quella che conduce nei boschi innevati del monte Terminio. Ma capisce che nella neve seguiranno facilmente le sue tracce e decide di girare a sinistra verso l’Acqua di Zia Maria, una zona che conosce bene e dove crede che non penseranno mai di seguirlo. Il castagno cavo, nel cui tronco giocava da bambino, lo accoglie ansimante ed infreddolito, si pone la testa fra le mani mentre le lacrime incominciano a scendere lungo le guance, quasi a liberarlo da un incubo che non sembra vero. Torna indietro col pensiero a un periodo che non gli ha lasciato il tempo di capire. Tre anni di soldato a Napoli passati in un attimo e quel ritorno a casa, dopo lo scioglimento dell’esercito borbonico, che lo aveva rinascere. I propositi di sposarsi e il desiderio di quella vanga che al confronto del fucile gli sembrava tanto leggera e calda, poi questo fulmine sulla testa del richiamo alle armi in quell’esercito che gli avevano insegnato a considerare formato da nemici capitali, e l’ordine di indossare quella divisa che nelle esercitazioni di attacco al nemico aveva perforato decine di volte con la baionetta, un fulmine inatteso che gli procurava brutti sogni, paure e ….. le voci salgono da lontano nel silenzio ed un brivido sale attraverso il suo corpo facendogli drizzare i capelli, il cuore sembra impazzito ed un tremore inarrestabile lo assale. Ritorna nell’albero accucciandosi in un angolo e chiude gli occhi aspettando il peggio. Non vuole pregare, ne ha viste troppe in tre anni di guerra ,attende sperando solo che non lo vedano. Le tre guardie nazionali camminano lentamente, infastidite da un incarico di cui avrebbero fatto volentieri a meno. Dei tre, Mattia Picardi come al solito è il più loquace e non smette mai di parlare. La salita gli procura affanno, ma nonostante gli manchi il fiato martella i compagni. - Ma vi rendete conto che adesso siamo italiani? non so che significa ma deve essere sicuramente una cosa buona se in tanti si sono dati da fare per arrivarci. .Pensavo che bastasse essere volturarese per vivere tranquillo, ma se e’ necessario essere italiani per stare meglio, sapete che vi dico? Viva l’Italia". Mio padre non si e’ mai mosso dal paese e ha sempre lavorato la terra, mio nonno la stessa cosa, i o voglio fare altrettanto. Se essere italiani é una cosa buona, ci daranno la terra gratis, se no a che ci serve l’Italia? Garibaldi ci ha portato libertà e mo ci porterà la ricchezza. Quelli che hanno nostalgia dei borboni non li capisco proprio .Fino all’anno scorso chi comandava faceva legge, i don ci trattavano come bestie ed il Capourbano sembrava Napoleone Bonaparte, nemmeno un bicchiere di vino ti potevi fare senza il suo permesso, oggi si parla di libertà e di uguaglianza, di terre e di sementi gratis,e allora ben vengano Garibaldi e Vittorio Emanuele, qui lo si può dire ad alta voce tanto non ci sente nessuno, giù in paese e’ pericoloso pure parlare e come al solito si è subito diviso in due. I Masucci, i Vecchi, i Sarno e i Luciani hanno capito che indietro non si torna e sono passati subito coi piemontesi, mentre i Marino, i Picone e i Pennetti guardano indietro e non accettano la novità.. Stavolta qualcuno fa una mala fine, ne sono sicuro. Prendete questo giovane che stiamo cercando, da quello che ha detto il nostro capitano ha le ore contate, lo vogliono vivo o morto per dare l’esempio. Se lo prendono si fa minimo cinque anni di carcere, poveraccio non vorrei essere nei suoi panni. Ferdinando sente i loro passi allontanarsi e le loro voci perdersi nel fruscio del bosco, si alza e dal cavo dell’albero guarda intorno per vedere se ci sono altre guardie, poi ritorna a sedersi e aspetta in silenzio senza muoversi. Decide che forse non vale più la pena di costituirsi,sentite le parole di quel cretino. Sa che il circondario pullula di giovani come lui, scappati per non arruolarsi soprattutto verso Montella e Acerno e che unendosi a loro può sperare di cavarsela o almeno di ammazzare un paio di Urbani prima di essere preso. Le ore passano lente e solo quando la prima oscurità arriva insieme alla nebbia dal Terminio decide di scendere verso il paese per prendere il necessario che gli serve a sopravvivere sulle montagne. Scendendo verso valle si disseta alla piccola sorgente posta all’inizio dell’Acqua di Zia Maria e guardando l’acqua fredda nel palmo della sua mano pensa che stare in montagna alla fine non è difficile e che qualcosa da mangiare o da bere la si può sempre trovare. Le prime case del paese gli appaiono come qualcosa di ostile, come mai avrebbe immaginato nelle lunghe ore di guardia davanti alla caserma a Napoli. Allora sognava Rosa, pensava alle strette di mano dei suoi paesani in piazza al suo ritorno e a quella domanda ripetuta cento volte senza aspettare una vera risposta: - Allora, Ferdinando che si dice a Napoli?- E lui a rispondere cento volte allo stesso modo: - A Napoli ci sta il re, le navi nel porto, il mare e la regina Carolina. Che volete che si dica a Napoli.- E tutte le ragazzette e i monelli a corrergli dietro a fargli il verso: - Allora che si dice a Napoli, Ferdinando? A Napoli ci sta la Regina Carolina?- E poi tutta la sua famiglia riunita a tavola la sera. Pasta e patate, fagioli, qualche volta un poco di carne e un poco di vino. E ancora Rosa in chiesa la domenica che si gira a guardarlo in mezzo alle amiche. Rosa che è vestita per la domenica, la camicetta ricamata bianca, la gonna rossa, lo scialle nero, le scarpe bianche. Rosa che lo chiamava fuori dalla chiesa in mezzo alle amiche che ridevano. - Ferdinando, ho preso un mozzicone di sigaro in casa, adesso mi devi far vedere che sei un uomo e te lo devi fumare.- Lui non sa che fare, dice che non ha fuoco per accendere, se ne vuole scappare ma le amiche gli mettono in mano i fiammiferi, lo zolfo gli brucia gli occhi e il fumo gli brucia la gola, tossisce, ride come uno scemo. La voce del sergente napoletano lo caccia dal sogno: - Oh, cafone di fuori, ridi come uno scemo col fucile in mano, la guardia del re non deve ridere.