FRAZIONE LENTACE

La storia di Lentace è stata integralmente tratta dall'opera inedita del Preside Nicola Servodidio dal titolo "TERRITORIO E COMUNITA' DI SAN MARTINO SANNITA - Origini, vicende, ipotesi, aspetti, sviluppo socio economico, note di antropologia" - Impostazione 1965, aggiornamento 31.12.1988

Sui clivi verdeggianti della collina dell'Angelo, in posizione parallela alla valle del torrente Grande, è sito Lentace, lungo la strada che da S. Martino Sannita porta a Cucciano e all'Arenella, la quale, ai tempi del Ducato Longobardo di Benevento, era il percorso più breve tra questa città e quella di Avellino. E' esposto ad ovest, chiuso da tre lati dai monti. La valle, aperta a nord, gli consente la veduta sulla piana di Benevento, perciò gli abitanti hanno considerato il colle dell'Angelo, che sovrasta il paese, una finestra sul mondo. Infatti, lì, la veduta è estesa e circolare. In cima sorge una chiesa solitaria, dedicata a S. Michele Arcangelo e costruita probabilmente durante il periodo longobardo su un sacello di qualche divinità sannitica pastorale, dato che un poggetto sottostante e chiamato Tuoro e Terone, meno comune Torone, nome che ci riporta al Toro dei Sanniti, che nelle primavere italiche precedeva i giovani in cerca di nuove sedi. Terone, orto in territorio di Altavilla, (Reg. 4769), a. 1531. Terone, molino in territorio di Avella, (Reg. 842), a. 1190. Infine "lu Terone", luogo nel casale di Valle, presso Morrone, (Reg. 3498), a.1352. I Longobardi di Benevento, dopo la conversione al cristianesimo, divennero devotissimi a S. Michele Arcangelo del Gargano, il quale fu scelto come loro protettore e riprodotto sulle monete. Essi lo identificarono con il loro dio Wothan.

"L'anno 668 Vitaliano Papa, nel suo primo pontificato, sottopose alla chiesa di Benevento e a S. Barbato, suo vescovo, le chiese delle cattedrali di Bovino, di Ascoli, di Larino e di S. Michele nel Monte Gargano"(1).

Con l'avvento del cristianesimo l'Angelo guerriero sconfisse il Toro, totem dei Sanniti, qui evidentemente collocato, restando a guardia e a protezione del paese che lo festeggia due volte all'anno, l'8 maggio e il 29 settembre. Tuoro è anche un luogo nelle pertinenze di Visciano, (Reg. 3509 a.1352). Abbattute le ultime vestigia del paganesimo, avviene un capovolgimento delle posizioni: l'Angelo sale in alto e trionfa sul Toro, che, demonizzato si rifugia negli oscuri meandri della terra. Per il toponimo Toro vedi "Ad vocem", pag. 359, vol. VII (2). Una leggenda narra che, in un passaggio sotterraneo che unisce il Torone con la chiesa dell'Angelo, tutta la notte corrono avanti e indietro, diavoli scatenati, tori e diavolesse, non riuscendo a trovare la via d'uscita. Tuttavia, qualche volta, non si sa come, escono ed appaiono ai viatori ignari. Per il toponimo Torone vedi il casale di Torone nelle pertinenze di Maddaloni (Reg. 3295, a. 1332). Venti anni fa, un uomo di ritorno a Lentace da S. Martino Sannita, di sera, vide avanti a sé un bel torello che lo accompagno fino alle vicinanze della chiesa inferiore del paese, dove sparì. La leggenda del Torone (tutta la collina dell'Angelo somiglia, vista da lontano, ad un grande toro pascente sul pianoro di S. Martino), si ricollega alla religione germanica di Odino, dio della guerra e della poesia, creatore dell'universo e governatore dei cieli e della terra. Nella leggenda, il luogo sotterraneo nel cavo del colle. sarebbe il Valalla e le diavolesse sarebbero le valchirie, ninfe in servizio di Odino che preparavano il transito agli eroi destinati alla morte, accompagnandoli e servendoli nel suddetto Valalla. Il toro è il residuo della mitologia sannitica. Il serpente, schiacciato dai piedi di S. Michele trionfante con la spada sguainata, rappresenterebbe la vipera, idolo pagano. L'immagine di S. Michele guerriero rievoca la figura dell'eroe divinizzato ed eternamente vivente tra il cielo e la terra. La chiesa aveva, originariamente, una forma rettangolare, un altare con un'abside semicircolare sporgente all'esterno verso est, cioè verso il Gargano, la volta a botte ed un campanile ad ovest, su cui erano due campane; inoltre c'era una cripta-ossario, una cella con cucina-dormitorio, a nord, per l'eremita, non più ricostruita dopo la riparazione del 1948, e di cui si scorgono le fondamenta a fior di terra. Nella riparazione avvenuta dopo il terremoto del 1980, è stato costruito un esile campanile piramidale a sud, poggiante su un pilastro interno alla chiesa, e dotato di orologio elettrico sonoro. E' stata ampliata la piazza antistante da alcuni anni. Nel 1985 la chiesa fu proclamata Santuario dal vescovo di Benevento. Nell'interno è stata deposta la lapide caduta dalla parete e accuratamente riparata, la quale ricorda la riconsacrazione della chiesa dopo il restauro del 1695. Il testo è il seguente:

