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Don Josè Borgès

Avrebbe dovuto riconquistare il Regno

La cattura nei racconti "ufficiali"

Fu anche schiaffeggiato

Un "illuso" aveva detto Crocco

di Ludovico Greco da: "Piemontisi, Briganti e Maccaroni", Guida Editore, Napoli, 1975

IL GENERALE JOSE’ BORGES E LA BATTAGLIA DI LUPPA

di Maurizio LUDOVICI

"LA FINE DI UN EROE"

di Valentino ROMANO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Avrebbe dovuto riconquistare il Regno

Josè Borgès, catalano, nelle guerre civili del suo paese erasi acquistato fama di coraggioso, di audace, di energico. Il suo passato non si riferisce al mio racconto, ed io lo lascio ai biografi. Importa soltanto sapere che esso fu arruolato in Francia dai Comitati borbonici. Ecco il testo delle istruzioni che ricevé dal generale Clary. Ho avuto nelle mie mani una copia di questo documento trovato fra le carte stesse di Borgès. L'originale scritto in francese, e sottoscritto dal generale borbonico, trovasi oggi a Torino nell'archivio del ministero degli affari esteri. Lo traduco letteralmente.

ISTRUZIONI AL GENERALE BORGÈS

All'oggetto di animare e proteggere i popoli delle Due Sicilie traditi del governo piemontese che li ha oppressi e disingannati (détrompés); Per secondare gli sforzi di questi popoli generosi che richiedono il loro legittimo Sovrano e padre; Per impedire l'effusione di sangue dirigendo il moto nazionale; Per impedire le vendette private che potrebbero condurre a funeste conseguenze; Il signor generale Borgès si recherà nelle Calabrie per proclamarvi l'autorità del legittimo re Francesco II. In conseguenza osserverà le istruzioni seguenti, bene inteso, che le modificherà secondo le circostanze e la prudenza, perché è impossibile stabilire regole fisse, ma soltanto i principii generali che determineranno la sua condotta.

1°. Dopo aver riunito il maggior numero di uomini che potrà in ragione dei mezzi che gli verranno forniti, il signor generale s'imbarcherà per rendersi a un punto di sbarco sulle coste di Calabria, che possa offrire minori pericoli ed ostacoli.

2°. Appena egli si sarà impadronito di qualsiasi luogo e dopo aver preso le precauzioni militari più adatte, vi stabilirà il potere militare di Francesco II colla sua bandiera. Nominerà il sindaco, gli aggiunti, i decurioni e la guardia civica. Sceglierà sempre uomini di una completa devozione al Re e alla Religione, prendendo cura speciale di evitare gli individui, che sotto le apparenze di devozione, non vogliono che soddisfare ai loro odii e alle loro vendette private; cosa che in tutti i tempi ha meritato la speciale attenzione del governo, attesa la fierezza di quelle popolazioni.

3°. Il generale proclamerà il ritorno alle bandiere di tutti i soldati, che non hanno ancora compiuto il termine di servizio, e di coloro che vorranno volontari servire il loro amatissimo sovrano e padre. Avrà cura di dividere i soldati in due categorie: 1° quelli che appartenevano ai battaglioni dei Cacciatori; 2° quelli dei reggimenti di linea e d'altri corpi. Aumentando il loro numero, formerà i quadri delle armi diverse, artiglieria, zappatori, infanteria di linea, gendarmeria e cavalleria. Avrà cura di non ammettere antichi officiali, in proposito de' quali riceverà ordini speciali. Darà il comando de' diversi corpi agli officiali stranieri che l'accompagnano; sceglierà un officiale onesto e capace, che sarà il Commissario di guerra, e successivamente officiali amministrativi e sanitari. Il generale Clary invierà poco a poco delle guide di Borbone, che, sebbene armate di carabina, serviranno da officiali d'ordinanza e di stato maggiore. I battaglioni saranno di quattro compagnie; aumentando le forze, verranno portate a Otto. L'organamento definitivo di questo corpo sarà stabilito da S.M. il Re. I battaglioni prederanno i seguenti nomi: 1° Re Francesco; 2° Maria-Sofia; 3° Principe Luigi; 4° Principe Alfonso. La loro uniforme sarà simile al modello che invierà il Generale Clary.

4°. Appena egli avrà una forza sufficiente, comincerà le operazioni militari.