- Ma tant’è, ora non può permettersi ora sentimenti e nostalgie che possono determinare la sua fine. Scende nel vallone della Serra e nonostante la nebbia si avvia spedito verso casa sua dalla parte del retro per evitare eventuali brutte sorprese. Giovanni suo fratello se lo vede sbucare dall’oscuro e solo il suo sangue freddo gli impedisce di gridare, con un cenno degli occhi gli fa capire di dirigersi alla stalla che da sul vallone mettendo contemporaneamente il dito sulla bocca per farli capire di stare zitto. Ferdinando esegue l’ordine ed aspetta in silenzio al buio l’arrivo del fratello. - Nannì, la situazione é più grave di quanto pensiamo, ti vogliono usare come esempio per gli altri e non te la perdoneranno. Sentivo i discorsi in Piazza e nessuno, dico nessuno, era dalla tua parte. Non ho trovato una parola di conforto nemmeno da un cane. Tutti hanno paura di parlare e di dire quello che pensano. Il paese e’ stato preso in mano dai soliti che adesso si vantano di essere italiani, quando fino ad ieri erano più borbonici dei Borboni. Maledetti loro e la politica, noi fessi paghiamo per situazioni che non capiamo e che non ci interessano affatto. Sono andato dal Sindaco don Gennaro Vecchi per chiedere perdono facendogli capire il tuo stato d’animo, ma non ha voluto sentire ragioni. Lui che è sempre disponibile e comprensivo mi ha trattato in modo gelido, ha cominciato a fare strani discorsi che non ho capito sul fatto che per essere troppo buono con tutti era stato minacciato di arresto da Avellino. E alla fine mi ha fatto capire che non poteva intervenire a tuo favore, perché il problema era di competenza della Guardia Nazionale e del suo Comandante. Quest’ultimo non ha voluto nemmeno ricevermi, anzi mi ha fatto maltrattare da quell’altro Caino del Capitano, degno figlio del padre, che ha minacciato di arrestarmi solo per il fatto di essere tuo fratello. Siamo rovinati, il paese e’ circondato dalle Guardie Nazionali, noi di famiglia siamo tenuti sotto continuo controllo negli spostamenti da stamattina, la nostra casa à presidiata dalla parte del Campanaro e non so come tu abbia fatto ad arrivare fin qui senza essere visto, figurati che hanno messo le guardie anche davanti la casa della tua fidanzata Rosa per toglierti ogni mezzo di sopravvivenza. Non so che fare o che pensare, dimmi tu come dobbiamo comportarci. Ma Ferdinando sa che il fratello la risposta la conosce. - Quello che mi dici, purtroppo lo avevo intuito. Ma noi Raimo siamo di pasta dura e non caliamo la testa tanto facilmente .Ormai mi resta solo la montagna e la speranza che, come dicono, Franceschiello è alle porte del Regno per riprendersi il trono dei suoi antenati. Solo se tornano i Borbone a Napoli ho speranza di cavarmela e, giuro, mi vendicherò di tanta cattiveria nei miei confronti. Per adesso ho deciso di andare alla macchia aspettando tempi migliori e sono ritornato apposta per prendere il necessario per sopravvivere, andrò verso Montella, se non ci vedremo più, ricordami nei tuoi pensieri e sappi che morirò innocente. Per la scala interna sale al piano superiore e preso il vecchio fucile del padre Sebastiano con un coltello ed un poco di pane di granturco, indossa la sua vecchia cappottella. Tutta la famiglia è gli è intorno in silenzio. Senza parlare abbraccia il padre, sua madre Annarosa, sua cognata Carmenella, un bacio ai nipotini e ridisceso nella stalla con il fratello si allontana nel vallone scomparendo nella notte. I primi giorni gli passano con una strana sensazione di malessere, dovuto allo smarrimento di doversi nascondere senza aver commesso alcun reato, ma l’esigenza di dover provvedere al proprio sostentamento prende il sopravvento e facendo appello a tutte le sue energie decide di andare a stabilirsi sul monte Costa. Per adesso trascorre le notti in un tipico pagliaio di questi boschi, addossato ad un terrapieno, ben nascosto, coperto di zolle erbose fatto a V rovesciata. Come gli animali del bosco impara a nascondersi di giorno e a muoversi di notte. A volte scende fino a valle nelle campagne e qualche gallina ci lascia le penne .I giorni passano lenti ed un mormorio popolare sottovoce incomincia a parlare di un’ombra che vaga per sfuggire ad una giustizia ingiusta. Capiscono tutti e subito di chi si tratta e non c’e’ una masseria che di notte non abbia sull’uscio un pezzo di pane o di formaggio, a volte un salame o una bottiglia di vino. Gli Sembra facile sopravvivere intorno a Volturara guardandola dall’alto e commuovendosi per la semplicità e la disponibilità della sua gente. Ma nonostante l’omertà, le mezze parole e le piccole allusioni mettono in guardia il capitano, che nei suoi frequenti giri per il paese alla ricerca di notizie su Ferdinando Raimo non tralascia nessun indizio o informazione. Intuita la situazione ordina un cordone notturno di guardie nazionali in modo da impedire qualsiasi collegamento tra la popolazione e quello che ormai viene definito il brigante disertore; nello stesso tempo fa seguire ogni movimento dei suoi familiari ed esercita controlli su chiunque va per legna nei boschi. Costretto in montagna il disertore si dovrà arrendere per fame. Ferdinando deve limitarsi a farsi dare il cibo dei lavoranti che salgono alla montagna, ma è ben poca cosa. Le sue improvvise apparizioni con il fucile spianato a fermare i poveracci che vanno a cercare legna nei boschi creano terrore e fughe scomposte, alla fine il magro bottino si risolve in un pezzo di pane e qualche volta nemmeno in quello. In compenso si crea un clima di timore tra la popolazione e fa capire il suo raggio d’azione alle Guardie nazionali. Una situazione insostenibile e pericolosa che lo stesso Ferdinando capisce. Decide allora di allontanarsi da Volturara per un po’ di tempo e prese le ultime provviste si dirige verso l’interno, ai monti del Terminio.