"Ecclesiam hanc in honorem dei et S. Michaelis Archangeli, solemni ritu dedicam die I mensis IVLV anno MDCXCV, sacravit fr. Vincentius Maria Ord. Praed. Card. Ursinus Archiepiscopus et omnibus fidelibus ipsam visitantibus die dominica proximiori die XI mensis may in quam dedicationis festum transtulit, centu indulgentiae dies concessit".

Segue in italiano un'altra iscrizione:

"Restaurata ad opera del Governo, benedetta da S. Ecc. G. Marcone il 1950, anno santo".

Secondo il racconto dei vecchi, l'abitato di Lentace era più esteso; si sviluppava nel Lavarone e si chiamava Lentone. Non è possibile, allo stato delle cose, verificare che cosa ci sia di vero in questa tradizione persistente. Comunque nella zona del Lavarone, che nel linguaggio locale significa grossa frana, (i segni della frana enorme, infatti, sono ancora evidenti) sono stati trovati: treppiedi, pentolini, tegole, tombe singole e collettive con ossa umane e qualche moneta corrosa dall'ossido, forse romana, con scritture illeggibile. L'abitato sembra sia stato travolto dalla frana staccatasi dalla Ripa dei Monaci, che provocò anche la rovina di un monastero che ivi esisteva, secondo il racconto. Tuttora la rupe è lunga e alta; il luogo è chiamato Ripa dei Monaci. Il nome Lentone, di cui favoleggia la leggenda, ci riporta per assonanza al principe longobardo Landone, di Benevento. Anche il rione Landolfi di S. Martino Sannita ci fa pensare ai principi longobardi che portarono questo nome. A Lentace, negli orti di via Surreci, affiorano dal terreno, alcune fondamenta. Gli anziani affermano che sono i ruderi delle "casaline" cioè abitazioni basse. Il paese con la ricostruzione seguita ai terremoti del 1962 e del 1980, si allunga lungo la strada verso S. Martino Sannita e verso il Lavarone, mentre con villette sparse comincia a risalire la china dell'Angelo, dove sono state edificate cinque o sei abitazioni. La strada panoramica, tracciata lungo la dorsale collinare nel 1982 e parallela alla conduttura idrica, il sito solatio e le bellezze paesaggistiche, potranno favorire insediamenti a carattere residenziale. E' un belvedere di borghi, monti, gole e piane, con fauna avicola e terrestre, di cui si ricordano il fagiano e il cinghiale. Dell'esistenza di quest'ultimo animale nei boschi di Lentace, durante il Medioevo, non si ha alcuna notizia. Ma sappiamo che appariva a Benevento (3) e a Fragneto l'Abate. Per inciso ricordiamo il cinghiale caledonio della leggenda di Benevento. Lentace ha origini antiche. Il suo nome ha una radice latina. Un fondo rustico, denominato Capocasale, doveva indicare l'inizio del paese, che nel Medioevo costituiva un casale del Principato Ultra di Montefusco. Tuttavia si possono formulare delle ipotesi di lavoro, che potranno essere verificate anche in futuro. Il toponomastico Lentace deriva dal semantema "lent", equivalente all'aggettivo lento, con l'aggiunta del morfema "acium" (ac-ium). I morfemi latini ius, anus, che troviamo in Lent-ac-ium, in Manc-us-ium e in Cocc-i-anum, significano appartenenza o derivazione. Il cognome Lenti esiste a Torrecuso, il cognome Lentini esiste in Sicilia. In latino "lentus" significa lento, pigro, ozioso, indolente, paziente. tranquillo, indifferente, ostinato (4). I toponimi che hanno alla base la radice lent sono: Lentace (BN), Lenta (pr. di Vercelli), Lentate sul Seveso (Ml), Lentiai (BL), Lentella (centro in provincia di Chieti), Lenta (torrente nel comune di Ponte, BN), Lens (antico Lentium), città della Francia), Lenta (corso d'acqua presso S. Arcangelo Trimonte, BN). Il toponimo sembra che derivi dal corso lento dell'acqua. In latino si trova l'espressione "amnis lentus": fiume lento. Il Cilento (cis-Lentum: al di qua del Lento) era, un tempo, una rocca posta al di qua del fiume Alento (anticamente Alentum, poi Lentum). Nel Medioevo, forse, lentum era il termine generico di un corso