Giacomo & Nicola (Niccola) NISCO

NICCOLA NISCO

GIACOMO NISCO

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Nicola (Niccola) Nisco

da "S. GIORGIO LA MONTAGNA nella storia, nella scienza, nell'arte e nella politica" - di Dott. P. Isidoro Cozzi Frate Minore - Stabilimento Tipografico D'Alessandro Benevento, 1904 - Ristampa anastatica Comune di San Giorgio del Sannio (a cura) tipi Arti Grafiche Meridionali, Ceppaloni (BN), 1992.

 NICCOLA NISCO

L'Amor di Patria e la Galera (1816-1860)

Nella tarda età di 85 anni placidamente si spense nel suo paesello natio la vita di una spiccata figura di patriota italiano, l'unica forse che avanzava dell'eroica schiera che pagò di persona la redenzione della patria (1).

I giornali portarono rapidamente in Italia e fuori l'annunzio funesto della sua morte, e tutti i cuori nobili si commossero e piansero rievocando trepidi i dolori e le battaglie del risorgimento italiano.Mai più di tutti la dipartita di Niccola Nisco fu pianta dai cittadini di S. Giorgio la Montagna che dolorosamente viddero con lui tramontare l'unico sole che per cento anni li aveva illustrati. Più si piange una persona quando più da vicino ella ci appartiene! Un anno é trascorso da che noi vedemmo scendere nel sepolcro questo illustre concittadino, ed io scrivo ancora sotto l'impulso della commozione di quel momento. Non posso quindi scriver la vita di lui, nè dare il giudizio delle sue azioni: sarebbe audacia la mia. Tenterò, in desioso ritorno verso l'imagine di lui sopravvivente nello spirito mio, dare un rapido accenno delle sue gesta patriottiche, della grandezza dell'anima sua. Niccola Nisco nacque in S. Giorgio la Montagna il 9 settembre 1810 da Giacomo e Onorata Corona di Teora in quel d'Avellino, bravi signori e colti, di spirito forte e di anima non comuni. Bambino ancora egli segui con la madre il genitore, che accusato come partigiano dei moti del 1820 era stato tradotto in carcere in Castello. Figlio di un rivoluzionario antiborbonico Niccola bevve col latte l'odio a quella dinastia e l'aspirazione alla libertà della patria; odio ed aspirazione che più s'accentuavano colle impressioni terribili, che nell'infanzia riceveva vedendo il padre chiuso per opera di quel governo in una oscura prigione. Studiando con ardore si laureò giovanissimo in legge nell'Università di Napoli dove accostò pure varii grandi uomini nemici del governo e con essi crebbe nelle cospirazioni. Innamoratosi di una vaghissima giovinetta di 16 anni a nome Adele De Stedingh figlia di Antonio Nobile bavarese e di Olimpia Ricci la fece sua sposa il 26 Ottobre 1843 dopo un anno che Lei era uscita dal celebre educandato dei Miracoli. Donna di esimie virtù e di mente elevata fu l'angelo consolatore nelle dure prove che sostenne di poi il marito per il grande delitto di amare la patria. Il Nisco si ritirò con la sposa in S. Giorgio nella casa paterna e quivi divise il suo tempo nell'amore della sposa e della patria preparando con lavori indefessi la rivoluzione. Dal processo della causa della sua condanna si rileva tutto ciò che egli fece sino al 1848 nelle valli del Sannio e dell'Irpinia per sollevare il popolo a scuotere e spezzare le catene della tirannia. Ad ottenere meglio il suo scopo divise la sua dimora tra Napoli e S. Giorgio: ascritto segretamente alla lega dell'Unità ltaliana si pose in relazione con i capi di essa specialmente di Roma, Livorno, Torino; e nel meridionale divenne anch'egli capo del movimento. Girò molti paesi dell'Avellinese, inviò scritti in molti altri. Il 13 Gennaio 1848 uscì per lui il primo ordine di arresto, la cagione la narra egli stesso nelle Ricordanze della sua Consorte cominciate a scrivere dopo la morte di lei nell'ottobre 1891. "La sera del 12 Gennaio 1848 per solennizzare il giorno in cui promise, e la promessa eroicamente mantenne, d'inaugurare la nuova era dalla quale è nata l'unità d'Italia, si volle promuoverò una grande dimostrazione nel teatro S. Carlo illuminato a gaia per festeggiare il genetliaco di re Ferdinando. Ad eseguire questo audace concetto Carlo Paone, baldo giovane celentano, faceva, secondo il disegno stabilito, dal palchetto mio il getto di molti uccelli col nastro tricolore al collo, nel momento che appariva nella reale loggia il re e la regina col codazzo di principi e giambellani. Gli uccelli, abbagliati dalla luce, svolazzando per l'ampia sala, cadevano nella platea e sul palco scenico, e produssero l'effetto desiderato. Ai battimani