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Il brigante Cicco Cianco

Un paesaggio irreale e freddissimo, una distesa bianca solcata ogni tanto da orme di animali selvatici. Ferdinando passa il tempo a seguirle sulle neve, mentre gli occhi vagano alla ricerca di un luogo dove potersi fermare a dormire. Ha paura dei lupi che a branchi vagano in cerca di cibo e che di notte diventano pericolosissimi. In alto verso la vetta non può andare perché la neve é alta quasi un metro, deve mantenersi nelle zone basse e deve seguire un percorso quasi obbligato per non cadere in uno dei tanti burroni di cui è pieno il Terminio. Sale all’Acqua delle Logge e attraverso la Valle della Rena scende a Verteglia, luogo dove tutti gli sbandati della zona trovano facile rifugio. Un vecchio capanno sembra essere fatto apposta per ripararlo dal freddo e dalla stanchezza del cammino fatto. Vi entra e chiude l’ingresso con della legna trovata all’interno. Si siede per terra con il fucile tra le mani e aspetta la sera che avanza lentamente. Lunghi ululati in lontananza incominciano a squarciare il silenzio e sembrano accerchiarlo nella sua solitudine. Paure ancestrali salgono dalla punta dei piedi e, attraversando con un fremito il corpo, gli fanno pulsare le tempie e scoppiare la testa. Un turbinio di immagini e voci lo sconvolgono e gli fanno ripercorrere, ancora una volta, gli avvenimenti vissuti. Su tutto le parole di suo padre Sebastiano. " Noi Raimo siamo condannati ad essere maltrattati da chi comanda a Volturara, ma ci sarà un giorno in cui in un modo o nell’altro dovranno strisciare come vermi ai nostri piedi; ci odiano perché non caliamo la testa come gli altri pecoroni e sappiamo sopravvivere del nostro, senza calarci il cappello e gli occhi al loro passaggio. Dimenticano che veniamo da lontano e che abbiamo dimostrato di saper morire da uomini e non di vivere da conigli". Ferdinando ricorda gli uomini della sua famiglia che nel corso degli ultimi sessanta anni avevano sfidato il potere trasformista per essere rimasti coerenti con le loro idee e su tutti Aniello Rinaldi, fratello della nonna paterna Camilla e l’ancora vivente Giosuè Raimo, l’unico che e’ riuscito a non lasciarci la pelle e che ha anche fatto il decorione comunale negli ultimi anni, arricchendosi con il commercio di legname. Un tormentato sonno lo libera da tanti pensieri, ma dura poco ed alle prime luci dell’alba infreddolito e preoccupato si affaccia sull’uscio per rendersi conto del territorio. Si lava la faccia con le neve e perde i suoi occhi in lontananza per decidere sul da farsi. Deve procurarsi da mangiare, ma non e’ facile in quella immensa distesa bianca, si sposta verso il basso e con somma sorpresa vede in lontananza una grossa capanna da cui esce un filo di fumo. Non sa che fare,ma non ma deve rischiare, non può restare senza fare niente. Pensa che sicuramente è un rifugio di pastori e che non sarà difficile chiedere e avere ospitalità. Sa anche che non deve mettere paura a chi sta dentro per evitare reazioni sconnesse che possono procurare guai. Decide di dire che è un cacciatore di cinghiali persosi sulla montagna, ma una voce alle sue spalle suona improvvisa e imperiosa. - Ehi ragazzo, che diavolo vuoi, che ci fai qua, chi sei? se non vuoi morire butta a terra il fucile e voltati lentamente. Ferdinando si irrigidisce nella paura e butta il fucile a terra il fucile alzando le mani in alto come per arrendersi, non vuole morire. Si volta e vede che non sono le guardie nazionali, come aveva pensato, ma tre individui sconosciuti dall’aria decisa. .Incomincia a balbettare qualcosa, ma come risposta riceve il calcio di un fucile nel fianco e l’ordine di stare zitto e di seguirli. Si avviano lentamente verso la capanna con Ferdinando che incomincia a capire di avere a che fare con dei briganti che sicuramente lo uccideranno senza pietà. Decide di aspettare la fine con fermezza, anzi nella sua mente incomincia a farsi strada l’idea che forse è meglio farla finita piuttosto che continuare a vivere in quel modo. Lo spingono nella baracca e la scena che vede lo lascia interdetto. Un fumo che toglie il respiro e ,intorno al fuoco, sul quale bolle un pentolone pieno di carne, cinque personaggi strani con barbe lunghe sotto cappellacci a falda larga con pistole alla cintola e pantaloni alla zuava ficcati dentro gli scarponi pieni di chiodi alla base. Quello che sembra il capo incomincia a ridere e, battendo tutte e due le mani sulla schiena del suo vicino prende in giro i nuovi arrivati. - Imbecilli, io mi aspettavo un cinghiale o una lepre. E voi che mi portate ? na’ pagliuchella, una pagliuzza, di uomo .Ma dove lo avete preso? invece di ucciderlo me lo portate qua in pompa magna? venticinque volte cretini, abbiamo tanti problemi e voi invece di risolvere, me li aumentate. Fosse almeno uno ricco, ne avremmo ricavato qualcosa, ma da come si presenta questo mi sembra un pezzente e pure fesso. - Era armato, Ciccocià, risponde uno dei tre, e non potevamo sapere chi era e dove andava con questa neve. Poi rivolto a Ferdinando, continua. - Pagliuchè ora devi dirci tutto, chi sei ,da dove vieni e dove stavi andando, se vuoi continuare a campare. Il giovane racconta la sua storia con aria grave di uno che sa di essere arrivato all’ultima stazione della vita si aspetta qualche azione feroce da questi briganti. Ma il racconto e l’aria impaurita di Ferdinando hanno messo tutti di buonumore. La risata è generale e fragorosa. Cicco Ciancio seduto su di uno sgabello, alza la mano e provoca il silenzio - E bravo lo toralese. Sei coraggioso e scaltro. Puoi restare con noi a combattere le guardie e i carabinieri. Pagliuchè, ti metteremo però alla prova e se non sei buono ti sparerò io alle spalle. Adesso riscaldati al fuoco e mangia con noi. Oggi si può, domani chissà. Ti premetto che i volturaresi mi stanno sulle scatole perché sono ignoranti e cafoni, ma tu puoi servirci per agire sul tuo territorio che conosciamo poco. Da oggi sei anche tu un brigante, pensi di esserti salvato, ma da oggi riperdi di nuovo la tua vita, perché come noi non farai una brutta, ma una bruttissima fine. La nostra è una via di non ritorno che si concluderà nel sangue, ma prima di distruggerci la dovranno pagare cara. Il territorio ci protegge, da qui a Calabritto abbiamo venti rifugi, e finché c’é guerra da qualche parte ci lasceranno tranquilli, ma se cade Gaeta come si dice in giro e i Piemontesi prendono il potere in mano definitivamente, abbiamo poche speranze di salvarci. La voce nei paesi dice che una flotta inglese è pronta a sbarcare a Manfredonia e a Gaeta, dobbiamo sperare in un miracolo che forse non si verificherà mai. D’altronde gente come noi è considerata da tutti carne da macello da eliminare perché costituiamo un pericolo per la tranquillità dei galantuomini e chiunque comanda per prima cosa tenderà ad eliminarci. Ma prima che ci eliminino completamente dobbiamo farli tremare di paura e dobbiamo succhiar loro il sangue fino alle ossa. Continueremo a rapire i più ricchi e solo se ci pagheranno li rilasceremo. Il mio sogno è di andare a morire di vecchiaia lontano da qui. Se avremo tanti soldi potremo scegliere: o ci compreremo il potere e ce ne stiamo qua liberi, o scapperemo in qualche altro mondo che sia più ospitale di questo. Si dice che nelle Americhe c’e’ posto per tutti e libertà di fare tutto quello che uno pensa e vuole, senza che nessuno gli chieda conto del passato, senza ricordi. Se fosse vero sarebbe proprio una bella cosa. Ma basta con le chiacchiere, caro Pagliuchella, benvenuto in mezzo a noi e che Dio te la mandi buona. Per un’altra ventina di giorni pensiamo a mangiare e a divertirci, poi verrà la primavera e penseremo sul da farsi. Entreremo in guerra con tutti e chi si mette contro di noi vuol dire che avrà vita corta.