5° Avendo per scopo la sommissione delle Calabrie, questo fine sarà raggiunto quando esse saranno assoggettate. il generale Borgès farà noto al generale Clary tutti i suoi movimenti, i paesi che avrà occupato militarmente, le nomine dei funzionari da lui fatte in modo provvisorio, riservandone l'approvazione, la modificazione e il cambiamento alla sanzione reale.

6°. Non nominerà i governatori delle province, perché S.M. per mezzo del generale Clary invierà le persone che debbono sostenere questi alti uffici. Il generale si darà cura di ristabilire i tribunali ordinari, escludendo coloro che senza dare la loro dimissione son passati al servizio dell'usurpatore. Il generale Borgès potrà far versare nella cassa della sua armata tutte le somme di cui avrà bisogno, redigendo ogni volta de' processi verbali regolari. Si servirà di preferenza: l° delle casse pubbliche; 2° dei beni de' corpi morali; 3° dei proprietari che hanno favorito l'usurpatore.

7°. Farà un proclama, del quale manderà copia al generale Clary, e prometterà in nome del Re un'amnistia generale a tutti i delitti politici. Quanto ai reati comuni, saranno deferiti ai tribunali. Farà intendere che ognuno è libero di pensare come più gli piace, purché non cospiri contro l'autorità del Re e contro la dinastia. Un proclama stampato sarà inviato dal generale Clary per esser pubblicato appena sbarcherà in Calabria.

8°. All'oggetto di evitare la confusione e gli ordini dubbi, resta in massima stabilito che il generale Borgès e tutti coloro che dipendono da lui, non obbediranno che agli ordini del generale Clary, anche quando altri si facessero forti di ordini del Re. Questi ordini non gli giungeranno che per mezzo del generale Clary. Gli ordini che il generale e i suoi sottoposti non dovranno seguire, anche provenienti dal generale Clary, sono soltanto quelli che tenderebbero a violare i diritti del nostro augusto Sovrano e della nostra augusta Sovrana e della loro dinastia. In questi tempi al primo splendido successo, il generale Borgès si vedrà circondato da generali e da officiali che vorranno servirlo; egli li terrà tutti lontani, perché S. M. gli manderà gli officiali che essa stimerà degni di tornare sotto le bandiere.

9°. In Calabria debbono esservi molte migliaia di fucili, e di munizioni. Il generale Borgès li farà restituire immediatamente al deposito di Monteleone; e punirà severamente ogni individuo che non ne facesse consegna dentro un breve spazio di tempo. La fonderia di Mongiana, le fabbriche d'armi di Stilo e della Serra saranno immediatamente poste in attività.

10°. Il signore generale Borges farà le proposizioni per gli avanzamenti e le decorazioni per gli individui, che più si distingueranno nella campagna.

11°. Avrà i più grandi riguardi per i prigionieri, ma non darà ad essi libertà, né lascierà liberi gli officiali sotto la loro parola. Se un individuo commette insolenze o offende i prigionieri nemici, sarà giudicato da un Consiglio di guerra subitaneo e immediatamente fucilato. Il signor generale Borgès non ammetterà scuse in questo proposito; pure di fronte ai Piemontesi userà del diritto di rappresaglia.

12°. Di ogni modificazione che l'urgenza e le circostanze renderanno necessaria alle presenti istruzioni sarà reso conto al generale Clary.

Marsiglia, 5 luglio 1861.

G. CLARY

PS. - Non appena avrete riunita la vostra gente a Marsiglia o altrove, e sarete pronto ad imbarcare in ordine alle relazioni e all'aiuto de' nostri amici di Marsiglia, voi mi scriverete per telegrafo a Roma, posto che io mi ci trovi sempre, ne' seguenti termini: Langlois, Via della Croce, 2. Giuseppina gode sanità, si rimette parte del giorno ……….