entusiastici furono congiunti clamorosi applausi al re, a Pio IX e all'Italia, e furono trascinati anche nel vortice del liberalismo i nemici di libertà. Ferdinando II in quel momento sì mostrò uomo di spirito: salutò ripetutamente il pubblico, e con parvenza di letizia e serenità si assise a vedere lo spettacolo. Il dì seguente il Paone, accompagnato dal Bellelli e dal Mazziatti, presentavano alla mia Adele, ad omaggio del suo coraggio un bel mazzo di fiori. Ma re Ferdinando non tardò ad ordinare il mio arresto in Castel S. Elmo. Ella avutone avviso dal principe Domenico Zurolo comandante del 1° squadrone delle Guardie d'Onore a cui io apparteneva, senza dirmene verbo, mi chiese di essere accompagnata in casa della egregia donna Marchesa Emilia Curtopasso, ed a lei mi dava in forzata custodia affermando a tutti ed anche a sua madre che io ero partito per Benevento allora terra papale". Così il giovane ed ardente patriota sfuggì la prima volta la prigione per cadervi aspramente pochi mesi dopo. Nella primavera dello stesso anno 1848 incominciata in parecchi punti la rivoluzione egli cercò tutti i mezzi per renderla universale e vagò continuamente tra Napoli e le provincie irpine. agitando la Valle Caudina, il Beneventano (2) e molti paesi intorno Montefusco fra i quali non ultimi furono Atripalda, Solofra, Montemiletto, Grottola, Apio, Volturara, Serino, Montefredino nei quali la sua corrispondenza all'uopo animavasi con i capitani della Guardia Nazionale. La notte dopo la triste giornata del 15 Maggio il Nisco mosse segretamente da Napoli per la sua patria. Il mattino del 16 riuniva in casa di suo padre Giacomo i capi di quella guardia nazionale che seco lui dividevano i sentimenti più forti di patriottismo: Domenico Lamonica, Saverio Lamonica, Andrea Cozzi, Paolo Cozzi, (3) Andrea Ocone, Giacomo Lanzotti e Felice Mazzarella decidendo di girare i paesi circonvicini prorvvedendo di armi gli animosi; mentre egli stesso faceva a tutta fretta lavorar cartucce nella propria casa. Riuscito vano il disegno di piombar su Napoli non si arrestò l'ardore patriottico del giovane eroe. Tesoriere dei comitati italiani che nel seno della setta dell'Unità ergevansi nel fine di rovesciare i Borboni era in relazione con tutti gli altri comitati italiani. Conoscendo che la forza del governo era tutta sita nell'esercito fedelissimo pose ogni studio per accendere anche fra le truppe la scintilla della libertà ed unità italiana. Così trascorse anche l'estate del 1848. Nel foglio dell' 11 novembre del giornale l'Unione riportavasi una lettera del Nisco diretta al Direttore di quel giornale nella quale si affermava che la Sovranità detta Nazione consiste nel popolo. Per questo la notte del 13 Novembre una mano di sette uffiziali assalirono il Nisco nella strada di Chiaia, mentre con la moglie accompagnata da Silvio Spaventa e da Cesare Braico si ritirava, e vilmente circondandolo lo arrestarono e condussero nella prigione di S. Francesco. "Fu questo, scrisse egli nei Ricordi della Consorte, il prologo del dramma lungo e doloroso dei nostri guai!..." In S. Francesco capitò nella stessa cella dove era stato chiuso il padre, e scorgendo sulla parete scritto il nome di lui pianse, si rallegro, e gli si accrebbe il coraggio. La giovane consorte rimasta sola ed angosciata nella fresca età di 21 anno si ritirò in casa dei suoi genitori con le tre piccole figliole. Intanto Niccola Nisco, oscillando tra la forca e la galera, il 31 Gennaio 1851 fu condannato a trenta anni di ferri, per lo che il 4 Febbraio fu condotto al bagno di Nisida. Allora cominciarono per questa egregia e dolorosa donna le tristi peregrinazioni pei diversi bagni di pena nei quali il re per bizzarria di dispotismo o per paura cacciava il Nisco ed i suoi compagni. Non era ancora trascorso un mese a Ferdinando intimorito a cagione di una visita fatta ai galeotti dall'Illustre Gladstone, fece con Poerio, Pironti, Braico ed altri condurre il Nisco al bagno di castigo d' Ischia il 1 Marzo. Dopo un'anno quei grandi ed indomabili eroi della patria andavano a riaprire l'orribile carcere di Montefusco, un sotterraneo incavato nella soprastante altura con le muraglie ingommate di salnitro e gocciolanti acqua, che sembrò ad essi - secondo l'espressione del Castromediano (4) il fondo di una tomba abbandonata, e su cui cantava il Pezzente alle porte di Avellino come registra lo stesso Castromediano (5). "Chi trase a Montefusco e pò se nn'esce Pò dì ca nterra n'ata vota