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Disgelo

Volturara, nascosta dal monte Costa, sembra celarsi agli sguardi dei briganti come a difendersi da eventuali attacchi, presa come e’ da avvenimenti straordinari che forse possono cambiare il suo futuro. Sono i giorni in cui Alessandro Picone gira per il paese a smuovere i giovani contro lo straniero che si è impossessato del Regno delle Due Sicilie ed a fomentarli contro quei notabili che saltando sul carro del vincitore si creano un’identità italiana considerando nemici tutti quelli che non vogliono il nuovo ordine di cose. La primavera arriva in tutto il suo splendore in un territorio che si prepara a vivere avvenimenti inattesi e drammatici, come del resto in tutto il Regno.

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E adesso che succede?

In paese ci si interroga sugli eventi, chi sono questi Piemontesi, questi Italiani? Sarà come con i Francesi, alla fine torneranno i Borbone e ci saranno vendette e persecuzioni? La grande maggioranza della popolazione di Volturara sono contadini che non sanno leggere e scrivere,e stentano a mettere insieme i miseri pasti tutti i giorni. Possiedono a volte un piccolo pezzo di terra ingrata, più spesso solo le proprie braccia. La vita per loro è fatica niente altro che fatica. La loro partecipazione a questo 1860-61 è spesso passiva, certo non mossa da ideali. I contadini di Volturara Irpina sono cresciuti nel rispetto e nel timore di Franceschiello Borbone, si toglie il cappello davanti ai notabili, li chiama perfino eccellenza. Sopporta soprusi e miseria. È di animo aspro e ospitale nello stesso tempo. Segna una vita senza fame e può nascondere nel profondo dell’anima nei confronti di quelli che mangiano carne e bevono vino quando ne hanno voglia. Sono forti lavoratori con grande spirito di sacrificio. I Piemontesi non capiscono e non sono interessati a capire questa gente. Ottusi generali sabaudi a cui i soldati per vincere una battaglia non bastano mai, hanno fatto di Ferdinando Raimo un brigante, quando bastava mandare un sacco di farina al suo matrimonio con Rosa per farne un buon italiano. Per cacciare Franceschiello dalla Fortezza di Gaeta non c’era bisogno di venire a prendere Ferdinando a Volturara, con gli ufficiali borbonici che non aspettavano altro che andarsene a casa o passare coi Piemontesi. Nel 1861 veniva fatta l’Italia, l’Italia sbagliata. E’ poco più di una annessione geografica. I Piemontesi non sono venuti in realtà a fare l’Italia, sono venuti a prendersela, meglio a farsela mettere in mano dall’Ammiragliato Inglese, che ha bisogno di una piccola potenza amica tra le Alpi e il Mediterraneo. Franceschiello di Borbone peraltro ha fornito ottime scuse per la sua cacciata durante tutto il suo corto regno. I Borbone forse non sarebbero stati cattivi sovrani, se non fosse stato per lo stato pontificio confinante, che ha messo una cappa nera sulla circolazione delle idee e sulle iniziative. Difficile confrontare l’economia del Regno delle due Sicilie con il resto d’Italia, a forme di estrema povertà specie in campagna fanno da contrasto la ferrovia Napoli –Portici, la prima in Italia in ordine di tempo e la Scuola di Artiglieria e del Genio la prima in Italia in ordine di qualità. Napoli non è Manchester di sicuro, ma è una città industriale più di Milano e Torino. I contadini sono sporchi e muiono di fame ma non è che nelle campagne del lombardo-veneto dell’impero Asburgico ci sia la doccia in casa e si mangi filetto: polenta quando c’è. Purtroppo a Teano con Garibaldi non si incontra Federico II di Svevia ma Vittorio Emanuele II di Savoia, che del re ha solo due caratteristiche: è nato nella culla giusta e va a caccia quasi tutti i giorni.