d'acqua. E' utile ricordare gli antroponimi aventi la radice lent: Lentulus, cognome della gens Cornelia che abitava Aeclanum (5), municipio romano nell'87 a.C., Lentum, cognome siciliano; Lenti, altro cognome diffuso in Campania. Il Cubante era abitato dai Liguri Corneliani. Ci potrà essere una relazione storica tra le origine di Lentace e i Liguri Corneliani? Non ci sono documenti per provarlo. I toponimi storici Coccianum, Lentacium e Mancusium potrebbero anche derivare dai seguenti stereotipi coniati per disprezzo da tribù rivali: Cocciuti, Lenti e Manchi. Il nome del paese potrebbe riferirsi alla sua posizione topografica: si trova dove il declivio si attenua e dove i torrenti rallentano il loro corso, diventano cioè, lenti, confluendo nel torrente Grande, che scorre su un letto ampio e pianeggiante e che si poteva chiamare nel passato Lentum. Nel luogo è diffusa la tradizione dei "lenti iacent": i lenti giacciono, da cui sarebbe derivato il nome del paese. Viene spontanea la domanda: chi sono i lenti?.. il torrente? gli abitanti? entrambi? oppure i milites di Cornelio Lentulo, il console romano che nel 275 a.C. sarebbe venuto a portare aiuto al collega Mario Curio Dentato, impegnato contro Pirro? Le tombe del Lavarone potrebbero essere tombe di soldati morti in combattimento? Il Meomartini, escludendo l'ipotesi dei "lenti iacent" propende per l'altra e afferma: "Il nome venne forse dato da un prodotto del suolo". Il prodotto sarebbe la lente o lenticchia, detta in latino lens-lentis (6). Comunque oggi la coltivazione della lenticchia e il suo uso alimentare sono quasi sconosciuti nel luogo, dove si dice: "la lenticchia prima ti abbotta e poi ti allenta". Se gli abitanti di questo paese nel passato erano divoratori di lenticchie, certo dovevano rivelarsi lenti. Per spiegare il nome si possono fare altre congetture. Il paese potrebbe essere stato fondato dai Lentuli della gens Cornelia di cui si ricorda il console Publio Cornelio che deportò i Liguri al Cubante nel 180 a.C., detti perciò corneliani. Gli abitanti dei "vici" del piano, quali Festulari, S. Maria Ingrisone e S. Maria a Vico (oggi Ginestra), per stereotipia avrebbero chiamato Lentace il villaggio dei Lenti; Mancusi, il paese dei Manchi; Cucciano, il centro dei Cocciuti Gente primitiva, forse di origine sannitica, dalle caratteristiche psicologiche simili, si sarebbe rifugiata sui monti, mentre i Romani vincitori avrebbero occupato i "pagi" della pianura, coniando questi ironici stereotipi. E' noto che i Romani, dopo la sconfitta di Pirro e dei Sanniti, favorirono la separazione degli irpini dagli altri Sanniti. Il paese appare, nel cedolario del 1320, col nome di Lentacium. Nei cedolari successivi e in altri documenti il nome subisce deformazioni che, tuttavia, non lo rendono irriconoscibile. Il casale è sotto il dominio di Montefusco, nel secolo XIII, poi cominciano le sue peripezie e vicissitudini feudali, passando nelle mani di vari feudatari fino al 1806. Ha conosciuto padroni laici ed ecclesiastici, uno più esoso e dispotico dell'altro. Per un periodo storico è stato smembrato in due parti: quella superiore, dalla strada alla collina, pare che fosse aggregata al feudo di Montevergine; l'altra l'inferiore, dalla strada al torrente Grande, costituì, invece, un unico feudo con Mancusi, successivamente scissosi nella baronia di Lentace e nel ducato e poi principato di Mancusi. Infine tutto il paese cadde sotto il dominio dell'Annunziata di Napoli fino al 1806, anno della soppressione della feudalità. Nel castello di Lentace, il 21 ottobre 1687, morì il barone Giuseppe Lucarelli. Dov'era sito il castello? A me sembra che si trovasse dove è, attualmente, la casa Maglio, famiglia imparentata con i Lucarelli, feudatari del paese. Questa casa appare ricostruita dopo i sismi del Settecento. E' al centro del paese e si presenta come un unico complesso edilizio, con