G. CLARY

(Marc Monnier: Notizie storiche sul brigantaggio nelle provincie napoletane, Firenze 1862).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La cattura e la fucilazione nei racconti "ufficiali"

Intorno alla sua cattura, abbiamo ragguagli completi in un rapporto del valoroso officiale che l'operò, il maggior Franchini. Ecco il documento indirizzato al generale La Marmora:

N. 450. Tagliacozzo, 9 dicembre 1861.

Alle ore 11 e ˝ della sera dei 7, una lettera del signor sotto-prefetto del circondano m'avvisò che Borgès con 22 suoi compagni a cavallo era passato da Paterno dirigendosi sopra Scurcula; ed altra, alle ore 3 e ˝ del mattino degli 8, del signor comandante i reali carabinieri, da Cappelle mi faceva sapere che alle 8 di sera dei 7, avevano i medesimi traversato detto paese, e che tutto faceva credere avessero presa la strada per Scurcula e Santa Maria al Tufo. Dietro tali notizie io spediva tosto una forte pattuglia comandata da un sergente verso la Scurcula colla speranza d'incontrarli, ed altra a Santa Maria comandata da un caporale per avere indizii se mai i briganti fossero colà arrivati; ma costoro prima degli avvisi ricevuti avevan di già oltrepassato Tagliacozzo e traversato chetamente Santa Maria, dirigendosi sopra la Lupa, grossa cascina del signor Mastroddi. Certo del passaggio dei briganti, io prendeva con me una trentina di bersaglieri, i primi che mi venivano alla prima, ed il signor luogotenente Staderini che era di picchetto; ed alle due prima di giorno, mi metteva ad inseguire i malfattori. Giunto a Santa Maria trovava la pattuglia colà spedita, e questa e dai contadini aveva indirizzi certi del passaggio dei briganti, ed aiutato dalla neve, dopo breve riposo, celermente prendeva le loro tracce, per alla Lupa. Erano, circa le 10 antimeridiane allorché io giunsi alla cascina Mastroddi, ma nulla mi dava indizi che essa fosse occupata dai briganti, quando una cinquantina di metri circa da quel luogo vedo alla parte opposta fuggire un uomo armato. Mi metto alla carriera, lo raggiungo e gli chiudo la strada, i miei bersaglieri si slanciano alla corsa dietro di me; ma il malfattore, Vistosi impedita la fuga, mi mette la bocca della sua carabina sul petto e scatta; manca il fuoco; lo miro alla mia volta colla pistola ed ho la medesima sorte; ma non falli' un colpo sulla testa che lo stese a terra. I bersaglieri si aggruppano intorno a' me ed a colpi di baionetta uccidono quanti trovano fuori (cinque): altri circondano la cascina; ma i briganti, avvisati, fanno fuoco dalle finestre e mi feriscono due bersaglieri. S'impegna un vivo combattimento, ed i briganti si difendono accanitamente. Infine, dopo mezz'ora di fuoco, intimo loro la resa, minacciando di incendiare la casa: ostinatamente rifiutano, ed io volendo risparmiare quanto più poteva la vita ai miei bravi bersaglieri, già faceva appiccare il fuoco alla cascina, quando i briganti si arrendevano a discrezione. Ventitré carabine, 3 sciabole, 17 cavalli, moltissime carte interessanti cadevano in mio potere, 3 bandiere tricolori colla croce di Savoia, forse per servire d'inganno, non che lo stesso generale Borgès e gli altri suoi compagni descritti nell'unito stato, che tutti traducevo meco a Tagliacozzo, assieme ai 5 morti, e che faceva fucilare alle ore 4 pomeridiane, ad esempio dei tristi che avversano il Governo del Re ed il risorgimento della nostra patria. Alcune guardie nazionali di Santa Maria col loro capitano che mi avevano seguito, si portarono lodevolmente, per i quali mi riserbo a far delle proposte per ricompense al signor prefetto della provincia. Il luogotenente signor Staderini si condusse lodevolmente, e mi secondava con intelligenza, sangue freddo e molto coraggio. Il maggior comandante il battaglione