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Il brigante Pagliuchella

Sul pianoro di Verteglia la vita dei briganti si svolge secondo un rituale consolidato. Pattugliamenti a due o a tre per controllare il territorio ed impedire che le guardie li sorprendano all’improvviso. Con l’arrivo di quello che ormai tutti i briganti montellesi chiamano Pagliuchella, i pattugliamenti arrivano a spostarsi fin sotto l’Acqua delle Logge in territorio di Volturara e a volte fin al Cretazzuolo, da dove si vede splendere in basso tutta la bellezza selvaggia del lago Dragone pieno d’acqua e di uccelli di ogni tipo. Pagliuchella impara in breve tempo l’arte della guerriglia e degli spostamenti nelle montagne. Capelli lunghi su una folta barba nera, cappellino con visiera sulla fronte, camicia aperta sul petto e pantaloni infilati in stivali da soldato borbonico, cappottella corta sempre aperta: nemmeno suo fratello Giovanni lo riconoscerebbe con quel fucile sempre in mano e la pistola alla cintola. La voglia di rivedere la sua famiglia e la sua fidanzata è come una lama nel cuore che sembra piegarlo, ma la paura che i suoi familiari possano essere maltrattati per la sua fuga come complici lo frena. Ferdinando Raimo è morto, ingiustamente, ma è morto. Egli è ormai per tutti Pagliuchella ed i volturaresi dovranno imparare a conoscerlo bene a loro spese. L’unica vendetta è uccidere, senza essere riconosciuto da testimoni, il più possibile di quelli che si sono resi responsabili delle sue sventure. All’occasione solo due parole prima di sparare, sono Ferdinando Raimo, mi conosci?. Chi semina chiodi, dovrà camminare con le scarpe di ferro, pensa, guardando con penosa sofferenza dalla sommità del Monte Costa la piazza di Volturara sotto di lui in quella fresca mattinata di fine marzo del 1861. Le persone sembrano piccoli punti che si muovono avanti ed indietro nel passeggio abituale e dai movimenti che compiono gli sembra di riconoscerli tutti. E’ Pasqua, ed un coro di voci e suoni sale alle sue orecchie come un vento tiepido procurandogli sensazioni struggenti. Sono le voci e il rumore del popolo che si prepara alla festa e che nelle sue molteplici e diverse componenti si unificano in una armoniosa melodia che si innalza sulla vallata e si disperde nel vento. Pensa a Rosa, ormai persa, che oggi gli avrebbe portato il canestro pieno di taralli, salami e formaggi, secondo l’usanza,e a sua madre che dopo la messa avrebbe preparato il sugo pieno di carne,così saporito, e nel quale lui avrebbe calato il pane di nascosto prima di pranzo sapendo che ella lo avrebbe sgridato benevolmente. Cicco Ciancio gli mette la mano sulla spalla distogliendolo dai suoi pensieri, gli parla e parla anche a se stesso. - Ragazzo così muori prima del tempo, devi uccidere il tuo cuore, noi lo abbiamo fatto da tempo e stiamo bene. Per tutti siamo bestie animalesche e come tali dobbiamo comportarci. La legge della sopravvivenza ci impone di pensare solo a noi stessi, se no ci fottono, e io non voglio morire per far fare bella figura a chi rappresenta la legge e la legalità ma poi uccide più di noi. Ho ucciso e non merito pietà, me ne fotto di Garibaldi e di Franceschiello, voglio solo restare vivo e sarei capace di uccidere tutti i tuoi compaesani ad uno ad uno per restare vivo. Se non capisci questo vattene da noi, so già che ti prenderanno in due ore e vedrai che ti squarteranno se possono. Ferdinando è rasserenato, si sente persino di contraddire il capo-brigante. - Ciccocià, ti sbagli, i volturaresi non sono così cattivi come li dipingi, sono solo mi-faccio-il-mio-interesse. Io sto pagando perché appartengo alla classe dei fessi. Come me hanno già pagato altri ed altri ancora a venire saranno sacrificati agli interessi di chi comanda. I cascettoni della Piazza devono, per mantenere il potere, dimostrare la loro adesione al nuovo governo e se non ammazzano qualche fesso come me nessuno gli crede. Ho sentito dai racconti di mio padre che si stanno scannando tra di loro, pur di restare a galla, personaggi che sei mesi fa parteggiavano per i borboni e che oggi sembrano essere nati italiani da sempre. Mio padre racconta che cinquanta anni fa era la stessa cosa. Nel 1814 qua sotto la Costa per conto dei Francesi uccisero e decapitarono Cicerone che aveva il solo torto di non volere andare a combattere per un esercito che considerava nemico. Luigi Solito di Sebastiano, questo era il suo nome, aveva vent’anni e non capiva niente di politica, lo costrinsero diventare preda, cioè brigante, e poi gli tagliarono la testa, insieme ad uno di Paternopoli per dimostrare la loro fedeltà a Napoleone, mentre i loro amici con imbrogli non partirono mai per la guerra. I bussolotti per estrarre i nomi di chi doveva andare soldato contenevano sempre gli stessi nomi oppure leggevano nomi che inventavano al momento, tanto chi di noi sa leggere? Io sognavo la zappa e Rosa, mi hanno dato il fucile e con quel fucile mi ammazzeranno. Giusto trent’anni fa un altro Ferdinando Raimo, come me, passò lo stesso guaio. Era un lontano parente della mia famiglia e da piccolo sentivo raccontare spesso questa triste storia. Lo fecero partire al posto di un altro, parente del Capourbano don Mattia Marino il notaio e del Sindaco di allora che era Giuseppe Luciani, il padre di quel fetente di don Vincenzo Luciani, il capitano che mi sta dando la caccia per farsi bello. Ferdinando Raimo pagava per il padre Giosuè, brigante del primo Ottocento, poi riabilitato, il quale fece ricorso al Sindaco, al Sottointendente e all’Intendente della Provincia di Principato Ultra, come si chiamavano allora, ma senza risultato. Dovette partire nel 1831e morì l’anno dopo nell’Ospedale militare di Napoli. Un velo di lagrime solca gli occhi di Ferdinando mentre parla. Cicco Ciancio ponendogli il braccio intorno alle spalle lo fa voltare per distoglierlo da quel panorama che gli procura dolore e sofferenza. E’ commosso da quel ragazzo bravo di cuore che non riesce a superare lo scoglio tra i sentimenti e la durezza della realtà, istintivamente gli vuole bene perché gli ricorda quando, e non è passato troppo tempo, anche egli era di buoni sentimenti e non la belva che le cose della vita e gli uomini avevano creato.