nasce!.." Tuttavia questo sepolcro in cui furono gettati i nostri eroi non fé loro perdere il coraggio e deliberarono di soffrire anche quando nessun lume di speranza era innanzi ad essi, e non chinarono la schiena, né chiesero grazia. Amici e' compagni di sventura si amavano come fratelli. Il Gastromediano così scrive del Nisco suo compagno di dolore. (6) "L'ho detto avvenente e di modi cortesi: ora aggiungo che come egli sapeva sopportare le avversità, così era pronto a rimproverare sul viso gli autori dei suoi mali. Comandanti e carcerieri non poterono sottrarsi ai suoi biasimi. Ardito e deciso, coglieva il momento proprizio di sferzarli, e le sferzate applicava con tal garbo che comandanti e carcerieri le sopportavano in silenzio. D'ingegno oronto e versatile, era colto e studioso; e quando verso gli ultimi tempi della prigionia potemmo ottenere un numero maggiore di libri, allora si diede indefesso alla lettura della storia e delle discipline economiche. Sensibile di cuore, prendeva ben volentieri cura affettuosa dei compagni bisognosi ecc.". I nostri patrioti trascinarono la catena nel bagno di Montefusco sino al 28 Maggio 1855. Poi di qui furono menati nel Carcere di Montesarchio per orridezza non dissimile all'altro ed innalzato sul ciglione di una rupe scoscesa. Quando nel 1891 cessò di vivere l'eroica sposa del Nisco, il Duca di Castromediano scrivendo al marito una lettera di conforto narra una scena svoltasi avanti il tetro carcere di Montesarchio in persona di quella grande defunta. " ..... La ricordi, fratello mio, in quel giorno che portatasi da Napoli e giunta nel luogo esecrato, la fecero attendere ed attendere le lunghe ore innanzi a quelle soglie? L'inverno era orribile; uggiosa la pioggerella, il vento scompigliante, e pure la fecero rimanere ora sopra ore da mattina a sera con la scusa di attendere ordini per riceverla. Così necessità la strinse a tornarsene d'onde era venuta senza vederti ! Oh! le lagrime che le caddero allora dagli occhi, il terreno che le mancava a sostenerla, e lei e le sue figliuole erano per morire!". A queste parole riportate nelle già citate Ricordanze il Nisco aggiungeva: ".... pel freddo sofferto la mia figlia Olimpia fu inferma di bronchite, e la piccola Bice, nata tre mesi dopo il mio arresto, presa dallo stesso male, ne moriva. La pia donna non mel faceva sapere: la pianse sola.... Quando nel 1850 venendo da Malta, rivedevo sul piroscafo francese la mia famiglia e ricercava la piccola Bice, ella dolcemente mi rispondeva: l'angioletta è volata a Dio per pregarlo di restituirti a noi e la grazia da Dio abbiamo ottenuta". Finalmente nel 1359 a Nisco insieme ad altri condannati politici venne commutata la pena della galera in quella dell'esilio perpetuo: ma mentre gli altri destinati in America partirono subito, il Nisco solo mentre che gli dicevano di essere esiliato in Baviera, fu costretto a rimanere altri due mesi in galera sino alla morte di Ferdinando II. Il successore Francesco II gli concesse di andare a Malta per dove partì il 2 Maggio: ma dopo poco tempo egli fuggì dall'isola dirigendosi a Firenze. Così egli seguita nelle Ricordanze. "Il I8 Luglio passando per il porto di Napoli, imbarcato su nave Francese, rapivo la mia famiglia ai Borboni. Sbarcammo a Livorno, e andammo il 22 a Firenze, ove ci fecero cortese accoglienza gli altri nostri concittadini scampati dalla tirannia Ferdinandea, non che le persone più egregie della città dei fiori. Quanto gentile affetto ispirò la mia Adele!.. Amati eravamo a Firenze, e nel mese di Aprile di quell'anno, 1860 ella si sentì veramente felice; i suoi cari ideali erano compiuti. Il 24 nasceva il nostro Giacomo che, avendo a compare Carlo Poerio, assistito dal Marchese Gioacchino Salluzzo e dal barone Gennaro Bellelli, prendeva nel bel S. Giovanni il suo battesimo: ed il 30 io era nominato professore di Economia sociale all'istituto Superiore. Ma con la leggendaria spedizione di Garibaldi in Sicilia ricominciava l'agitazione politica spigliata e vigorosa per costituire tutta Italia in unità di Stato". Nel Luglio del 1860 Niccola Nisco ricevè da Vittorio Emanuele e da Cavour l'incarico di andare a Napoli con Giuseppe Finzi e con Emilio Visconti-Venosta a predisporre il terreno per l'unità italiana, e la missione fu egregiamente da tutti e tre adempiuta. Caduto in fine Borbone nello stesso anno finì per il Nisco l'esilio e potè soavemente gustare le aure di libertà meritate coi dolori della propria vita.