FRANCHINI

Ecco ora alcuni ragguagli intorno alla morte di Borgès. Quando fu preso alla cascina Mastroddi, non volle rendere la sua spada che a Franchini; e quando lo vide, gli disse: "Bene! giovane maggiore". - I prigionieri furono legati due a due e condotti a Tagliacozzo. Durante il tragitto Borgès parlò poco e fumò delle spagnolette. Disse a varie riprese: "Bella truppa i bersaglieri!". Poi al luogotenente Staderini: "Andavo a dire al re Francesco II che non vi hanno che miserabili e scellerati per difenderlo, che Crocco è un sacripante e Langlois un bruto". Manifestò anche il suo dispiacere di essere stato preso tanto vicino agli Stati romani. Franchini fece quanto poté per ottenere delle rivelazioni. Gli Spagnuoli furono muti e conservarono un fiero contegno. "Tutte le torture non mi strapperanno una parola" disse Borgès, al quale non si pensava di infligger veruna tortura; e aggiunse: "Ringraziate Dio che io sia partito questa settimana, un'ora troppo tardi; avrei raggiunto gli Stati romani e sarei venuto con nuove bande a smembrare il regno di Vittorio Emanuele". Garantisco queste parole: resultano da un secondo rapporto inedito del maggior Franchini. A Tagliacozzo Borgès e i suoi compagni vennero condotti in un corpo di guardia, ove dettero i loro nomi. Uno spagnuolo, Pietro Martinez, chiese inchiostro e carta, ove non scrisse che queste parole: "Noi siamo tutti rassegnati a esser fucilati: ci ritroveremo nella valle di Giosafat, pregate per noi". Tutti si confessarono in una cappella e dopo furono condotti sul luogo dell'esecuzione. - "L'ultima nostra ora è giunta, sclamò Borgès: muoriamo da forti". Abbracciò i suoi compatrioti, pregò i bersaglieri a mirar diritto, poi si mise in ginocchio co' suoi compagni e intuonò una litania in spagnuolo. Gli altri in coro gli rispondevano. Il cantico fu rotto dalle palle: dieci Spagnuoli caddero; dopo di che venne la volta dei Napoletani, fra i quali eravi un ultimo straniero, il quale prima che fosse fatto fuoco, gridò ad alta voce: "Chiedo perdono a tutti!"

(Marc Monnier: Op. cit.).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fu anche schiaffeggiato prima di essere fucilato

Perduto metà de' suoi Spagnuoli, pure seguito da pochi generosi regnicoli, con in tutto ventidue uomini traversa Basilicata, Avellino, Matese, Abruzzo, inseguito, atteso, circondato da cinquanta battaglioni e da sette generali; sempre senza ricetto, combattendo, marciando con istratagemmi, patendo fame, sete, freddo, pioggia e neve. Passato il piano di Cinquemiglia e Avezzano, arriva la sera del 7 dicembre a Scurcola: al chi vive della sentinella, risponde carabinieri, e passa. Ferma a reficiarsi a un'osteria, trova per guida un paesano di S. Maria; traversa Tagliacozzo, delude le sentinelle che credonli castagnai, e passa pure S. Maria. Erano avanti alla frontiera, tutto aveano superato; ma assiderati, strutti, co' cavalli stanchissimi, hanno suprema necessità di riposo; e fermano a una casina Mastroddi, detta Luppa, a quattro miglia dal confine. La guida, dicendo avere una lettera per Aquila, chiese licenza; ed eglino il fecero andare; il quale sebbene pagato in oro, tornò a S. Maria, e li denunziò al Colella capo nazionale, che tristo montò la sua guardia, e chiamò da Tagliacozzo il maggiore sardo Franchini. Costui già per telegrafo avea saputo la passata per Scurcola, ma non sapea dove andare; però alla chiamata corse con bersaglieri; e uniti al Colella il mattino dell'8 circondò la Luppa. La sentinella spagnuola tira al maggiore e non fa foco; questi risponde, né pure va il colpo; ma un Nazionale col fucile al petto fredda lo Spagnuolo. Gli altri destati si difendono; cinque escono e vanno a pezzi; gli assalitori più che cento, tra' quali un prete fratello del Colella, mettono foco alla - casa, perlocché il Borjès alza bandiera bianca. Il Franchini, considerato avere due soldati feriti, dopo un'ora di fuoco annuì al patto di salve le vite. Il Borgès dignitosamente gli die' la spada, e anzi gli lodò la sua gente. Egli da villano ligatili tutti e diciotto, trasseli a S. Maria; dove li spogliò pure de' panni. Loro ne pose di luridi, e sino imbrattò i volti, per mostrarli briganteschi ceffi. Anche uno schiaffo al Borgès fù dato. Si' miseramente menatili a Tagliacozzo, il demone dell'avarizia piglia quei liberali; il Franchini, il Colella, e gli altri caporioni, consigliantisi a ristretto, divisosi l'oro tolto a' prigionieri, per elevare di mezzo le reclamazioni e le testimonianze, decisero fucilarli subito. Indarno i miseri allegarono i patti, indarno essere militari; confessati in fretta, strascinaronli sulle porte del paese. Prima i dieci Spagnuoli in ischiera, poi che il Borgès disse tirassero al petto, risparmiassero il volto, tutti inneggiando a Dio, caddero; tosto gli altri otto regnicoli furono abbattuti, ch'erano le ore quattro vespertine. Poco di ora appresso arrivava ordine di non uccidere i catturati, e a ragione, che ne speravano rivelazioni d'importanza. Fu voce costante li assassinassero in tanta fretta, senza nessuna maniera di giudizio, per pigliarsi impunemente il denaro, in più migliaia di lire; e si notò lo spendere e spandere di quel Franchini e suoi uffiziali e i Colella, già mezzo falliti. Il governo non potea guardare pel sottile, e stampò il fatto à uso del pubblico. E pregio di storia ricordare i nomi de' diciotto Stranieri: esso Borgès, Gaetano Cambrè di Valenza, Giuseppe Desurientier di Bilbao, Nicolao Moschy e Francesco Jorus di Catalogna, Michele Chieraldi di Valenza, Pasquale Morginet di Catalogna, Francesco Donsy di Valenza, Laureano Casenas di Castiglia, Pietro Martinez d'Aragona. De' nostrani: Francesco Pacaso di Avegliano (d'Italia), Leonardo Bieco e Mario Gallecchia di Basilicata, Luigi Molino di Trivigno, Michele Tomù di Molise, Michele Pezzetti di Barile, Pasquale Salines di Siracusa, Michele Capuano di Calabria. Così per la legittimità perì quel tipo di Spagnuolo, uomo d'onore, e bravo, ch'ebbe tutto, fuorché fortuna. A' 17 del mese il napolitano principe di Scilla, e '1 parigino visconte di San Priest ottennero per intramessa di Francia dal Lamarmora l'esumazione del corpo di lui; e '1 menarono a Roma, ov'ebbe dagli esuli napolitani i solenni funerali.