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Rosa

- Figlia mia bella, tu così ti distruggi e ci fai morire anche a noi. Devi avere fiducia, ma per ora ti devi rassegnare. Le cose vedrai piano piano vedrai che si aggiustano. Adesso vieni a mangiare qualche cosa di buono, che se Ferdinando ti vede così non ti si piglia più.- E’ la madre, sono le zie, sono le vicine di casa che parlano così a Rosa. Rosa piange, non vuole uscire, vuole stare sola nella sua stanza, non vuole mangiare. Rosa esce solo di casa ogni mattina per andare in chiesa accompagnata da qualche amica. Le guardie, le spie fanno finta di non vederla e cercano di non farsi vedere. Rosa in chiesa col capo coperto dal velo nero singhiozza, guarda la Madonna, implora, promette, fa voti. Quando Rosa è fuori in chiesa sua madre non nasconde la disperazione e l’odio. - Proprio a questa povera figlia mia bella doveva capitare questa disgrazia, questa infamia. E’ un fiore e me la vogliono far morire, ma la devono pagare maledetti. – Sussurri, saluti. Rosa è tornata a casa. Le braccia della madre sono aperte come il suo sorriso. - Rosa ,figlia mia, vieni qua, guarda chi è venuto a trovarci, è comare Ersilia che ti vuole guardare la sorte nei fondi del caffè. – Rosa a queste cose ci crede e non ci crede, ma non vuole offendere sua madre e la comare che pur sempre ospite. La predizione del futuro da parte di comare Ersilia è scontata. - Vedo un bel giovane, col fucile, è vestito con l’uniforme da soldato dei Borbone. Sorride e bussa a questa porta. Vedo una chiesa piena di fiori, una bella carrozza con due sposi che va a Napoli.- La madre di Rosa interrompe comare Ersilia per evitare che la previsione diventi troppo ottimistica. - Lo vedi Rosa, la sorte tua è buona, ti sposerai presto a Ferdinando. Tuo padre e io ci venderemo le fedi e le lenzuola per mandarti in carrozza a Napoli in viaggio di nozze. Ma adesso vieni a mangiare qualche cosa.- Rosa sorride, dice di si, ma si stringe lo scialle alle spalle e china la testa. Per sei volte dal 1799 al 1861 i Borbone sono cacciati da Napoli o costretti a fare concessioni ai liberali. Per sei volte tornano o si rimangiano tutto. Ma non la settima, la settima volta finisce la dinastia dei Borbone e il Regno delle Due Sicilie. Per sette volte ci sono scontri tra fazioni e intervento di truppe straniere. Per sette volte si profila la possibilità di entrare nell’Europa moderna, e l’occasione più bella e rimpianta è quella del 1799 quando per poco tempo Napoli è una repubblica indipendente, senza preti e re, guidata da una classe illuminata ma forse non abile a navigare negli affari politici. Per sette volte a Volturara Irpina, tra il 1799 e il 1861, ci si può svegliare brigante e andare a letto notabile o possidente.

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1 Aprile 1861

Alessandro Sarno sa che se non si muove lui la tradizionale scampagnata di Pasquetta si risolverà in niente e sarebbe un vero peccato non godersi l’ultimo giorno di vacanza prima di tornare a Napoli a studiare. Questa Pasquetta é certamente particolare, viverla da italiano e’ un’esperienza unica ed entusiasmante. Mentre scende per il Campanaro dirigendosi al Freddano a chiamare l’amico Vincenzo Pasquale torna con la mente agli avvenimenti degli ultimi mesi. Come dimenticare quel 7 Settembre 1861 a Napoli ? non aveva chiuso occhio per tutta la notte, e la finestra lasciata apposta aperta porta l’eco dei colpi di cannone in lontananza. Le notizie che circolano negli ambienti universitari circa l’arrivo di Garibaldi a Napoli trovano conferma, infatti a prima mattina sarebbe arrivato a Palazzo Reale per prendere possesso della città. La scena del dittatore che percorre le vie tra ali di folla gli rimbomba nella mente e gli procura ancora brividi di entusiasmo e di determinazione. Alessandro Sarno è imbevuto di idee progressiste e liberali come una spugna nuova. Si sente Bruto che pugnala Cesare il liberticida e Giuseppe Mazzini esule incompreso. - Come e’ possibile che esistano persone incapaci di capire la portata di questo momento che sicuramente resterà nei secoli come espressione di libertà e di democrazia? Il martirio dei fratelli Bandiera,di Carlo Pisacane trova la sua esaltazione nella fuga definitiva del despota e tiranno Franceschiello. Quando io venni al mondo, nel primo Dicembre del 1842 in Volturara Irpina, su questo antichissimo territorio della Sabazia distrutta dal ferro romano regnava ancora la Santa Alleanza dei Potentati della Terra, e la ragione umana,che distingue l’uomo dal bruto e lo avvicina a Dio, non aveva posto tra gli uomini! Il Diritto era la forza, e la violenza legalizzata ridotta a sistema di governo. Il Dovere era l’ubbidienza al più forte. La Morale una sfacciata ipocrisia. La Giustizia rifugiata in cielo in grembo a Giove di là da venire. Tutto lo scibile umano, l’educazione e l’istruzione, veniva impartita dai Preti, nelle Scuole Pie e nei Seminari Diocesani. ed ai preti era ancora confidata la Polizia di Stato. La indagine del Perché di tutte le cose e del mondo nel quale si vive, una ricerca senza la quale l’uomo non può vivere e cesserebbe di esistere, costituiva un Delitto, ed era punito con la morte civile dell’individuo, assai più feroce dell’antica schiavitù pagana. La fine del Re Bomba con il suo governo, che era la negazione di Dio, dovrebbe essere salutata con esultanza, invece resistono rimasugli del passato che vogliono bloccare il progresso e l’avanzata delle nuove idee di libertà e di pace sociale in nome delle quali tanti uomini hanno immolato la vita.- Qualcuno stava seguendo il nostro idealista, con un sorriso scettico e divertito - Sei sempre il solito sognatore, don Alessandro, - la voce di Vincenzo sembra provenire da lontano, e lo riporta alla realtà di un mattino tranquillo e freddo. - A che stai pensando, a Garibaldi o a Mazzini? Lo so che sono i tuoi eroi, i tuoi chiodi fissi, ma per oggi lasciali in pace, falli riposare tranquilli. Piuttosto dobbiamo fare le ultime spese perché manca il pane e il castrato per il pranzo. Ho fatto preparare la carrozza di mio padre, metteremo tutto dentro, perché Tortoricolo è lontano e a piedi non ci voglio arrivare. Gli altri della comitiva tardano e come al solito devo pensare a tutto io, poi mi diranno che sono pignolo e pedante.- - Caro Vincendo, amico mio, sei l’unico che mi capisce in questo paese di incolti e maligni. Un uomo come te è sprecato a perdersi in un posto come questo. Devi avere il coraggio di andartene ed aprire una farmacia nella capitale, voglio dire ex capitale, a Napoli.- - Alessandro, non aprire una ferita che sanguina e duole. Sai benissimo le sventure di mio padre. E’ dal 1850 che e’ controllato dalla polizia ed in questi 10 anni e’ stato maltrattato, vituperato, ammosciato dai quei quattro cascettoni della Piazza, che mal sopportavano il suo buon cuore, la stima che il popolo aveva nei suoi confronti. Lo hanno preso di mira nel suo lavoro, nelle sue proprietà. Quanti processi ha dovuto subire. Oggi non abbiamo nemmeno gli occhi per piangere e se riuscirò a laurearmi in Farmacia è frutto di sacrifici immani. D’altronde quante volte hai dovuto tu pagarmi il teatro a Napoli o una cena in qualche ristorante di Posillipo. .Anche tuo padre Salvatore è stato maltrattato dai Masucci e dai Vecchi, ma per fortuna è riuscito a mantenersi le proprietà, anzi l’appartamento che ti ha comprato in via Duomo a Napoli ti servirà per la futura professione di avvocato, te lo meriti perché hai tutte le qualità per arrivare nel difficile mondo della giurisprudenza. Ma bando alle chiacchiere oggi mi voglio proprio divertire e non pensare a niente. Ho contato siamo in diciotto alla scampagnata, non manca proprio nessuno. Si avviano speditamente al Freddano a preparare gli ultimi ritocchi per il pranzo di Pasquarella. -

