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IL Capitano Crema

Il capitano Crema, nel mese di ottobre, passava per due volte circa alla settimana per il territorio di Pontelandolfo, poiché scortava con la sua compagnia, composta da Guardie Mobili di Campobasso, i soldati italiani in trasferimento. Questa compagnia veniva chiamata la compagnia dei ladri, il suo capitano era notoriamente ubriacone e pazzo. Il mattino del 17 ottobre [1860] la menzionata compagnia passò per Pontelandolfo. Il capitano doveva portare alcuni soldati sbandati a Capua. Giunsero nel primo pomeriggio nel tenimento del nostro comune e cominciando da Santamaria, arrestavano chiunque trovavano sul loro percorso, paesano o forestiero, per condurlo in prigione a Pontelandolfo. Il capitano Crema arrestò, fra gli altri, lo zoppo di Santillo la cui unica colpa era di cercare l'elemosina, come spesso faceva, sulla strada nuova la chiusa Gugliotti. Poco mancò che non lo fucilassero. Gli fecero rivoltare le tasche e trovatogli dodici ducati addosso, lo accusarono di essere spia dei briganti, in quanto non era possibile, secondo loro, che un uomo pieno di pidocchi potesse avere tanto denaro. Il capitano Crema disse che solo i briganti gli avevano potuto dare quei denari; per fare la spia affinché egli li avvertisse dell'arrivo dei soldati. Gli sequestrò, quindi, il denaro e lo arrestò. Arrestarono in questo modo anche Michele Borrelli e sua moglie Donna Margherita che si erano recati; per controllare i lavori, nel loro podere. Arrestarono anche Don Francesco Fusco e altri Lavoratori del cantiere della strada nuova. Un povero giovanotto contadino che era intento ai suoi lavori campestri fu inseguito, catturato e condotto davanti ai capitano Crema, che ordinò ai suoi perquisirlo. Gli trovarono in tasca un coltello ricurvo detto "squarciacapre" usato spesso dai pecorai per il loro lavoro. Il giovane venne, però, accusato di essere un brigante e fu arrestato. Quando i soldati giunsero a Pontelandolfo, avevano arrestato quindici persone. I prigionieri vennero condotti tutti sotto la Teglia e fu chiamato il Sindaco protempore Don Saverio Golino. Questi aveva una brutta cera quando si presentò in piazza. Rispose alle domande del capitano Crema e fornì le informazione richieste sugli arrestati. Furono, quindi, liberate dieci persone riconosciute come dabbene mentre cinque rimasero prigioniere, tra cui: lo zoppo, il cui delitto era tenere denaro e pidocchi addosso ed il povero contadino che aveva per soprannome "Spaccamontagne" che venne accusato di avere un arma pericolosa, che poi era il colte/laccio "squarciacapre". Ad aggravare la situazione del giovanotto, c'era anche il fatto che, appeso al collo, accanto all'immagine della santa Vergine del Carmine, aveva una piastrina e uno spillone d'ottone. Tale laccio fu predo per quello che avevano i militari, con la spilla, per focone dello schioppo e questo fu sufficiente a farlo considerare appartenente ai briganti malandrini. Il capitano Crema ordinò al sindaco di custodire in prigione gli arrestati fino al suo ritorno. Aggiunse che, se al ritorno, li trovava fuori dal carcere avrebbe fucilato il sindaco. S'intromise in quel frattempo il capitano Perugini della Guardia Nazionale, sopraggiunto in quel momento. Chiese al capitano Crema con quale autorità egli ordinasse ciò. Il capitano appoggiò minacciosamente la mano sul calcio del suo fucile e gli rispose: "Allontanati immediatamente... altrimenti faccio fucilare prima te e poi i tuoi paesani assassini....." Il Perugini cercò di persuadere il capitano che i briganti di Pontelandolfo erano tutti già in carcere e che, comunque, a Casalduni avevano ammazzato i soldati, non a Pontelandolfo. Vedendoli in difficoltà, mi avvicinai e dissi a don Saverio di far sapere al capitano Crema che non di suonarono a Pontelandolfo, ma in Casalduni le campane ad armi. Il capitano Crema mi vide e, senza lasciarmi il tempo di spiegare, mi disse: " Allontanati, altrimenti ti faccio arrestare!" Un soldataccio della Guardia Mobile mi afferrò per un braccio. Cercai di spingergli che io occupavo la carica di vicesindaco. "Ma quale vicesindaco - disse il capitano - sei senza mustacci e senza mosca e questo è segno che sei reazionario, non già appartenente alla Nazione." Mi resi conto di non poter discutere con lui e non replicai parola. Il capitano, quando lo ritenne opportuno, ripartì con i suoi uomini verso San Lupo. Strada facendo arrestava chiunque incontrava al minimo sospetto che fossero persone cattive. Sparavano poi appresso a tutti coloro che fuggivano al loro apparire. La gente fuggiva per timore della soldataglia avendo già avuto modo di sapere come la soldataglia del capitano Crema spandeva il terrore solo per poter rubare a mano franca. Incontrarono sulla loro strada una donna che recava il pranzo ai suoi che zappavano la terra verso la fontana del Carmine. La donna