un'entrata centrale, con un androne che porta in un cortile recintato con muro alto circa 3 metri, mentre ai lati dell'entrata emergono due fabbricati avanzati ad angolo retto. Nell'interno c'era un frantoio, locali per deposito, stalle e cantine. Interrato, tetro, buio e freddo, è un locale ampio, con un pozzo di acqua sorgente, il quale un tempo era adibito a carcere della baronia. Secondo la tradizione un cunicolo sotterraneo univa l'interno con l'esterno verso il torrente. Dal cortile, attraverso una porta, si usciva in un campo detto Giardino. Non si può dire se l'aspetto del castello fosse simile a questa casa ricostruita, come sembra, sulle rovine di esso. Lentace, nel passato, aveva tre chiese: la chiesa dell'Angelo in collina, e due chiese in paese. La chiesa superiore di S. Michele Arcangelo è antica e sembra che sia stata costruita su un sacello dedicato al Toro sannitico, secondo l'interpretazione della leggenda citata prima. La prima notizia di questa chiesa si trova in un atto notarile del 1458 (Reg. 4315). Essa fu restaurata già ai tempi del cardinale Orsini. Era rivolta verso il paese, posta a vista della chiesa dell'Angelo di Vitulano e dell'altra di S. Michele Arcangelo di Terranova (oggi detta della Madonna). Ad occidente un piccolo campanile reggeva le campane. Ad oriente era l'altare con un'abside esterna. A nord c'era la cella con la cucina e il dormitorio per l'eremita, della quale affiorano ora le fondamenta. Nel pavimento c'erano delle pietre di marmo con anelli di ferro, che chiudevano le fosse usate per la sepoltura dei morti. La volta era a botte, l'altare avanti all'abside. Nel restauro del 1948 non fu ricostruita la cella, mentre il campanile fu portato ad oriente. Dovette essere restaurata di nuovo, dopo il terremoto del 1980, ed il campanile fu costruito a sud, a forma piramidale, su un pilastro interno. Ora esso è dotato anche di un orologio elettrico. La sepoltura veniva praticata anche nelle vicinanze della chiesa, come rivelano le ossa umane che vengono alla luce dal terreno. Forse, allora, lo spazio antistante era recintato. A cento metri da questa chiesa, c'era il cimitero ottocentesco della comunità di Lentace, andato distrutto durante la costruzione della strada panoramica. Una volta, il 29 settembre, si svolse sull'Angelo una fiera-mercato, regolarmente autorizzata da Montefusco. Vi si facevano pure sacre rappresentazioni durante la festa di S. Michele. L'eremita, la mattina e la sera, suonava la campana per annunziare la sveglia a chi doveva recarsi al lavoro e il ritorno a casa alla fine della giornata: "il mattino e le ventiquattr'ore". Alla chiesa dell'Angelo, nel passato, si pagavano i censi. Prima la chiesa era isolata, da pochi anni stanno costruendo delle ville nelle sue vicinanze. Questa chiesa di S. Michele Arcangelo, quella di Costantinopoli di Terranova, e quella di S. Marciano di Mancusi sorgevano, tutte e tre, in luoghi strategici, probabilmente, su precedenti tempietti sannitico-romani, in cui potevano essere facilmente concentrati gli sforzi di resistenza al nemico invasore. Ogni comunità etnica aveva il suo tabernacolo, al quale il cristianesimo trovò utile sostituire i propri simboli. Ecco in breve la genesi di tali chiese campestri. Non bisogna stupirsi del fatto che l'antica religione ponesse dappertutto emblemi sacri. Dopo tanti secoli, il cristianesimo fa altrettanto: si vedono oggi, qua e là, calvari, croci ed altre immagini religiose. Le chiese collinari costituivano l'insegna per il casale cui appartenevano. Alla loro costruzione vi concorsero motivi diversi: narcisistici, religiosi, panici, poetici ed anche igienico-sanitari. Nell'abitato c'erano due altre chiese. Una, al centro del paese, sembrava una cappella gentilizia, donata alla parrocchia. Forse apparteneva alla famiglia Soricelli che la usava come luogo di sepoltura. Alla fine degli anni Trenta