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PROTESTA

INVIATA DAL CARDINALE CARAFA AL GOVERNATORE DI BENEVENTO CARLO TORRE

 

 

 

 

 

 

 

Roma, il dì 21 dicembre 1860

 

 

Al Signore

 

 

il sig. CARLO TORRE

 

 

Governatore di Benevento

 

 

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Signor Governatore,

 

 

Quantunque i deplorabili avvenimenti verificatisi in cotesta città e provincia dal giorno, in cui fu violentemente sottratta al dominio della S. Sede, non che in altri luoghi della mia Diocesi, presentano tali caratteri da non rendere malagevole il ravvisarne la natura e le tendenze, non è però che io mi creda dispensato dal dovere di proclamare la ingiustizia, e protestare solennemente contro le criminose e ripetute violazioni dei sacrosanti diritti della Chiesa.

Chiamato dalla mia dignità alla custodia dello spiritual gregge dalla Divina Provvidenza e dalla benignità dell'Apostolica Sede affidatomi, non potrei più lungamente tacere, senza che il mio silenzio assumesse le sembianze di una indolenza colpevole, se non fosse di una scandalosa connivenza. Che se alcuni dei fatti, contro i quali io fo al presente i miei giusti richiami, furono compiuti innanzi che Ella, Signor Governatore, assumesse il regime della Provincia, ciò nulla ostante ognun vede che, lungi dall'esser quelli condannati e, per quanto poteasi, ritrattati, come io sperava, sventuratamente non furono che il principio di una serie di altri non dissimili avvenimenti.

Vorrei dimenticare gli orrori dei primi giorni dell'ultimo settembre, quando, al convenuto segnale, raccolte costà numerose bande di faziosi dalle circostanti Provincie del Regno, fra i clamorosi baccanali di una plebe stipendiata e corrotta, s'inalberò la bandiera della rivolta e furono abbassati gli Stemmi Pontificii perfin dalle Chiese e dagli Ecclesiastici Stabilimenti, come se coloro, che nel Pontefice Romano volevano esautorato il Sovrano, disconoscessero ad un tempo la spirituale autorità del Capo augusto della Cattolica Religione.

Con l'usurpazione dei temporali diritti procedeva di conserva la violazione dei diritti spirituali della Chiesa. Un decreto dichiarava decaduto il Governo Pontificio, un altro aboliva il Foro Ecclesiastico per le cause civili e criminali, ed ordinava alla mia Curia la consegna degli atti relativi.

Che dirò poi degli oltraggi, ai quali soggiacquero i Padri della Compagnia di Gesù?

Irreprensibili nella condotta, indefessi nell'educare ed istruite la gioventù, nell'amministrare la divina parola, nel dirigere le coscienze, sempre intesi nell'esercizio delle più belle opere di cristiana carità, in qual modo avevano potuto essi mai provocare la fiera persecuzione, di cui furono le prime vittime?

Eppure a Lei, signor Governatore, non è ignoto come, non per volere del popolo, che in quei religiosi riconosceva i suoi benefattori, ma solo dei pochi intrusi al potere, venivano essi aggrediti improvvisamente nella loro dimora, oltraggiati in molte guise, spogliati di tutto, e come se perduto avessero in un tempo ogni diritto non pur di cittadini ma di uomini anche, scacciati dalle loro case e costretti a mendicare un momentaneo alloggio ed un qualche sussidio per recarsi in più ospitali contrade.

Nella loro amabile rassegnazione a un così barbaro trattamento abbiamo un illustre esempio di cristiana virtù: ma ciò non giustifica la illegalità dell'atto che li colpiva, nè assolve i loro persecutori dalla colpa della più manifesta ingiustizia, della più nera ingratitudine, del sacrilegio più incontrastabile.

Poscia, per correre più spediti nella tracciata via, si pensò allontanare me dalla mia residenza con modi che io vorrei tacere, se fosse stata soltanto una violenza fatta alla mia persona e non piuttosto un sacrilego insulto al sacro carattere, di cui sono rivestito.

Già da più giorni numerose guardie avevano circondato il mio Palazzo e la Chiesa Metropolitana, facendone gelosa custodia, quando il mattino del 27 furono aperte con violenza le porte di quella Chiesa, sforzato l'uscio del Campanile e, al suono festivo delle campane, invitato il popolo ad ascoltare le virulenti ed empie parole di un apostata sciagurato, che, sprezzando ogni mio divieto, volle dare più volte l'infelice spettacolo delle sue aberrazioni.

Sul cadere del dl 28 fu invaso il mio Palazzo e, mi s'intimava la istantanea partenza da codesta Città per ordine del Dittatore, che, mi si disse, doveva parlarmi. Rassegnato cedetti alla forza; viaggiai quasi tutta la notte scortato sempre da alcuni officiali, e, condotto in Napoli, fui tenuto alquanti dl prigioniero senza mai vedere il Dittatore, trattato nei modi, che sarà meglio preferire in silenzio.

