San Barbato e la conversione dei Longobardi

Dopo quasi due secoli di contatti tra bizantini e longobardi nell'Italia meridionale, l'ambiente culturale romanico era penetrato nel ducato di Benevento che, dopo un periodo di adattamento, lo aveva fatto proprio ed i conquistatori, sebbene tentassero di restare sempre distaccati e al di sopra dei latini assoggettati, incominciarono ad accettarne i costumi, ancora influenzati dall'alta eredità culturale romana, adottandone il sistema di vita. Già alla fine del VII secolo a Benevento ed in tutto il Ducato i longobardi abbandonarono il vecchio modo di vestirsi ed iniziarono a dimenticare la loro lingua madre e, in modo ancora più radicale, cambiarono le loro abitudini insediative. Inoltre, mentre fino a poco tempo prima i Longobardi venivano seppelliti in tombe a schiera al di fuori dei centri abitati veri e propri, nel periodo di Arechi II già da tempo preferivano essere seppelliti vicino a chiese importanti situate all'interno delle città.

Cattedrale di Benevento

affresco frammentario

"Storie di San Barbato"

Rappresentazione grafica da:

"Benevento Romana e Longobarda" di M. Rotili

È facile intuire come questo cambiamento fosse dovuto in massima parte alla crescente conversione del popolo longobardo al cattolicesimo, il cui merito va ascritto essenzialmente a due personaggi: a S. Barbato, primo vescovo di Benevento ed a Teodorata, Duchessa di Benevento e moglie cattolica di Romualdo. Dopo l'invasione e le distruzioni operate, in particolare, dai guerrieri di Zottone ed Arechi I, per quasi novant'anni i vescovi si erano tenuti alla larga dai nefandissimi Longobardi di Benevento, anche se essi, pur essendo in massima parte pagani o ariani, furono sempre tolleranti con le genti conquistate e con le loro usanze. Solo agli inizi della seconda metà del VII secolo mentre il Re Grimoaldo, già Duca di Benevento, era occupato in Pavia a cingersi la fronte con la Corona di Ferro, approfittando di un momento in cui la tensione tra la Chiesa di Roma ed il Ducato non era particolarmente alta, un inviato del Papa, Barbato, riuscì ad introdursi nel territorio, a riannodare la tela della cristianità tra la gente sottomessa e ad avanzare i primi timidi tentativi di conversione con i nuovi padroni. Nonostante i primi deludenti risultati Barbato non si arrese e perseverò, cercando di ampliare nel frattempo una chiesetta posta al centro della città e sorta agli inizi del secolo sulle rovine di un tempio pagano, là dove una volta era situato l'orgoglioso tempio ad Iside. Senonchè in quel periodo, e precisamente nell'anno 662, sbarcava nell'estate pugliese un potente esercito bizantino con a capo addirittura l'Imperatore Costante II, deciso a riconquistare una volta per tutte la provincia d'Italia, a scacciarne i longobardi ed a ristabilire l'autorità Imperiale su tutta la penisola. L'invasione faceva parte di un piano più vasto, concertato tra i bizantini ed i Franchi della Neustria la cui regina Balthid intendeva riportare sul trono di Pavia uno dei figli di Re Ariperto, morto nel 661, scalzando Grimoaldo. Infatti una forte armata Franca, nella primavera dello stesso anno, aveva invaso l'Italia nordoccidentale con a capo il pretendente Pertarito ed ora teneva impegnate le migliori forze longobarde. Costante risalì verso il Gargano, mise a ferro e fuoco Acerenza e Lucera che espugnò; ripulì la Capitanata dalla presenza longobarda e si diresse poi verso la capitale del ducato, cui pose l'assedio, dopo aver distrutto e saccheggiato tutti gli insediamenti dei gastaldati incontrati sulla sua strada fino a Quintodecimo (presso l'antica Aeclanum). Benevento si chiuse in difesa ed il Duca Romualdo, figlio del Re, dopo aver sacrificato le sue avanguardie nell'inutile tentativo di arrestare gli invasori, si arroccò per resistere all'assedio, inviando nel contempo veloci messaggeri a suo padre perché accorresse in aiuto. Costante giunse in vista della città nella valle del Calore dalla parte di Ponte Valentino, proveniente dal Fortore e da Ariano e, anche se tutto era pronto per la difesa, la visione dello sterminato esercito nemico provocò lo sgomento dei difensori. Romualdo non si lasciò prendere dal panico e, per oltre un mese, riuscì a respingere tutti gli attacchi del nemico nonostante le poche migliaia di guerrieri di cui disponeva e le precarie difese di una cinta muraria non adeguata ai violenti attacchi delle macchine d'assedio imperiali. Lentamente, però, la penuria di viveri e l'assenza assoluta di messaggi da Pavia fecero temere il peggio ed il morale dei difensori calò sempre di più. Fu allora che Barbato (San Barbato) si fece avanti e si presentò al giovane Duca esortandolo ad affidarsi a Dio: se lui e tutto il suo popolo avessero abiurato la fede ariana e quella verso gli dei pagani, Dio avrebbe salvato la città.