(Giacinto De Sivo: "Storia delle due Sicilie dal 1847al 1861" - Trieste, 1868)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un povero "illuso" aveva detto Crocco

…. Vivevo aggredendo, taglieggiando, uccidendo di tanto in tanto, quando da un pastore di Tricarico ricevetti un biglietto del brigante Serravalle in cui mi si chiedeva appuntamento nella masseria Carriera. Fu qui, nell'ottobre del 1861, ch'io conobbi il Borgès generale spagnuolo venuto per ordine di Francesco II a tentare di sollevare i popoli delle Due Sicilie. Quell'uomo forestiero che veniva da noi per arruolare proseliti e reclamava in conseguenza l'ausilio della mia banda, destò sin dal primo momento nell'animo mio una forte antipatia poiché compresi subito che a petto suo dovevo spogliarmi del grado di generale comandante la mia banda, per indossare quello di sottoposto. Egli, un povero illuso venuto dal suo lontano paese per assumere il comando di un'armata, aveva creduto trovar ovunque popoli insorti, e dopo un primo colossale fiasco dalla Calabria alla Basilicata, voleva convincere me ed i miei che non sarebbe stato difficile provocare una vera insurrezione, dato il numero della mia banda, l'ottimo elemento che la costruiva, le buone armi e gli eccellenti cavalli. L'esperienza, maestra della vita, mi consigliava a non far appoggio sull'aiuto dei reazionari, se non volevo ripetere un'altra fuga come quella di Melfi; però era d'incitamento per noi, a non rifiutare il chiesto aiuto, il pensiero che guidati da un esperto uomo di guerra, avremmo potuto aver ragione sulla forza, conquistare paesi e città, ove non sarebbe stato difficile arricchire col saccheggio e coi ricatti. Il Serravalle insisteva perché la domanda del Borgès venisse accolta incondizionatamente, ma tanto io quanto i miei eravamo titubanti, anzi propensi a rifiutare, male assoggettandoci a discipline militari abituati a vita libera, e quello che più importava al libero ladroneggio. Dopo lunghe trattative e convenzioni verbali sull'uso della forza, sull'ordinamento del comando, sulla mercede giornaliera, mi unii colla banda al generale spagnuolo, e con lui iniziai nuove gesta brigantesche, sotto la tutela però di movimento politico.

(Note autobiografiche di Carmine Crocco, Melfi 1903).

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