NICCOLA NISCO

dal 1860 alla sua morte

Giusto onore al merito di un lavoro indefesso e ardito pieno di sofferenze e di martirii, con cambiamento di governo cominciarono tosto pel Nisco le cariche onorifiche. Fervendo ancora i lavori di assetto nel regno, nel periodo della luogotenenza del principe Eugenio di Carignano, al Nisco, venne affidata la direzione del dicastero d'agricoltura e commercio in Napoli (20 Febbraio 1861). Eletto Deputato al Parlamento in tre collegi, S. Giorgio la Montagna, S. Maria Capua Vetere e Lacedonia si recò a Torino e cambiò dimora col mutar della Capitale da Torino a Firenze e da Firenze a Roma. Nella Camera sedette sempre a destra, oratore molto competente in questioni economiche. Membro di varie principali commissioni fu da tutti apprezzato e assai stimato anche nell'estero. li 26 Ottobre 1866 fu nominato Direttore del Banco di Napoli a Firenze; poi passò a Roma il 2 Maggio 1871, e finalmente a Napoli il 30 Maggio 1881. Ritiratosi a vita privata si diede tutto ai suoi studi storici, economici, politici e alla famiglia. Scrisse e pubblicò parecchie opere delle quali alcune furono lodate anche fuor d'italia. Dopo che nel Gennaio 1884 venne nominato Storiografo del Regno cominciò per mandato di S. M. Umberto I la composizione di una Storia Civile del Regno d'Italia che fu poi pubblicata la prima volta in Napoli nel 1892. Ma non passò gran tempo ed una tristissima sventura colpì la casa del Barone Nisco: l'angelo consolatore della sua vita travagliata, la madre che aveva educato alla virtù i nove figli del suo cuore lo lasciava solo sulla terra. Il Nisco cercò tutti i mezzi di far del bene al suo paese natio, e fu tutt'opera sua il poter ottenere l'Agenzia dei Tabacchi, la quale tanto bene reca al comune e per il commercio, e per l'economia e per l'incivilimento di esso (7). Avanzandosi negli anni s'infiammava sempre di più pia' dal desiderio di far del bene. Caritatevole con tutti, non lasciava che un povero si allontanasse da lui senza ricevere l'obolo del cuore. Così visse il Nisco una vita lunga ed operosa chiusa infine nella solitudine e nella pace del cuore. Vecchietto dritto, vegeto, arzillo, pieno di ardore, ispirava venerazione e simpatia al solo vederlo. Gentiluomo di tempra antica era affabile con tutti e si mostrava in ogni occasione galantuomo a tutta prova. Il giorno 16 Luglio 1899 il Consiglio Municipale di S. Giorgio la Montagna, tra l'entusiasmo popolare, offrì all'illustre suo concittadino Barone Niccola Nisco una medaglia d'oro ed una pergamena a ricordanza del 50° anniversario della sua condanna politica (8). Alla commemorazione intervennero l'Autorità della Provincia, e vi furono rappresentanze ufficiali della città di Benevento, del Consiglio Provinciale e dei Comuni del Mandamento e moltissimi telegrammi e adesioni. Dopo parecchi discorsi entusiastici, il vecchio uomo della patria ringraziò tutti con parole emozionanti: e nelle vene degli astanti, corse in quel momento un fiotto di sangue patriottico e grande. Se non che quella doveva essere l'ultima onoranza tributata all'antico eroe: l'ultima corona deposta sul capo candido di quel Vegliardo. Due anni dopo consunta da' lavori intellettuali e dai dolori fisici e morali sofferti nella giovinezza, quella cara esistenza doveva spegnersi stanca della terra e