Finalmente perché non facessi ritorno alla mia Diocesi, fui consegnato al Comandante di un piroscafo che partiva per Genova, e lasciato libero nel porto di Civitavecchia. La mia colpa, non è ormai chi nol sappia, era il rifiuto alla richiestami adesione. Venne intanto suggellata una parte del mio Palazzo, né fu aperta che per darvi alloggio ad ufficiali delle truppe rivoluzionarie.

Lo confesso innanzi al Signore, nessun rancore io serbo per quelli che offesero la mia persona, e prego dall'intimo del mio cuore il Padre delle misericordie, perché si degni illuminarli e ricondurli al sentiero della salute.

Non posso però non sentire il più profondo dolore per la ostinata guerra che si fa alla nostra Santa Religione, calpestandone i diritti, violandone le leggi, perseguitandone i ministri.

Pure a vista di tanti disordini, io non perdevo ogni speranza che, dato giù quei primi bollori, non tardasse il ravvedimento, e che altri forse, in cui non fosse estinto ogni sentimento di onestà e di religione, avesse fatta un giorno la giusta riparazione degli errori commessi e lasciata alla Chiesa tutta la libertà del suo spiritual ministero.

La potente eloquenza dei fatti, sì evidentemente contrarii alla ragione ed alla coscienza, bastata per avventura già sarebbe all'altrui disinganno, ove le menti non fossero ormai tanto cieche, non saprei se più da uno stolto fanatismo politico, ovvero da un mal simulato odio alla Chiesa. Gli eventi non hanno corrisposto alla mia speranza.

Un decreto infatti dichiarava i beni della Mensa Arcivescovile proprietà dello Stato, e il mio Amministratore veniva obbligato alla consegna dei titoli e dei registri ché, se poscia l'Amministrazione tornava nelle mani del mio agente, ciò come si annunziava non fu che un precario provvedimento e senza un ratizzamento dei frutti, che si vollero ritenere dovuti al nuovo governo.

Si dava mano al Monte di Pietà, istituito dalla munificenza dell'immortale Pontefice Benedetto XIII, e senza pur farne motto alla ecclesiastica Autorità, da cui per fondazione esclusivamente dipende, si restituiva un numero di pegni del valore di oltre i ducati quattromila per coltivarsi la benevolenza ed il suffragio della popolazione.

Al depositario delle somme dei Luoghi Pii, destinate a rinvestimento o a libero uso, si ingiunge di esibirne esatto registro e tener pronte le dette somme a qualunque richiesta del Governo. Da ultimo agli Amministratori dei Monti frumentari del Ducato Beneventano s'intima di preparare un generale rendiconto da esibirsi alle autorità governative.

Su questi fatti, vorrei, Sig. Governatore, chiamare le sue riflessioni, se la illegalità e la ingiustizia dei medesimi non apparissero a primo sguardo. Mi permetto soltanto domandarLe: su qual diritto, sopra quale legge si appoggiano cotali atti di usurpazione e di spoglio? come giustificarne i modi? come legittimarne le conseguenze?

Eppure tutto ciò si è operato in nome della libertà, si è praticato in un tempo in cui si proclama caduto il dispotismo, si è eseguita da quei che portano ancora il titolo di cattolici.

Ma chi non vede in queste opere la vera libertà manomessa dall'arbitrio e dalla violenza? chi non vi scorge l'impronta del più detestabile dispotismo? quale dei cattolici ignora il Divino precetto di rispettare l'altrui proprietà e le pene fulminate contro i sacrileghi usurpatori degli spirituali e temporali diritti della Chiesa? Altri però più dolorosi avvenimenti vennero, non guari dopo, ad accrescere l'amarezza del mio cuore.

Nel breve giro di pochi giorni cotesta città fu privata delle religiose famiglie dei Padri Agostiniani, Domenicani, Conventuali, Ministri degli infermi, Missionari del Preziosissimo Sangue, colpiti dalla sorte medesima che toccava ai Padri della Compagnia di Gesù.

Risparmiate non furono le persone, ignominiosamente sbandite senza riguardi di sorta alcuna, non risparmiate le sostanze, sequestrate e ritenute a disposizione di chi ne bandiva i legittimi possessori!

Io non trovo parole per deplorare abbastanza sì abominevoli eccessi, di cui sono incalcolabili le conseguenze. Il pubblico insegnamento decaduto, le coscienze prive di tanti abili direttori, una Parrocchia vedovata del suo Curato, la pubblica morale minacciata nei suoi più vitali principi, il Divino Culto avversato, la religione conservata solo nel nome, il popolo defraudato di tanti spirituali ed anche temporali vantaggi; ecco i lagrimevoli effetti nell'iniziato sistema, la cui tremenda responsabilità si vorrà indarno sfuggire da chi ne ha poste le cause.

Chiarito adunque essere ormai vano, se non fosse nocivo, ogni altro indugio, io mi dirigo a Lei nelle cui mani risiede oggi il Governo di codesta Città e Provincia, e in nome dei sacrosanti diritti della Chiesa, la cui tutela mi fu col pastorale officio affidata, emetto la più solenne e formale protesta contro la illegalità ed ingiustizia dei fatti accennati.