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Arrivisti e liberali

Qualcuno li ha guardati passeggiare e appare preoccupato e pensieroso. Dietro la finestra della sua cucina, don Nunzio Pasquale, padre di Vincenzo, ha l’aria di chi le ha viste tutte, ma il suo sguardo corrucciato prelude a situazioni gravi e piene di incognite. Ci si può liberare di tutto ma non dei ricordi. E’ la stessa scena del ‘48, ampliata mille volte. Allora i Borbone avevano fatto finta di cedere alle richieste di riforme ed una nuova ventata di ottimismo aveva percorso le strade del Regno delle Due Sicilie. Ma era stato fuoco di paglia. Se lo ricorda bene, don Nunzio, perché era Sindaco proprio dal ‘48 al ‘50, anno in cui comincio la repressione che lo investì in pieno. I Borbonici spinti dalla paura o dalla furbizia avevano finto e promesso di far sbocciare il fiore della libertà, poi avevano tagliato i gambi. Più lo avevano fatto parlare più lo avevano punito, più si era dimostrato liberale più lo avevano perseguitato. Quegli infami se li era scrollati di dosso solo col decreto del Luglio° 1860, dopo 10 lunghi penosi anni. Oggi i Borbonici sono rintanati nella Fortezza di Gaeta, circondati e pare senza scampo. Ma i Borbone sono duri a morire, magari ritorneranno e più feroci di prima, come nel 1799 dopo la sconfitta dei Francesi da parte delle bande del Cardinal Ruffo, o nel 1815 alla caduta di Napoleone. Saremo perseguitati e derisi ancora ‘Se i fur cacciati ei tornar d’ogni parte e l’una e l’altra fiata / Ma i vostri non appreser ben quell’arte. ’ Sarà una bagno di sangue, forse si salveranno solo i soliti camaleonti. Suo Giacomo Antonio, che aveva iniziato la stirpe di farmacisti, aveva intuito l’evolversi della situazione ai suoi tempi e prevedendo il ritorno di Ferdinando aveva aborrito i francesi, ricevendo poi dal Sovrano la nomina di Sindaco dal 1817 al 1820. Sotto il suo Sindacato erano iniziati i nuovi movimenti liberali che facevano capo a don Luigi Di Meo, il dottore, e a Domenico Benevento, l’avvocato e che erano sfociati nei moti carbonari del 1820. Erano giovani liberali che lui, don Nunzio, appena quindicenne, idolatrava e che rappresentavano i punti di riferimento delle sue idee. Chiama la serva Anna, come a scuotersi dalle sue riflessioni, e la manda ad avvertire don .Salvatore Sarno, il padre del giovane Alessandro che c’erano stati dei strani movimenti di ex soldati borbonici sbandati e renitenti alla leva verso Cruci e che stesse attento, come Ufficiale della Guardia Nazionale, a far pattugliare il territorio in quel giorno per evitare guai ai figli che noncuranti del pericolo volevano passare una giornata allegra in compagnia degli amici. Mentre, dalla finestra osserva la donna che si avvia verso la Piazza incrocia con lo sguardo Alessandro Picone che sta ritornando a casa ed istintivamente cala gli occhi per non salutarlo. Non lo odia, ma sa che sta sbagliando di grosso ad accanirsi contro il Nuovo Ordine di cose che ha portato all’Unità d’Italia. Tipico volturarese analfabeta e arrampicatore che non si cura di diventare italiano e liberale, ma guarda solo agli interessi spiccioli ed immediati. Possidente ma incolto, capace ma improvvido e istintivo. Se avesse avuto voglia di studiare, e qualche anno fa poteva permetterselo, avrebbe capito che solo nella cultura c’è il progresso e nel progresso la libertà dall’assolutismo borbonico e dalle aberrazioni della Polizia. Invece oggi è il fautore del passato regime credendolo nuovo ed è pericoloso per se e per gli altri. Dio non voglia il ritorno di Franceschiello, questo vorrà fare il Capourbano e userà i moschetti al posto della vanga. E’ come i Rinaldo di cinquant’anni fa e i Marino di trent’anni fa. Riesce a vedere fino al ponte del Freddano e l’animazione che c’e’ in piazza, gli fa capire che è meglio rimettersi vicino al fuoco a fumare la pipa, senza pensare a nulla, distaccandosi da una realtà che gli crea solo sofferenza. E’ una giornata strana, in cui si intrecciano situazioni diverse in un momento storico particolare. Le voci di una possibile rivolta popolare imminente mette in movimento tutte le guardie nazionali che perlustrano il paese agli ordini di don Leonardo Masucci, don Salvatore Sarno e don Vincenzo Luciani. La tensione è palpabile negli sguardi di tutti . Ognuno evita qualsiasi tipo di provocazione tra gli opposti schieramenti che possono sfociare da un momento all’altro in alterchi o scontri fisici difficili da controllare. Qualche scalmanato prendendo coraggio inveisce contro il posto della Guardia Nazionale, ma gli ordini da Avellino sono di non rispondere a nessuna provocazione verbale per non far degenerare una situazione che non assicurerebbe un intervento militare immediato per mancanza di uomini. I campagnuoli sembrano estranei allo svolgersi degli eventi, ma si sa che sotto sotto tutti hanno caricato il fucile o per attaccare la Guardia Nazionale o per difendersi da attacchi improvvisi di sbandati che girovagano senza meta e senza cibo.