desiosa di un eterno riposo. Sin da qualche mese prima egli presentiva vicina la sua fine e già nel maggio me l'aveva scritto: "Io son un minuscolo individuo sulla scena di questo mondo, e presto sarò una memoria a cui a te resta consacrare un requiem". Verso la fine di Giugno mi scriveva di nuovo: "nei primi del prossimo luglio con le mie figlie sarò a S. Giorgio. Vieni a vedermi per l'ultima volta, che davvero ti voglio bene". Ed io andai a vederlo per l'ultima volta e stetti con lui nei giorni estremi di sua vita, poiché anch'io gli volevo molto bene e l'amavo come padre. Anche nel corso della sua malattia finale non dimenticava la patria, e a me che gli ero vicino ne inculcava l'amore vero e fecondo. E fu mia grande e suprema consolazione quella di poter sostener fra le braccia l'eroe Niccola Nisco, quando, provvedendo ai bisogni dell'anima sua, riceveva, sollevato sul letto, il santo Viatico. Oh! io son certo che in quel momento Dio perdonò ai grandi trascorsi della sua vita rivoluzionaria, ai mali che egli produsse alla Chiesa trascinato nei vortici del liberalismo: altrimenti non gli avrebbe concesso quel supremo favore; non avrebbe esaudita la preghiera che sempre il vecchio a lui faceva di morir bene. Pochi istanti dopo, nella placidezza di una agonia senza sforzi, cessava di battere quel cuore che aveva così fortemente palpitato per la libertà e la grandezza d'Italia ! Solenni e grandiosi furono i funerali e le onoranze funebri tributate al Barone Niccola Nisco: il popolo tutto, compreso da un dolore profondo, accompagnò piangendo il defunto eroe all'ultima dimora; innumerevoli telegrammi di condoglianze dal Re e dalla Regina Margherita, dal Governo e dalle rappresentanze ufficiali, dagli amici, dalla stampa, che, in Italia e fuori, di lui ricordò la vita e lo virtù, (9) pervennero alla famiglia trambasciata e tutta l'Italia risentì mesta la perdita di uno dei suoi più grandi patrioti.

 

NOTE

(1) Conte Francescantonio Pironti - Disoorso recitato in morte di N. Nisco.

(2) V. Castromediano.

(3) Paolo Cozzi fu Emanuele, dotato di forte ingegno, crebbe nell'amore immenso per la Patria. Fu ascritto al Comitato della Giovine Italia e all'ideale della Patria redenta, dell'Italia una ed indipendente, sacrificò anche la piccola sua proprietà e la modesta dote dell'amatissima consorte. Prese parte attiva ai moti del 1847-1848, tanto che fu implicato o poi prosciolto per insufficienza di prova, nel famoso processo detto "dell'Unità Italiana" coll'accusa che egli volesse con gli altri armati di S. Giorgio piombare su Napoli per proclamare la Repubblica. (Vedi atti nella causa della setta doll'Unità Italiana). Dopo i moti del 1848 e per aver appartenuto alla Guardia Nazionale fu denunziato come carbonaro. Soffrì il carcere in Avellino e l'esilio a Sessa Aurunca. Di poi combatté strenuamente il brigantaggio e per le infinite prove di coraggio e di abnegazione addimostrate meritò la medaglia al valor civile. Nel 1861 fu nominato Brigadiere delle brigate mobili a cavallo e nel 1874 fu promosso per merito a Sotto-Ispettore Forestalere Foretstale. Morì povero ed onesto. L'unico retaggio lasciato ai figli dilettissimi fu quelli di averli educati al culto vero della religione e della patria !....

(4) Castromediano - Carceri e Galere Politiche Voi. I. p. 296.