Romualdo, forse perché non aveva nulla da perdere o perché non aveva altre carte da giocare, accettò il patto e, alla presenza dei notabili del Ducato, abbracciò la religione Cattolica e promise che, in caso di vittoria, tutto il popolo Longobardo avrebbe fatto lo stesso. Sta di fatto che pochi giorni dopo, dinanzi alle porte della città e di buon mattino, un drappello di cavalieri bizantini si presentò a parlamentare spingendo davanti a sé, su di un cavallo, un longobardo con le mani legate dietro la schiena che il Duca, accorso sugli spalti, riconobbe come uno dei messaggeri da lui inviati al Re, il nobile Sessualdo. Questi era stato catturato alcuni giorni prima mentre tentava di infiltrarsi nottetempo nella città assediata e, portato davanti a Costante, dopo essere stato sottoposto a tortura, aveva confessato che il Re Grimoaldo era a pochi giorni di marcia a capo di un potente esercito e che era stato inviato in avanti per rincuorare gli assediati. Riferì che il Re, scosso dalle preoccupanti notizie che giungevano dal Sud, aveva affrontato i Franchi in una decisiva battaglia nella piana di Asti e li aveva sconfitti, riportando una schiacciante vittoria ed ora si dirigeva con il suo esercito contro i bizantini.