Protesto infatti prima contro la sacrilega e violenta usurpazione dei temporali diritti della S. Sede sul Ducato Beneventano, nonché contro tutti gli atti dell'intruso Governo diretti a convalidare e sostenere la ribellione in questa parte degli Ecclesiastici Dominii: ed in special modo contro il decreto di annessione al nuovo Regno Italiano e di abolizione delle leggi Pontificie: come pure contro qualunque lesione dei diritti della Chiesa potesse in seguito derivare dalla surrogazione di altre leggi a quelle emanate dai Sovrani Pontefici e ciò non solo nella mia qualifica di Cardinale della Chiesa Romana e membro dell'Episcopato Cattolico, ma ancora pei vincoli speciali con cui da Pastore mi trovo unito a codesta eletta porzione del gregge del Signore.

Protesto contro il decreto, che abolisce l'Ecclesiastica Giurisdizione per le cause civili e criminali, finora esercitate in forza delle pontificie disposizioni, sia per la natura delle cose in questione, sia per la qualità delle persone: la quale protesta intendo estendere a qualsiasi altro decreto lesivo di qualunque mio diritto e giurisdizione.

Protesto per la violata immunità delle persone dei luoghi sacri, per gli oltraggi recati al Tempio Santo di Dio, per lo spregio fatto a nome ed alle insegne dell'Augusto Vicario di Gesù Cristo.

Protesto in nome degli Ordini Religiosi, i cui Conventi e Collegi sono stati arbitrariamente soppressi, i beni confiscati, e gli individui sbanditi, senza autorità, senza verun legale procedimento, contro ogni giustizia ed ogni legge.

Protesto ancora in nome della Santa Sede, dalla cui sola Autorità dipende la sorte dei Claustrali, e che in conseguenza con tale dispotico atto, fu gravemente oltraggiata.

Protesto in nome del Clero che nei Religiosi vedesi privato di tanti degni coadiutori nel vasto campo dell'Ecclesiastico Ministero: in nome del popolo stesso, cui è venuto meno un gran numero di spirituali direttori e un valido sostegno nei suoi materiali bisogni.

Protesto contro la usurpazione eseguita e tentata delle proprietà e rendite di qualunque natura appartenenti a Chiese, Luoghi Pii, Case Religiose e destinate al culto divino, ovvero al mantenimento dei sacri ministri, e contro il danno recato al Monte di Pietà con l'arbitraria restituzione dei pegni.

Protesto contro ogni ingerenza presa dal Governo in affari esclusivamente dipendenti dall'Autorità Ecclesiastica, come amministrazione di Parrocchie, custodia di Chiese, direzione di Luoghi Pii, e contro le violenze usate ai miei ministri, perché riconoscano in tali materie le Autorità secolari.

Protesto per ogni usurpazione di diritti episcopali nella Pubblica istruzione, e segnatamente per la soppressione del Collegio dei Padri Gesuiti, e per qualunque specie d'insegnamento pubblico siasi istituito senza la espressa approvazione della Ecclesiastica Autorità.

Protesto parimenti contro quanto si è scritto e pubblicato in cotesta Provincia in onta alla Religione ed ai diritti spirituali e temporali della Chiesa ovvero in discredito agli Ecclesiastici, e in qualunque maniera offenda le leggi della pubblica morale.

Protesto inoltre contro le maligne insinuazioni fatte al popolo per muoverlo ad oltraggiare persone costituite in Ecclesiastici officii, e così offrire al Governo motivi di mal fondati richiami. Né tralascio di emettere le più vive doglianze per le difficoltà che tuttodì si pongono alla mia libera comunicazione con la Diocesi per lo esercizio del mio Episcopale Ministero. Contro tutti gli accennati atti nei migliori e più validi modi io protesto, dichiarando nullo e di nessun valore quanto si è ordinato e praticato o verrà ordinato e praticato in avvenire in opposizione alle leggi Divine ed Ecclesiastiche: ed in nome di quella eterna ed infallibile Giustizia che chiamerà un giorno a severo scrutinio le nostre azioni, io domando piena e sollecita riparazione dei torti gravissimi fatti alla Chiesa nella violazione delle sue leggi e dei miei spirituali diritti.

Ella intanto, Signor Governatore, troverà, spero troppo giuste le ragioni che mi spingono a riprovare altamente le enormezze costà commesse, e che in altre circostanze erano da Lei medesimo in qualche modo riprovate.

Non è quindi senza fiducia che io Le scrivo, aspettandomi sentir presto ogni cosa rientrata nell'ordine, reintegrata la Chiesa nei suoi diritti e nel libero esercizio dei medesimi, riparati i danni e gli oltraggi recati a suoi ministri, abbandonato finalmente un sistema, il quale non può riuscire che alle più luttuose conseguenze.

Che se poi (ciò che Iddio non permetta) mi è serbata novella e più profonda amarezza, di vedere cioè senza effetto questi miei voti, adorando gli imperscrutabili arcani del Signore, non avrò mai a rimproverarmi di aver col silenzio trasandato l'adempimento di un mio Sacro dovere.

L ARCIVESCOVO DI BENEVENTO

Domenico Card. Carafa

 

 

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