(5) Idem

(6) Sigismondo Castromediano - Op. c. Voi. II.

(7) L'Agenzia dei Tabacchi fu costrnita nel 1887 ed importò la spesa di oltre lire 150,000 interamente sopportata dal Comune. Si coltiva il Brasile Beneventano, l'Esotico ed il Kentuchy. La produzione è eccellente. Detta Agenzia è importantissima sia per il numero delle piante che si coltivano, sia perché comprende terreni delle Provincie di Benevento ed Avellino. Nel solo centro vi sono circa 40 impiegati, compresi il Direttore ed i Capi-Tecnici.

(8) La Medaglia, opera d'arte pregevole dello Stabilimento Iohson di Milano ha scolpito in una faccia lo stemma di S. Giorgio la Montagna con intorno la scritta: Municirio di S. Giorgio la Montagna - Onore alle azioni patriottiche. Nell'altra faccia la seguente iscrizione: Niccola Nisco Martire per l'Unità d'Italia 1899. La pergamena, squisita pel concetto simbolico e per fattura, è dovuta all'arte del Prof. Bruito del Museo artistico di Napoli, sotto il sapiente indirizzo del Prof. Tesorone, Direttore di quell'Istituto: ha le due date, quella del 1849 in fondo a caratteri scuri, l'altra del 1899 alla cima; tra i due scudi che portano queste date si svolge un serto spinoso, in basso e fiorito alla cima, dove tra i fiori, come in apoteosi, vi è la figura d'Italia che porta in una mano le catene e con l'altra offre una corona dall'oro: la pergamena contiene la deliberazione del Consiglio Comunale di S. Giorgio la Montagna con cui si conferiva la medaglia all'illustre patriota.

(9) Tra i giornali italiani - La Tribuna, la Patria, il Mattino, il Corriere, il Don Marzio, la Gazzetta di Benevento, la Provincia, la Gazzetta Sport, l'Illustrazione italiana che riportò il ritratto; e tra i giornali esteri: le XIX Siécle, le Rappel, le Figaro, l'Intransigeant, l'Independence Belge, le Progrès, l'Evenement, la Gazzette de France, l'Eclais, l'Independent, le Metrople, le Temps.

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NISCO GIACOMO

da: "DIZIONARIO BIO-BIBLIOGRAFICO DEL SANNIO" - di Alfredo Zazo - ed. Fausto Fiorentino - Napoli - 1973.

(S. Agnese fraz. di S. Giorgio del Sannio 1783 - 1850). Adolescente, "mal frenava i suoi sentimenti di libertà" nel clima reazionario sopravvenuto agli avvenimenti del 1799. Ascritto alla Carboneria, con una schiera di rivoltosi aggirò la colonna borbonica del generale Campana che minacciava Avellino, riuscendo il 3 luglio 1820 a far trionfare in Salerno la rivoluzione. Ripristinata la monarchia assoluta, fu arrestato mentre era sul punto di espatriare avvalendosi del decreto regio del 28 settembre 1821 che concedeva tale facoltà ai compromessi politici. Riacquistò la libertà soltanto il 20 agosto 1825 in seguito a decreto di grazia di Francesco I Borbone. Nel 1848 aderì al regime costituzionale e fu ufficiale della Guardia Nazionale non lasciando di propagandare col figlio Nicola (Niccola) principi di libertà che furono antimonarchici dopo gli avvenimenti del 15 maggio 1848. Radunò pertanto nella sua casa "più di 150 naturali armati di Terranova, S. Martino Sannita, Cucciano e S. Giacomo, ai quali si unì la Guardia Nazionale di S. Giorgio del Sannio" invitati da lui e dal figlio Nicola a marciare su Napoli. Poco dopo, (13 novembre), quest'ultimo fu arrestato. Giacomo Nisco morì senza rivederlo libero. Bibl. - B. GAMBOA, Storia della rivoluzione di Napoli cit.; P. C. Ullula, Dei fatti dell'ultima rivoluzione cit., p. 212; G. De Sivo, Storia delle Due Sicilie cit., I, p. 201; A. Nisco, Ricordi biografici di Nicola Nisco, Napoli, Pierro e Veraldi, 1902; V. Cannaviello, Gli Irpini nella rivoluzione del 1820 cit., p. 342; A. Zazo, Nicola Nisco in un rapporto del regio giudice di Vitulano in Samnium, 1933, p. 117.

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