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L’ora dei lupi

Stanotte o domani ci potrebbe essere l’ora in cui nessuno comanda, l’ora dei lupi: in fuga le Guardie Nazionali le truppe Borboniche non ancora in arrivo, chi ha subito offesa potrebbe alzare il fucile tirare, quasi certo di restare impunito. Per questo si sta riuniti in branchi o non si esce di casa. La notizia che in mattinata a Montella in pubblica piazza Cicco Cianco ha ucciso un compaesano che aveva avuto il solo torto di contraddirlo, senza essere arrestato, fa intuire ai filoborbonici le enormi difficoltà in cui si trovano le Guardie Nazionali che hanno paura e pensano solo a salvarsi la pelle in un clima di incertezza assoluta. La riunione tra gli ufficiali nel posto di guardia serve a creare un piano di ordine pubblico per la giornata che si presenta di difficile controllo, prima di raggiungere le famiglie che non vogliono rinunciare alla scampagnata, senza curarsi o forse senza nemmeno capire troppo i pericoli incombenti. Don Leonardo da le ultime disposizioni organizzando una decina di pattuglie che gireranno per il territorio, con un occhio di riguardo per le zone a rischio, dove stazioneranno alcune guardie armate. Precisamente alla Masseria Vecchi, dove pranzeranno il Sindaco ed i familiari, a Cruci alla Masseria Masucci e a Tortoricolo dai Pasquale dove si incontrano tutti gli studenti del paese. L’ordine é di sparare in caso di attacco armato, di non rispondere alle offese verbali e di non accettare di bere vino nel controllo dei gruppi di gitanti. Le persone che passano in piazza chinano la testa come a non salutare e, alla domanda di qualche esagitato filoborbonico che chiede loro " viva a chi?", la risposta ricorrente e’ " viva a chi comanda", con una sorta di rassegnazione e di paura. Non ci si vuole compromettere neanche con un saluto dato o negato: è troppo pericoloso quando non si conosce il nome del vincitore. Pochi sono quelli schierati apertamente e le provocazioni innescano scene preoccupanti di invettive e maledizioni reciproche. Solo la paura verso gli ufficiali che sono conosciuti come caratterialmente terribili serve da deterrente a situazioni che sembrano esplosive. La paura di essere arrestati per offese allo Stato mantiene una calma apparente, ma pericolosa. Solo il crocchio di giovani che si sta formando sotto la Teglia sembra estraneo agli eventi per il brio dei discorsi e per le risate che ogni tanto rimbombano nell’aria. Tra gli altri ci sono Alessandro Sarno, Vincenzo Pasquale, Achille e Annibale Masucci i figli di don .Leonardo, poi Bernardino Luciani cugino di don Vincenzo Luciani, e Generoso Benevento. In quel mentre arriva dalla Pozzella Gioacchino Benevento, il dottore, che era andato a visitare il collega Pasqualino ormai in condizioni di salute disperate, che riferisce loro che gli altri amici hanno preferito andare dai Pennetti, nella loro masseria di Sorbo Serpico, su consiglio dei genitori. L’atmosfera s’incupisce e si intravede qualche muso lungo. - Maledetta politica, nemmeno oggi ne saremo esenti, c’era da immaginarselo che non li avrebbero mandati con noi. I rancori tra i nostri genitori pesano sempre sulle nostre scelte, nostro malgrado- , la voce di Achille Vecchi, il fratello del Sindaco sembra rotta dall’emozione.- Oggi volevo ubriacarmi per dimenticare le tante sofferenze di questi ultimi tempi e non pensare al povero Pasqualino, ma vedo che sarà difficile.- - Non ti crucciare più di tanto -, gli risponde Alessandro-. Andremo lo stesso a divertirci, alla fin fine lo sapevamo che potevano anche non venire con noi. Negli ultimi tempi, a Napoli, hanno fatto sempre gruppo a parte e poi, chi se ne frega, chi c’è c’e’ e chi non c’è non c’è.- Con la comitiva di Sorbo sono andati altri giovani, Pietro Antonio Pennetti, Alfonso e Mattia Marra e quel rompiballe di Vincenzo Santoro, il figlio don Mariano, l’impiegato comunale. I conti tornano, sono tutti filoborbonici fottuti ed hanno come ospiti anche Achille De Cristofano, il farmacista e suo fratello Ferdinando, l’avvocato, i quali manco a farlo apposta non hanno firmato al plebiscito del 20 Ottobre scorso e che fanno come al solito doppio gioco: sembrano italiani, ma in cuor loro sono seguaci di Franceschiello. I Pennetti stavolta nessuno li perdonerà, hanno vita corta a Volturara. Vincenzo, il segretario comunale e suo nipote Gerardo, ma l’avvocato De Cristofano soprattutto, si sono fatti tutti nemici che appena le cose si acquieteranno gliela faranno pagare cara. Lo stesso Mariano Santoro, non sottoscrivendo il Plebiscito di annessione ha le ore contate, già si sente in giro che presto lui e Vincenzo Pennetti saranno licenziati dal Comune.

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La notte prima del 5 aprile

Quando si fa buio una mano febbrile apre l’anta di uno stipo ripieno di barattoli, si allunga nel sottosquadro di un muro che cela un foro, il braccio si contorce e si allunga all’interno della parete per il foro, attimo di panico, le dita si serrano come una artiglio rapace sulla preda nella tana, poi un profondo sospiro: il rotolo di monete d’oro nella calza è al suo posto. Le famiglie e pochi amici fidati si riuniscono attorno al camino. Più tardi, a notte, gli sposi stanno più vicini nel grande letto con i materassi pieni di stoppie fruscianti. Il giovane sposo liberale e idealista confida i suoi sogni alla fresca sposa, che non capisce ma lo asseconda e gli accarezza la fronte. - Questo è il momento buono per te devi diventare importante. Chi se lo merita più di te? Ma io per me darei contenta anche così.- La moglie orgogliosa e ambiziosa, carica di odio invidia e rancori, sollecita vendetta al pavido sposo stanco e impaurito. -Tu a quello lo devi ammazzare per tutto quello che ha fatto alla mia famiglia -. Il tono di voce è un ferro rovente rosso e bianco, lascia intravedere una notte di piaceri e sottomissioni dimenticati se lo sposo mostrerà finalmente coraggio.

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