scappò e fù inseguita e sverginata dietro una macchia. Altre donne furono prese e portate a San Lupo insieme ad altri prigionieri. Qui venne convocato il sindaco, che riconobbe gli arrestati per persone probe e chiese al capitano di rilasciarli. Per vendicarsi, il capitano voleva arrestare il sindaco dicendo che egli non si era trovato pronto al loro arrivo, ma poi cambiò idea e condusse i suoi soldati in una taverna per mangiare. Mangiarono nella taverna di Iacobelli, ed il povero taverniere ebbe, come pagamento, di essere preso per ladro. I soldati, al termine del pranzo, finsero che era stato loro rubato un fucile nella taverna, il taverniere venne, così, condotto dal capitano, Dio solo lo sa in quale stato. La famiglia già lo piangeva. Nel frattempo i soldati gli rubarono tutte le galline e due gallinacci che erano rinchiusi in un piccolo pollaio dietro la taverna, infine delle salviette, ed altre cose. Dopo aver compiuto lo scempio, il povero taverniere fu lasciato più morto che vivo e i soldati se n'andarono cantando. Il capitano Crema ritornò con i suoi uomini al Pontelandolfo sabato diciannove ottobre. Appena giunti, i soldati principiarono di nuovo la stessa storia di sparare a chi camminava e di rubare a chi aveva qualche cosa. Arrivati al Sacinello, tirarono quattro fucilate a due nostri paesani che aravano con i bovi, senza per fortuna colpirli. Poi si divertirono a sparare altre tre fucilate appresso a due pecorelle che fuggivano per timore. Poi, minacciando di arrestare i due aratori, li rivoltarono e gli tolsero quella poca grana che avevano. Andarono, quindi, alle masserie dei Mancini a Ciccotto e, sfasciate le casse delle donne, ne presero quei pochi oggetti d'argento e oro che vi trovarono. Vennero poi verso Pondelandolfo e, giunti a Pontenovo, si sparsero per le campagne, sparando continuamente appresso a chiunque incontravano: uomini, donne, ragazzi e tutti coloro che fuggivano, uomini e animali. E quanto più essi sparavano, tanta più altra gente fuggiva spaventata. La soldataglia, vedendo fuggire da tutti i lati la povera gente, si era eccitata ed era sempre più assetata di sangue. Infine, sempre inseguendo i fuggiaschi, giunsero a San Donato. A quel punto si spaventarono tutti i cittadini ed anche i galantuomini cominciarono a fuggire. Corsero voci di terrore per tutte le stradine del paese e ognuno cercò scampo come potè. I soldati entrarono nel paese sparando. Il giudice, il cancelliere il sindaco ed il capitano della Guardia Nazionale uscirono per incontrare il capitano e chiedere conto di tale comportamento. Il capitano era ubriaco, li apostrofò chiamandoli briganti e malandrini e minacciò di fargli minacciare sul posto. Il giudice rendendosi conto, che era impossibile far ragionare il capitano, si allontanò. A causa dell’età, camminava, però, a passo non tanto veloce. Allora il capitano per far schermo, lo rincorse e gli mollò un calcio nel dietro dicendo: "Fuggi bestia che sei..." Accorsero altre persone e cercarono di placare il capitano, che volle controllare quelli che avevano fatto incarcerare il giorno diciassette. Per fortuna li trovò tutti in prigione e si placò un poco. Nel caso che non li avesse trovati, disse che avrebbe fatto fucilare all’istante tutte le autorità presenti. Nel frattempo i suoi soldati si i erano sparsi per il paese e andavano per ogni dove perseguitando donne, ragazzi e quanti altri incontravano. La povera gente, disperata, si precipitava fuori dal paese lungo le mura e gli orti. I soldati li rincorrevano e gridavano: "Indietro! Indietro! Tornate indietro, brutti assassini!" e intanto sparavano contro di loro. Don Orazio Rinaldi giunse correndo fino al toppo Castellone. Don Nicola Longo ed il figlio arrivarono alla torre di Spappola. Tutti gli altri si dispersero per le campagne. I soldati, inseguendo e perseguitando i paesani, giunsero fino al mulino vecchio. Ormai, però, si era fatto buio e i soldati ritennero opportuno ritirarsi. Partirono, quindi alla volta di Morcone. Passò qualche ora e, infine, sotto le mura di udirono le grida e i richiami dei cittadini rimasti in paese che invitavano i fuggiaschi a rientrare essendosi allontanati i soldati. Si videro, quindi, man mano le strade ripopolarsi. Ognuno aveva un fardello con le poche cose raccolte nella fuga. Pochi giorni dopo una commissione, composta dalle autorità locali partì per Benevento ed espose al Governatore le imprudenze del capitano Crema. A seguito di ciò, il Governatore fece rapporto al Ministero e per quanto mi è dato sapere, per telegrafo fu avvertito il capitano pazzo e ubriacone di non commettere più insolenze e di non offendere la popolazione. In seguito egli fu più prudente, ma, spesso, commetteva ancora qualche prepotenza.

da "Pontelandolfo: Agosto 1861 memorie di quei giorni" di Carlo Perugini, Ed. La Scarana, Benevento, 1998

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