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LA LEGGENDA DI PIETRO BAIALARDO

di: Antonietta Lallo, Racconti della mia terra, editrice Montedit, 2000

da: http://www.club.it/autori/libri/antonietta.lallo/romanzoincipit.html

Sono vissuta per gran parte della mia vita a S. Marco in Lamis, paese del Gargano situato in una conca ai piedi del monte Celano, un tempo coperta da paludi e luogo di sosta obbligata per i romei (pellegrini) che da S. Severo si recavano alla grotta dell'Arcangelo. Paese tristemente famoso durante la lotta al brigantaggio. Gli abitanti vivevano nell'indigenza, mangiavano polenta o patate per l'impossibilità di coltivare il grano in quelle zone brulle; il pane compariva raramente sulla mensa. Alcuni arricchivano improvvisamente per aver trovato marenghi d'oro nascosti dai briganti durante la fuga. Vi fiorirono varie leggende, tra queste quella di Pietro Baialardo. Era costui un poveruomo che possedeva una casupola fra le rocce lungo la strada che da S. Marco conduce a S. Nicandro. Tutto il giorno si rompeva la schiena zappando quelle poche zolle di terra che gli appartenevano; lavorava per sopravvivere, tornando al paese ogni settimana per rivedere la famiglia. La sera, nell'oscurità assoluta che circondava la sua casetta, sostava sulla soglia a guardare il cielo e pensava con lacerante nostalgia al dolce amplesso della consorte nel pur misero letto della sua casa. Una notte, particolarmente ossessionato dalla solitudine, disse quasi tra sé: "darei l'anima al diavolo per ritrovarmi in questo momento con mia moglie". Immediatamente la casupola s'illuminò a giorno, e tanti esseri dall'aspetto umano gli si presentarono, chiedendogli se era disposto a pattuire la sua anima in cambio della felicità. Il povero Pietro accettò, ed ebbe in pegno un libro aprendo il quale la potenza infernale si metteva all'istante a sua disposizione. Cominciò così la meravigliosa avventura delle sue visite serotine alla moglie, che non riusciva a capacitarsi di tale cambiamento di vita. Decise di vendicarsi di tutte le oppressioni e ingiustizie subite da parte dei potenti e divenne un incosciente assassino. Non voglio raccontargli episodi di efferatezza compiuti, ma narrare una sua avventura durante la quale alla rapina unì la beffa. Sul far della notte, Pietro preparò dei fantocci armati e li dispose in ordine su di un rialzo del terreno lungo la strada che avrebbe percorso un Monsignore. Si appostò a una ventina di metri dai suoi fantocci e fermò la carrozza del prelato. Si aprì lo sportello e comparve Sua Eccellenza, mentre Pietro girandosi verso i suoi uomini (fantocci) gridava "Non sparate!". Si fece quindi consegnare la borsa del denaro e si allontanò. Ma dopo pochi passi fermò di nuovo la carrozza, con grande spavento del Monsignore; Pietro chiese di benedire il denaro che gli aveva rubato. Trascorse del tempo e cominciò a pensare fino a quando avrebbe goduto di tale fortuna, mentre lo spettro dell'aldilà con le pene dell'inferno si affacciava sempre più spesso alla sua mente. Una notte, circondato da tanti esseri infernali che gli facevano compagnia, si addormentò; ma il suo sonno fu interrotto dalle discussioni dei demoni sul suo futuro. Finse di dormire ascoltando attentamente ogni loro parola. Il destino della sua anima era deciso, ma ammettevano che poteva ancora salvarsi con tante messe riparatrici. Avrebbe dovuto ascoltarle anche in quella notte di Natale: a Betlemme, a Gerusalemme e nella basilica di S. Pietro a Roma. Lasciò passare un'ora, quindi alzatosi, chiese chi di loro fosse il più veloce. Gli rispose il diavolo zoppo che si mise subito al suo servizio trasformandosi in destriero. Salito in groppa al cavallo alato, si fece condurre a Betlemme, poi a Gerusalemme ed infine a Roma. La basilica risplendeva di luci e risonava di canti natalizi per la nascita di Gesù. Il cavallo era stato legato nelle vicinanze e, mentre Pietro si batteva il petto implorando la misericordia di Dio, scalpitava terrorizzando i passanti che si recavano alla sacra funzione. Il sacerdote era giunto al momento dell'elevazione, quando si sentì un terribile boato che sembrava scaturire dalle viscere della terra. I primi accorsi sul luogo trovarono un'enorme voragine in cui il cavallo era precipitato. Pietro era lì, ai piedi dell'altare, folgorato dalla grazia divina. Egli divenne il prototipo dell'uomo perverso per cui si usava dire:

"N'ha fatte chiù tu de Pétre Baialarde".

(Ne hai fatte più tu di Pietro Baialardo).

Nota.

Si potrebbe concetturare che il nome del personaggio sia derivato da Pietro Baiardo, cavaliere senza paura, paggio del duca di Savoia. Con Luigi XII fu al comando dell'esercito in Italia e morì combattendo contro gli Imperiali

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