era già sconsacrata e il locale fu venduto al signor Gaetano De Capua, che lo riadattò a casa per abitarvi. Egli, scavando nell'interno, trovò dei resti umani molto frantumati. L'altra chiesa è nella piazza del paese. Essa fu riparata nel 1938, quando fu costruito il campanile quadrangolare sul lato posteriore destro, mentre prima era sul muro anteriore pure sul lato destro. Accanto al campanile fu costruita la sacrestia. Essa aveva un altare centrale e un altro laterale a destra di chi entra. Probabilmente quest'ultimo era una cappella con juspatronatus, perchè vicino c'era il coperchio di marmo di una botola usata per sepoltura, sul quale c'era scritto "pro Alphonso Maglio". Presso l'altare maggiore, un altro coperchio recava la scritta "pro clero". Al centro ce n'era uno più grande senza iscrizione: evidentemente era una fossa comune per la plebe. Alla cripta esistente sotto il pavimento, si accedeva attraverso una porta che apriva nella cantina del sig. Giovanni De Luca. Una volta, alcuni giovani penetrativi per curiosità, vi scoprirono una mummia di un prete vestito con paramenti sacri. La cripta fu ripiena di calcinacci nei lavori di restauro, nel 1937, e le pietre che facevano da coperchi furono asportate. Si dice che la cantina suddetta, costituita da due fosse, ognuna larga quanto una stanza, fosse usata nei secoli scorsi per la sepoltura in fosse comuni. Secondo il racconto, le fosse, originalmente, erano quattro, disposte a quadrato: le altre due sarebbero sotto la piazza vicina alla chiesa. Il paese, cinquant'anni or sono, aveva una scuola elementare, una vendita di generi diversi, una fabbrica di fuochi artificiali ubicata al Torone, dove poi sono state costruite quattro villette. C'era anche un frantoio baronale per olive ed un molino, pure baronale, nel torrente Grande, che ha funzionato fino ai primi anni del Novecento, servendo Lentace, S. Marco ai Monti e Monterocchetta. Il paese, nel passato, era eretto ad università, con i servizi di stato civile, con il cimitero, i cui ruderi si trovano, salendo, nella curva della strada, a cento metri dalla chiesa dell'Angelo. L'ultimo sindaco del comune di Lentace fu un appartenente alla famiglia Soricelli. La popolazione, nel Medioevo, costituita in gran parte da vassalli, non sopportò il dominio e i servizi feudali ed ebbe varie controversie giudiziarie con i feudatari: baroni e governatori dell'Annunziata di Napoli. Oltre casa Maglio, si notavano casa Soricelli in alto, con portale di marmo, casa Ianaro con un androne, e una casa con portone e cortile interno a destra della chiesa, in piazza, ora in parte demolita. Il paese, urbanisticamente, si allunga verso S. Martino e verso il Lavarone e tende a risalire la collina dell'Angelo, dove sono state costruite alcune casette. Attualmente Lentace è una parrocchia dipendente dalla diocesi di Benevento. Ha tre chiese: una in collina, una in piazza e l'altra con casa canonica in un campo a 50 metri di distanza dalla seconda. Degna di memoria è la processione delle 4 tempora, che si svolge in primavera, con itinerario giornaliero a croce: Colle dell'Angelo, via Surreci, Torone, via Lavarone. Ora il paese è in espansione e in piena ricostruzione, dopo gli eventi sismici del 1962 e del 1980. E' collegato con S. Martino e con Cucciano con strada asfaltata. E' in progettazione una via di collegamento con Monterocchetta che abbrevierà il percorso per la valle del Sabato.

 

NOTE

1. G. De Nicastro, Benevento sacro, pag. 21

2. G. Mongelli, Abbazia di Montevergine, Regesto delle pergamene, 7 voluu Roma, 1962

3. Alfredo Zazo, Curiosità storiche beneventane, pag. 89, BN, 1976

4. G. Campanini, Vocabolario lat.-it., it.-lat., ad vocem, Torino.

5. Antonio Salvatore, Aeclanum, pag. 36, Foggia.

6. A. Meomartini, I comuni della provincia di Benevento, pag. 180, BN, 1970

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