Arechi II presiede alla costruzione della Chiesa di Santa Sofia

da: "Benevento Romana e Longobarda" di M. Rotili

L'Imperatore, contrariato dalla notizia, decise di tentare uno stratagemma e minacciò di morte Sessualdo se non avesse accettato di mentire ai beneventani e comunicare loro che i rinforzi non sarebbero arrivati più. In questo modo sperava di farsi aprire le porte della città prima dell'arrivo dell'esercito longobardo. Sessualdo, stremato dalla tortura, accettò e, quella mattina, era lì per compiere il suo tradimento. Ma quando dagli spalti il Duca fece segno all'ambasceria di avvicinarsi, Sessualdo diede di sprone al cavallo e, correndo verso la città, urlò a squarciagola la verità ai difensori: che il Re era vicino ed a capo di un potente esercito. Una freccia mise subito fine al gesto eroico; Sessualdo fu ripreso ed ucciso con un colpo che gli tagliò il capo ma la notizia rincuorò i beneventani che si prepararono immediatamente ad una forte sortita nel momento stesso in cui fosse stata avvistata l'avanguardia dell'esercito del Nord. Costante pensò bene di non sfidare oltre la sua fortuna e, levato il campo, si ritirò prima a Napoli e poi a Roma, rinunziando ai suoi disegni di riconquista dell'Italia e finendo infine ammazzato in una congiura in Sicilia, sette anni dopo. Nel frattempo le forze longobarde riunite inseguirono e raggiunsero le retroguardie bizantine che furono sterminate da Romualdo a Forino, nei pressi di Avellino, dove perì anche il loro comandante, il duca Saburro; e da Grimoaldo in Liburia, ove sbaragliò i mercenari barbari di Costante il quale fece appena in tempo a rifugiarsi dentro Napoli. S. Barbato gridò al miracolo. Dio aveva salvato la città: pretese ed ottenne la conversione dei beneventani al culto cattolico con una grande e solenne cerimonia nella nuova Chiesa sorta sull'antico tempio di Iside che egli consacrò, da quel giorno, cattedrale della città. Se poi la conversione inizialmente fu solo formale, è anche vero però che da quel momento in poi i Vescovi Cattolici furono tenuti in grande considerazione dai Longobardi e la diocesi beneventana, grazie anche all'appoggio offerto dalla duchessa Teodorata, moglie di Romualdo, si estese fino al Gargano, a comprendere anche il territorio del Santo più amato dai Longobardi, S. Michele Arcangelo, detto il Santo Guerriero. Il nuovo Vescovo si diede ad una vigorosa opera di evangelizzazione e, tra i suoi primi atti, vi furono quelli della distruzione del feticcio delle zanne del cinghiale Caledonio, ancora custodite a Benevento in una cripta romana e del taglio dell'albero sacro ad Odino, un noce secolare posto lungo le rive del Sabato, a poche miglia dalla città ed intorno al quale per anni i Longobardi avevano svolto feste e riti pagani. Non risparmiò nemmeno la casa del Duca: qualche tempo dopo Romualdo si allontanò dal palazzo per una battuta di caccia e, mentre era fuori, Teodorata (donna profondamente devota e molto religiosa) introdusse a Palazzo S. Barbato per mostrargli dove il marito, nonostante la sua pubblica conversione, teneva ancora conservato un antico feticcio longobardo sotto forma di una vipera tutta d'oro. Il Vescovo prese la vipera, la fece fondere e ne fece fare un calice dal quale poi costrinse anche il Duca a bere nel sacrificio dell'Eucaristia, dopo averlo aspramente redarguito per la menzogna davanti ai fedeli convenuti nella cattedrale. Certo è che un secolo più tardi, al tempo dell'elezione di Arechi II al soglio ducale, i longobardi di Benevento erano quasi tutti convertiti al cattolicesimo e, come sempre accade tra i proseliti delle prime generazioni, animati da un sincero zelo religioso. Come i tre giovani nobili beneventani Paldo, Taso e Tato, che vennero "folgorati" sulla via di Roma da un sant'uomo, un monaco e che, convinti dalla predicazione di costui e rispedite le ricche vesti, i servi e le cavalcature ai loro genitori, indossarono un ruvido saio e si avviarono all'eremitaggio. Ad un miglio dalle sorgenti del Volturno, fondarono una delle più grandi e potenti abbazie benedettine del Sud: S. Vincenzo al Volturno, anticipatori, nella loro scelta di povertà, del grande movimento spirituale di S. Francesco d'Assisi. Essa, in pochi decenni, insieme alle abbazie di Bobbio e Montecassino, divenne un faro della rinascita culturale del medioevo. O come i numerosi monaci e diaconi beneventani che, accorsi a Montecassino al richiamo dell'abate longobardo Pertinace, lo aiutarono a ricostruire l'Abbazia ed a renderla più grande e più importante. Inoltre i beneventani si fecero contagiare anche dalla mania tutta bizantina di fare incetta dei corpi di martiri, santi e beati e ad essa non sfuggì il Duca Arechi II che, nel corso della sua vita, abbatté numerosi primati di altri collezionisti suoi contemporanei, dotandone riccamente le chiese di Benevento e, in particolare S. Sofia che giunse a contare fino a 44 corpi di santi o martiri, recuperati in ogni parte d'Europa ed anche in Asia. Anzi uno di essi, S. Mercurio, fu dichiarato patrono della città di Benevento e ricevette speciali onori fino al XII secolo [da: "ARECHI PRINCIPE LONGOBARDO E DUCA DEI SANNITI" di M. P. CAVALLUZZO & B. FUSCO, Piesse Foglianise, 1999].